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Autore: Hullabaloos    19/09/2011    4 recensioni
"Quel che voglio far capire, è di non considerare i personaggi come graziose bambole che danzano nel vostro teatrino. Può darsi che quanto racconterò stia accadendo anche su questa terra, chissà. Dopotutto, questa è solo la storia di anime perse in questo spazio e tempo indefinito, che intrecciano la loro esistenza seguendo un sottile filo comune, così facile da spezzare. Tutto quello che chiedono è di essere ascoltate"
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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-Col cazzo che rimarrò in questo fottuto buco di fogna!-

-Kirkland-kun, per favore…-

-Zombi, stregoni, magia! Ma ti rendi conto di quante cazzate escono dalla tua bocca?!-

-Adesso vedi di calm-

-Vaffanculo, io non mi calmo! Mi avete portato qui con la forza, e ora mi impedite di andarmene?!-

-Verament -

-Stai zitto! Voglio andarmene immediatamente da qui!-

Era da quando il bibliotecario aveva terminato la propria arringa, che l’inglese stava dando di matto. Inutili erano stati i tentativi di calmarlo da parte del giapponese e il tedesco, la sua rabbia sembrava inesauribile.

Heracles era rimasto tutto il tempo comodamente seduto sul proprio trono, le mani incrociate davanti a sé, gli occhi imperturbabili anche di fronte a quello scatto di’ira.

-Non possiamo fare altrimenti-, disse semplicemente quello, -non solo per la tua sicurezza, ma anche per quella dell’intera città, che sarebbe altrimenti attaccata da orde di-

-Non mi importa un cazzo di quella città!-, sbraitò il biondo, -e non mi importa niente della vostra guerra! Perché mai dovrei spaccarmi il culo per quel Ba-, Be-…-

-Bokor-, lo corresse distaccatamente, -e sarebbe meglio che cominciasse a importartene, visto che tu possiedi il D-

-Stai zitto!-, urlò, tappandosi le orecchie, stringendo gli occhi, nel vano tentativo di ignorare il presente.

-Invece apri bene le orecchie-, continuò quello, -tu possiedi il Dono della Morte, e non è un potere qualsiasi. Solamente tu, in tutto il mondo, sei in grado di vedere le anime dei defunti…-

-No!-, strillò.

-…le anime dei defunti che non hanno accettato la propria morte. Se non parteciperai a questa guerra, gli spiriti aumenteranno, sempre più infelici, riuscirai addirittura a percepire la loro tristezza, e questo, oltre a portarti via dalla tua vita, ti condurrà alla pazzia-

Arthur barcollò, il viso contratto in una smorfia sofferente.

-Heracles…!-, tentò di fermarlo Kiku.

-Quindi, volente o nolente, tu rimarrai qui, e se non parteciperai alla battaglia, almeno eviterai di mettere in pericolo altre migliaia di persone-, concluse con calma.

Il biondo si voltò di scatto, aprì la porta, per poi sbatterla con violenza.

Corse a perdifiato lungo quel dedalo di corridoi, alla ricerca di una via d’uscita da quel luogo, da quella situazione, da quell’incubo.

-No, no, no…-

Una svolta, poi un’altra. Non si fermò, neanche quando sentì bruciare la gola, i polmoni accartocciarsi, le gambe cedere. Non poteva fermarsi, non poteva rimanere lì, non voleva. Ma ad un tratto le ginocchia si piegarono contro la sua volontà, cadde disteso lungo il freddo pavimento. E rimase per qualche istante così, concentrandosi unicamente sul proprio respiro affannato. Ma niente servì, nulla lo distolse dalla consapevolezza di essere lì. Sbatté violentemente un pugno sulla dura superficie. Rabbia e dolore urlarono, e riempirono la sua testa di un amara verità.

 

Un grido.

 E un altro, e un altro ancora.

Era inutile tapparsi le orecchie. Quel suono terribile sgusciava tra le dita, ed entrava prepotentemente nella sua testa. Lo conosceva. Era l’urlo di chi non poteva più scappare, era la consapevolezza di essere giunti alla fine.

Si graffiò disperatamente i lobi, i padiglioni auricolari, tentando forse di sopraffare quel rumore infernale con il dolore delle carni lacerate, magari strapparseli direttamente per impedire che i ricordi l’affogassero come un fiume in piena.

E gridò, tentando di sormontare il dolore di quelle memorie di sangue.

 

-Cosa diavolo ti passa per la testa?!-

-Mh?-

Heracles alzò gli occhi dal mucchio di fogli sparsi sul parquet. Dopo la fuga dell’inglese, come se nulla fosse, aveva congedato il tedesco, e aveva iniziato a raccattare i papiri e gli antichi manoscritti disseminati per la stanza.

Il castano non capì perché il moro lo stesse fissando così. Tornò ai suoi libri.

