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Autore: LoveShanimal    21/09/2011    6 recensioni
Io sono Helena. E questa è la mia storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a voi che ancora mi seguite!
Prima di tutto, vi ringrazio: ringrazio chi mi segue e mi recensisce con regolarità, chi mi recensisce raramente e chi mi segue in silenzio.
Thanks! :D
Per seconda cosa, spero che questo capitolo vi piaccia! E' leggermente più corto degli altri, anzi in realtà è uno di transizione tra due capitoli importanti. 
Vabbè, lascio a voi la parola! Buona lettura :3 


Capitolo 6: It’s the moment of truth.
 
 
FROM YESTERDAYYYYYYYYYY.
Spalancai gli occhi, neppure dopo due minuti che li avevo chiusi.
Ero stata tutta la notte sveglia a vegliare su Shannon, non riuscendo a dormire per paura che potesse lui svegliarsi e trovarsi solo a contrastare l’ansia per la madre.
Non si era svegliato, anche se il suo sonno era stato movimentato e si era agitato per tutto il tempo.
Presi da terra il telefono di Shannon che probabilmente era scivolato dalle sue tasche, e lessi sullo schermo lampeggiante: Chiamata in arrivo. Tomo.
Prima che potesse svegliare anche lui, iniziai a premere dei tasti a caso su quell’affare complicato, fino a quando non si aprì la conversazione.
“Shannon?! Shannon stai bene?!”
“Tomo?!” riuscii solo a rispondere io, sottovoce, tenendo gli occhi fissi sulla faccia della persona distesa sul mio divano.
“Helena?! Helena sei tu?!” disse lui, decisamente sollevato.
“Si sono io! Shannon è con me, a casa mia, ora sta dormendo.”
Lui sospirò, ancora più sollevato. In sottofondo sentivo un via vai di persone e un chiacchiericcio flebile, accompagnato a volte dall’aprirsi e chiudersi di una porta.
“Per fortuna! Ti ringrazio Helena, l’hai salvato! Sono stato tutta la notte in pensiero, ma non volevo chiamarlo per non farlo preoccupare!”
L’hai salvato!
Quelle semplici parole mi si ripetevano nella testa. Io avevo fatto cosa?!
“Ma io non ho fatto nulla!” dissi, cercando di tenere sempre un tono della voce basso.
“Invece si! Ti dirò poi.. Adesso stammi a sentire: ci sono delle novità sulla madre.”
Brutti pensieri mi frullarono in testa, e deglutii cercando di mandar giù un groppo che mi si era formato in gola.
Fu inutile, ovviamente.
“Con..” la voce mi si spezzò, ma mi ripresi subito. Dovevo essere forte, almeno io. Per Shannon. “Continua.”
Chiusi gli occhi, per la prima volta tranciando il contatto visivo che avevo con il batterista. Ne sarebbe uscito distrutto se fosse successo qualcosa alla madre.
“Sta bene.” Disse, tutto d’un fiato. Io sorrisi, e potei tornare a guardare Shannon.
Non dissi nulla, e Tomo continuò.
“Dire che sta bene non è proprio corretto: ha comunque un braccio fratturato e due costole incrinate, graffi sparsi qua e là, e una contusione, ma è un miracolo in confronto a quello che poteva accadere. I medici erano così misteriosi perché pensavano che qualche pezzo di vetro fosse penetrato più profondamente degli altri e fosse arrivato ai polmoni. Se fosse stato così, l’unica cosa possibile da fare sarebbe stata un’operazione e, ovviamente, fare un’operazione così vicino ai polmoni è pericolosissimo. Constance non respirava bene, e avevano pensato a questo. In realtà era per colpa delle costole, facevano pressione sui polmoni che non riuscivano a dilatarsi bene. E in realtà anche per lo shock, quella donna se l’è vista proprio brutta!”
Sospirai.
“Meno male che invece è andata così, basteranno solo cure e riposo per farla rimettere in sesto. Ma Jared invece?! Come sta?!”
Cercando di fare il meno rumore possibile, mi alzai e andai in cucina, per fare il caffè.
Ero stanca, e se non ne avessi bevuto un po’ sarei crollata.
“Jared sta bene. È solo preoccupato per la madre. Ha qualche graffio qui e lì anche lui, ma non è nulla di che. In realtà la grande sfortuna di Constance è stata che l’airbag non si è aperto in tempo, e quindi non ha attutito l’impatto. Jared è incazzatissimo pure per questo, sta già chiamando gli avvocati per iniziare la causa contro l’uomo che li ha fatti uscire di strada e contro la fabbrica dell’auto. È irriconoscibile, cammina avanti e indietro per l’ospedale, stringendo nervosamente il suo telefono, e persino quando è davanti la madre non riesce a sorridere davvero. In realtà è furioso con se stesso, penso di avere la colpa di tutto e di aver ridotto lui la madre in questo stato.”
Non sapevo più che dire. In quei casi non esistono parole giuste o appropriate, quindi riuscii solo a versare un po’ di caffè nella tazzina. Distrattamente avevo fatto la macchinetta grande, e me ne accorsi solo dopo.
Io e Tomo eravamo in totale silenzio, fino a quando non sentii Shannon agitarsi sul divano. Si stava svegliando.
“Tomo, vado a controllare Shannon. Credo che verrà al più presto in ospedale appena saprà le novità. Gliele comunicherò io stessa subito!”
“Grazie Helena, grazie ancora.”
Sorrisi per l’ultima volta, prima di chiudere la conversazione.
Riempii un’altra tazzina, e la portai in soggiorno.
Shannon era seduto ancora sul divano, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani che gli coprivano la faccia.
“Ben sveglio.” Dissi io, attirando la sua attenzione.
Mi sorrise, e io mi avvicinai porgendogli il caffè.
“Ha chiamato Tomo – la sua testa si rialzò di scatto verso di me - .. buone notizie!”
Gli feci bere con calma il caffè, lasciai la tazza sul tavolino e gli riportai, parola per parola, tutto quello che mi aveva detto Tomo.
Lo vidi rinascere e, inaspettatamente, mi abbracciò.
Le sue braccia erano strette intorno a me, il suo respiro sul mio collo.
Grazie, grazie e grazie.Mi ripeteva piano all’orecchio.
Non ero proprio sicura che li stesse dedicando tutti a me, ma mi piaceva quella vicinanza che in quel momento c’era tra noi.
“Devo andare all’ospedale. – Disse, ad un certo punto. – vieni con me!” si allontanò ma non lasciò la presa sul mio corpo, anzi mi prese le spalle con le mani e mi sorrise, con una nuova luce negli occhi.
“Io?! Ma io non c’entro nulla!”
Lui mi guardava speranzoso, e ribatté dicendo. “No tu c’entri. Sei tu che mi hai aiutato.”
Non accennava minimamente a lasciare la presa sui miei occhi.
“Vatti a mettere qualcosa addosso, io intanto mangio che sto morendo di fame.”
“Lo faccio solo perché sei instabile e non ti posso lasciare guidare” dissi io, sorridendo. Si alzò dal divano, e si diresse in cucina. Io feci lo stesso, deviando però verso il piano di sopra.
“Ah, e prima che me ne dimentichi, che cos’è quella cicatrice che hai sul collo?!” io mi bloccai con il piede destro sul primo gradino delle scalinate, e senza girarmi, con tono neutro, dissi: “Una cicatrice.”
Prima che potesse pormi altre domande, salii velocemente i gradini.
 
