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Autore: Solieh    18/09/2011    1 recensioni
Tutta questa neve che ora, come allora, cade e si posa leggera su se stessa, che senso ha? Che senso ha restare a guardarla tenendo per mano Kaito?
Dio, colei che mi strugge, ancora oggi porta il nome Aoko.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando la prima neve cade sulla città la tristezza mi invade e torno a leggere quella storia che tengo chiusa nell’armadio di camera mia. Alla fine non l’ho più bruciata. Anche se sono passati quasi dieci anni.
“Senti, mi trovo anche piuttosto in imbarazzo a starmene qui in casa tua, non è che potrei andare?”.
Sbatto le palpebre in un espressione che denota il vuoto che ho dentro “Come preferisci, vedi prima cosa vuol fare Kiara” poi torno a fissare il paesaggio fuori la finestra.
“Senti Aoko, ma allora Kiara è proprio tua figlia?”curva la testa verso destra. Io annuisco con occhi lucidi.
 
Che la vita fosse la prova più difficile che ci si potesse parare dinanzi, lo avevo capito già allora. Il problema stava nell’accettazione. Io non riuscivo a dire “è così, facciamocene una ragione”. Io ero insoddisfatta sempre e comunque e della mia insoddisfazione ne facevo un’arte.   
Ricordo con triste affetto, la prima volta che lessi a Kaito, la storia che lui ha tanto odiato.
“Continua …” aveva sussurrato.
Annuii sorridente “… chiuse gli occhi lentamente e con fare leggero, le sembrava di aver toccato una stella con un dito tanto la felicità la spingeva in alto. Lui l’abbracciò di nuovo e le mostrò la casa che da quel momento in poi sarebbe stata loro. Era una casa enorme, con un giardino all’inglese ancora più grande. Un giardino curato. Lei chiuse ancora gli occhi, poi pianse e capì di essere felice” chiusi il libro soddisfatta di me stessa. “Allora? Che te ne pare, signor Kuroba?” il mio sorriso era scintillante.
Lui tentennò alla ricerca di parole appropriate, parole che non seppe trovare “Scrivi bene” mise il broncio “A quando il secondo capitolo?” sorrise.
“La prossima settimana” gli ero balzata indosso e lo avevo baciato senza badare troppo alla porta di camera mia, che era rimasta aperta. La primavera era appena finita e l’aria cominciava a farsi carica della pesantezza tipica dell’estate. L’afa seccava la gola e il sudore dava noia sotto il collo. Io avevo continuamente sete e mentre baciavo Kaito sentivo ancora più caldo e felicità. Solo quando non parlavamo, solo quando non parlavo con nessuno, solo allora io potevo essere felice. Tutto il resto continuava solo a dirmi “stai vivendo nel non senso, tutti camminiamo verso la stessa cosa, tutti percorriamo in silenzio la stessa strada e tutti in un punto o in un altro ci perdiamo o restiamo fermi, immobili, impassibili. Non ci teniamo neppure per mano”.
Kaito era quello che tra la folla mi avrebbe teso la mano, facendo un sacco di casino. Era quello che avrebbe chiuso i suoi occhi e avrebbe riposato solo accanto a me, parlando anche nel sonno pur di tenermi compagnia. Kaito era quello che poteva salvarmi. Però le cose che possono salvarti, chissà perché, se ne vanno sempre in fretta.
 
“Senti Aoko, tu quando l’hai avuta quella bambina?”
“Un po’ di tempo fa, con quello che poi è diventato mio marito” continuiamo a camminare per la casa seguendo Kiara.
“Sono felice di vedere che hai seguito i miei consigli” sorride, ma ha un sorriso strano.
Lo guardo negli occhi apatica “Io non ho seguito i tuoi consigli, ho fatto tutto di mia spontanea volontà. Eri un moccioso che non sapeva prendersi le proprie responsabilità, figurarsi se avrei seguito i consigli di uno come te” lui non mi guarda e Kiara si ferma guardandoci preoccupata. Poi si avvicina.
“Kaito – san, io e la mamma adesso abbiamo da fare” guarda triste verso Kaito, come le dispiacesse dire quello che ha appena detto “Ciao ciao Kaito – ojisan” gli tiene strette le mani.
“Non far piangere la mamma per favore” lui le accarezza i capelli e il mio stomaco si contorce.
Kiara annuisce e sorride flebilmente. “Ci rivedremo, vero?” spalanca gli occhi in attesa della risposta.
“Sicuramente” fa lui avviandosi alla porta.
“Tra altri otto anni?” sono curiosa anche io. Lui sorride “No. Ci vediamo a Shibuya, sono tornato a casa” apre la porta.
“Ah, aspetta” mi guarda “Come sta la tua mamma?” si intristisce “Volevo chiamarla ma mi ricordava …”poi scorgo il viso curioso di Kiara e allora mi fermo “Salutamela”.
Annuisce e chiude la porta dietro sé.
Mi sono sempre detta che starsene fermi con le mani in mano cercando di trovare un senso a tutto è qualcosa da non fare, perché troppo triste. Ti toglie tempo e alla fine arrivi a capire che di fondo, niente e nessuno ha un senso, e questo fa male. L’amore è l’unica cosa che ti permette di andare avanti, se è un amore vivibile, se è un amore che cambia ogni giorno.
 La verità è che per quanto un uomo possa amarne un altro, siamo creature destinate ad isolarci le une dalle altre. Posso solo stringere più forte la mano di Kiara, fino a farle male, un’altra volta.
 
 
 
  
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