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Autore: Lady Lynx    22/09/2011    2 recensioni
[Big Damn Table]
Albus Silente.
100 importanti passaggi della vita di un Mago che ha scritto la Storia.
Dal Capitolo 41:
“Egregio Signor Silente, come dedica alla Sua importantissima vittoria contro il Mago Oscuro Grindelwald e come celebrazione del ricevimento dell’Ordine di Merlino, la Ditta Mielandia & Co. Le manda questa confezione di Cioccorane contenenti la figurina rappresentante la Sua importante persona, sperando che Le sia gradita.
In attesa di istruzioni al riguardo e di un Suo permesso per l’eventuale divulgazione del prodotto,
Le porgo i miei migliori saluti.
Candice Lollels, Responsabile Capo Mielandia”

Storia scritta senza scopo di lucro. I personaggi appartengono a J.K. Rowling.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald, Minerva McGranitt
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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40. Mors tua, vita mea

Prompt: 075. Ombra

Periodo: maggio 1945
Narratore: Albus Silente/Gellert Grindelwald
Rating: Arancione
Genere: Triste, Sentimentale
Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald

Un brivido percorse la mia spina dorsale, quando vidi il lembo di un mantello lilla apparire fuggente tra le fitte fronde scure degli alberi che ci separavano.
Non era freddo, ma paura.
Non era paura, ma eccitazione.
Non era eccitazione, era… consapevolezza.
Sì, la consapevolezza della vicinanza dell’unico uomo che io avessi mai amato.
L’eccitazione nel sapere che in poche ore ci saremmo giocati la nostra vita.
La paura nel pensare che avrebbe potuto essere lui il vincitore.
Il freddo nel cuore nel riflettere su quanto avessi perso.
Non era più solo un mantello lilla davanti a me, era Albus.
Il duello stava per iniziare.

- Gellert… - lo salutai rigidamente con un cenno del capo, stringendo convulsamente la bacchetta tra le mie nodose dita da vecchio.
Mi trovava ancora affascinante quanto io trovavo lui? Pensava ancora a me come a un amante, nonostante i capelli argentati, il viso rugoso, le membra tremanti?
- Albus… è da molto tempo che non ci vediamo… -
- Troppo, Gellert… -
- Ma se non ti avessi chiamato io, tu non ti saresti sognato mai di venire a trovarmi, vero? – mi provocò con un sorriso accattivante, come ai vecchi tempi.
- Non ti ho mai dimenticato, Gellert… - dissi con voce chiara e sincera, fremendo di rabbia contro me stesso nel ricordare che la mia sorellina era finita sottoterra a causa sua.
- Nemmeno io… – replicò lui, muovendo leggermente i suoi riccioli ancora dorati.

Per quanto saremmo restati fermi in quella radura a scambiarci convenevoli?
Non avevo passato le venti notti precedenti ad attendere con ansia il momento in cui l’avrei abbattuto senza pietà con un raggio di scintille verdi?
Allora perché esitavo così tanto?
- Immagino tu sia riuscito a trovare i Doni della Morte – continuò a parlare Albus, con la sua immutabile voce calma e coinvolgente – Sei sempre stato più ambizioso e intraprendente di me, questo ti fa onore –
- Non li avrei mai scoperti senza di te… - replicai mio malgrado.
- Ti ringrazio per la magnanimità… -
Era sincerità quella che avevo sentito nella sua voce, non ironia?
Era rispetto quello che brillava nei suoi occhi celesti, non disprezzo?
Era nostalgia quella che lo portava a rivolgermi ancora la parola, non rancore?
- Devo ucciderti, Albus… - mormorai lentamente, mentre per un attimo sentii il mio proposito vacillare davanti allo sguardo di rimprovero che tanto avevo temuto di ricevere.
- Sì, lo so –

