Anime & Manga > Shaman King
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Autore: Mao chan    03/06/2006    2 recensioni
Shaman Fight.
Va avanti, continua. Uno scontro dopo l'altro. Ancora e ancora.
Yoh combatte, e con lui tanti altri. Combatte contro Hao e contro sè stesso.
E Hao Asakura lo guarda andare avanti, lo aspetta al varco.
Perchè tanti parlano della tragedia accaduta 500 anni prima, e tremano al solo ricordo.
Ma nessuno sa cosa sia successo ancora prima, durante il suo primo Shaman Fight.
E ora, dopo mille anni, qualcosa ritorna.
E quel qualcosa, non è disposto a perdonare.
Shaman Fight.
Shaman Fight senza pietà.
Si prova ad amare e vivere. Si soffre.
Shaman Fight. Riuscirai a trovare te stesso all'uscita di quest'incubo?
Genere: Avventura, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Kyoyama, Hao Asakura, Horo Horo, Yoh Asakura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 11_ Sorry for you, Manta

Capitolo 11_ Sorry for you, Manta...

 

"Sembra che la pioggia battente non si sia fermata un attimo dal giorno dell'incontro di Yoh."

Una voce femminile...

Proveniva da accanto a lui...

Gli sembravano secoli quelli che aveva passato in silenzio svenuto.

Sentire quella voce era una gioia di cui godere nel cuore...

Dunque era vivo.

Aveva davvero creduto di morire quando Faust gli aveva sezionato l'addome.

...

...

FAUST! YOH! L'INCONTRO!!

"YOH!"

Manta si svegliò di colpo urlando quel nome e tirandosi a sedere di scatto sul letto d'ospedale.

"Ah... Manta!"

Ancora con il respiro affannoso, il ragazzino si girò verso l'unica persona presente nella stanza.

Dapprima la sua immagine gli parve confusa e sfocata, ma man mano che i contorni prendevano forma gli giunse alle narici anche il penetrante odore ospedaliero.

"Tsu...Tsukay?" mormorò portandosi una mano sulla fronte e massaggiandosi le tempie.

La ragazza staccò le dita dal vetro della finestra e sorrise dolcemente nella sua direzione.

"Finalmente ti sei svegliato..."

Manta strizzò gli occhi nel vano tentativo di cacciare il dolore lacerante che gli cerchiava la testa.

"Quanto ho dormito?"

Tsukay tornò seria in volto e tirò le tende della stanza.

"Tre giorni."

"Cosa...? S-sono stato incoscente per tre giorni?"

Lei annuì.

Prima che le tende fossero completamente chiuse, il ragazzo potè scorgere il cielo grigio e le gocce di pioggia picchiettare sul vetro.

"Piove ancora?"

"Non ha mai smesso."

"Senti Tsukay..."

Temporeggiare era inutile, come in ogni altra cosa.

Le poche frasi di circostanza che aveva scambiato con la ragazza non erano certo servite a cambiare il suo stato d'animo, e sapere l'esito dell'incontro gli premeva troppo.

Tsukay s'illuminò di colpo.

"Vuoi sapere com'è andato il mio incontro?" chiese speranzosa.

Erano tre giorni che faceva assistenza ora nella stanza di Manta, ora nella stanza di Yoh, ma nessuno si era premurato anche solo di chiedere se aveva vinto o perso.

Certo, Tamao se l'era fatto dire la sera dell'incontro, ma proprio quando si apprestava entusiasta ad ascoltare il racconto di Tsukay, era arrivata una telefonata dall'ospedale di Chokohama che le avvertiva della condizione di Yoh e Manta, e partirono in fretta e furia del tutto dimentiche del precedente incontro.

"Ah...bè..."

Il ragazzo esitò.

Non aveva assolutamente intenzione di ascoltare il racconto dell'amica, almeno non in quel momento, ma trovava troppo crudele rifiutare.

"Ho capito, vuoi conoscere l'esito di quello di Yoh." disse lei cercando di mantenere un tono indifferente.

Da quando era a Chokohama, non aveva mai parlato del suo incontro, mentre aveva sentito talmente tante versioni di quello che si era svolto tra Yoh e Faust VIII che poteva recitare a memoria una sua personale interpretazione.

Manta sorrise mesto come a scusarsi, poi la incitò a continuare con un segno del capo.

Ma la ragazza non ne sembrava entusiasta.

