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Autore: _hurricane    17/09/2011    12 recensioni
Kurt Hummel è un ragazzo molto particolare, di quelli che forse incontri una sola volta nella vita. E’ fiero di sé stesso ma mai spavaldo, pungente ma mai arrogante, e tremendamente impacciato nelle questioni di cuore.
Kurt Hummel è un ragazzo speciale, così speciale che difficilmente potresti trovare un altro come lui… ma quando Blaine, solista dei Warblers della Dalton Academy, incrocia il suo sguardo in un negozio di dischi, non sa che dentro quegli occhi azzurri si nasconde una bugia.
"E intanto Kurt sentiva il suo profumo, e il cuore di Blaine che batteva proprio sotto il suo orecchio, che sembrava chiamarlo e ipnotizzarlo.
Come se battesse per lui.
Cercò di ignorarlo, perché un cuore, un organo fatto di tessuti, carne, vene e sangue, non batte per nessuno se non per il corpo a cui appartiene. Non batte per nessun motivo, se non per assicurare la vita a colui che lo possiede.
Eppure quel battito regolare, più accelerato a tratti – che strano, sembrava più veloce proprio quando Blaine inspirava tra i suoi capelli – alle sue orecchie non appariva meccanico e ripetitivo. A lui sembrava musica."
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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12 Your smell, your heartbeat

 

 

Alla fine, Colin si era arreso. Avrebbe assecondato Kurt, nonostante continuasse a trovare la sua idea a dir poco malsana. E per “assecondare”, intendeva semplicemente smettere di dirgli quanto non la approvasse. Non poteva certo sparire, d’altronde.

Kurt e Blaine continuarono a sentirsi via messaggi per tutta la settimana, e a partire da quella successiva iniziarono a sentirsi anche per telefono prima di andare a dormire: si raccontavano a vicenda le loro giornate, anche se Kurt si impegnava sempre ad omettere quanto fosse frustrato e infelice per non rendere Blaine frustrato e infelice.

Le sue più grandi preoccupazioni sembravano essere i compiti eccessivi e la scelta delle canzoni, e Kurt era così estasiato nel sentire quella voce fresca e rilassata dall’altra parte della cornetta da non avere il coraggio di incrinarla con le sue preoccupazioni, sicuramente molto più grandi.

Perché Karofsky non lo aveva più spinto, ma più di una volta aveva incrociato il suo sguardo in corridoio e aveva sentito un brivido scorrergli lungo la spina dorsale.

 

* * *

 

“Blaine, potrei chiamarti a casa?”

Blaine lesse il messaggio comparso sullo schermo del suo cellulare e alzò un sopracciglio, vagamente preoccupato. Avevano stabilito un orario preciso per chiamarsi, dopo cena per non disturbare, e lui doveva ancora cenare: era molto strano.

Proprio per questo, si affrettò a rispondere “Sì, certo”. Il telefono squillò pochi minuti dopo e quando Blaine alzò la cornetta, quello che sentì non gli piacque per niente.

“P-pronto?” disse Kurt dall’altra parte del telefono, la voce incredibilmente bassa e il respiro affannoso.

Quello di chi sta cercando di non piangere.

Blaine lo capì subito e sentì una fitta di dolore al petto.

“Kurt? Che succede? Stai male?”

“Blaine, io- Blaine… Blaine…” e singhiozzi. Tanti, troppi.

Blaine si sforzò di rimanere lucido.

“Kurt, fa un respiro profondo, calmati… Sono qui, dimmi che succede, sono qui…”

“Ho bisogno di te. Ho bisogno di te, Blaine.”

Quasi gli cadde il telefono dalle mani. Perché quella era la richiesta d’aiuto più straziante che avesse mai sentito, ed era per lui, solo per lui.

Kurt non aveva bisogno di “qualcuno che gli stesse vicino”, altrimenti avrebbe chiamato una sua amica del Glee Club, quella Mercedes di cui parlava sempre con tanto affetto oppure Rachel, la prima donna di cui gli parlava con stizza ma alla quale sotto sotto voleva un gran bene.

Magari avrebbe chiesto aiuto a suo fratello, anche se non gliene aveva più parlato e sembrava non averci un buon rapporto, ma in fondo un fratello è pur sempre un fratello. Invece aveva chiesto di lui, aveva detto di aver bisogno di lui.

“Sto arrivando” rispose senza esitare.

 

* * *

 

Inventare una scusa a sua madre per motivare la sua uscita improvvisa non fu facile, ma alla fine optò per qualcosa del tipo “Ho preso per sbaglio la cravatta di Wes e devo riportargliela” nonostante non avesse alcun senso, dato che lo avrebbe visto il giorno dopo alla Dalton.

Kurt gli aveva dato appuntamento alla panchina che si trovava dall’altro lato della strada rispetto al cinema, all’entrata di un piccolo parco immerso nel verde.

Erano quasi le otto di sera, e i lampioni illuminavano la strada con una luce debole e soffusa, lasciando la panchina nella penombra.

Blaine parcheggiò di fretta la macchina senza neanche preoccuparsi di portarsi dietro le chiavi: sbattè lo sportello con forza e attraversò la strada, per dirigersi verso quel piccolo angolo nell’oscurità.

Due scintille gli indicarono la via, e capì subito che si trattava degli occhi di Kurt, che brillavano nel buio come stelle, resi ancora più lucidi dalle lacrime. Anche al buio, era sicuro che Kurt fosse bellissimo.

