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Autore: Iryael    18/09/2011    1 recensioni
Nel nostro universo, lei è una ragazza che vive la routine estiva di una qualunque adolescente. Nel suo universo – quello descritto in Endless Empire – lei è l’unica umana esistente, nonché la Creatrice, ossia colei che è onnisciente.
Trascinata dai suoi personaggi nell'universo da lei creato, si trova invischiata in un pericoloso gioco di potere. La linea di demarcazione tra eroi e mostri, tra patrioti e usurpatori avidi di potere, che prima era nitida, sfuma velocemente in una nebula di azioni mirate al successo dei propri interessi.
Tutte le fazioni la vogliono, ma solo per raggiungere scopi diversi. E lei non ha la possibilità di sottrarsi a quel gioco.
Ha creato un universo difficile, Silver, un posto dove non esistono seconde chance.
Cosa sarà disposta a sacrificare per uscirne?
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[Spin-off di Endless Empire di DarkshielD] [Leggibile a sé]
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Libera finché sorvegliata
Capitolo Secondo
12 Gennaio 1811, ore 11:00 circa
Zona sud della città, quartieri della borghesia medio-bassa
 
 
Fu un’aria riprodotta al grammofono a svegliare Silver.
La ragazza inspirò a fondo l’odore di pulito che emergeva dal cuscino e si stirò come una gatta, mugolando per il piacevole tepore offerto dalle coperte. Si accorse che stava ancora stringendo il suo cellulare, che aveva spento poco prima di addormentarsi per evitare che rimanesse completamente scarico. L’aveva spento, ma aveva deciso lo stesso di tenerlo con sé, essendo comunque una tecnologia al di fuori dello steampunk.
Quando aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu la tappezzeria marroncina che s’inerpicava fino al soffitto. Si rese conto di guardare il muro contro cui il letto era appoggiato, così si mise a sedere. Oltre la pediera del letto inquadrò il cassettone scuro e un piccolo mobile da toeletta nell’angolo della stanza, il cui specchio rifletteva la porta chiusa. Sopra il cassettone facevano la loro bella figura alcune scatole che Silver non ricordava di avere visto la sera prima. Su tutte faceva bella mostra di sé un biglietto con la scritta “Alla signorina Darkshield”.
Incuriosita, l’umana si avvicinò a passi leggeri al cassettone, quasi come se i piedi scalzi non toccassero nemmeno il pavimento. Per poter avere le mani libere infilò il telefono nella tasca degli shorts – non avendo ricambi si era buttata a letto con gli abiti del giorno prima – e si concentrò sui contenitori. Sfiorò i bordi di cartone lucido con i polpastrelli e ammirò le coccarde variopinte, poi prese con trepidazione la prima scatola e l’aprì. Era la più grossa del gruppo, e al suo interno vi trovò un lungo abito pieno di nastri, in viola.
Questo è un dettaglio che non avevo previsto, pensò con un certo sconcerto. Ma del resto non aveva previsto nemmeno che sarebbe finita a dormire nella stanza degli ospiti di Enrique dopo essere stata trasportata a Fastoon.
Aprì anche le altre scatole, immaginando cos’avrebbe potuto trovarvi, e non sbagliò di molto: in una c’erano un paio di stivali, in un’altra un cappello con dei nastri da legare sotto il mento e nell’ultima campeggiavano delle calze con giarrettiere e un corpetto.
Silver guardò quest’ultimo capo provando un misto fra l’imbarazzo e l’ammirazione. Si immaginò con il capo candido addosso e si sentì avvampare nell’immaginare qualcuno che le diceva «Quanto sei sexy, tesoro...»
Ma stiamo scherzando? Pensò, impietrita. Non posso mettermelo sul serio!
Poi però si chiese quando mai avrebbe potuto rimettersi un vero corsetto vittoriano, di quelli con le stecche di fanoni di balena.
Perché, da quando su Fastoon ci sono le balene?
Da qualche parte aveva letto che i corsetti erano accessori strettamente personali perché finivano col prendere le forme delle loro proprietarie, accentuando col tempo la forma a clessidra del busto. Da qualche altra aveva letto un commento su quanto quegli accessori fossero simbolo di grazia e femminilità.
Fatto sta che quando si guardò allo specchio e appoggiò il corsetto su di sé, pensò che in fondo non avrebbe fatto altro che aggraziare il suo fisico, che per lo spazio-tempo da cui veniva non rasentava la perfezione.
L’entrata improvvisa della cameriera le fece emettere un urlo strozzato. Si voltò di colpo, incrociando lo sguardo di una lombax di mezz’età che si spaventò del suo spavento.
«Signorina, state bene?» chiese subito.
«I-io…sì, non mi aspettavo che entrassi.» si giustificò. «Ehm…tu sei?»