Si torturava a sangue il labbro inferiore e lasciava vagare lo sguardo nella stanza roteando paurosamente gli occhi.

"Sì, bè..."

L'atteggiamento di Tsukay favorì l'enorme sconforto che s'impadronì di Manta.

"E' successo qualcosa a Yoh??"

"No...cioè, sì...è che..."

Prima che potesse continuare la porta della stanza si spalancò e una giovane donna dall'aspetto estremamente curato fece il suo ingresso ondeggiando i corti capelli corvini.

"MANTA! Manta..."

S'inginocchiò sul letto e abbracciò il ragazzo.

"Mamma...? Ma che ci fai qui??" chiese lui cercando di liberarsi dalla stretta micidiale della donna.

"Questa è tua madre Manta?" s'intromise Tsukay sfoggiando un sorriso di cortesia.

La donna la squadrò per un attimo con aria di sufficienza.

"E tu saresti...?"

"Mamma, Tsukay. Tsukay..."

Sospirò in uno sbuffo fatale.

"...Mia madre."

"E' una tua amica?" chiese la madre scrutando Tsukay come un insetto disgustoso.

"Sì..."

"Tsukay Tsumy, piacere." tentò Tsukay porgendole la mano.

La donna finse di non notarla e tornò a rivolgersi a suo figlio.

"Perdonami tesoro, non ce l'ho fatta ad arrivare prima... Ma si può sapere che ti è successo?"

"Bè... ecco..."

Che dire? Quando era andato a Chokohama se l'era sbrigata dicendo che partiva per un viaggio d'istruzione e sarebbe tornato per cena, ma poi le cose erano degenerate...

Non se n'era curato troppo, tanto sua madre era troppo impegnata a badare all'istruzione della sorellina e suo padre era negli Stato Uniti ad occuparsi degli affari dell'Oyamada Company...

Ormai non soffriva più per essere sempre messo in secondo piano dai genitori, anzi, una volta superata la depressione iniziale le cose tornavano anche utili... specialmente da quando aveva cominciato a frequentare degli sciamani.

La verità è che la sua famiglia non aveva mai tollerato la sua indisposizione nel prendere in mano la compagnia informatica d'importanza mondiale del padre.

Proprio per questo non avrebbe mai creduto che sua madre sarebbe accorsa all'ospedale.

In realtà sua madre era sempre stata fin troppo apprensiva verso i suoi due figli, ma era anche fin troppo sottomessa dal marito, e seguiva le sue disposizioni senza fiatare.

E ora doveva assolutamente trovare una scusa convincente da fornirle.

Non preoccuparti 'ma... un pazzo furioso che manovra i cadaveri mi ha aggredito per innervosire Yoh in un combattimento tra sciamani. Mi ha scorticato lo stomaco e voleva andare più a fondo, ma Yoh lo ha fermato, e ora sto bene, non preoccuparti...

Soppesò per un attimo quella rispota, poi la scartò.

La verità non era abbastanza convincente nè avrebbe aiutato la sua situazione sociopsicologica.

"Ehm... sono caduto e..."

"Una caduta giustifica emorragia di terzo grado all'altezza del fegato, scorticamento dell'addome e fratture multiple sulle costole??"

"Bè..."

"E' caduto di pancia sopra un masso appuntito e si è..."

La ragazza, accorsa in aiuto dell'amico, si fermò un attimo cercando un termine adatto, senza però riuscirci efficentemente.

"Si è infilzato la pancia."

"Non è esattamente la definizione che hanno dato i medici." disse la donna scettica.

"Bè, ma è quella esatta..."

Le donne si guardarono per un attimo, poi lasciarono cadere l'interesse che avevano l'una per l'altra nell'oblio più profondo, consce che la conversazione non avrebbe portato da nessuna parte.

"Allora Manta? Come ti senti?"

"Abbastanza bene, grazie mamma."

La porta si aprì di nuovo, e sta volta fu una copia femminile di Manta a fare il suo ingresso.

A guardarla bene, Tsukay si accorse che era se possibile ancora più bassa.

Aveva i capelli raccolti in due codini ai lati della testa, e un orrendo vestitino rosa confetto la faceva sembrare ancora più piccola.

"Tu sei...?"

La bambina non la degnò di uno sguardo.

"Mamma, fuori c'è un tempaccio, non ho nessuna voglia di aspettare là..."

"Poverina..." la prese in giro Tsukay.