“Blaine?” disse lui, raggomitolato sulla panchina con le braccia strette al petto.

“Kurt, sono qui” disse Blaine mentre si sedeva al suo fianco, incerto su come muoversi.

Non erano fidanzati, non erano intimi, non erano un bel niente; l’istinto e il cuore gli dicevano Abbraccialo, stringilo, cullalo, mentre la testa gli diceva di aspettare che fosse lui a chiederlo.

Ma Kurt rimase in silenzio, la testa tra le ginocchia, tirando su col naso di tanto in tanto.

“Cosa è successo? Perché hai voluto vedermi proprio qui? E’ pericoloso, potevo venire a casa tua” chiese Blaine dopo un po’.

“Non volevo che mio padre mi vedesse così” disse Kurt, perché era la verità: tra le tante cose, aveva fatto promettere a Colin di non far preoccupare Burt inutilmente con quella storia che si poteva anche definire conclusa. Non sapendo che non lo era affatto.

Alzò il viso e appoggiò la guancia sulle ginocchia, continuando a tenerle con le braccia, per guardare Blaine.

“E’ un po’ lunga da spiegare” aggiunse.

“Io non ho fretta” rispose Blaine sorridendogli nel buio.

Kurt si sentì improvvisamente al sicuro, perché anche lì, su quella fredda panchina in un parco poco illuminato, Blaine gli trasmetteva calore.

Gli raccontò la vicenda sin dall’inizio, cercando di riassumere: gli disse che Karofsky lo aveva preso di mira già dall’anno precedente, ma che era peggiorato e non si limitava più alle granite in faccia; che aveva iniziato a spingerlo contro gli armadietti finchè lui non ce l’aveva fatta più e lo aveva affrontato, e allora lui gli aveva preso il viso tra le mani con forza e lo aveva baciato.

E poi aveva iniziato a guardarlo torvo finchè quella mattina, tra una lezione e l’altra, gli si era avvicinato e poi gli aveva sussurrato “Se lo dici a qualcuno ti ammazzo”.

Blaine ascoltò in silenzio, e quando capì che il racconto era finito continuò a non dire nulla. Lentamente, scivolò lungo la panchina fino a poter toccare la spalla di Kurt con la sua, gli avvolse un braccio intorno senza esitare e lo strinse a sé.

Kurt fece un lungo e profondo sospiro, come se quel contatto fosse qualcosa di indispensabile, di vitale, come se avere le braccia di Blaine intorno a lui fosse la cosa che aveva sempre sognato. Di certo, era la cosa che sognava da una settimana a quella parte.

Appoggiò la guancia al suo petto e si lasciò stringere sempre di più, tanto che Blaine riusciva quasi a toccarsi le spalle con le mani ormai.

Erano una cosa sola, Kurt respirava e Blaine respirava, Kurt sospirava e Blaine sospirava, Kurt spingeva di più la testa contro il suo petto e Blaine lo stringeva più forte, Kurt singhiozzava e Blaine gli accarezzava i capelli sperando di calmarlo, sperando che smettesse, perché se la sua risata era la cosa più bella che avesse mai sentito, il suo pianto era la più terribile.

“Ho avuto così tanta paura, Blaine” sussurrò Kurt, la testa ora proprio sotto il suo mento.

“Non ti succederà niente, Kurt. Te lo prometto” rispose Blaine, inclinando la sua per sfiorare i capelli di Kurt con la sua guancia.

Per inspirare il suo profumo e sentirlo dentro, sempre più dentro, imprimerselo nelle ossa e fare in modo che non svanisse mai più.

Fare in modo che quel profumo lo accompagnasse fin sotto le lenzuola, nei suoi sogni, poi la mattina dopo quando si sarebbe tolto quel filo di barba appena cresciuta, così forte da sovrastare quello della schiuma e quello del caffè che avrebbe preso a colazione, così dolce da lasciargli in bocca il sapore del miele e delle fragole.

E intanto Kurt sentiva il suo profumo, e il cuore di Blaine che batteva proprio sotto il suo orecchio, che sembrava chiamarlo e ipnotizzarlo.

Come se battesse per lui.

Cercò di ignorarlo, perché un cuore, un organo fatto di tessuti, carne, vene e sangue, non batte per nessuno se non per il corpo a cui appartiene.

Non batte per nessun motivo, se non per assicurare la vita a colui che lo possiede.

Eppure quel battito regolare, più accelerato a tratti – che strano, sembrava più veloce proprio quando Blaine inspirava tra i suoi capelli – alle sue orecchie non appariva meccanico e ripetitivo. A lui sembrava musica.

Ogni battito era diverso e creava insieme agli altri una melodia irresistibile, così bella, così perfetta, che Kurt desiderò ardentemente di riuscire a ricordarla e conservarla nella sua memoria, così che lo accompagnasse fin sotto le lenzuola quella notte, nei suoi sogni, e poi la mattina dopo, sovrastando quell’ammasso informe, vuoto e insensato di voci nei corridoi di persone di cui non gli importava e alle quali non importava di lui.

Rimasero senza dire niente per un tempo che sembrò infinito, ed entrambi avrebbero voluto che lo fosse.

Blaine continuò a respirare il profumo di Kurt, senza riuscire ad averne mai abbastanza.

Kurt continuò ad ascoltare il battito del cuore di Blaine, senza riuscire ad averne mai abbastanza.

   
 
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