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Autore: hipster    20/09/2011    1 recensioni
Tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine. Ma se la fine corrisponde ad un nuovo inizio? Allora non si finisce mai? Una situazione può persistere per sempre, può una situazione essere immortale? L’immutabile esiste? Sì, se ti chiami Phoebe Trevor.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Phoebe li spiava. Era già da qualche giorno che li spiava. Conducevano una vita molto normale, dopotutto. Jason, l’uomo adulto, è un manager; passava tutta la giornata fuori casa.
La bambina, Judith, aveva solo cinque anni. Frequentava un asilo e stava fuori tutto il giorno. L’unico di cui era ancora incerta era Edward, il ragazzo.
Lui conduceva una vita strana… rientrava all’ora che voleva, non sapeva se andasse ancora a scuola o se lavorasse già, non lo vedeva mai. Rientrava solo la sera – spesso a notte fonda – giusto in tempo per litigare con il padre e andare a dormire. E il giorno dopo era punto e daccapo.
Solo la domenica si concedevano il lusso di restare tutti insieme a casa. O almeno Jason e Judith stavano insieme. Edward non restava mai con loro, fuggiva sempre via con una scusa o un’altra. Phoebe questa volta decise di seguirlo.
Aveva già seguito Jason, ma i suoi affari la annoiavano: non faceva altro che incontrare clienti e fargli firmare un mucchio di fogli con uno strano oggetto che chiamava “penna”… che fine aveva fatto il caro vecchio inchiostro nel calamaio?
La vita di Judith era ancora più noiosa di quella di Jason, se possibile. Phoebe la vedeva entrare in quella scuola, con tanti, troppi ragazzini. Dov’era finito l’insegnante privato che faceva lezione a casa a lei e a sua sorella? Una bambina nobile non poteva entrare in una scuola pubblica, sarebbe stato un insulto! Ma a Judith non importava, non si sentiva insultata. A lei bastava avere i suoi compagni per giocare.
Ora era il turno di scoprire cosa faceva Edward.
Quella mattina lo seguì mentre con la macchina percorreva tutta la città verso una zona che non conosceva, fin quando non arrivò davanti a un enorme palazzo bianco, enorme. “Pronto soccorso” urlava un cartello sulla porta. Lo seguì dentro.
«Ciao, Ed!» esclamò una donna dietro un enorme bancone bianco. «Ciao, Rose» la salutò con calore Edward. «Come sta?» continuò, improvvisamente preoccupato. «Come ieri» rispose seccamente la donna. «Allora vado» disse Edward con un sorriso forzato e corse verso una porta che dava su un corridoio.
Lo percorse sempre correndo per poi fermarsi di colpo davanti a una specie di finestra che dava in una stanza. Phoebe si avvicinò, improvvisamente curiosa. Dentro c’erano tanti, tantissimi macchinari attaccati a una ragazza stesa su un letto.
Non sapeva cosa fossero quelle macchine, ma vedendo Edward con le lacrime agli occhi, capì che non era nulla di buono. Edward la attraversò per entrare nella stanza, in silenzio. Phoebe lo seguì. «Ciao, Mel… come stai oggi, tesoro?» cominciò. «Stamattina ho fatto prima, visto? Sono scappato via prima che papà mi vedesse… ieri ha persino detto che dovrei smetterla di venire a trovarti! Che assurdità, vero? Io non ti lascio qui da sola, non potrei mai…».
Phoebe lo ascoltò parlare per tutta la mattina: non si stancava mai di parlarle, le faceva domande, la sollecitava a rispondergli ma lei non rispondeva mai. Mel dormiva… ma era un sonno perpetuo.
Quando un uomo vestito di bianco gli disse che doveva andare, Edward si alzò e mentre le accarezzava il viso disse: «Tornerò domani, Mel. Aspettami» poi la baciò sulla fronte. Con quanta dolcezza, con quanta delicatezza… quello era l’amore.
Phoebe restò paralizzata.
Quel ragazzo che lei aveva catalogato come un ingrato, maleducato, egoista… era innamorato. Edward uscì dando un ultimo sguardo speranzoso alla ragazza.
Phoebe cercò di leggere da un foglio che spuntava da una cartellina cosa avesse quella ragazza. Riuscì a riconoscere solo le parole “commozione cerebrale”. Non sapeva cosa significassero, ma poteva immaginare cosa comportavano.
Quella Mel era molto malata e Edward la amava e andava a trovarla tutti i giorni anche se Mel non si svegliava. Tanto amore la commosse.
Si voltò di scatto e non lo vide più. Corse fuori alla ricerca del giovane e lo vide vicino alla sua auto. «Aspettami!» urlò. «Vuoi andare via senza di me?» esclamò Phoebe entrando nella sua auto. Si sentiva stranamente viva quella mattina.
Edward imboccò una strada a tutta velocità, una strada che Phoebe conosceva bene: stavano andando a prendere Judith. Appena arrivati, Edward spense la macchina e corse dentro la scuola. Dopo cinque minuti ne uscì con sua sorella tra le braccia.
Phoebe non poteva sentirli dall’auto ma vedeva che ridevano. «Sei arrivato tardi!» esclamò Judith proprio mentre suo fratello le apriva la portiera. «Mi spiace, principessa, ma non ho saputo far di meglio…»  disse Edward con un sorrisino e una finta aria colpevole.
«Oh, non importa. L’importante è che tu sia venuto, era da tanto che non venivi a prendermi» disse gaiamente la bambina. «Mi dispiace tanto, Judith…» disse Edward improvvisamente serio. «Per farti perdonare, potresti portarmi a fare un giro» disse sorridendo Judith. Il fratello le sorrise di rimando.
«E sia! Oggi passi una giornata con me!». Phoebe li seguì sulle giostre nel parco giochi, al ristorante a pranzo, poi di nuovo al parco giochi, poi in giro per i negozi dove Edward comprò a Judith un orsetto di peluche.
La sera tornarono a casa, stanchi ma felici. «Dove siete stati?!» esclamò il padre vedendoli rientrare. «Oh, papà! Edward mi ha portato al parco giochi e poi…» la bambina si lanciò in una descrizione dettagliata della loro giornata ma Jason non la ascoltava granché. I suoi occhi erano fissi su Edward.
«Sono contento che tu ti sia divertita tanto, piccola mia. Ora perché non vai a letto? Ti raggiungo tra un po’».
«Certo papà. Buonanotte Edward!» esclamò la bambina e quando baciò il fratello sulla guancia sussurrò un “grazie”. Solo Phoebe e Edward riuscirono a sentirlo.
«Che ti è saltato in mente?!» esclamò Jason quando furono soli. «Perché l’hai portata con te?!». Edward lo fissò con uno sguardo di ghiaccio.
«Ho solo portato Judith a fare un giro. Me lo ha chiesto e così ho fatto. Non credo di aver commesso un delitto.» disse con voce piatta.
Era tornato l’Edward che Phoebe aveva conosciuto nelle scorse settimane. Detto questo si avviò al piano di sopra, verso la sua camera.
Phoebe non lo seguì, era troppo confusa.
Chi era Edward?
Il ragazzo che aveva visto ora con il padre e che conosceva da quando era qui o il ragazzo che andava a trovare la sua innamorata all’ospedale e portava sua sorella al parco giochi?
Chi era?

   
 
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