Nessuno si accorse che aveva parlato, così la ragazza tornò alla sua opera di contemplazione del temporale, poggiando le dita sul vetro appannato dal suo stesso respiro, chiedendosi se non fosse improvvisamente diventata invisibile.

Erano tre giorni che vegliava su Yoh, o su Manta, ma ora le nuove visite l'avevano completamente annullata.

Continuò a fingere di essere invisibile compiangendosi silenziosamente.

"Mannoko... okay, resta."

La bambina guardò Manta.

"Ciao fratellone. Quei teppisti ti hanno conciato male sta volta, eh?"

In un attimo, gli sguardi attoniti del fratello e della madre le furono addosso.

"Di cosa stai parlando?" chiesero all'unisono.

"Ma come? Mamma, non lo sai che Manta ultimamente marina il doposcuola per andare a giocare con quell'Asakura? Sono stati picchiati dai ragazzi più grandi, li ho visti io!"

La donna fissò il figlio senza aprir bocca.

Manta invece maledì se stesso per aver detto alla sorellina di Yoh e della *scaramuccia* che avevano avuto tempo addietro con Ryu, e maledì la sorella per averci inventato sopra una storiella non troppo simpatica.

Cercò aiuto negli occhi di Tsukay, ma quella si era visibilmente offesa ed era oltretutto assorta nella contemplazione dei nuvoloni.

"Manta... chi è questo Asakura?"

"Mamma, non trarre conclusioni affrettate, quello che dice Mannoko non è poi così attendibile..."

La bambina lo fulminò con lo sguardo.

L'aria si stava caricando di tensione.

E più quell'istante di silenzio si prolungava, più la tensione cresceva.

Solo Tsukay ne era estranea.

"Yoh Asakura, quattordici anni."

I quattro si girarono all'indirizzo di quella profonda voce maschile.

Sulla soglia stava un uomo sulla cinquantina, più basso di Tsukay di tutta la testa, ma un portamento fiero e deciso.

Accanto a lui un secondo uomo, molto più alto, probabilmente un suo dipendente.

Calò il gelo.

La ragazza non si disturbò a salutare nuovamente.

L'uomo non parve risentirne.

"Papà..." boccheggiò Manta.

"Caro..."

"Manta, il tuo amico Yoh è uno sciamano, vero?"

Il ragazzo si sentì scuotere le interiora.

Cominciò a tremare e sudare freddo.

Sapeva già quello che sarebbe seguito.

"Avete fatto una ricerca..." balbettò.

Non era una domanda.

Tsukay rivolse nuovamente lo sguardo agli occupanti della stanza.

La conversazione si faceva interessante.

La donna soffocò un gridolino.

"Uno sciamano??"

"Non è vero..." tentò Manta. Ma la sua espressione lo tradiva.

L'uomo continuò.

"Manta, tu sei l'erede dell'Oyamada Company. E non guardarmi così."

Manta posò lo sguardo sul lenzuolo del suo letto trattenendo le lacrime.

"Che c'è? E' da tre anni che non ci vediamo, e non hai nulla da dirmi?"

La voce del ragazzo tremava di rabbia.

"Infatti. In tre anni, mi sono scordato la tua faccia."

Il rumore di uno schiaffo rieccheggiò tra le quattro mura.

Mannoko e la madre si ritrassero, mentre Tsukay si portò le mani alla bocca impressionata.

"Basta Manta. Farai ciò che dico io. E quello che voglio è molto semplice..."

Il cuore di Manta si fermò, a differenza delle lacrime, la mano fissa sulla guancia arrossata.

"Ti trasferirai in America e studierai lì. Non posso permetterti di avere contatti con degli sciamani."

L’ultima parola venne pronunciata con disprezzo.

Tsukay si avvicinò e pose con rabbia le mani sui fianchi.

"Con tutto il dovuto rispetto signor Oyamada..."

Ignorò l'amico che le faceva freneticamente segno di tacere.

"Sono una sciamana anch'io, e non riesco a capire cos'ha lei contro di noi! Non abbiamo mica strane malattie da attaccare a suo figlio!"

Ad un tratto quella sconosciuta acquistò tutt'un altro valore agli occhi di Mannoko e sua madre, che si allontanarono da lei atterrite.

"Esca dalla stanza di mio figlio." le intimò il signor Oyamada.

La ragazza non se lo fece ripetere.

Raccolse la sua roba e si avviò all'uscita.

"Ci vediamo Manta." disse sorridendogli prima di uscire.

"Non credo proprio." sibilò il padre.