«Camille, signorina. Sono la cameriera di casa.» rispose con aria affabile la donna. «Enrique mi ha detto che siete poco pratica dei nostri costumi, gradite che vi aiuti?»
«Sì, sarebbe magnifico…»
No che non lo è! Preferirei continuare a tenere i miei shorts e la mia canotta! Anche se fa un freddo cane!
L’espressione della cameriera, quando si avvicinò, si fece accigliata.
«Oh, ma cos’abbiamo qui?» domandò, afferrandole il viso tra le mani per osservarlo meglio. Quando passò le dita sulle guance, seguendo una linea che andava dalle gote fino alla curva della mascella, Silver sentì dolore e si ricordò della notte appena passata. Pensarci le fece sentire un orrendo misto di paura, rabbia e disgusto, e la cameriera se ne accorse. «Enrique me ne ha parlato – con discrezione, s’intende. Mi rincresce che un viso così grazioso sia stato ridotto in questo stato, ma penso che possiate perdonare il gesto del maggiore.»
«Stai scherzando!» sbottò Silver. «Perché ho detto la verità quello stronzo ha avuto il coraggio di prendermi a bastonate! Poi è sparito come se niente fosse successo, mandando avanti quell’altro a chiedere scusa! Come cazzo faccio a perdonarlo???»
Immediatamente seppe di aver scandalizzato la povera Camille. Da una parte per il linguaggio, dall’altra per il contenuto e la veemenza infusi nella frase; ma del resto non sarebbe riuscita a calmarsi. Già si odiava per non essere riuscita a fare niente, se poi avesse anche perdonato Ratchet così a cuor leggero avrebbe solamente accentuato il senso di umiliazione.
«Voi non lo sapete, ma i ribelli farebbero qualunque cosa pur di causare danni all’Impero. Vi hanno evidentemente invischiata senza il vostro consenso e vi hanno trascinata in qualcosa più grande di voi. La reazione del maggiore è stata brutale e disonorevole, ma dettata da un senso di diffidenza che i ribelli ci hanno innescato con il tempo.» spiegò la lombax, modulando la voce in modo che velasse il rimprovero. «È naturale che si sia comportato così; per quel che sappiamo noi gli umani non esistono più da secoli. E non potete biasimarlo: con la vostra sola presenza avete sovvertito decadi di convinzioni sociali.»
Silver guardò allo specchio i lividi violacei che le macchiavano le guance e trattenne le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. Perdonare Ratchet senza biasimarlo...non ci pensava neanche. E di discuterne con la lombax non se ne parlava, se quelli erano i suoi punti di vista.
Su quel punto sarebbe stata irremovibile: se Ratchet voleva convincerla a non preparare un capitolo con la sua morte atroce avrebbe dovuto sudare sette camicie e umiliarsi quanto aveva fatto con lei.
Camille interpretò il suo silenzio come frustrazione e decise di passare oltre: «Venite, è pronto un bel bagno caldo. Vedrete come starete meglio dopo aver tolto gli ultimi residui della vostra disavventura...»
Così Silver fu trascinata in un piccolo bagno dove la vasca in ottone troneggiava rialzata da buffi piedi ricurvi. Di fianco si poteva vedere un grosso cilindro di ottone alto fino al soffitto, rivestito fino ad una certa altezza di porcellana, con alcuni piccoli indicatori posti a diverse altezze. Produceva un gorgoglio cupo e sommesso, quasi come se qualcuno avesse infilato una cannuccia in un bicchiere d’acqua e vi soffiasse in continuo. La ragazza si avvicinò a scrutarlo per la curiosità, e scoprì che era collegato mediante un tubo sottile al rubinetto dell’acqua calda della vasca. Altri tubi della stessa dimensione si allungavano come zampe di ragno in direzione del rubinetto del lavandino e addirittura dentro il muro, diretti chissà dove.
«Non avete mai visto uno scaldabagno, signorina?»
«Ehm...diciamo che da noi hanno altre forme...»
La sua voce era ancora arrochita dalle urla cacciate poco prima, e il tono era incerto. Sapeva di aver in qualche modo ferito la cameriera, che evidentemente teneva tanto al padrone di casa quanto al lombax della Guardia Pretoriana.
«Enrique non ha mai tempo per poter mettere a scaldare l’acqua, così è stato costretto a comprarsene uno. In effetti non è una bella visione, ma è molto funzionale.»
«Se non esplode come una pentola a pressione...» commentò scetticamente Silver. Camille si diede ad una risata.
«Esplodere? Suvvia signorina, non avete proprio nessuna fiducia nelle tecnologie moderne!» disse allegramente.
Non ne avresti nemmeno tu al mio posto, credimi.
La donna lombax aprì il rubinetto dell’acqua calda, e presto sul fondo della vasca si formò uno strato d’acqua fumante. Silver fece finta di nulla ed aprì il rubinetto dell’acqua fredda mentre la donna era girata, e nel frattempo dissimulò il gesto chiedendo: «Quindi è stato Enrique a procurarmi quel vestito?»
