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Autore: CaptainKonny    22/09/2011    5 recensioni
Una one-shot che scrissi anni addietro dopo aver visionato un film horror. Spero vi piaccia.
[Recensite mi raccomando....] ;) :)
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    ONLY A MEMORY

Era un giorno d’inverno quando Hina arrivò all’orfanotrofio in Cina. Era situato poco oltre le mura della muraglia, in aperta campagna, così che i bambini potessero stare tranquilli. Il taxi si fermò proprio fuori dall’edificio. Quando scese, la neve e il vento la colpirono ferocemente. Prese dal portabagaglio la sua valigia marrone ed entrò. Più che una scuola sembrava un castello. Fuori era in pietra dentro rivestito di marmo bianco o nocciola. Davanti a lei si estendeva un lungo atrio, si sentì piccola piccola in una stanza così grande. Nessun rumore si sentiva. Posò la valigia a terra e iniziò a perlustrare la sala. I suoi occhi vagarono sulle vetrine contenenti strumenti e trofei, su quadri e su statue che presiedevano ai lati di alte colonne. La cosa che però la colpì di più fu il paesaggio che si intravedeva fuori dalle finestre. I prati ricoperti di neve candida, illuminata di rosa e arancione dalla debole luce del sole al tramonto. –Oh signorina Mirren!-. Hina si voltò. Una donna bassa sui 59 anni con corti capelli color rame le si avvicinò con fare elegante. Sembrava una di quelle signore antiche e ricche che esigono da tutti rispetto. –La preside Joanne immagino.- rispose la ragazza porgendo una mano, che la preside strinse con forza. –Ci è stato informato del suo ottimo livello di preparazione sia a scuola con i bambini. Siamo pienamente soddisfatti.- disse con voce lusinghiera la donna. Hina sorrise, imbarazzata da quei complimenti. –Venga le faccio vedere il posto.- disse la preside. Hina si fece guidare in silenzio per i tanti corridoi. Vide molte aule di studio, una grande biblioteca, un’aula video e un’aula per i giochi. La mensa era una stanza enorme con lunghi tavoli di pietra. I dormitori dei ragazzi erano al secondo piano. Dormivano tutti in un’unica stanza e, in parte, c’erano sgabuzzini e stanze per il personale. –Questa è la sua stanza.- proclamò la preside aprendo una porta bianca. La camera era piccola e buia. Sul fondo c’era un letto singolo con in parte un comodino, di fronte un bagno e di lato un armadio guardaroba. –La cena sarà servita alle otto. Se le serve qualcosa Alex, il suo collega, le potrà dare una mano.