***

I suoi genitori erano rimasti per ore a discutere sul suo trasferimento in America e sul suo destino.

Si sentiva come un giovane cavaliere che, sebbene sia in possesso dell'attestato di capacità per sedere in sella al cavallo e condurlo, lasci che sia il luogotenente a guidare le briglie del suo destriero.

Mentre i suoi parlavano, ora calmi, ora alzando la voce, lui era rimasto sdraiato sul letto senza nemmeno ascoltare quei due signori, ormai troppo lontani dal suo cuore.

E si sentiva triste.

Era arrabbiato con Yoh perchè non si era fatto vedere durante la sua convalescenza, con Anna perchè era sparita senza una parola, e con Tsukay, che dopo aver complicato le cose confermando ai genitori che il loro figlio modello frequentava degli sciamani, se ne era lavata le mani.

Kibya invece, non aveva seguito la sua 'padrona', ed era rimasta a levitare a pochi centimetri dal letto di Manta, perfettamente consapevole del fatto che solo lui poteva vederla.

Non aveva detto una parola, si era limitata a restare nella stanza accanto a lui.

Per non lasciarlo solo.

Sebbene non potesse rivolgerle la parola per non far inorridire ancor più i genitori, Manta le era molto grato per quello che stava facendo.

Dalla prima volta che l'aveva vista, l'aveva completamente rivalutata. Non sapeva quale fosse stato il suo carattere da viva, ma ora era certamente lo spirito di una ragazza dalla scorza dura e il cuore d'oro.

Però sembrava triste.

Era appollaiata ai piedi del letto e si abbracciava le ginocchia.

Guardava i genitori di Manta parlare animatamente con espressione nostalgica, tristemente rivolta verso il basso.

"Non parli con i tuoi?" chiese all'improvviso.

Manta si girò verso il muro.

"No. Sarebbe inutile." sussurrò per non farsi sentire.

"Il tuo destino è nelle loro mani?"

Lui annuì lentamente.

"Nessuno ha mai avuto tra le mani la mia libertà."

Manta si alzò a sedere scrutando sorpreso lo spirito.

Non aveva mai parlato apertamente di lei, le poche cose che sapeva era stata Tsukay a raccontarle.

"Però questo non mi ha salvato, nè mi ha portato ad essere felice."

Il ragazzo la guardò attentamente.

Ora era seduto sul materasso con la coperta scomposta adagiata sulle sue gambe.

Se avesse parlato da quella posizione l'avrebbero notato subito.

"Anche se ora sono rimasta qui, io tornerò da Tsukay per affrontare il torneo." continuò Kibya in tono piatto. "Se quello di uno spirito si può chiamare futuro, io so che nel mio c'è Tsukay. Lei e il torneo, sono queste le mie certezze. Tu hai qualche certezza?"

Lui scosse la testa adagio, simulando un movimento casuale.

"E' questo che differenzia i morti dai vivi. Qualcuno potrebbe dire che è comoda la nostra posizione: niente dolore fisico, niente consistenza corporea, niente Nirvana. Però..."

Kibya appoggiò il mento sulle braccia.

"Io sono morta senza sapere che significa fare l'amore, senza conosciere il sapore del sakè e senza aver mai provato un kimono nuziale. E' questo che mi impedisce di raggiungere il Nirvana. Perchè inconsciamente la mia mente resta legata alla terra aspettando di provare simili emozioni, pur sapendo che ormai è impossibile."

E Manta gettò al vento ogni proposito, ogni prudenza, troppo grande la tristezza che quella ragazza serbava in cuore.

"Kibya..."

I signori Oyamada si zittirono all'istante e guardarono Manta attoniti.

"Con chi parli tesoro?" accennò la madre sforzandosi di sorridere.

Il ragazzo le fece cenno di tacere con un gesto brusco della mano.

"Manta, sta attento." disse lo spirito rivolgendo finalmente lo sguardo verso di lui.

"Non m'importa niente, ormai hanno deciso. Kibya, secondo me il Nirvana esiste proprio per questo! E se quando arrivassi non ti fosse negata la possibilità di sentirti...viva?"

Per un attimo si sentì traditore nei confronti di Tsukay.

Dopotutto stava tentando di convincere il suo spirito a raggiungere il Nirvana...

"Manta, io ho visto una persona che è tornata dal Nirvana tanto era il suo rancore. E non era felice."

Il ragazzino si passò una mano sui biondi capelli.