- Allora perché non ti fai scudo con la bacchetta? Perché tieni il braccio penzoloni, sei così felice di morire? – mi chiese Gellert, con un tono tra il beffardo e il sorpreso.
- Oggi non morirà nessuno… – gli risposi deciso, mentre la mia bacchetta sprizzava una serie di scintille fiordaliso come gli occhi del mio avversario.
- Credi che io ti abbia chiamato qui per una scopata amichevole come quando eravamo ragazzini, Albus? Non è così! – ringhiò lui, sembrando improvvisamente arrabbiato.
- Non ne dubito, Gellert, ma credo che nessuno dei due voglia uccidere l’altro… -
- Quanto sei ingenuo, Albus… non sei cambiato per niente… - commentò il mio antico amante, avanzando lentamente verso di me – Scommetto che se io ti dicessi di rivolgermi senza paura la parte migliore di te per fare in modo che possa donarti il piacere che vuoi, tu ci cascheresti di nuovo… come ai vecchi tempi… -
- Mettimi alla prova – replicai asciutto, temendo che avesse ragione.
Una scintilla di sorpresa, prima che il suo sguardo decidesse di accogliere la sfida.
- Allora, Albus, ti va un’ultima unione di due corpi perfetti prima della morte? – sibilò con uno sguardo tremendamente invitante e la sua deliziosa voce suadente.

Vidi il suo labbro superiore tremare un attimo, come se fosse stato tentato dalla mia proposta.
Era un agnellino, ed io ero il leone che anelava a divorarselo.
Stava per cedere, lo sentivo.
Chi non l’avrebbe fatto? Quella prospettiva allettava incredibilmente anche me.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo assaggiato il dolce sapore della pelle candida di Albus, respirato il profumo pungente della sua chioma infuocata, ascoltato il ritmo dei suoi sospiri musicali?
Troppo per i miei gusti, troppo per la mia debole resistenza.
Ma qualcosa mi fece accorgere del fatto che Albus, nel periodo della nostra lontananza, era stato fortificato da qualcosa a me sconosciuto.
Sapevo che stava pensando a sua sorella, la vittima giustamente sacrificata per il raggiungimento del Bene Superiore.
Vedevo il riflesso di quella bambina silenziosa sulla superficie dei suoi occhi improvvisamente scuriti.
- No – ribatté lui con voce impregnata di una fredda furia – duelliamo –

Alzai la bacchetta al cielo, cercai di non pensare all’identità della persona che avevo davanti.
Stavo per duellare strenuamente per avere giustizia per la morte ingiusta di Ariana.
Non era Gellert, quello che avevo davanti. Era un’ombra.
Stavo per attaccare con decisione per la salvezza della mia patria e dell’intera Europa.
Ma non avrei colpito il mio Gellert, quello non era più l’amante che tanto avevo desiderato.
Stavo per lasciare che un incantesimo iniziasse la lotta per la conquista della libertà.
E non era qualcosa puntato a colpire il mio migliore amico d’adolescenza, la persona con cui avevo condiviso la ricerca del Bene Superiore e le idee in cui credevo ciecamente.
La mano mi tremò, mentre abbassavo la bacchetta mirando al petto di Gellert, mentre il mio sguardo cadeva sulla veste perfettamente aderente al suo corpo ancora tonico a dispetto dell’età, passando per i riccioli da angelo e lo sguardo brillante.
Stavo per mollare, per dirmi che era ancora possibile fermarmi per unirmi a lui come avevo tanto progettato in gioventù.
Ma gli occhi videro il demoniaco mantello porpora incorniciare quello spettacolo mozzafiato.
Qualcosa in me si risvegliò.

- Stupeficium! –
Sobbalzai sorpreso nel sentire la voce tonante di Albus, nell’accorgermi che alla fine aveva deciso.
Mi aveva attaccato.
- Protego! Crucio! – urlai di rimando, troppo sconvolto per mettermi subito nell’ottica del doverlo uccidere.
Quando avevo mandato la lettera al Ministero della Magia inglese, quasi due anni prima, avevo chiesto espressamente di poter duellare con Albus Silente.
Non perché volessi davvero ucciderlo o perché fossi convinto che gli altri miei eventuali avversari non sarebbero stati alla mia altezza.
L’avevo fatto perché nutrivo una speranza che il ragazzo, l’uomo, con cui avevo condiviso i miei progetti ormai realizzati potesse tornare ad essere un fondamentale elemento al mio fianco.
Avevo passato notti insonni a rimuginare su come sarebbe stato perfetto un governo mondiale diviso solo tra me e lui.
A quanto sarebbe stato facile manipolare le folle con il talento diplomatico di Albus e soggiogarle in caso di rivolta con la mia spietatezza.
Insieme eravamo perfetti, insieme eravamo il simbolo del Bene Superiore.
Per quel motivo il suo incantesimo mi aveva preso alla sprovvista, solo perché la scintilla della speranza di una riunione era ancora vivida in me.
La mia mano andava da sola, rispondeva automaticamente ai suoi attacchi, mentre la mia mente viaggiava rapida e sfogliava tutto quello che avevamo passato insieme.
Perché ero stato così sciocco da credere che Albus potesse perdonarmi dopo quello che era successo durante l’ultima sera trascorsa insieme a Godric’s Hollow?