Camille sembrò entusiasta dell’argomento.
«Oh sì! È una persona così cara!» trillò. «Pensate che mi ha chiesto di prendervi le misure mentre dormivate, così da non sbagliarsi nell’acquisto. Anche se temo che con il corsetto sia rimasto comunque in imbarazzo.»
«E perché mai?»
Non ricordava di aver creato un personaggio tanto gentiluomo da imbarazzarsi per una cosa del genere. A dirla tutta, non si ricordava nemmeno di aver creato Camille o la casa di Enrique.
«Ma come!» la cameriera sembrò scandalizzata. «Da voi è forse costume che i mariti comprino la biancheria per le mogli?»
«Hnn, diciamo che lo fanno solo quando si sentono molto...creativi.» rispose la ragazza, guadagnandosi un’occhiata perplessa dalla cameriera. Vedendo che l’altra non aveva afferrato il concetto, aggiunse: «No, di solito nemmeno da noi si prendono l’iniziativa.»
Camille emise un rumoroso sospiro di sollievo, a indicare quanto quella risposta l’avesse rincuorata.
«Per un momento mi avete fatto preoccupare!» disse, chiudendo il rubinetto dopo che l’acqua ebbe riempito metà della vasca. «Venite che vi aiuto a lavarvi!»
«...ah, no grazie! Ce la faccio da sola...»
Ma il sorriso che accompagnò la gentile declinazione non bastò a convincere la cameriera, che la prese per le spalle e la costrinse a girarsi.
«Suvvia, non farete i capricci come i bambini!» la ammonì allegramente, sfilandole la maglia. «Che corsetto strano che indossate! Non vi da fastidio alle spalle, con quei lacci?»
«No, nessun fastidio...da noi questi sono la norma.» spiegò Silver. «I corsetti come i vostri sono usati solo come arma di seduzione.»
Di nuovo, seppe che Camille era scandalizzata e dovette cambiare discorso: «Ma hanno le stecche in fanoni di balena?» chiese innocentemente.
«Oh no, sono di scheletro di leviathan: leggero e resistente, e dopo appena una settimana prende le forme della proprietaria.» decantò la donna.
«...ah.»
Leviathan. La balena di questi posti, in pratica, si disse. Nel corso della saga videoludica aveva combattuto contro diversi – parecchi – di quelle bestie enormi. Li aveva maledetti quando l’avevano battuta e aveva goduto quando al nuovo tentativo li aveva visti accasciarsi al suolo e scomparire. Ma non pensava che lì impiegassero l’esoscheletro di quegli animali per farne corsetti. Forse ne mangiavano anche la carne? Magari ne facevano una pietanza tipica.
«E lasciatevi dire, signorina, che voi non siete affatto brutta. Con quell’abito addosso attirereste l’attenzione di più di un gentiluomo.»
Silver fece per rispondere che tanto in strada non poteva andarci, ma la cameriera riprese: «Ma di che tessuto è il vostro corsetto? È strano...sembra seta ma ha un’altra consistenza...ed è così elastico!»
La ragazza attinse al suo Sapere e si rese conto che lì non esistevano tessuti sintetici. Come glielo avrebbe detto?
«È...una tela ottenuta con processi particolari, non ti so dire come...però è davvero comoda.» improvvisò. «È un effetto collaterale del nostro sviluppo tecnologico.» aggiunse poi, con più sicurezza.
«Ma certo, dimentico che vi siete dovuti riadattare su qualche altro pianeta. Nuovi posti, nuove risorse, nuove tecnologie. E nuovi costumi, mi pare di capire.»
Di nuovo il Sapere suggerì a Silver che i suoi shorts e le scarpe a tennis non rientravano nel panorama modaiolo di quell’universo, dove mostrare le caviglie era considerato da sgualdrine. E lei metteva in bella mostra tutta la lunghezza delle gambe: cosa doveva essere considerata?
Quando si era trattato di uscire dalla 147sima, qualche ora prima, Enrique l’aveva coperta con il suo cappotto rimanendo a prendersi il freddo di gennaio. E dire che nel suo spazio-tempo era agosto, terribilmente caldo e afoso.
La cameriera, comunque, non diede segno di voler riprendere il discorso e si rimboccò le maniche. Promise di non essere troppo invasiva e così fece, limitandosi a lavarle la schiena e la testa. Erano attenzioni che Silver non riceveva da anni, e in una certa misura le fece piacere sentire Camille che la strigliava canticchiando un motivetto allegro.
Poi la avvolse in teli messi a riscaldare contro lo scaldabagno e le asciugò i capelli con minuzia, pettinandoli spesso. Ci volle quasi un’ora per ottenere l’effetto voluto dalla cameriera, ma alla fine Silver si ritrovò acconciata con un gibson roll, semplice ed elegante, e si rese conto che un effetto del genere da sola e senza phon non lo avrebbe mai ottenuto.