-Gli ho semplicemente esposto la situazione-, disse con una tale noncuranza, che fece gelare il sangue nelle vene al giapponese, -prima o poi l’accetterà-

-Ma non possiedi un briciolo di tatto?!-, sbottò indignato, -non tutti sono come Carriedo, Bonnefoy e Beilschmidt! Alcuni hanno bisogno di tempo per capire, tempo per accettare!-

-Non capisco perché ti arrabbi così tanto-, rispose atono il castano, -ho semplicemente detto la verità!-

-Ecco, la verità!-, sbottò con ira il giapponese. Parve pentirsi quasi subito, e si ricompose. Non smise però di fissare l’uomo con sguardo risentito.

-Tu pensi che tutto si limiti a questo? La nuda, cruda, fredda verità? Non pensi che abbiamo strappato quel ragazzo dalla sua città dopo essere stato attaccato dai Jardin, per poi portarlo qui e poi parlargli di partecipare a una guerra di cui non sa nulla?!-

Per un attimo, il bibliotecario assottigliò gli occhi. S’alzò, il velo calato sulle chiare iridi s’ispessì, come uno strato di ghiaccio.

-La verità è l’unica cosa su cui possiamo contare, è unica, e non tradisce mai. Se uno stupido adolescente illuso ne rimane accecato, non è certo una mia colpa-

-E per la tua verità, rinunceresti anche alla tua umanità?-, disse il moro ironico.

Il greco rimase per qualche secondo in silenzio.

-Se necessario, sì, lo farei-

Un tesa atmosfera di tensione avviluppò i due corpi, ritti uno di fronte all’altro.

Kiku sospirò rassegnato. Si diresse verso l’uscita con passi silenziosi. Prima di uscire, rivolse un ultimo sguardo nella sua direzione. Il bibliotecario parve leggervi tristezza e delusione. Kiku chiuse delicatamente la porta. Appena sentì i suoi passi venire inghiottiti dal silenzio, Heracles scaraventò con violenza i fogli che aveva raccolto contro la parete. Il velo d’apatia tremò per un breve istante.

Poi i suoi occhi vagarono per gli scaffali delle due biblioteche di mogano. Lui aveva i suoi libri. Non gli serviva altro.

 

Kiku percorse trafelato il labirinto di corridoi, fino a trovare l’inglese steso a terra, immobile. Lentamente si avvicinò a quella figura, accovacciandosi accanto.

-Kirkland-kun…-, sussurrò preoccupato il moro, avvicinando lentamente la piccola mano verso la chioma bionda.

Con uno gesto fulmineo, un braccio scacciò quell’imminente contatto fisico.

-Lasciami in pace…-, mormorò, lasciando cadere pesantemente l’arto privo di volontà sul pavimento. Kiku ritrasse la mano, ma non si allontanò.

-Kirkland-kun-, riprovò, -mi scuso per il comportamento inaccettabile di Heracles-

Nessun movimento fece intuire che lo avesse realmente sentito. Kiku continuo, non scoraggiandosi.

-Non è una cattiva persona, ma è talmente perso nel suo mondo ideale da risultare a volte un po’ troppo diretto…-

L’inglese alzò lentamente la testa.

-Solo un po’…?-, mormorò ironicamente.

Kiku sorrise.

-È talmente preso dalle sue macchinazioni che non si accorgerebbe neppure se una bomba scoppiasse sotto il suo scrittoio-

Arthur esalò una piccola risata stanca. Alzò lentamente la testa, le verdi pupille lucide vagarono su quel minuto volto.

-Io sono Kiku Honda-, si presentò il moro, inchinandosi a mani giunte, alla tipica maniera giapponese. L’inglese rimase un po’ perplesso da tutto quel rispetto, abituato solamente ai calci in culo di tutti i proprietari di pub di Londra.

-A-Arthur…-, s’affrettò a rispondere, stupendosi della voce arrochita dagli urli. Si schiarì la gola.

-Arthur Kirkland-

-Lo sapevo già-, disse il moro. Poi arrossì.

-C-cioè, solo perché Heracles mi aveva riferito il tuo nome prima di venire a Londra, non perché, sai, capisci, cioè…-

Il moro s’impappinò nelle su stesse parole.

-Va bene, va bene, ho capito-, cercò di calmarlo il biondo, alzando i palmi delle mani, come a segno di resa.

Nonostante tutto, quel piccoletto, anche con i suoi formali convenevoli e la timidezza di una dodicenne, gli sembrò la persona più gentile e buona di quella brancata di matti.

 

Kiku si offrì di accompagnarlo fino alla stanza in cui, per chissà quanto tempo, avrebbe dormito.

Superato un primo momento di sollievo dovuto alla presenza del piccolo giapponese, Arthur tornò con i piedi per terra, e la rabbia tornò a bollire dentro di lui.

