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Autore: Solieh    18/09/2011    1 recensioni
Tutta questa neve che ora, come allora, cade e si posa leggera su se stessa, che senso ha? Che senso ha restare a guardarla tenendo per mano Kaito?
Dio, colei che mi strugge, ancora oggi porta il nome Aoko.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ultimamente c’era un sentimento che più del solito faceva capolino tra gli altri. E avevo mal di stomaco per questo.
“Che hai?” era tornato a sorridere. Si dondolava su un piede della sedia, accanto alla finestra.
Arrossii “Guarda che così prima o poi cadi a terra” sorrisi.
“Allora?” non era nel suo stile arrendersi subito “Che hai?”.
“Nulla,non c’è nulla” arrossivo con maggiore intensità se mi si fissava. E ultimamente lo faceva spesso. Ultimamente succedevano un sacco di cose. Prima si arrabbiava e non parlava, poi rideva di nuovo. E anche io. Prima piangevo, poi avevo smesso di scrivere.
“Però un attimo fa eri pallida e ora sei viola. Sei strana da un po’ di tempo”. Da un po’ di tempo, avrei voluto dirgli quello che provavo per lui.
Quell’inverno faceva particolarmente freddo. O forse mi sembra che sia così. Forse sono convinta che quell’inverno sia stato il più freddo di tutti gli inverni passati fin ora, perché quello è stato il più speciale.
Allora avevo diciassette anni e il costante desiderio di dichiarare il mio amore a Kaito. Peccato che quanto più diventava forte il desiderio, tanto più scarseggiava il coraggio. Ci avevo provato tantissime volte, ma non era nel mio stile affrontare le cose con sicurezza, quindi rinunciavo facilmente.
“Allora alla festa di Akako da cosa ci travestiamo?” cercai di cambiare discorso.
“Eh?Ma è il suo compleanno mica una festa in maschera?”
“Pensavo a uno stile vintage anni sessanta,che te ne pare?” risi.
“Che schifo,scordatelo” mi scombinò i capelli e mi alzò la gonna della divisa.
“Maniaco” strillai.
“Quando siamo a casa mia non mi sembra che ti disturbi se ti alzo la gonna”sbuffò deluso.
Gli tirai uno schiaffo in pieno viso “Allora da cosa vogliamo travestirci?” inarcai un sopracciglio divertita.
Anche lui sorrise “A te la scelta, basta che non si tratti di un periodo storico ti prego” si alzò dalla sedia per abbracciarmi. Le aule vuote di pomeriggio, mi piacevano. Il sole si tingeva di rosso e tutto sembrava più triste. Stare con Kaito in quei momenti, era ancora più bello. Continuavo a pensare “così sono salva, non andrò alla deriva”.
“Kaito” lo chiamai , così,senza un motivo. Non rispose. Rimanemmo a guardare il tramonto per pochi secondi, prima che decidesse di tornare a casa.
All’uscita da scuola non riuscivo a vedere Kaito, l’avevo perso di vista così m’avviai a casa temendo di fare troppo tardi per i gusti di mio padre, al quale non avevo detto nulla di me e di Kaito. L’ispettore Nakamori era un uomo troppo scorbutico a volte.
Dopo cena, quando mio padre se ne fu andato a lavoro, entrando in camera mia notai un particolare strano:il monocolo di Kaito Kid sulla mia scrivania e dietro le mie spalle, il ladro in carne ed ossa. Avrei riconosciuto quel monocolo tra mille. Passavo ore e ore ad esaminarlo nelle foto e in televisione.
Quando passarono cinque minuti in silenzio lui si tolse il cilindro e si mise a piangere, cadde in ginocchio chiedendomi scusa. Non credo di aver fatto nulla di sbagliato, se dopo averlo stretto in un abbraccio soffocante, l’abbia cacciato di casa. Sono una donna fatalista, una stupida. E Kaito era come me. Per le tre settimane seguenti non gli parlai.