 
Eravamo in macchina, io al volante e lui al posto del passeggero.
Stavamo in silenzio, come era successo per quasi tutto il viaggio, quando lui disse: “Mi dispiace.”
Io guardavo attentamente la strada, mentre lui aveva gli occhi che vagavano fuori dal finestrino, con il braccio che si faceva portare dal vento e l’altra mano che batteva sulla gamba a ritmo della musica alla radio.
“Di cosa?!” chiesi distrattamente.
“Di averti svegliato nel bel mezzo della notte e di averti addossato i miei problemi.”
“Siamo amici no?! – dissi io, senza scompormi troppo – e gli amici si supportano nel momento del bisogno. E poi avevo un conto in sospeso per una febbre a quaranta, ricordi?” gli sorrisi, mentre sentivo lui ripetere a voce non troppo bassa la parola amici.
“E a proposito, non mi avevi detto che eri Echelon!” disse lui, girandosi finalmente verso di me.
Risi. “Se mi trovi grassa non c’è bisogno che mi definisci uno Scaglione. Puoi dirmelo e mi metto a dieta!”
Lui sgranò gli occhi, mentre io feci una curva a sinistra che portava dritta all’ospedale.
“Ma sei scema?!” disse lui, e io parcheggiai. “Echelon è il nome dei nostri fan. Ieri sera mi hai cantato Alibi, perciò te l’ho chiesto. E comunque, non ti trovo affatto grassa!”
Scendemmo insieme dalla macchina, e prima di rispondergli ci pensai un attimo.
“Non lo so se sono Echelon o no, so solo che le vostre canzoni mi fanno stare bene.”
Lui sorrise. “Allora sei Echelon.”
Mi disse, prima di girarsi e di fiondarsi nell’edificio alle sue spalle.
 