- finì prima di uscire. Hina sistemò i suoi vestiti nell’armadio. Le sembrò di essere tornata a scuola per un istante. Lei era là per dare una mano ai bambini: nei compiti, a giocare, nel caso avessero problemi ecc. Era la più piccola lì dentro a fare quel mestiere. Prima di scendere per la cena si mise l’uniforme che le era stato ordinato di mettere  per sapere chi era. L’abito era anche bello. Il tutto consisteva in una maglietta con una scollatura a “v” a maniche corte bianca, dei pantaloni lunghi bianchi e un paio di scarpe da ginnastica bianche. Sul petto aveva anche il tesserino di riconoscimento. Quel misero completo le donava, si abbinava perfettamente alla sua magrezza, ai capelli marroni lunghi fino alle spalle e gli occhi grigi, che di solito le causavano problemi. Per quella sera si legò i capelli in una coda di cavallo. Guardandosi allo specchio si rese conto di non essere più alta del metro e settanta. Alex, il suo nuovo collega, le si presento alle 7.30. Bussò alla porta della sua camera e quando lei aprì di trovò davanti un uomo alto circa 1.90, con occhi marroni penetranti, magrissimo, corti capelli marroni scuro, vestito come lei e dall’aria simpatica. –Tu devi essere Hina. Tanto piacere sono Alex.-. Hina, alquanto sconcertata e imbarazzata, gli strinse la mano e alla fine entrambi si misero a ridere per la loro goffaggine nelle presentazioni. Per il tempo che poterono parlare Hina scoprì che lui aveva 37 anni, ovvero vent’anni in più di lei e che era lì da cinque anni. –Quanti bambini ci sono qui?- chiese la ragazza interessata. –Ci sono circa 20 bambini e, che rimanga tra noi due, la preside e il dottore li odiano.- rispose lui in un bisbiglio. –Che dottore?- chiese lei all’oscuro di tutto. –Ah Frank non l’hai ancora conosciuto. E’ il migliore nel suo lavoro, però certe volte è antipatico.- disse semplicemente lui. –Ho sentito che tu fai medicina!- esclamò il collega eccitato. –L’ho fatto solo per quattro anni però sì.- rispose lei con una nota d’orgoglio nella voce –Allora con Frank ne vedremo delle belle.- concluse lui. –Ma scusa se odiano i bambini perché fanno questo lavoro?- domandò Hina. –A quanto ne so la preside ha ricevuto in eredità questo posto con l’incarico di farlo andare avanti e il dottore è stato messo nella clausola.- spiegò Alex. –Ma scusa non potevano rifiutare?- chiese la ragazza senza comprendere quella decisione. Alex negò. –No, perché solo loro potevano farlo andare avanti, con il divieto di cedere la proprietà o abbandonarla, finchè non fossero stati troppo vecchi.- rispose semplicemente Alex con aria seria. Scesero giusto in tempo per la cena. Ancora prima di entrare nella stanza si sentivano le voci dei bambini. Quando entrarono, furono accolti da un chiasso infernale. Alex la condusse al tavolo dove c’erano i ragazzini che in futuro avrebbe dovuto aiutare, visto che ognuno aveva il suo gruppo. Un ragazzo con forse un anno in più di lei, stava cercando di ordinare il silenzio. –Meno male siete arrivati, non ce la faccio più.- disse cercando di contrastare le voci. –Mark questa è Hina. Hina lui è uno dei grandi del nostro gruppo, come noi.- li presentò Alex prima di sparire e ordinare il silenzio. I due si presentarono. Era simpatico come ragazzo e non poteva negare che fosse carino, con quell’ammasso di capelli biondo