Quando lui si era tolto il cilindro e mi aveva guardato negli occhi, io avevo sorriso e avevo sentito più freddo. Forse è davvero per quello che ricordo quell’inverno come il più gelido della mia vita, e non era solo freddo. Era anche secco e prosciugante come lo era Kaito. La verità è che quasi tutte le sensazioni che provavo erano tutte dovute e riferite a lui.
“Aoko” un giorno mi mise con le spalle al muro, durante la ronda di pulizia quando la scuola era pressoché vuota.
Io non lo guardavo in viso “Che vuoi?” tenevo la voce bassa.
“Perché fai così?” la sua voce tremava come una foglia al vento, e io avevo voglia di piangere come una bambina a cui è caduto un gelato a terra. Una parte di me l’aveva perso e nella speranza di ritrovarlo si era messa a correre dietro di lui. Un’altra parte di me si era persa in se stessa e non riuscivo più a trovarla. Mi sentivo così terribilmente vuota.
“Come fai ad essere Kaito Kid?” a me importava di lui, prima che della sua bugia.
“Mio padre lo era, lo hanno ucciso e io sto tentando di rivendicarlo” disse a voce sommessa.
“Oh ma non mi dire” strinsi le labbra.
“Non mi credi?” nei suoi occhi si leggeva perdizione.
“E cosa farai quando li avrai trovati? Ammazzerai tutti?” nei suoi occhi blu scuro, al suono delle mie parole, si potette leggere paura, tristezza e cattiveria “Mettiti il cuore in pace e vivi la tua vita come un normale essere umano” facevo ridere. Forse era per quello che lui rideva sempre. Accanto a sé, teneva un bel pagliaccio. Non credo di essere stata mai ipocrita come in quel momento. Proprio io anima distrutta e sleale davo dei consigli ad un animo distrutto e corrotto almeno quanto il mio.
Scosse la testa “La storia l’hai bruciata?”
“No”
“Questo è l’ultimo atto, allora” mi guardò con disprezzo.
“Mi stai lasciando?” il cuore mi batteva così forte da arrivarmi in gola. Per una storia e per colpa di Kaito Kid, lui mi stava lasciando.
“No” nel corridoio non si sentiva nulla “Noi non siamo mai stati insieme”. Per la mia incapacità e la mia eterna perdizione, per la sua eterna perdizione ed incapacità. Per il nostro amore e per altre mille cose che nessuno mi ha mai spiegato. Era per quello che Kaito mi lasciò. Dopo un attimo di vuoto totale pensai che non andava bene il fatto che io, ogni volta che lo guardavo allontanarsi in corsa, pensavo a quando sarei riuscita a dichiarargli il mio amore. Fare l’amore con lui quasi tutti i giorni andava bene, anche se non stavamo insieme? L’amore va bene anche se non lo dici?
Quel giorno, mentre guardavo la sua figura che si allontanava nella neve, pensai che il mio cuore si era spaccato. Che una crepa era partita dal centro e si era diramata in tutto il cuore. Le contavo le volte che facevamo l’amore, perché riuscissi a rendermi conto il prima possibile dell’amore che c’era. Contavo i suoi sorrisi e i battiti del mio cuore, anche se poi non avevano un numero. L’amore … avevo ragione. “Lascialo andare” mi ero detta e non ci ero riuscita. Continuavo a chiedermi quanto ci somigliassimo e a come avrei potuto lasciare andare via una persona che riusciva a comprendermi e a toccarmi fin nel profondo. Ma quando lui mi disse che non eravamo mai stati insieme capii quello che prima di allora non avevo mai compreso:io da quel giorno d’inverno non l’avevo né perso, né fatto mio. Solamente l’avevo fatto uguale a me, lasciando che lui prendesse la mia vita in mano e la scagliasse con violenza nella neve fredda.  
 
Anche se ora la storia sembr aferma a un punto morto, nei prossimi capitoli comincerà a correre veloce, e soprattutto comincerannoa  emergere in maniera più limpida i caratteri di ogni personaggio ;)
  
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