 
“Helena, vuoi entrare un attimo?!” mi disse Jared, vedendomi seduta con Tomo fuori. Fece anche un gesto al mio compagno per farsi seguire.
Appena Shannon aveva raggiunto la stanza indicata dall’infermiera, io mi ero fermata nel corridoio e avevo cercato una sedia dove riposarmi.
Tomo, vedendomi sola, mi aveva raggiunta, aggiungendo che “voleva lasciare alla famiglia un momento per stare insieme, loro tre, da soli.”
Quello che mi era più strano da concepire era vedere Jared con bende e cerotti ovunque. Ne aveva uno persino sopra il suo sopracciglio destro.
E poi c’era quell’ombra scura nei suoi occhi che quasi faceva paura.
Non era il solito Jared sicuro di sé, non aveva più quella luce negli occhi, quel grido di guerra; al contrario, era tutto spento.
“Che devo fare?” chiesi sottovoce a Tomo, che invece di rispondermi fece spallucce, mi prese sottobraccio e mi trascinò nella stanza.
La stanza era abbastanza grande, e soprattutto luminosa.
Mi faceva un certo effetto stare lì dentro: gli ospedali non mi erano mai piaciuti.
“Buongiorno..” dissi entrando, e due paia di occhi, di Shannon e di Constance, si girarono verso di me.
Jared si posizionò vicino al fratello, fissando la madre.
Io e Tomo ci posizionammo di fronte alla donna, al centro dello spazio tra il letto e la parete. Mi sentivo a disagio, fuori luogo in un certo senso, quindi presi come punto di riferimento Tomo che più o meno si trovava nella stessa mia situazione, anche se lui molto probabilmente conosceva la donna molto ma molto meglio di me.
Constance era messa davvero male, dovevo ammetterlo.
Eppure sorrideva, sorrideva con amore ai figli che si prendevano cura di lei, al figlio maggiore che la guardava a braccia conserte sorridendole di rimando, e a quello minore che con sofferenza ricambiava i suoi sguardi, senza sorridere, mentre gli stringeva la mano sinistra e, lento, gliel’accarezzava.
Non avevo mai visto Jared così.. così umano.
In quel momento capii che lui nascondeva i suoi sentimenti dietro quella parete di altezzosità ed egocentrismo. Mi sentii un’intrusa: che diritto avevo io di vedere quel suo lato tenero, quel suo lato che lui voleva nascondere a qualunque estraneo gli si presentasse davanti?
Abbassai la testa, iniziando a guardarmi le unghie della mano sinistra.
Cercavo semplicemente di passare inosservata, quasi come se in quel piccolo quadretto familiare non ci fossi, ma in realtà ottenni l’effetto contrario: Constance cercò di tirarsi su, ignorando le proteste del figlio, e iniziò a parlare.
“Tu sei Helena, giusto? – mi sorrise – piacere Constance, la madre naturale di questi due e quella acquisita di Tomo!” quest’ultimo le fece l’occhiolino e il suo sorriso si allargò.
No, mi ero sbagliata. Lui non era assolutamente nella mia stessa situazione, anzi.
“Si, sono io. Piacere.” Cercai di rilassarmi, con scarsi risultati.
“Ho sentito parlare di te.” disse lei, scoccando un’occhiatina al figlio maggiore.
“Spero bene!” risposi io, ridendo.
“Certamente.. – si girò verso gli altri tre – ci potreste lasciare un attimo sole, per piacere?” Shannon e Tomo si mossero immediatamente, mentre Jared ebbe qualche esitazione. Guardò prima me, poi la madre, poi di nuovo me, per poi alzarsi ed andare via a passi veloci.
Perché voleva rimanere sola con me?
Spostai il peso della gamba da destra a sinistra, e lei quasi in risposta si portò con la mano non ingessata i capelli dietro l’orecchio.
Intanto, l’orologio sul muro vicino alla finestra ticchettava energicamente il passare dei secondi.
“Sai.. – iniziò lei, dopo quel minuto di silenzio che mi era sembrata un’eternità – mi dispiace se mi sono presa questa confidenza con te! Ti chiederai cosa mai vorrò.. in realtà nulla. Solo ringraziarti. Shannon – inziò la nuova frase con un sospiro – è impulsivo. E ringrazio il cielo che stanotte sia venuto da te, e che non abbia fatto qualcosa di stupido, come suo solito. Perché lui è specializzato nel commettere cose stupide quando è in questi stati d’animo. Grazie, grazie infinite.” Prese un lungo respiro, e capii quanto quelle semplici parole le fossero costate. Ricordai le sue costole incrinate, mi avvicinai e le feci segno di tranquillizzarsi.
“L’ho già detto a Shannon, non ho fatto nulla di così straordinario.”
“No, invece. L’hai salvato da se stesso.” Replicò lei, e anche quella volta fece uno sforzo non indifferente.
“Shhh.. non si preoccupi!” dissi io, andandole ad aggiustare il cuscino sotto la testa, mentre lei si coricava. “Ora si riposi!”
Stavo per uscire dalla porta, quando lei disse, prima di chiudere gli occhi: “E’ la prima volta che Shannon corre da una donna per essere supportato. Non sottovalutare questo gesto, vuol dire che ci tiene davvero a te.”
Aprii la porta e uscii fuori, sorridendo.
 
