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Autore: _hurricane    20/09/2011    21 recensioni
Kurt Hummel è un ragazzo molto particolare, di quelli che forse incontri una sola volta nella vita. E’ fiero di sé stesso ma mai spavaldo, pungente ma mai arrogante, e tremendamente impacciato nelle questioni di cuore.
Kurt Hummel è un ragazzo speciale, così speciale che difficilmente potresti trovare un altro come lui… ma quando Blaine, solista dei Warblers della Dalton Academy, incrocia il suo sguardo in un negozio di dischi, non sa che dentro quegli occhi azzurri si nasconde una bugia.
"E intanto Kurt sentiva il suo profumo, e il cuore di Blaine che batteva proprio sotto il suo orecchio, che sembrava chiamarlo e ipnotizzarlo.
Come se battesse per lui.
Cercò di ignorarlo, perché un cuore, un organo fatto di tessuti, carne, vene e sangue, non batte per nessuno se non per il corpo a cui appartiene. Non batte per nessun motivo, se non per assicurare la vita a colui che lo possiede.
Eppure quel battito regolare, più accelerato a tratti – che strano, sembrava più veloce proprio quando Blaine inspirava tra i suoi capelli – alle sue orecchie non appariva meccanico e ripetitivo. A lui sembrava musica."
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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13 The road to truth

 

 

Riluttanti, si erano resi conto di non poter restare in quel modo per tutta la sera. O per tutta la vita.

“Kurt, c’è qualcosa che posso fare?” aveva chiesto Blaine prima di salutarlo.

“L’hai già fatta, sei venuto qui, per me” aveva risposto Kurt, gli occhi ancora lucidi, gonfi e arrossati. E nonostante quello, nonostante la notte che era ormai calata, la luce c’era ancora. C’era sempre stata.

Sempre, tranne quella prima volta di cui Blaine continuava a non capacitarsi.

 

* * *

 

Blaine dormì poco e male, quella notte.

Sperava che il profumo di Kurt potesse tranquillizzarlo e farlo addormentare, ma nonostante si aggrappasse a quel ricordo con forza sotto le lenzuola, continuava a pensare al motivo per cui lo aveva chiamato. Al fatto che qualcuno lo avesse fatto soffrire, piangere e temere per la sua vita.

Così quella mattina, dopo essersi messo la divisa e aver preso la sua tracolla di pelle, Blaine prese una decisione.

Non fece colazione e uscì presto di casa, perché sapeva di dover prendere una strada che non era quella verso la Dalton Academy; una strada che non aveva mai fatto e che conosceva soltanto a grandi linee.

La strada che lo avrebbe condotto al McKinley.

 

* * *

 

Parcheggiò l’auto e si guardò intorno, sorpreso nel non vedere nessuno. Evidentemente ci aveva messo più del previsto, fermandosi troppo spesso agli incroci per guardare le indicazioni, e si era perso la campanella iniziale. Poco male, pensò.

Entrò nella scuola e percorse il lungo corridoio d’ingresso, pieno di armadietti, che gli ricordò inquietantemente la sua vecchia scuola. Scacciò quel pensiero dalla mente e continuò a camminare tra studenti svogliati che di tanto in tanto alzavano lo sguardo per fissarlo con sospetto.

In effetti, sarebbe stato più saggio mettere i suoi vestiti e cercare di mimetizzarsi un po’ di più, piuttosto che andare in giro con una divisa che equivaleva ad un cartello con su scritto “Scuola privata”.

Una ragazza in particolare, intenta a riporre dei libri nel suo armadietto, lo stava squadrando da capo a piedi.

Indossava una gonna scozzese lunga fino al ginocchio, calzini bianchi e un maglione marrone scuro infilato dentro la gonna.

Blaine la vide concentrarsi particolarmente sul piccolo stemma che aveva sulla divisa, la “D” di Dalton, e poi aprire la bocca in segno di sconcerto prima di indicarlo come se fosse un enorme elefante fucsia e gridare “Spie! SPIE!”

Prima che la ragazza potesse scappare ad avvertire chissà chi, Blaine fece due passi in avanti e le disse gentilmente: “Spie? Io non sono una spia!”