 

 

 

 

 

 

marrone tirati indietro e il sorriso continuamente sulle labbra; era solo poco più alto di lei e magro. I

due si sedettero a tavola osservando Alex che pian piano riusciva a farsi ubbidire. Hina guardò tutti i ragazzi del suo tavolo che in definitiva erano cinque: due maschi e tre femmine, e poteva osservare che tutti parlavano, meno uno. Un bambino di circa dieci anni stava zitto osservando nel vuoto, serio. I capelli dritti, leggermente lunghi color paglia alla rinfusa, gli occhi azzurro-grigi persi nel vuoto e uno sguardo perso. Per cena mangiarono pasta e carne e, durante i pasti, nessuno fiatava. Soltanto una volta Hina riuscì a incontrare lo sguardo di quel bambino e si sentì che quel bambino non era come gli altri, avendone la conferma. Appena finirono di mangiare, in silenzio, tutti si avviarono ai propri dormitori. La sua piccola e buia stanzetta la accolse al freddo. Si distese sul letto e verificò, che il giorno dopo, sarebbe dovuta andare in biblioteca e poi aiutare i ragazzi. Ci mise poco ad addormentarsi e ben presto fu avvolta dalla piacevole sensazione di calore e riposo. A svegliarla furono dei colpi che risuonarono lontani e cupi nella sua testa, per farsi via via sempre più forti e vicini. Quando finalmente si svegliò, scoprì che i colpi erano quelli di qualcuno che stava bussando alla porta. Non appena si fu svegliata e riuscì a riconoscere i vari oggetti nella luce opaca del mattino invernale che entrava dalla finestra, andò ad aprire. Davanti a lei c’era Alex già sveglio ed arzillo, con un grande sorriso stampato in faccia. –Come? Ancora in pigiama? Forza è ora di cominciare.- le disse. Tutta quell’allegria la contagiò. Si vestì e lo raggiunse nella mensa insieme a Mark. Nell’entrare vide che al tavolo dove c’era la preside era seduto un uomo sui 58 anni, dallo sguardo serio e severo. –Chi è?- chiese ad Alex mentre si sedeva. –Quello? E’ il professor David, insegna fisica e storia ai ragazzi. E’ severo e molto duro. E’ molto difficile parlare con lui senza che lui ti dica qualcosa e ti faccia sentire un verme.- rispose Alex, sollevando solo per un attimo il capo dalla ciotola. –Lo vedremo.- ribattè Hina, convinta che la sua preparazione, dopotutto, valesse qualcosa. Dopo la colazione si recò in biblioteca, mise a posto i libri nei propri scaffali, e pulì quello che c’era da pulire. Lì dentro le cose erano messe molto male come responsabilità e dovere. Trovò persino una piantina del castello, la quale, mostrava i due piani e le stanze presenti. Per tutta la mattinata girò per i corridoi, guardando in ogni stanza per sapere cosa c’era e conoscere prima il posto. Quando fece per riportare il foglio con la mappa in biblioteca si scontrò con un uomo. Non riuscì a finire di parlare che si pietrificò. L’uomo  che le stava davanti non era altro che il professor David. I corti capelli marroni ben pettinati, gli occhi blu elettrico per intimorire la gente e lo sguardo fermo per attestare che era una persona importante. –Oh professor David mi scusi.- disse lei cercando di non perdere le staffe proprio in quel momento. L’uomo la guardò per un istante, poi disse –Lei deve essere la nuova aiutante, benvenuta. Ho sentito dalla preside che la sua preparazione è ottima, bè, meglio così, quelli che c’erano in precedenza facevano pena. Bè, buona giornata e buon lavoro.- se ne andò con un sorrisetto sulle labbra che lasciò Hina con un misto di rabbia e disagio. Quando arrivò l’ora del pranzo era ancora stravolta dall’incontro con l’insegnante. –Hei come è andato il tuo primo giorno?- le chiese Mark non appena si fu seduta. –Non dire niente! Mi sono scontrata con David, non so come ho fatto a resistere a quella sensazione di strangolarlo.- rispose cercando di scaricare un po’ la tensione. –Calmati Hina sei troppo tesa. Non badare a quello che dice, in fin dei conti lui non ti può dir niente, tu non sei una sua alunna. Ma non per questo non sarà in grado di farti passare il soggiorno qui in un inferno. Dovrai essere capace a giostrare la vita e lui. Se riuscirai a farlo non ti potrà dire più niente.- disse Alex. Hina si meravigliava di come, in così poco tempo, aveva trovato due amici che la aiutavano e la sostenevano. Quel posto le sembrava tutto strano, proprio come la prima volta, quando l’aveva visto dall’esterno, però si sentiva a casa. Sapeva cosa doveva fare e che se ci voleva rimanere doveva lottare con tutto quello che aveva, rischiando tutto. –Hei Hina parlaci un po’ di te.- disse ad un tratto Mark. –Sì. Sei qui già da un giorno e non sappiamo nemmeno chi sei.- concordò Alex. Hina fu colta alla sprovvista. Non le era mai stato chiesto di parlare di stessa. –Che dire?! Ho 17 anni, vengo da New York. Sono nata il 21 marzo. I miei genitori sono morti in uno scontro fra treni; poi…- iniziò incerta. –Mi dispiace.- la interruppe Mark sinceramente addolorato. –Quindi anche tu sei cresciuta in un orfanotrofio?- chiese Alex; Hina annuì. –Sì! Per questo voglio fare questo mestiere, per dare l’affetto a chi non può averne dai genitori. Cosa che dove c’ero io non si poteva fare. Non ho mai avuto grandi amici o affetti.- rispose la ragazza, serissima. –Qual è il tuo hobby?- chiese il ragazzo con un sorriso sgargiante sulle labbra. –Allora mi piace leggere, suonare la chitarra e disegnare.- rispose lei ricambiando il sorriso. –Allora…Dicci un pregio e un tuo difetto.- disse Alex. La testa appoggiata alla mano. –Un mio pregio è saper cucinare, i dolci in particolare. E un mio difetto è quello di

 

 

 

 

 