«Sei bravissima...» commentò, osservando il suo riflesso sullo specchio del lavabo. «La mia parrucchiera manco ti allaccia le scarpe.»
«Oh, non dite sciocchezze. È il minimo che si debba saper fare per mantenersi in ordine.» si schermì. «Aspettatemi, vado a prendere i vostri abiti e ritorno.»
Silver annuì, e nell’attesa andò a sedersi sul coperchio del water. Lo scaldabagno, oltre a fare da boiler per l’acqua, emetteva anche il calore sufficiente a riscaldare l’ambiente raccolto della stanza.
Chissà che caldo che deve fare, d’estate.
In realtà sapeva che non faceva poi così caldo nella bella stagione.
Grugnì di disapprovazione, perché per l’ennesima volta il Sapere era venuto fuori senza che lei lo avesse interpellato. Camille rientrò con tutto il vestiario in una scatola e un sorriso inquietante in volto.
«Avanti signorina, è ora di vedere se il viola vi dona come promette.»
 
Quando scesero al pian terreno dell’abitazione, a Silver non parve vero di essere sopravvissuta alla vestizione. Il corsetto sembrava fatto apposta per far vomitare gli organi interni, tanto era stretto, gli stivali stringevano i piedi e con l’abito che frusciava a mezzo centimetro da terra si sentiva incerta a muovere ogni passo. Certo, aveva scoperto una piccola tasca segreta dove poter nascondere il cellulare, però dovette girare più volte le maniche attillate affinché non tirassero troppo e per le scale dovette tirarsi su la gonna, o sarebbe inciampata ad ogni gradino. Quell’abito era bello, ma non era affatto comodo. Tuttavia, quando entrarono nel salotto ed Enrique si alzò rispettosamente in piedi, Silver si sentì bella.
«Signorina Darkshield...» salutò cortesemente il cazar.
«Ciao Enrique.»
«Venite, accomodatevi.» e indicò la sedia di fronte alla sua nel tavolino ovale. La ragazza si avvicinò e lui le scostò la sedia, permettendole di sedersi più agevolmente. Non abituata a tanta attenzione Silver si sentì in imbarazzo, tuttavia il lieve rossore fu mascherato dai lividi.
«Spero che Camille non sia stata troppo invadente. È una persona bravissima, ma alle volte...»
«Stai scherzando! È stata davvero un’ottima compagnia. E grazie per i vestiti.»
«Quelli? Considerateli un regalo del maggiore Ratchet, signorina. Io mi sono limitato ad essere un esecutore materiale.»
...ah. Ridatemi shorts e canotta, allora! Non li voglio se vengono da quello stronzo!
«Spero che abbiate dormito bene stanotte.» disse poi il cazar, cercando di intavolare una discussione.
«Oh sì, non ti preoccupare. Piuttosto, mi stupisce che né tu né Camille mi facciate domande sul mio mondo. Da dove vengo, come vivo, quali sono i nostri usi e costumi...»
«Sarebbe magnifico se voleste parlarne. Ma non vi provocherà nostalgia?»
«Nostalgia? E perché mai... - »
Ci arrivò da sola alla risposta: perché non aveva la più pallida idea di come poter tornare a casa. Di colpo il suo volto s’incupì, mentre lei pensava a quanto fosse stata idiota a dare retta ad Evelyne. «No, hai ragione. Scusami, ma è meglio se non ne parlo.»
Enrique annuì, accondiscendente.
«E...senti, vorrei che mi dicessi una cosa. Senza dire bugie, intendo.» proseguì la ragazza. Questo suo nuovo atteggiamento prese in contropiede il cazar, che annuì ma senza convinzione.
«Dipenderà dalla domanda che mi farete.»
«Cos’avete confabulato ieri sera tu e quell’altro? Cos’avete deciso di fare di me?» di fronte allo sguardo sorpreso di Enrique, Silver si sentì in dovere di aggiungere: «Perché il vostro atteggiamento nei miei confronti è cambiato troppo in fretta, e mi sembra strano che quell’altro se ne sia andato firmando le carte della mia liberazione dopo l’interrogatorio...e adesso mi fa mandare anche dei vestiti nuovi e le sue scuse. Non ha senso! Non ci credo che lo fa solo perché è dispiaciuto!»
La sua parte onnisciente in realtà lo sapeva, il perché, ma la sua parte razionale voleva una conferma.
Enrique, dal canto suo, si sentì letteralmente messo all’angolo dalla sua coscienza.
«Signorina, a prescindere da quello che accadrà voglio che sappia che non mi da alcun fastidio averla ospite in questa casa. È dovere di ciascun buon cittadino accogliere parenti o conoscenti all’arrivo da un lungo viaggio.» disse, prendendo il discorso un po’ alla larga per affrontarlo al meglio.