Lei alzò un sopracciglio e si incrociò le braccia al petto, con aria inquisitoria.

“Ah no?” – disse, iniziando a picchiettare col piede sul pavimento, – “Non sei forse un Warbler della Dalton Academy?”

“S-sì, ma…”

“Visto? Lo sapevo! SPIE!”

La ragazza lo ripetè alzando il tono della voce, come se da un momento all’altro dovesse scattare una qualche specie di allarme provocando l’intervento di una squadra speciale di soccorso, che ovviamente non arrivò.

Anzi, il resto dei ragazzi che camminavano lungo il corridoio sembrò ignorare le sue urla, come se fossero parte della routine quotidiana – e forse, pensò Blaine con una punta di inquietudine, lo erano.

Riflettendoci, quella ragazza gli sembrava piuttosto familiare: nella sua mente iniziarono a fare eco frasi come “a volte credo che si vesta ad occhi chiusi” o “manie di persecuzione” o “mocassini orripilanti”.

Oh. Quella era Rachel Berry.

“Ascolta…” – disse alzando le braccia e ritraendosi in segno di resa, ricordando improvvisamente l’accurata descrizione di Kurt e rabbrividendo al pensiero – “…io non sono qui per spiare il tuo Glee Club. Sto cercando David Karofsky.”

Rachel aggrottò le sopracciglia, visibilmente sorpresa.

“E… perché?” chiese, come se le fosse dovuto.

Blaine ritrasse lievemente la testa, sorpreso dalla sfacciataggine della ragazza.

“Scusami, potresti solo… dirmi se sai dove trovarlo?”

“Beh, veramente non saprei… oh guarda, sei fortunato! Quel ragazzo laggiù,” – indicò un punto al di là della sua testa – “gioca a football con lui, magari lo sa.”

Blaine si voltò per poter vedere di chi stava parlando e… rimase a bocca aperta.

Rachel stava indicando Kurt. Quindi Kurt giocava… a football? Con Karofsky?

Impossibile, ricordava perfettamente di avergli sentito dire al telefono che non faceva più parte della squadra, anche se un tempo era stato un kicker fenomenale e le aveva fatto vincere la prima partita della stagione al ritmo di Single Ladies. Rideva ancora quando ci pensava.

Si voltò di nuovo per chiedere spiegazioni a Rachel, ma si era magicamente dileguata.

Così tornò a scrutare quello che sembrava essere Kurt, perché magari si era sbagliata, o forse c’era un altro ragazzo accanto a lui o dietro di lui e quindi si riferiva ad un’altra persona.

Ma nel corridoio ormai non era rimasto più nessuno, forse perché stava per suonare la campanella dell’ora successiva: c’era solo Kurt, una tracolla grigia poggiata pigramente sulla spalla – sembrava la stessa del negozio di CD - con indosso una maglietta blu scuro più larga di almeno due taglie e jeans scuri e strappati. Stava riponendo qualcosa nell’armadietto, e gli dava le spalle.

Blaine camminò a grandi passi verso di lui, leggermente incuriosito da quell’abbigliamento inusuale che non gli si addiceva per niente; pensò che forse era stato troppo giù di morale per vestirsi bene, anche se suonava strano lo stesso.

Kurt aveva passato ore al telefono cercando di spiegargli la differenza tra porpora e bordeaux, beige e ocra, facendolo ridere di gusto mentre lo sentiva trafficare con vestiti e grucce, intento a stabilire come vestirsi il giorno dopo.

La sua intenzione, o meglio quel poco che era riuscito a pianificare in macchina, era quella di incontrare Karofsky e parlarci, ma non era sicuro di volere Kurt con lui. Ma ormai Kurt era lì, e Blaine era troppo incuriosito dal modo in cui si era vestito e sospettoso riguardo alla storia del football per lasciar perdere.

“Ehi, Kurt!” disse ormai a pochi passi da lui, aspettando che si voltasse.

“Oh insomma, quante volte ve lo dovrò dire che non sono-“

Anche lui si voltò, e improvvisamente ammutolì.

Blaine trasalì.