 

essere testarda.- rispose pensando bene a cosa dire. –Il tuo colore preferito?- chiese Mark. –Il rosso.- fece lei. –Il tuo cibo preferito?- intervenne Alex ridendo anche lui. –Questa è difficile! Allora… le polpette.- rispose. –L’animale preferito?- chiese Mark –Il lupo.- rispose lei. Ormai tutti

erano contagiati dalle risate, tanto che avevano le lacrime agli occhi. Quel pomeriggio si ritrovarono nella sala giochi, dove erano radunati tutti i bambini del loro gruppo. Alessia, la più grande dei cinque, era intenta a leggere un libro di favole; Julia, invece, stava giocando con una bambola; Tracy stava facendo un bel disegno colorato; Simon stava giocando con  le macchinine. Solo un bambino stava in disparte a guardare una tavoletta con disegnate le lettere dell’alfabeto e sopra ci stava una freccia di ferro che si poteva muovere per segnalarle. –Chi è?- chiese a Mark, seduto in disparte a studiare. –Oh lui è Toshio. Non parla quasi mai con gli altri. Ha un atteggiamento strano.- rispose il ragazzo prima di immergersi di nuovo nella lettura. Hina si avvicinò a quel bambino che, anche se come aveva detto Mark, era strano, la incuriosiva. –Hei ciao.- lo salutò lei, accucciandosi lì in parte. Il bambino la guardò solo per un istante, poi distolse di nuovo lo sguardo. Hina non aveva per nulla intenzione di arrendersi e si sedette a gambe incrociate davanti a lui. -–o mi chiamo Hina e tu?- gli chiese. Toshio prese la freccettina di metallo e, sulla tavoletta, segnò il suo nome. –Toshio! E’ un bel nome.- disse lei. Il piccolo non rispose. Era difficile con lui, ma Hina sapeva che ce l’avrebbe fatta. –Deve essere proprio divertente questa tavoletta se ci giochi così tanto!- esclamò d’un tratto. –Non è per giocare.- ribattè lui, quasi arrabbiato. –Allora a cosa serve?- chiese Hina. –Per parlare.- rispose lui, quasi in un bisbiglio. –Con chi?- chiese Hina senza capire. –Con Reich.- rispose lui semplicemente. –Chi è Reich?- domandò ancora la ragazza. Non sapeva perché, ma quell’argomento e quel bambino la coinvolgevano troppo. –Una persona.- rispose lui. Le loro voci erano diventate quasi dei sussurri. –E’ tra noi?-, lui negò con il capo. –E’ tra noi, ma noi non sappiamo lui chi è. Vede, parla, sente, tocca. Può fare tutto tranne che andare via di qui. E’ uno spirito oscuro legato al passato.- rispose il bambino. Senza sapere il perché, Hina si sentì la bocca dello stomaco chiudersi. –L’hai visto? Ci parli?- chiese Hina. –L’ho visto. Ma ormai è da molto che non parla. Non so nemmeno come trovarlo.- rispose semplicemente. Anche lui era diventato molto teso. Poco lontano Alex li stava ad osservare, anche se loro non si erano accorti di niente. E parte del discorso lo aveva capito. Quella sera, dopo cena, mentre stava per andare in camera, Alex la chiamò. –Hina?-. Lei lo guardò, bloccandosi con la mano sulla maniglia della porta. –Tutto bene?- le chiese avvicinandosi a lei. –Sì certamente.- rispose lei.- Senti. Ho visto che oggi stavi parlando con Toshio. Voglio essere franco con te, quel ragazzo mi preoccupa. Si comporta in modo strano e, per quel che ne so, non ha avuto una vita brillante. Di cosa stavate parlando?- chiese –Del suo strano modo di comunicare con gli altri.- rispose. Entrambi sapevano che solo in parte era vero, ma nessuno disse niente. –Bè. Allora ‘notte.- la salutò lui con un grande sorriso. Lei contraccambiò e poi andò a dormire. Il mattino dopo si svegliò all’ora giusta e non ci fu nemmeno bisogno che Alex la chiamasse per la colazione. Quando arrivò di sotto Mark era già lì, Alex arrivò più tardi. Fu piacevole far colazione con loro. Si parlava, di rideva. Tuttavia Hina sentì come un’apprensione come se fosse tutto uno scherzo. Anche quella mattina andò in biblioteca e si sedette ad un tavolo davanti all’entrata a leggere un libro che parlava della storia della scuola. Verso le dieci sentì la porta aprirsi. Alzò la testa e vide Toshio accompagnato da un uomo alto e ben piantato, che lo conduceva in un angolo della stanza. Le cose che l’attiravano di più verso quell’uomo  erano i suoi capelli grigi, che invece di farlo sembrare più vecchio, lo facevano sembrare giovane e affascinante, e i suoi occhi azzurro ghiaccio che riuscivano a tenere a bada tutti. Dopo che ebbe finito di parlare con il bibliotecario, Hina decise di chiedergli del bambino. –Mi scusi! Come mai Toshio non è in classe?- gli chiese. Quando lui la guardò si sentì a disagio; ma non era una che si arrendeva facilmente. –Lei è uno dei suoi controllori?- le chiese l’uomo; lei annuì. –Toshio ha fatto di nuovo arrabbiare il professor David. Sinceramente non mi dispiace. Toshio odia quell’uomo e fa di tutto per rendergli la vita impossibile. D’altra parte anche io non ce l’ho proprio in simpatia.- rispose infine. Quando lui vide però, che lei non smetteva di guardarlo, capì che si era dimenticato di presentarsi. –Oh! Mi scusi! Io sono Liroy, professore di studi sociali.- disse porgendo la mano. –Io sono Hina.- di affrettò lei ricambiando la stretta di mano. Continuarono a parlare per un’ora, prima che iniziasse la lezione di studi sociali e, alla fine, potè concludere che quel professore era un bravo e simpatico insegnante. Una volta che se ne fu andato Hina riprese il volume che stava leggendo e ricominciò a sfogliarlo. Le pagine erano gialle e la scrittura quasi del tutto svanita. I disegni si