«Ma io per te non mi posso classificare nemmeno come conoscente...»
«La vostra storia è un capitolo a parte, signorina Darkshield, per questo vi chiedo di approfittare della mia disponibilità finché ne avete l’occasione. Al di là del fatto che, come avrete capito, ospitarvi qui è un ordine diretto del maggiore, dal mio punto di vista è un modo per dimostrarvi che non siamo tutti rozzi e crudeli, e sinceramente non mi sentirei in pace con me stesso se vi lasciassi in strada sapendo che qui non avete nessun posto dove stare.» replicò pacatamente il cazar, mettendo così a tacere la sua coscienza. «Quanto al resto, per quanto non ritengo che sia il momento opportuno per parlarne, non ho nemmeno la possibilità di tacere su cosa vi sarà riservato.»
Silver pendeva letteralmente dalle sue labbra.
«E sarebbe?»
«Potreste diventare un anello molto importante della catena della nostra storia, signorina. Tra una decina di giorni arriverà l’Imperatore a nominare un nuovo governatore, e se il maggiore otterrà il permesso vi introdurrà alla sua corte.»
Tachyon! pensò Silver, allarmata. Quante volte lo aveva maledetto, durante le partite al videogioco? Mille? Un milione? E stava per essere introdotta proprio alla corte di quel piccolo nano tronfio.
La notizia la lasciò a bocca aperta.
«Stupita, signorina?» domandò Enrique. «Ovviamente non c’è nulla di certo, ma voi potreste davvero rappresentare una svolta per l’Impero. Pensate a una riconciliazione fra il vostro popolo e il nostro...non pensate che sarebbe magnifico?»
Il sorriso sincero del cazar mise in difficoltà l’umana. Non poteva di certo dirgli come stavano davvero le cose, conoscendo la smania di conquista dei cragmiti. Se fossero riusciti a organizzare le cose per raggiungere il suo spazio-tempo, le cose si sarebbero messe male. Molto male.
«Beh, non so se...se sia il caso, ecco.»
«E perché mai?»
Silver improvvisò ancora una volta: «Da noi si dice che l’Impero ci ha resi una fenice: ci ha uccisi, ma ci ha fatto rinascere liberi. Dopo quello che è già successo dubito che i capi di stato accetterebbero mai di unirsi all’Impero.»
«Forse è passato troppo poco tempo, ma ritengo che valga la pena tentare...»
«Ma io non voglio andare da lui! E se il vostro imperatore non volesse saperne di me? Se desse l’ordine di cavarmi le informazioni su dove si trova la Terra e poi uccidermi?»
Altra eventualità possibile, considerato chi era l’imperatore. Quella per Silver era una prospettiva ancora più cupa del doversi fare ambasciatrice tra il cragmita e un popolo inesistente. Ma Enrique vedeva le cose da un altro punto di vista e le rivolse un sorriso incoraggiante.
«E a che pro?»
«Boh. Intrighi politici, vattelappesca.»
La risposta colse di sorpresa il cazar, che reagì soffocando una risata.
«Signorina, lasciatevi dire che la vostra mente è davvero fantasiosa.» commentò. «E l’intercalare è molto originale. Usa molto dalle vostre parti?»
«Lascia stare! Sto parlando sul serio: come faccio a sapere che, vedendomi, non tiri fuori una pistola e mi uccida?»
L’altro tornò serio.
«Su, signorina, non vi crucciate. Di sicuro non rinuncerà all’opportunità che voi rappresentate. Piuttosto, stavo ragionando su come potremmo ingannare il tempo nell’attesa del pranzo e poi anche in quella che il dottore arrivi a visitarvi. Avete qualche desiderio?»
«Temo che non sia realizzabile...»
«Perché?»
«Perché visto che sono qui, vorrei visitare la città.»
L’espressione cordiale di Enrique si gelò per un istante.
«Avete ragione, signorina Darkshield, temo che non sia possibile. La giornata è impegnata, ma non è detto che nei prossimi giorni non potremmo uscire a visitare i quartieri cittadini.» mediò, ottenendo che il morale di Silver risalisse alla velocità della luce.
«Davvero?»
«Certamente.» asserì il cazar. «Dopotutto dovete ambientarvi, se dovrete riportare le condizioni di vita dell’Impero.»
Per tutti i santi! pensò la ragazza. Portami alla Volpe Bianca, ti prego!
* * * * * *
Ore 16:00 circa
Quartieri della media borghesia, locanda della Volpe Bianca
 
 
Le campanelle sopra la porta della locanda tintinnarono. Evelyne non si voltò nemmeno, presa com’era dal non far cadere la pila di piatti che portava in mano.
«Siamo spiacenti, ma la locanda è chiusa...»