In fondo cosa ne sapeva lui?

"Io non posso nemmeno più piangere."

"Ma Amidamaru... ha detto che ti ha visto piangere quando Yoh ha combattuto contro le due itako..."

"No... rantolavo. Gli spiriti non possono piangere."

"Manta, ora smettila!"

Un secondo schiaffo lo colpì in pieno volto.

Kibya tornò a guardare fisso davanti a sè, gli occhi colmi di rimpianto.

E Manta pianse le lacrime che lei non avrebbe mai più potuto versare.

***

Tsukay aveva deciso che non valeva la pena restare a Chokohama: Manta, suo malgrado, era sotto le cure dei suoi genitori, mentre Yoh aveva Anna e Tamao.

Dunque meglio restare a Tokyo inattesa di mail per il torneo.

Kibya l'aveva raggiunta con qualche ora di ritardo.

Anche a Tokyo non aveva mai smesso di piovere dopo il suo ultimo incontro.

Ora che era sola, si dilettava a guardare TV e ascoltare musica fino a tardi.

Ma non si divertiva.

"Ora che sai cosa si prova ad avere amici non riesci più a stare sola?"

La voce di Kibya spezzava la monotonia di una seconda serata a ritmo di Rock ‘nd Roll.

Tsukay si voltò irritata con la bocca intenta a ingoiare patatine.

"Ma che dici? Io sto benissimo da sola. Ce l'ho sempre fatta da sola."

Lo spirito assunse un'espressione vagamente sospetta.

"Anzi, da sola sto pure meglio. Hai visto quando abbiamo combattuto contro le bambinette? Non ero da sola, eppure abbiamo rischiato di non farcela..."

Si sistemò meglio sul divano e cambiò canale per l'ennesima volta.

"Ma essere in compagnia è più... come definire?"

"Certamente non più sicuro che essere soli."

"Non intendevo dire questo."

"Nemmeno più rassicurante."

"No."

"E allora cosa?"

Kibya sorrise.

"Non trovi che sia molto più divertente?"

Tsukay aprì la bocca per rispondere, ma in quel momento il rumore della televisione non riuscì a sovrastare un cigolio proveniente dalla soffitta.

Le due si scambiarono un'occhiata improvvisamente seria.

Senza spegnere la TV, Tsukay afferrò il suo bastone e strisciò silenziosamente al piano di sopra seguita dal suo spirito, pronto a unirsi allo Yukanyo.

La soffitta era buia e polverosa.

Ci era stata solo una volta, la sera stessa nella quale era venuta ad abitare in quella casa per aiutare Tamao a scovare un futon in più.

Una sottile striscia dorata penetrò nella stanza quando Tsukay socchiuse la porta.

Nessun movimento all'interno.

E' possibile che sia entrato qualcuno e non me ne sia accorta...?

Strinse più forte l'impugnatura del bastone e mosse alcuni prudenti passi in avanti.

Il suo sguardo scivolò veloce sulle grigie pareti, gli ingombranti mobili che nessuno avrebbe più riadoperato e gli scatoloni colmi di cianfrusaglie.

"Se qui c'è qualcuno, è inutile nascondersi." disse camminando per la stanza, ora più sicura.

Nessuna risposta.

"Tsukay, qui c'è qualcuno. Sento la presenza di uno spirito."

"Non potrebbe essere uno degli spiriti della casa?" bisbigliò la ragazza. "Ogni tanto compaiono..."

Kibya scosse la testa risoluta.

"No. E' uno spirito guerriero. Pericoloso."

Tsukay assotigliò gli occhi nella penombra.

"Vieni fuori." intimò.

Ci fu uno scatto imprevisto.

Una figura nera sgusciò fuori, comparendo da dietro un armadio, e balzò su Tsukay.

La ragazza dovette ringraziare i suoi riflessi se riuscì a parare il fendente della katana, diretto al collo senza la minima esitazione.

I piedi scivolarono sul legno impolverato del pavimento e si ritrovò davanti al suo aggressore.

Non si gettò in un contrattacco immediato.

Si ritrovò a fronteggiare un'altra ragazza.

Era una decina di centimetri più bassa di Tsukay, ma sembravano avere la stessa età.

Aveva lunghi capelli corvini che le ricadevano ribelli sulla schiena, e gli occhi neri brillavano di una luce crudele.

Lo sguardo era quello di una belva folle mossa dalla smania di scatenarsi.