-Scusa Kiku…-, iniziò il biondo.

L’asiatico si voltò.

-Si, Kirkland-kun?-

Il biondo tentennò un attimo.

-Anche tu sei stato costretto a rimanere qui?-

I frettolosi passi del moro s’arrestarono per un brevissimo momento.

-Devi sapere che mio nonno fu uno studioso dell’Aletheia, perciò ho vissuto dall’infanzia con la consapevolezza di possedere il Dono-

L’inglese fissò la piccola figura che camminava spedita senza mai voltarsi.

-Anche dopo la sua morte, anzi, proprio per la sua morte, ho deciso di rimanere qui-

Il giapponese si bloccò, e si girò di colpo, puntando le sue iridi scure in quelle dell’altro ragazzo.

-Kirkland-kun-, iniziò con tono terribilmente serio-, non pretendo di sapere come ti senti, non mi permetterei. Ma vorrei esporti cosa penso di tutto questo: nessuno vuole una guerra, neanche quello sciocco di Heracles-

Arthur rimase meravigliato dalla profondità di quegli occhi, dalla saggezza che stillava dalle iridi di mogano.

-Ma per quanto dolorosa essa sia, è l’unico modo che abbiamo per far sì che altri nostri amici non vengano uccisi. E io combatterò, persino dando la mia vita, per aver la certezza di salvare coloro che amo-

Improvvisamente, il moro afferrò una maniglia incastonata sulla parete. Arthur sobbalzò. Non si era neppure accorto di essere arrivato di fronte a una porta.

-Questa è la tua camera, spero sia di tuo gradimento-, s’inchinò, -a presto-

E, come era apparso, sparì tra le ombre dei corridoi.

L’inglese rimase qualche momento imbambolato, meravigliato da quello spirito saggio che sembrava uscito da una favola di Jakob e Wilhelm Grimm. Si riscosse, dandosi dell’idiota, decidendosi a entrare nella propria stanza.

Era una camera ordinaria, un letto, un comodino, una lampada. Andò ad aprire le ante dell’armadio. Normali camice e pantaloni. Lo sguardo percorse ogni singolo centimetro della stanza.

Si buttò di slancio sul letto, le molle cigolarono sommessamente per il peso improvviso. Afferrò il cuscino, lo strinse tra le mani, il viso si tuffò nella sua morbidezza.

Lì dentro non c’era davvero nessuna radio che trasmetteva gli ultimi racconti di Poe, e le coperte non donavano alcun calore protettivo. Realizzò finalmente di non trovarsi in un incubo. Scaraventò il guanciale verso l’armadio. La testa cadde stancamente sul giaciglio, sprofondando tra le coperte dal colore indefinito. Rifletté su tutto.

Il Dono della Morte. Gli veniva da ridere. Da quando quei cosi fluttuanti potevano essere una minaccia per un potente stregone? Questi pensieri lo riportarono alle fredde parole del bibliotecario. Strinse rabbiosamente le lenzuola, fino a che le nocche sbiancarono. Era tutto così assurdo, così irreale, sembrava veramente di essere entrati ne I racconti dell’orrore. E si rese conto di essere in trappola.

Ringhiò sommessamente. A lui non importava nulla né del Bokor, o come diavolo si chiamava, né dei Doni, né tanto meno dei Possessori. Lui voleva semplicemente tornare a casa, scrivere i suoi testi, suonare la sua musica.

Ma d’un tratto gli balenarono in mente le parole di Kiku. Salvare coloro che amo. Sorrise amaramente. Non poteva certo dire di possedere un motivo nobile quanto quello del giapponese.

Dal misterioso rapimento del proprio fratellino, sua madre non faceva che piangere sulle vecchie camice di Peter. Suo padre usciva sempre più spesso per non dover assistere al dolore straziante della consorte. Sospettava perfino che avesse un’amante. Allo scoccare dei diciotto anni, Arthur aveva preso baracca e burattini, e si era trasferito in un sudicio monolocale nel centro di Londra, con il riscaldamento rotto e le vecchie tubature arrugginite che perdevano, per non parlare del treno dell’una e quarantacinque che puntualmente lo faceva svegliare di soprassalto nel cuore della notte. Ma qualunque posto era un paradiso a confronto dell’aria gelida che si respirava in famiglia. Sospirò mestamente. Salvare coloro che amo.

-Merda…-, mormorò.

-È esattamente quello che ho pensato di te vedendoti entrare-

Arthur sobbalzò. Si girò di scatto, e per poco non gli venne un colpo.

Un bambino, anzi un adolescente, era seduto sopra l’armadio, con le gambe accavallate, lo sguardo astioso rivolto verso di lui. E fin qui non ci sarebbe nulla di così straordinario. Solo che il ragazzo non era umano. Era uno spirito.