«Anche per un vecchio amico assetato?»
La giovane lombax riconobbe subito la voce e cambiò tono all’istante.
«Oh ciao, Clock! Accomodati pure nel retro, io appoggio i piatti e arrivo!» trillò. Il nuovo arrivato, un lombax sulla trentina, dal pelo color betulla e gli occhi scuri, si tolse la bombetta e si avviò dove indicato. Passò oltre il bancone, attraversò un corto corridoio ed entrò in un salotto microscopico ma ben arredato. Pizzi e trine pendevano da ogni mobile, e i vetri erano lucidi. Una volta in camicia e gilet, si sedette su una poltrona ed attese che Evelyne lo raggiungesse, cosa che accadde poco dopo.
«Alcolico o molto alcolico?» chiese allegramente, posando un vassoio con diversi tipi di liquori sul tavolino.
«Decisamente forte, mia cara: dobbiamo festeggiare la riuscita del tuo piano, no?»
Il viso della giovane si incupì. Come al solito, gli occhi si fecero più scuri e spenti di quello che erano.
«Evelyne?» chiamò Clock, sporgendosi in avanti. «Qualcosa è andato storto? Io ho visto solo che le macchine si sono attivate, quindi ho pensato che il piano fosse riuscito.»
«È riuscito.» rispose senza inflessioni la giovane. «Ma la Creatrice si è materializzata al carcere.»
La notizia colpì l’uomo, che capì immediatamente cosa significasse.
«Pensi che gli imperiali sappiano chi sia?»
«È un’umana, Clock. Tanto basta perché la uccidano sul posto.»
«Con l’evasione di Alister di cui preoccuparsi? Non credo proprio.»
In quel momento le campanelle sulla porta tintinnarono di nuovo. Il rumore della gamba sbuffante di Roger li raggiunse e la ragazza sparì di nuovo nel locale per aiutare il vecchio. Quando ricomparvero, l’anziano lombax si sedette lamentandosi per gli acciacchi.
«Oh Clock, ragazzo mio, perdona le mie farneticazioni.» disse quando si accorse della presenza dell’altro.
«Figurati, Roger. Quando il corpo si fa sentire è giusto esternare.» replicò cordialmente lui.
«Sai, proprio a te pensavo.» proseguì il vecchio. «Tua sorella Madeleine che dice? Se la caverà Alister?»
Dopo la fuga, la banda guidata da Kaden si era rifugiata nei depositi sotterranei di una vecchia acciaieria. Quello stabile era relativamente vicino alla casa dove abitavano Clock e Madeleine, che lavorava come medico all’ospedale intitolato all’imperatore Tachyon I.
«Il generale avrà bisogno di una gamba nuova dal ginocchio in giù, purtroppo.» riferì Clock. «Gli imperiali l’hanno conciato davvero male, per quanto il laccio emostatico che gli hanno messo i nostri probabilmente gli ha salvato la vita.»
«Ah, capisco.» rispose il cuoco. «Ma se conosco Alister, tra poco sarà di nuovo all’attivo. E una gamba nuova di zecca non gli cambierà niente, tranne forse renderlo meno avventato. Con tutti i rumori che fanno!»
L’ultima frase fece ridere tutti e tre.
«Piuttosto, Evelyne, hai più avuto premonizioni sulla Creatrice?» domandò Roger.
«No, purtroppo.» rispose lei a capo chino, portandosi le mani fra le ginocchia. «Mi dispiace.»
«Hai avuto modo almeno di parlare con Kaden?» domandò Clock. La giovane annuì.
«Sì, ieri sera. Mi sono trattenuta troppo poco per sapere come stesse Alister, ma abbastanza da parlare con Kaden.»
«E cosa ti ha detto?»
«Prima ha imprecato, poi ci ha fatto i complimenti. Infine ha dato ordine che, finché non ho una premonizione sulla sua sorte, non ci si muova.»
Clock annuì.
«Giusto. Con tutto il polverone che hanno alzato, adesso è bene essere prudenti.» convenne.
«Ti fermi a cena qui?» domandò Roger. «Stasera verranno sicuramente molti funzionari della 147sima, e se ci fai il favore di cercare di captare quel che si dice sulla Creatrice, ti diamo la cena gratis.»
«Vorrei proprio, ma devo badare al piccolo Timmy.» si giustificò l’uomo, alludendo al nipotino. «E questo mi rimanda all’altro motivo per cui sono venuto qui. Timothy va matto per la tua zuppa gialla; me ne potresti preparare un po’? Stasera sono da solo in casa con lui, e la mia cameriera ha lasciato il pasto pronto solo per me.»
«Ma certo che te la faccio.» rispose il vecchio. «E la metto sul conto di tuo cognato, già che ci sono.» aggiunse allegramente, facendo ridere l’altro.