"Chi sei? Che ci fai qui?" scandì Tsukay.

Per tutta risposta la ragazza dilatò le pupille.

"Cosa sai di Ren Tao?!" gridò. Poi si avventò nuovamente su di lei, senza aspettare una risposta.

Dal canto suo, Tsukay non era sicura di aver mai sentito quel nome, e poco le importava.

Non aveva certo paura di una ragazzina impazzita, anche se la sua katana riluceva di un furyoku ostile.

Si preparò a ricevere il colpo e contrattaccare.

Piegò le ginocchia in una posizione di difesa, ma l'impatto non si ripercosse su di lei.

La misteriosa violatrice di domicilio incontrò un ostacolo che non aveva niente a che vedere con lo Yukanyo.

Bè, fu un bell'ostacolo.

La polvere si sollevò agitata, e i piccoli vortici di particelle presero a rincorrersi agitati davanti agli occhi di Tsukay.

Quando la scena tornò visibile, la ragazza realizzò cosa aveva fermato la katana.

Un semplice Snowboard.

Sorrise lievemente.

"Non mi piace vedere due ragazze litigare fra loro." disse allegramente Horo Horo.

Nessuno l'aveva sentito entrare, e lui ne aveva approfittato per fermare la mora.

Tsukay poteva vederla fremere di rabbia oltre la spalla dell'amico.

"Tsukay..."

Pirica stava abbracciata allo stipite della porta e la guardava preoccupata.

"Va tutto bene?"

L'altra annuì, poi tornò a dedicarsi alla sconosciuta.

"Chi sei?" ripetè.

Quella si guardò nervosamente intorno, poi diede un guizzo e si lanciò oltre la finestrella senza curarsi del fatto che fosse chiusa.

"Aspetta...!"

Il rumore di vetri infranti ribalzò nelle orecchie dei ragazzi.

Horo Horo corse ad affacciarsi, ma la figura nera era già sparita.

"Chi diavolo era quella pazza?!" esclamò.

"E' quello che mi chiedo anch'io." rispose Tsukay, lasciando intendere che ne sapeva quanto loro o poco più.

"Conosce Yoh-kun o Anna-san?" chiese timidamente Pirica avvicinandosi ai due.

Tsukay scosse la testa.

"Non lo so. So solo che cercava un certo Ren Tao."

Horo Horo la guardò perplesso per un momento.

"No, non conosco nessun Ren Tao."

"Già, nemmeno io." si affrettò ad aggiungere Pirica.

"Lo immaginavo." rispose lei. "Bè, se è uno sciamano e partecipa al torneo, potremmo incontrarlo."

"Forse, ma ora poco importa." concluse Horo Horo.

"Ma tu che ci fai qui?"

"Stavamo pensando di venire a trovare Yoh, ma abbiamo sentito dei rumori strani dalla strada e non ci apriva nessuno, così siamo entrati." rispose Pirica.

"E la porta?"

"Ehm..."

Il ragazzo nordico si passò una mano tra i capelli e si voltò fischiettando.

"Mangiamo?"

***

"Solo una lattina di tè freddo, grazie."

La convalescenza di Manta era ormai giunta al termine, e ancora nessun segno di vita da parte di Yoh.

Se sua madre non lo costringeva a stare a letto a causa del colorito lievemente più pallido del solito, passava le sue giornate a gironzolare per l'ospedale.

La sera prima un'infermiera gli aveva svelato l'esistenza del piano bar, ed ora eccolo lì, grigio e triste, in piedi davanti al bancone ad aspettare la sua lattina di tè, i soldi spiegazzati tra le mani e davanti a sè solo il platonico entusiasmo di visitare quella parte dell’ospedale ancora sconosciuta.

Camminava lentamente, sorseggiando il liquido freddo, gettando di tanto in tanto un'occhiata alle pareti bianche e alle porte delle stanze.

Si ripeteva i nomi dei pazienti incisi sulle targhette senza interesse, così, tanto per fingere d'ingannare il tempo.

"Kiryua Ino... Tayumo Okayasu... Yusuke Ikatashi... Yoh Asakura..."

Sorrise debolmente.

Come poteva venirlo a trovare, il povero Yoh, se lui stesso si trovava in convalescienza?

Arrivò fino alla fine del corridoio prima di realizzare che il suo migliore amico si trovava lì.

Corse davanti alla fatidica porta e controllò meglio la targhetta.

'Yoh Asakura'.