Notavo una certa abilità apatica in Gellert, un riflesso che lo spingeva a replicare in modo blando alle mie altrettanto blande fatture.
Non volevo ucciderlo, non volevo ferirlo, volevo semplicemente tenerlo a bada.
Era triste notare come ancora, dopo tutto quel tempo, non riuscissi ad odiarlo profondamente.
In fondo era colpa sua se Aberforth mi aveva lasciato da solo, se Ariana era morta, se ancora temevo di essere stato io a sferrarle il colpo fatale.
Ancora più assurdo era vedere neutralità nei suoi occhi, nessuna traccia della rabbia che credevo l’avesse portato a lasciarsi alle spalle una lunga striscia di vittime in tutti gli Stati europei.
Pensai quasi per un attimo che Gellert fosse a sua volta una vittima delle circostanze, che fosse stato incastrato dai Capi di Stato Babbani, scelto come un capro espiatorio da immolare davanti al Governo Magico.
Credevo nella sua innocenza con tutto il mio cuore. Avrei voluto crederci.
Avrei smesso di tempestarlo di scintille impazzite se solo, all’improvviso, non mi fossi ricordato che Gellert era astuto, intelligente, brillante, potente e senza scrupoli.
Questo significava che nessuno dei tanti sciocchi Babbani, per quanto politicamente influenti, avrebbe potuto incastrarlo in nessun modo.
Allora perché continuavo a volerlo vedere come un diabolico angelo?

Fermai per un attimo il mio corso di pensieri, mi accorsi che anche la mente di Albus sembrava lavorare febbrilmente.
Eravamo come due pupazzi in quella radura, fisicamente uno contro l’altro, mentalmente troppo vicini e alleati.
Uno dei due avrebbe mai osato sferrare il colpo fatale?
Mio malgrado, temevo che avremmo potuto restare a duellare in parità per tutta la nostra vita.
Non ero più così bendisposto nei confronti dell’Avada Kedavra.
La mia coscienza – solo in quel momento mi accorsi di averne una – mi stava dicendo che uccidere la persona che amavo sarebbe stato sbagliato e controproducente.
Perché io sapevo di amare ancora Albus, nonostante tutto.
E sapevo che anche lui, nonostante tutto, mi amava.

Mi chiesi cosa stesse aspettando Gellert per decidersi a sferrare il suo asso nella manica.
Entrambi sapevamo che non si sarebbe mai fatto scrupoli a lanciare un Avada Kedavra contro chiunque avesse osato sfidarlo.
Perché io avrei dovuto fare eccezione, allora?
Incontrai di nuovo il suo sguardo, lanciai un silenzioso Schiantesimo al suo indirizzo, vidi troppo tardi che aveva abbassato la bacchetta al suolo come in segno di resa.
Osservai l’arco elegante che descrisse il suo corpo – con il mantello che formava due vellutate ali porpora dietro alle sue spalle – prima di atterrare pesantemente sul terreno verde, a pochi metri da uno degli alberi che ci circondavano.
Vidi le sue labbra socchiudersi per una frazione di secondo, lasciando salire al cielo un gemito di dolore dovuto al contraccolpo.
Mi sentii in colpa, abbassai a mia volta la bacchetta.