«Grazie, sei un vero amico. Non so come avrei fatto, sennò!»
«Avresti accettato l’invito di Roger, lo avresti portato qui e avresti ottenuto la cena gratis per due.» rispose allegramente Evelyne.
«Ah ah! La prossima volta, magari. Timmy ripete troppo le frasi dei suoi genitori, immagina che scandalo sarebbe in mezzo ad una sala piena di imperiali.»
«Oh per l’amor del cielo!» esclamò il vecchio. «La locanda mi serve ancora, non posso chiuderla! Faremo un’altra volta, allora.»
«Sicuro. Domani sera sono di turno, ma se per voi va bene dopodomani sono libero.»
«Allora dopodomani verrai qui alle sette, ti scroccherai una cena coi fiocchi e farai il pieno di notizie.» decretò Evelyne. «Ci contiamo, Clock.»
«E vedrai che non ci deluderà.» concluse Roger, alzandosi con uno sbuffo della protesi. «Adesso vado a preparare la zuppa a quell’adorabile peste.»
* * * * * *
Ore 16:30 circa
Quartieri della borghesia medio-bassa, casa di Enrique
 
 
«No, signorina, il re non può muoversi per più di una casella.»
Silver emise un lungo sospiro.
«Avanti, provate a ripetere la sequenza.»
Enrique era senza dubbio un insegnante paziente, ma la ragazza non pensava che intendesse sottoporla ad una prova di memoria quando le aveva proposto di insegnarle a giocare a scacchi.
«Allora...questo è un pedone.» e indicò il piccolo pezzo di legno. «Ce ne sono otto, si muovono solo di una casella e mangiano in diagonale. Poi c’è la torre, che si può muovere quanto vuole avanti e indietro o di lato. Il cavallo si muove a “L”, due caselle in avanti e una di lato. È l’unico pezzo che può saltare gli altri. L’alfiere è simile alla torre, ma si muove solo in diagonale. La regina viaggia in lungo e in largo, avanti e indietro, di lato e in diagonale. Il re, invece, si muove come la regina ma una casella per volta
«E non due come avete detto prima, giusto.» replicò lui. «Adesso potete dirmi in che ordine si schierano i pezzi?»
La ragazza sospirò di nuovo e si concentrò sulla scacchiera fra lei e il cazar.
«La fila davanti sono tutti pedoni.» disse incerta. «Dietro, da sinistra a destra, ci sono la torre, il cavallo, l’alfiere, il re, la regina, l’alfiere, il cavallo e la torre.»
Alzò lo sguardo, e le bastò incrociare la faccia sconsolata di Enrique che diniegava lievemente per capire che aveva sbagliato ancora una volta.
A quel punto Silver si lasciò cadere all’indietro, contro lo schienale della poltrona.
«Ci rinuncio.» decretò guardando la scacchiera con l’intenzione di polverizzarla. Perché, se aveva il Sapere, non riusciva a posizionare gli scacchi sui quadrelli? Cos’era, un’onniscienza che funzionava a modo suo?
«Riprovateci, piuttosto.» la esortò il cazar. «Possono sembrare noiosi, e indubbiamente all’inizio lo sono, ma gli scacchi sono il gioco di strategia per eccellenza. Che ambasciatrice sareste, se non riusciste a guardare più in là della mossa successiva dell’avversario?»
«Ti ho già detto che le probabilità di successo sono praticamente nulle...» replicò scetticamente la ragazza.
«Perché non provate a disporre i pezzi mentre elencate lo schieramento?» domandò Enrique, ignorando il commento di Silver. «Forse la pratica vi mostrerà dove sbagliate.»
La ragazza invocò silenziosamente aiuto, e in quel momento si udì il campanello di casa. Camille si precipitò ad aprire la porta e dopo alcune brevi frasi di cortesia accompagnò l’ospite in salotto.
«Signore, è arrivato il dottor Saak, per conto del maggiore Ratchet.» annunciò prima di farsi da parte e far entrare il medico, un cazar di mezza età avvolto in una spessa giacca scura. Enrique si alzò immediatamente in piedi, seguito a ruota da Silver, e dopo i saluti si accomodarono di nuovo sulle poltrone. Saak lasciò cilindro e cappotto a Camille per poi sedersi di fronte a Silver, sulla poltrona di fianco ad Enrique. La ragazza notò che il medico aveva una protesi sbuffante all’avambraccio sinistro, che si muoveva agilmente quanto il destro. Il Sapere le suggerì che era una protesi automatica, di quelle moderne collegate ai nervi del paziente, e le suggerì anche che nella mano artificiale conteneva un numero tale di bisturi e altri attrezzi da poter competere con Edward Mani di Forbice.
«Dunque» cominciò Saak. «Il maggiore mi ha caldamente invitato alla segretezza circa questo incontro, potete spiegarmi perché?»