vedevano a malapena. Continuò a girare le pagine, finchè non vide una vecchia piantina del

 

 

 

 

 

 

castello; solo che era strana. Non c’erano due piani come nella cartina attuale, bensì tre. E questo era raggiungibile grazie a una scala collegata ad una stanza del secondo piano. –E’ lì che vive.- disse una voce dietro di lei. Quando Hina si girò, si trovò faccia a faccia con Toshio; sembrava spaventato e un po’ lo era anche lei. –Chi? Chi vive lì?- chiese lei titubante. –Reich.- rispose questo. In quel momento Liroy lo chiamò e Hina rimase da sola. Da quando era arrivata, tutti quelli che erano con lei le avevano detto che Toshio aveva dei problemi e strane fantasie, eppure a lei non sembrava che mentisse. Le sembrava che fosse convinto di quello che diceva e lei ci credeva. Non sapeva perché, ma sentiva che quel bambino non mentiva. Che era legato a qualcosa, o qualcuno. Qualcosa che, da quando lei aveva voluto sapere, era diventata parte anche di lei. Un misto di paura, curiosità e agitazione la colpirono, attanagliandole lo stomaco, cercando ognuna di sopraffare l’altra. Per trovare anche solo una scusa per dire che si stava immaginando tutto, si mise a cercare tra tutti i libri della biblioteca altre cartine; si ridusse persino a cercare su Internet e, alla fine, i suoi sospetti erano fondati non si stava immaginando niente. Per sfuggire a quei sentimenti Hina cercò di non pensarci. Aspettò il pomeriggio per dare una mano ai bambini e poi si fermò a parlare con Alex e Mark e, se capitava, anche con Liroy. Per i tre giorni che seguirono la vita continuò normalmente, senza problemi. Ma i dubbi si rimanifestavano la notte, riempiendole la testa di scale e piani segreti. Per tutto questo tempo non aveva parlato più con Toshio di quella storia, si limitava ad aiutarlo, anche se lui, ogni tanto, le lanciava delle occhiate come per vedere quando avrebbe capito che non sarebbe potuta fuggire da lì. Il pomeriggio del quarto giorno Julia si fece male. I tre controllori, lei compresa, e il medico si precipitarono da lei. Il dottore, Frank, si dedicò anima e corpo per curarle il meglio possibile la ferita. –Come stà dottore?- chiese Alex. –Ha fatto una bella caduta. Rimarrà in osservazione per qualche giorno.- rispose il medico. –Come?! La lascia così?- chiese Hina, sorpresa dall’indifferenza di quell’uomo. –Cosa dovrei fare per la precisione signorina?- domandò il dottore acido, guardandola in tralice –Restare con lei e controllare come va.- rispose senza esitare la ragazza. –Bè allora perché non incomincia lei, visto che se ne intende.- ribattè Frank. Hina non si fece scoraggiare, entrò nella stanza di Julia, che era addormentata, e rimase sempre con lei. Dormì per tutto il giorno e Hina non l’abbandonò, controllandola ogni volta che sospirava, tossiva o altro. Alle sei, prima di cena, venne da lei Toshio. Il piccolo prese una sedia e si mise vicino al letto, in parte a Hina. –Come stà?