Yoh non è affatto un nome comune! Spalancò la porta con le lacrime agli occhi.

"YOH!!"

L'amico era lì, il busto fasciato, le cuffie calate sulle orecchie.

Anna, seduta accanto a lui, sbucciava una mela probabilmente destinata al fidanzato, gli occhi socchiusi in una regale espressione di concentrazione.

Amidamaru riposava accanto al letto, e Tamao era in piedi vicino al comodino, uno sguardo triste posato verso il basso.

Quando Manta entrò, la ragazza fu l'unica a guardarlo, gli occhi coperti da un velo d'ansia.

"Manta..."

Fece per muovere un passo verso di lui, ma con un'occhiata, Anna le intimò di tornare al suo posto.

Tamao obbedì, e indietreggiò mordendosi il labbro, senza più osar parlare.

C'era qualcosa che non andava in quel silenzioso quadretto.

Qualcosa d'impercettibile che uccise la parole tra le labbra, accasciandole rantolanti sulla lingua finchè non scompavero definitivamente.

E ad un tratto ciò che mancava fu chiaro.

Yoh non sorrideva per niente.

 

...1000 years ago...

 

Momoya trotterellava affianco al cavallo di Mid Night.

Hao era avanti e guidava la carovana.

Come sempre.

"Momoya, ma tu che ci fai qui?"

"Sono qui per servire fedelmente Hao Asakura fino a debito estinto."

"Sempre la stessa risposta... Ma scusa, tu non sei certo una persona normale! Avrai dei motivi per seguire Hao, no?"

"Un debito di vita verso di lui."

Il ragazzo la squadrò per un momento, poi si appoggiò alla criniera del cavallo sbuffando.

I capelli argentati erano grondanti di sudore, e si appiccicavano alla fronte e il collo, sfibrati dalla lunga marcia.

"Io ci rinuncio, parlare con te è troppo difficile!"

La ragazza per la prima volta volse lo sguardo verso di lui, sorpresa.

"Parlare con me è difficile?"

"Estremamente."

"E perchè?"

"Non riesco a capire cosa ti passa per la testa. Dici sì e no due frasi, e una volta pronunciate ripeti sempre quelle due."

"Dite?"

"Certo! Anzi, è un miracolo che sia riuscito a inoltrare così la conversazione!"

La ragazza tacque perplessa.

Sembrava quasi dispiaciuta.

"Ecco, visto?"

"Cosa?"

"Hai smesso di parlare."

"Perchè non avevo niente da dire."

"Il problema è che tu non hai mai niente da dire..."

Di nuovo silenzio.

"E' che non sono esattamente abituata a parlare con qualcuno."

Il ragazzo scattò seduto facendo sobbalzare il cavallo bianco, e per poco non finì col viso nel fango.

Tentò di afferrare le redini che aveva mollato durante la noiosa marcia, ma il cavallo diede un guizzo e scrollò la schiena facendogli perdere l'equilibrio, e col viso nel fango Mid Night ci finì comunque.

Momoya guardò scandalizzata il cavallo correre in avanti senza controllo, mentre una buona metà degli sciamani che componevano la carovana si scostavano disperdendosi.

Quando poi realizzò che il ragazzo era riverso a terra, gli s'inginocchiò appresso.

"State bene?!"

Mid Night fece un cenno affermativo con la mano, rialzandosi da terra.

"Dannazione... quello stupido cavallo!"

"Ma che diavolo vi è preso?!"

Lui girò lentamente il capo verso la ragazza, gli occhi sgranati.

"Da quando parli in modo così colorito?"

Lei fu colta di sorpresa.

"C... cosa?"

"Mi stupisci Momoya. Prima sono rizzato a sedere nel sentirti rivolgermi la parola di tua iniziativa...! E ora parli come... come... una persona normale...?"

"Che state dicendo?!"

La ragazza si alzò, rossa in viso.

Un vecchio sciamano dall'aria burbera passò accanto a loro camminando con foga.

"Smettetela di rallentare la marcia!" gracchiò, poi si girò dall'altra parte e sputò nell'erba.

"Quell'uomo ha ragione dopotutto." convenne Momoya quando lo sciamano fu abbastanza lontano da non poter sentire, almeno teoricamente dato che non si sa più cosa aspettarsi dagli sciamani durante il torneo.

"Ma che cazzo! Quello lì non deve avermi riconosciuto!" ringhiò Mid Night ancora steso a terra.