Enrique gli mise una mano sulla spalla e parlò come se stesse illustrando una nuova tecnologia: «Signor Saak, vi invito a osservare con attenzione la paziente.» disse enigmaticamente indicandogli Silver con un cenno dell’altra mano.
Il medico, pur controvoglia, eseguì. Puntò il suo sguardo duro su Silver, facendola sentire simile ad un batterio sul vetrino del microscopio.
«È un’umana.» commentò infine, senza far trasparire alcuna sorpresa.
«Infatti.» disse il padrone di casa. «È la prima umana che mette piede a Fastoon dai tempi di Tachyon IV. Potete fare qualcosa per il suo viso? Temo che il maggiore sia stato meno delicato del solito con lei.»
«Vedo. Di solito non alza le mani sulle signore.» rispose seccamente. «È stato un eccesso di diffidenza o la fatica della giornata di ieri a indurlo ad un’azione del genere?»
«Non ne ho idea, purtroppo.»
«Hn, tanto non cambia i risultati.» il medico si alzò e si avvicinò a Silver. Le osservò il volto, poi le pose due dita sotto il mento e le alzò il viso. Glielo fece ruotare in ogni angolazione possibile e le tastò i lividi valutando le reazioni della ragazza.
«Scusate la domanda, signorina, ma questi sono gli unici danni che il maggiore vi ha provocato?»
«Tzé! Lo dici come se non fosse niente...»
«È una domanda di rilevanza medica. Se non ci sono altri danni vi prescrivo quanto devo e me ne vado.»
«Non ci sono altri danni, no.» confermò Silver.
«Bene. Fa piacere saperlo.»
Non si sarebbe detto dal suo tono ruvido, ma il Sapere suggerì a Silver che, in effetti, l’uomo davanti era piuttosto competente in campo medico. Seppe anche che aveva una moglie che lo tradiva e due figli, una casa ampia nel quartiere dell’alta borghesia e uno slugha goloso di ciambelle.
Sì sì, il mio Sapere lavora come gli pare. Che me ne frega se questo ha uno slugha?
Tornò a concentrarsi sulla discussione in casa.
«...uscire? Enrique, ve lo sconsiglio vivamente. Un viso come quello della signorina si noterebbe subito nella folla.»
«Ma voi non lo avete notato.»
«Solo perché ero concentrato sui lividi per badare ai lineamenti.»
«Se la signorina indossasse un cappello che le coprisse almeno le orecchie? Voi che dite?»
«Uno di quelli in voga tra le donne kerwaniane indubbiamente vi aiuterebbe a confonderla meglio. Ma la forma fisiognomica del naso è inconfondibile.» obiettò il medico. «Date retta a me e tenetela chiusa in casa. Non potrà farle che bene.»
«Ma anche no!» protestò Silver. «Stare chiusa in casa? Io voglio vedere, girare, conoscere!»
«Signorina, non siate capricciosa. Nelle vostre condizioni non è proprio il caso.» sentenziò Saak.
«Ma così sarà esattamente come stare in prigione, solo che sarà una prigione con le coperte morbide e un bagno caldo al giorno!»
Il medico affilò lo sguardo.
«E allora siate grata che non sia la prigione della 147sima.» replicò in tono definitivo. Poi si voltò verso l’altro uomo. «Enrique, date retta a me e non fatevi impietosire. Adesso devo proprio andare; tra quanto vi potrò rivedere in caserma?»
«Due settimane, dottor Saak. Ci rivedremo tra due settimane.»
Il medico fece un cenno del capo ad Enrique ed uno a Silver, quindi si avviò all’uscita. Camille lo aiutò a rivestirsi e gli aprì la porta.
«Se non lo conoscessi oserei dire che è una fortuna che se ne sia andato.» commentò il padrone di casa una volta che il portone fu chiuso. «Quell’uomo è davvero di vecchio stampo.»
La ragazza trattenne un commento affilato e spostò lo sguardo sul tavolino, dov’era comparso un foglio manoscritto vicino alla scacchiera. La calligrafia fortemente inclinata era difficile da leggere, ma il foglio era indubbiamente una ricetta medica. Enrique attese che Silver lo rimettesse sul tavolo prima di prenderlo a sua volta e porgerlo a Camille.
«Camille, so che è tardi, ma potreste andare a reperire questi medicinali all’ospedale?» chiese.
«Ma certo.» rispose la cameriera. «Avete una preferenza?»
«Ma no, state tranquilla. Basta che riusciate ad ottenere quelle medicine, poi va bene un qualunque ospedale.»
Camille annuì rispettosamente e si diresse all’uscita della casa, ubbidiente. Una volta soli, Enrique accennò con una mano alla scacchiera.
«Bene, dov’eravamo rimasti?»
Le spalle di Silver si abbassarono di colpo.
Qualcuno mi dia una lametta, per favore!

 

   
 
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