- chiese, gli occhi fissi su Julia. –Per il momento bene.- rispose Hina. –E’ tutta colpa sua.- disse con rabbia Toshio. –Chi?- chiese la ragazza senza capire. –Di Reich.- rispose seccamente il bambino. In quel momento Hina sentì qualcosa dentro di sé muoversi. –Toshio non credo che…-, -Lo so che non mi vuoi credere. Ma tu lo sai. Sai che stò dicendo la verità! Lei non lo sentiva più ormai, si era chiusa. Lui si è arrabbiato e l’ha spinta dalle scale. E’ così! Ci devi aiutare!- la interruppe il bambino osservandola dritta negli occhi. Lui aveva  ragione e per tutto quel tempo lei non aveva fatto altro che soffocare quel pensiero. –E se ti sbagliassi? E se dovessimo metterci a confronto con qualcosa di più grande di noi? Qui non si parla di me e te soltanto. Qui ci sono altre persone che non centrano niente. Non possiamo mettere a rischio la loro vita.- disse. –Se non lo facciamo noi lo farà lui.- le disse Toshio. Gli occhi del bambino si facevano sempre più lucidi. –Tu hai paura!- disse lui quando vide che lei non cercava di sentire e non gli dava risposta. –Sì ho paura.- confermò lei guardandolo negli occhi. –Ho paura di mettere in pericolo la vostra vita, di mettermi contro a delle forze molto più grandi di me. E poi, tu mi hai detto che è una persona che vediamo, ma non sappiamo chi è. E se fosse qualcuno in grado di batterci? Hai mai pensato a cosa potrebbe accaderci se falliamo? E se cadendo noi cadessero tutti? Li trascineremmo nel baratro.- continuò lei. Per un po’ di tempo nessuno parlò. Entrambi si erano resi conto che il problema che si ponevano di risolvere poteva essere più grande di loro. –Tu sei mai stato al terzo piano?- chiese d’un tratto Hina. Toshio la guardò. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, deciso e leggermente pallido. –No.- rispose tristemente. –Sai come arrivarci?- chiese ancora lei, lui scosse il capo. –A quanto ho capito è da molto tempo che quella stanza è chiusa e l’unica che ha le chiavi è la preside. – disse lui. –Ascoltami bene Toshio. Cercherò di risolvere il tuo problema, ma non voglio che tu faccia qualcosa. Dovrai starne fuori è chiaro?! Mi occuperò io di tutto. Intesi!- disse lei guardandolo decisa negli occhi. Il bambino accettò sorridendo per essere stato finalmente creduto. Dopo cena Mark venne a darle il cambio, così che lei potesse riposarsi un po’. Ma Hina aveva tutt’altro per la testa. Si recò al secondo piano e, cercando di orientarsi con la cartina cercò di individuare la stanza che dava accesso al terzo piano. Dopo molti sbagli giunse alla porta giusta. Il guaio era che, come aveva detto Toshio, questa era chiusa a chiave; e chi se non la preside possedeva la chiave? Come

 

 

 

 

 