La ragazza sospirò facendo ondeggiare al vento i biondi capelli, legati in una coda bassa.

"E' ovvio, avete il viso coperto di fango."

Si spolverò il modesto kimono cercando di scacciare della polvere invisibile e tornò a rivolgersi al compagno.

"Se rimarrete così ancora per molto, il Signor Hao si arrabbierà."

Mid Night si alzò velocemente, come si fosse appena reso conto di essere in una posizione poco decorosa, e accortosi della mancanza di un cavallo di riserva, prese a camminare sbuffando, seguito discretamente da Momoya.

"Prima dicevi che non sei abituata a parlare."

"Sì."

"Le schiavette come te non parlano?"

"Nel mio villaggio non ero una schiava."

"Dal tuo abito non si direbbe..." osservò dubbioso lui.

"..."

"E allora cos'eri?"

Momoya sembrò pensarci su.

"Bè..."

"Non mi pare una domanda molto difficile."

Seguirono alcuni minuti di silenzio.

"Ero una rinnegata, suppongo."

"Una di quelle che bruciano al rogo?"

"Sì."
"Ma allora perchè non ti hanno bruciato?"

Improvvisamente, Mid Night smise di sentire i passi di lei sulla sabbia.

Vi fu una forse folata di vento, poi più nulla.

Si voltò lentamente.

Nessuna traccia della ragazzina.

"Momoya, non ho nessuna voglia di giocare." sibilò, crudele.

...

"Le fiamme li hanno divorati.

*Loro* sono bruciati.

Sono bruciati tutti."

 

Fu il soffio del vento a parlare.

Oppure no...?

Certamente l'aria frusciava irregolarmente sul suo viso e sulla sua pelle.

 

"Ti sei chiesto, Mid Night, perchè io sono sopravvissuta?"

 

Dunque non solo aveva smesso di dargli del *voi*, ma lo chiamava perfino per nome.

"Molto interessante, Momoya." sorrise lui. "Mi chiedo se valga la pena parlarne con Hao."

***

"Che succede Yoh?" azzardò Manta con voce tremante.

Forse si era sbagliato.

Forse le condizioni del suo amico erano molto più gravi di quanto credesse.

Ed era colpa sua.

Così il silenzio scivolò furtivo nella stanza, insinuandosi in ogni petto, coprendo ogni spiraglio di luce illuminasse ancora il cuore di Manta.

Fu Yoh a romperlo.

"Ho perso la gara, e Faust ha superato le fasi eliminatorie."

Il ragazzino sbarrò gli occhi fissi a terra.

Che stupido, doveva aspettarselo dopo i giorni di silenzio e l'esitazione di Tsukay.

Però non era pronto a parare il colpo quando era arrivato.

"Yoh... scusa, perdonami! E' tutta colpa mia! Se Faust non mi avesse preso..."

"Già, è proprio così." lo interruppe freddo l'altro.

Sul momento, Manta non capì.

"C-cosa?"

"Sei scappato come un cretino quando ti avevo detto di restare dov'eri!"

"Ma..."

"Mi hai fatto perdere il tempo e la calma facendoti catturare!"

"Però io..."

"E per colpa tua il traguardo ora è più lontano!"

"Cosa vorresti dire?"

Yoh alzò lo sguardo su di lui.

Uno sguardo che la maggior parte dei presenti non aveva mai visto su quel volto eternamente felice. Manta pensò che mai avrebbe desiderato scoprirlo.

E poi una parola, lenta, inesorabile, dalle sillabe crudelmente scandite, uscì da quelle labbra di solito arricciate in una smorfia sorniona e divertente.

"Sparisci."

***

Dicono che l'acqua che scorre sui corpi puri possa lavare via la sofferenza dei dannati.

Mentre Manta scappava lontano da quella stanza d'ospedale, si chiese stupidamente se le sue lacrime sarebbero bastate a lavare via le sue di sofferenze, puro o dannato che fosse.

Gli ultimi *saluti* di Anna gli martellavano ancora nel cervello.

"Noi ce ne andiamo."

"Torniamo a Izumo, il paese d'origine di Tamao e di Yoh."

"Tsukay resterà nella nostra casa a Tokyo. Per favore, avvertila della nostra partenza e porta via le tue cose."

"Se vuoi un consiglio, dimentica l'esistenza degli sciamani."

"Ciao Manta."

......

"MI dispiace."

 

 

Continua...

 

Prossimo capitolo: Native Village

  
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