- Gesto stupido, Albus! – gli dissi immediatamente, appena mi accorsi che il mio avversario aveva abbassato la guardia – Avada Kedavra! –
Il mio istinto prevalse sul mio cuore, la mia superbia scavalcò la mia coscienza, la mia voglia di potere e vittoria era più forte del desiderio di perdono e comprensione.
Non avrei lasciato che Albus, per quanto lo amassi, vincesse e sembrasse migliore di me.
Non lo avrei permesso.
Ero io quello che era sempre stato sopra, no?
“Mors tua, vita mea”
Lo pensai con sicurezza, fino a quando non vidi che uno scudo violetto aveva bloccato la Maledizione che mai nessuno era riuscito ad evitare.
Mai. Nessuno.
- Expelliarmus –
Una parola, seria e fredda. Un incantesimo detto con pietà, un pizzico di compassione, e tanta furia alle spalle.
Albus mi voleva risparmiare la vita, ma non l’umiliazione di giacere sconfitto ai suoi piedi.

Sospirai, stringendo nelle mani la corta bacchetta di Gellert.
Inspirai a fondo, senza riuscire però a sorridere davanti alla mia vittoria.
Perché, come avevo promesso all’inizio di quella vicenda, non ci sarebbe stato un morto.
Ma era logico e necessario che ci fosse un vincitore per mettere fine al terrore che aveva oppresso fino a quel momento un intero continente.
- Alzati – dissi con tono distaccato, senza riuscire a guardare l’uomo che restava immobile a terra, fissandomi con sorpresa e sguardo umiliato.
- Gellert, per un attimo avevo creduto che non l’avresti fatto… per un attimo avevo…  -
Mi interruppi, un nodo mi strinse la gola. Non volevo piangere per Gellert.
Non volevo piangere per chi mi aveva fatto piangere.

Ricambiai a fatica lo sguardo celeste di Albus.
Sembrava deluso, ferito. Non c’era trionfo, non c’era quello che avrei provato io al suo posto.
Era davvero cambiato tutto, nel giro di un semplice incantesimo.
Obbedii senza battere ciglio, quando mi fece cenno di alzarmi e precederlo.
La schiena mi faceva male per il suo Schiantesimo, il cuore mi tormentava per le sue parole.
Non mi lamentai, camminai stoicamente davanti a lui, tentando di capire cosa gli stesse passando per la testa a seconda della sua andatura.
Sì, riconoscevo i suoi pensieri seguendo la rapidità dei suoi passi, a volte.
Lo amavo, in fondo.

Mi sentivo svuotato, fin troppo intorpidito in tutte le parti del mio corpo.
Avrei portato Gellert fuori dalla radura, l’avrei consegnato alle autorità.
Non avrei permesso che lo privassero della vita, quello no.
Tantomeno dell’anima. Sarebbe stato troppo penoso rendermi responsabile anche della sua infelicità.
- Albus… ti devo dire due cose… - mormorò lui, senza il tono baldanzoso e imperioso che tanto lo caratterizzava in gioventù.
Emisi uno sbuffo, dandogli il permesso di parlare. Sapevo che avrebbe capito.
- La prima è che tieni in mano la Stecca della Morte… la mia bacchetta… -
Avrei dovuto essere felice, in teoria. Ma non lo ero.
Nascosi rapidamente il cimelio conquistato nel mio mantello lilla, era il simbolo della vergogna.
Era quello che cercavamo in gioventù, quello che mi aveva portato a mettere Gellert davanti ad Ariana.
- E poi… ti amo… -
Scossi la testa, pensando per un attimo – ancora – che avrei potuto lasciar andare libero Gellert dicendo a tutti quelli che avevano riposto la loro fiducia in me che in realtà l’avevo ucciso.
Ma a cosa sarebbe servito?
Inspirai di nuovo profondamente, cogliendo un vago odore di rose nell’aria.
Ariana, quello era il giorno del suo compleanno.
- Anch’io, Gellert… anch’io ti amavo… -


Note dell'autrice

So bene di non essere la prima fanwriter ad essersi dilettata nello scrivere questo episodio. Il duello tra Gellert ed Albus è uno dei momenti più gettonati dagli ammiratori di questi due personaggi, ed è difficile essere originali.
Spero comunque che questa mia interpretazione possa piacervi, emozionarvi o - perché no - anche solo farvi indignare per la sua disarmante semplicità. Niente a che vedere con un duello epico, non è vero?
Grazie, come sempre, per la vostra presenza.

Lady Lynx
  
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