Perché la luce… era sparita. Non c’era. Di nuovo. Come quella prima volta, al negozio di CD.

Ma non poteva essersene andata soltanto a causa della tristezza per quello che era successo con Karofsky, perché la sera prima quella luce c’era eccome. Tra le lacrime, i singhiozzi e i sospiri, brillava imperturbabile nei suoi occhi chiarissimi come se niente potesse indebolirla o spegnerla, e per Blaine era davvero così.

Allora perché, perché se n’era andata? Il mondo iniziava già a sembrargli più grigio, e si chiese come doveva essergli sembrato prima che la vedesse per la prima volta.

Avrebbe voluto chiederglielo, dirgli “Cosa è successo? Dov’è finita?”, ma sarebbe sembrato un pazzo. Perché forse quella luce la vedeva solo lui, nella sua testa.

Iniziava ad essere molto probabile a quel punto.

 

* * *

“B-Blaine! Cosa ci fai qui?” chiese Colin sgranando gli occhi.

Il meraviglioso nonché stupido piano di suo fratello era appena andato in fumo, o forse no? Poteva sempre mantenersi sul vago, dirgli di andarsene e che qualunque fosse il problema “ne avrebbero riparlato”.

“Io… ecco…” disse Blaine esitante, vergognandosi per aver cercato di fare una cosa a sua insaputa. Sperò davvero che Kurt non si arrabbiasse, in fondo era per il suo bene.

Ma si interruppe e strabuzzò gli occhi: c’era qualcos’altro che non andava in Kurt.

“Ehi, hai di nuovo il raffreddore? Te l’avevo detto che dovevamo vederci da te ieri sera, devi aver preso freddo” disse con aria saccente.

“Raffreddore?” chiese Colin, cercando di trovare un senso in quella frase.

Non aveva il naso rosso e non stava starnutendo ogni cinque minuti: perché Blaine pensava una cosa simile? Senza contare che non sapeva nemmeno che lui e Kurt si fossero visti. Certo, era uscito a “cena” con l’ennesima cheerleader la sera prima, ma Kurt glielo avrebbe sicuramente detto.

Forse si erano organizzati all’ultimo, e Kurt si era addormentato presto una volta tornato e la mattina dopo se l’era scordato. Eppure, conoscendolo, avrebbe passato tutto il viaggio in macchina a parlargli di quanto stupendo, dolce, gentile, premuroso e divertente fosse Blaine, come faceva ormai ogni volta dopo aver messo fine alle loro telefonate chilometriche.

Ma Kurt era stato terribilmente silenzioso quella mattina, quindi forse avevano litigato? Forse Blaine era venuto per chiedere scusa e lui avrebbe solo dovuto ascoltare e riferire?

“Sì, la tua voce è di nuovo più bassa di un’ottava” rispose Blaine con ovvietà, ma sempre più allarmato da tutto quel cambiamento.

In quel momento, Colin pensò davvero di dover prendere a sberle suo fratello.

Perché Blaine aveva notato la differenza tra le loro voci, e nessuno aveva mai notato una cosa così insulsa. Doveva pur dire qualcosa.

Si ripromise di farlo, ma di reggere il gioco mandando via Blaine con una buona scusa. Altrimenti le sberle le avrebbe prese pure lui.

“Oh, sì, devo essermi raff-“

Si interruppe. Blaine aveva distolto lo sguardo stranito che gli aveva rivolto fino a quel momento per dirigerlo altrove, al di là della sua spalla. Si voltò per capire quale fosse il motivo.

Alla fine del corridoio, in piedi, c’era Kurt.

 

 


 

 

 Note di _hurricane:

.................PLEASE, DON'T HATE ME.

Ve lo dico perchè odio quando gli autori fanno così, ma amo farlo io xD che ci volete fare?

Comunque volevo dirvi che tra due giorni parto per Londra, starò via una settimana, ma gli aggiornamenti avverranno comunque grazie alla mia sorella minore tutto-fare!  Quindi se non vi rispondo alle recensioni è per questo motivo :)

Sono curiosissima di sapere che ne pensate di queso capitolo!

Un bacione a tutti e... buona visione con The Purple Piano Project! **

 

 

   
 
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