Scese dalla propria postazione, per galleggiare fino a fissarlo con disappunto dall’alto, anzi, dal basso della sua esigua statura.

L’inglese rimase a bocca aperta. Piccole ciocche di capelli danzavano davanti agli enormi occhi che in quel momento lo scrutavano con ostilità. Arthur notò che possedeva i tipici tratti efebici del Nord. Si stupì di questo. Nelle altre figure balugginose le particelle aree si ammassavano quel tanto da formare il calco di un corpo umano, le linee del viso appena abbozzate. Ma soprattutto, nessuna di queste aveva osato avvicinarsi così tanto a lui. Invece, quel ragazzino gli si parava arrogantemente davanti, i dettagli del volto finemente cesellati, i capelli sembravano fini fili d’argento.

L’eterea figura sbottò, con una vocina infantile.

-Dove diavolo sono finiti Niels? E Mathias? E Berwald, Tino, Peter e Hanatamago?-

Arthur era talmente sconvolto da quella voce sottile, che sembrava veramente uscire da una bocca di un vivo, che non prestò attenzione alle parole, nemmeno al sentir pronunciare un nome fin troppo noto. Rimase semplicemente lì, a bocca aperta, come un idiota.

-Ehi, brutto sopracciglione, prima entri in camera mia, e poi non mi dici neppure che fine hanno fatto gli altri?-

Una vena pulsò sulla fronte del biondo. Accantonò tutti i pensieri e le domande sugli spiriti. Sopracciglione. L’ultima persona che aveva osato chiamarlo così era un compagno di classe delle superiori, arrivato secondo alle gare sportive organizzate dal club d’atletica. Lo sventurato si ritrovò all’ospedale con venti punti di sutura, più ematomi ed escoriazioni vari.

-Cosa diavolo hai detto, marmocchio con il moccio al naso?-, sibilò l’inglese, alzando pericolosamente un pugno.

-Problemi, vecchio?-, disse con il classico tono petulante dei bambini, -La verità fa male, vero sopracciglione?-

Questo era troppo. Caricò un gancio, e lo sparò con l’intento di colpire il petto del bambino, in modo da fargli molto, molto, molto male. Si scordò momentaneamente che si trovava di fronte uno spirito, probabilmente il proprio pugno avrebbe attraversato il corpicino argenteo.

Fissò invece inorridito il proprio braccio sprofondare nell’essenza liquida dei vacui bagliori. Quella sensazione. Immergersi in un nero mare freddo. E i ricordi di quell’orribile vuoto balenarono fulminei nella sua mente. Ritrasse allarmato la propria mano, fili lattiginosi rimasero attaccati alla pelle del giubbetto, poi si dissolsero in tante piccole molecole galleggianti.

Il ragazzetto rise divertito dalla sua espressione sbalordita.

-Ehi, vecchio! Non sai neanche tirare un pugno come si deve?-

-Maledetto…!-

Questa volta, il bambino evitò il calcio che altrimenti sarebbe sprofondato nella sua testa. Sempre sghignazzando, balzò verso la parete su cui era poggiato l’armadio.

-Ci becchiamo in giro, sopracciglione!-

D’un tratto, la figura si sgretolò, la linea del corpo si confuse, parve disperdersi in tante gocce argentate. In un istante, l’evanescenze attraversarono la parete, non lasciandovi alcuna traccia.

Arthur rima se lì impalato, con pugno alzato, un insopportabile prurito alle mani, e con una voglia matta di picchiare qualcuno.

 

Il silenzio, finalmente. Nessuno gridava più, nessun lamento lo raggiungeva. Sospirò sollevato. E gli occhi tornarono ad immergersi nel bianco delle pareti. E tornò in quello stato d’incoscienza, nel quale la mente galleggiava nel vuoto, alcun pensiero lo turbava, uno stato in cui sogno e realtà si mescolano, creando una dimensione d’irreale conforto.

 

Note d’Autrice

*Fan di Heracles circondano l’Autrice brandendo minacciosamente maceti*

Stop…!Alt...! Ferm…! Posso spiegare! Io ADORO Heracles, semplicemente quello che ho scritto è la mia personale visione del nostro caro, piccolo e dolce greco! Comprendetemi! çoç

*Fugge via*

Mmmh, non c’è molto altro da dire, se non che amo sempre di più Kiku alla follia, che la misteriosa presenza ancora non si è rivelata, ma soprattutto hanno fatta la loro comparsa i Nordici!!!

*Coriandoli e trombette*

E si, entreranno in scena molti altri personaggi, con l’andare del tempo! Comunque, spero che continuerete a seguirmi in tanti, e mi raccomando, recensite, recensite! Farete felice una povera studentessa alle prese con la depressione post prima settimana di scuola! A lunedì! :D

   
 
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