 
“Stasera hai da fare?” chiesi a Shannon, mentre stava prendendo la sua moto che da ore era distesa sul mio prato.
“Mi devo fare una bella doccia, mi cambio, mangio qualcosa e torno all’ospedale da mia madre. Però.. no, poi potrei avere un po’ di tempo. Perché?” mi chiese, curioso.
“Perché ti vorrei parlare di una cosa!”
“Va bene.. torno stasera, ok?”
“Certo!” gli risposi.
Mi avvicinai al cancello e glielo aprii, così da lasciarlo passare.
Mi fece un occhiolino, infilò il casco e mise in moto, uscendo dalla mia proprietà.
Avevo uno strano vuoto nello stomaco, in realtà era anche un po’ di paura.
Ce l’avrei fatta?
 
 
Guardai l’orologio. Erano le otto e mezza.
Quando ero tornata, si erano fatte le undici. Per fortuna era domenica, così non avrei avuto problemi al lavoro.
Dopo una notte insonne, mi riposai per un’oretta e mi rimisi in sesto.
Rassettai la casa, e pranzai.
Venne a trovarmi anche Kristen nel primo pomeriggio, le spiegai cosa era successo e cosa avevo intenzione di fare.
“Wow.. se vuoi raccontare tutto a Shannon ci tieni sul serio. Non ti posso dire nulla in più che fatti forza!”
Si, ci tenevo. E si, quella sua visita mi aveva fatto bene.
Adesso ero più tranquilla, ero più sicura di quello che volevo fare.
Aspettai la sera guardando la televisione e ascoltando un po’ di musica, e così anche quelle ore volarono via.
Erano proprio le otto e mezza, quando guardai l’orologio. E proprio dopo aver visto l’orologio, il campanello aveva suonato.
Feci un gran respiro, mi avvicinai alla porta ed eccolo lì, Shannon, che reggeva il casco della sua immancabile moto sotto il braccio.
“Ehilà Moonlight.” Entrò in casa lasciandomi perplessa sulla soglia.
“Sono stato da mia madre. Hanno smesso di imbottirla di farmaci, per fortuna!” concordai con la sua affermazione, mentre mi avvicinavo al divano.
Mi sedetti a gambe incrociate, e senza fare complimenti lui prese una delle caramelle alla fragola sul tavolino.
“Sono stata tutta la giornata a pensare a cosa mi dovevi dire. Ora sto scoppiando di curiosità! Ci togliamo questo pensiero?” rise, togliendosi il cappotto e sedendosi sulla poltrona di fronte a me.
“Sai.. oggi tua madre mi ha fatto pensare. – a questo punto lui alzò un sopracciglio –  E io soprattutto ho pensato. E ho capito che il tuo gesto di venire da me, questa notte, è significato molto di più di quello che potrebbe sembrare. Eh.. beh, ho deciso che questo tuo gesto deve essere ricompensato. Tu hai dato fiducia a me e io voglio darne a te.”
“Helena, cosa stai cercando di dirmi?” chiese lui, ora perplesso.
E’ il momento della verità. Voglio raccontarti tutta la mia storia, Shannon.” 
  
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