 

per farlo apposta, proprio in quel momento la preside si materializzò all’inizio del corridoio. –Oh Hina tutto bene?- chiese questa con un gran sorriso, anche se Hina capì subito che era falso. –Sì grazie. Mi stavo giusto chiedendo che stanza era questa.- disse con noncuranza la ragazza. La donna prima guardò Hina e poi la porta. –Oh questo è uno sgabuzzino.- rispose semplicemente, cercando di liquidare in fretta l’argomento. –E come mai è chiuso?- chiese Hina, facendo fallire il disperato tentativo della preside. –E’ vecchio. Ormai quello che c’è dentro non serve più.- rispose lei. Si vedeva chiaramente che stava iniziando ad arrabbiarsi. –Ah un’altra cosa.- la fermò Hina. –Mi

spiega che posto è questo e come raggiungerlo?- domandò la ragazza indicando sul libro che aveva in mano il corridoio del terzo piano. –Questo posto non esiste. Apparteneva in precedenza a un luogo attaccato qui vicino. Poi, quando è stato distrutto, è stato distrutto pure il piano in comune. Perciò.- detto questo la donna si dileguò. Hina potè persino sentire il suo sospiro di sollievo mentre si allontanava. Dopo quella breve discussione, Hina potè concludere che la preside era molto convincente, ma lei sapeva che aveva mentito. Forse non sul fatto che la stanza era uno sgabuzzino, ma il resto era tutto una menzogna. Mentre discutevano aveva visto sul viso della donna una certa inquietudine, agitazione che la spaventavano. Forse c’era davvero qualcosa al terzo piano dopotutto. Anche se la tentazione di salire e far cessare tutto all’istante era grande, Hina decise che prima avrebbe raccolto più informazioni che poteva. Senza pensarci su due volte si diresse alla stanza di Alex. Il collega le aprì subito e la fece entrare nella stanza, identica alla sua; l’unica cosa che la differenziava era che nella sua c’era più luce. –Hina che ci fai qui?- chiese lui. –Alex tu sei qui da tanto tempo e volevo che mi parlassi del terzo piano.- rispose lei. Dall’espressione che fece l’amico, capì che l’argomento non era dei più piacevoli. –Hina io…-,-Lo so che tutti voi pensate che siano soltanto storie, ma credimi, non sono pazza. Lassù c’è veramente qualcosa. Ti prego parlamene. – lo interruppe lei. Alex la guardò serio per un lungo momento poi sospirò. –D’accordo.- e si sedette in parte a lei. –A quanto ne so il terzo piano è un corridoio come tutti gli altri, pieno di stanze. Non so se poi esista anche un quarto piano. Si dice che sia chiuso da vent’anni.- disse – E come mai è chiuso?- chiese Hina –Non lo so. Io non sono molto informato. Forse David, che insegna storia ed è qui da più  tempo, sa dirti qualcosa.- rispose lui. Hina distolse lo sguardo dal viso dell’amico e fissò pensierosa la porta d’entrata davanti a lei. –Hina. Non per essere noioso. Ma ti prego, dimentica questa storia, lascia perdere.- le disse, la sua voce quasi un sussurro. –Perché?- chiese lei. Stavolta fu lui a dover distogliere gli occhi da quelli di lei. –Si dice che molte persone abbiano tentato di svelare il mistero di quel posto, e proprio mentre stavano per risolverlo queste scomparivano. Alla fine venivano trovati morti o non li trovavano affatto. Hina queste non sono coincidenze. Quello che è nascosto deve rimanere tale. Non cacciarti nei guai.- rispose tornando a fissarla. –Alex, tutte le cose nascoste e misteriose devono essere svelate.- disse lei normalmente. Quando uscì andò nella sua camera a riposare. Quella storia le piaceva sempre meno, eppure la incuriosiva. Non si rese conto di quanto era stanca, tanto che appena toccò il materasso si addormentò. Il mattino dopo si svegliò presto e si recò nella stanza dove c’era Julia. Mark era crollato, non era riuscito a vincere la fatica. Appena lui la guardò, lei gli lanciò un sorriso benevolo e abbagliante. –Hei come va?- gli chiese. Mark alzò le spalle –Sembra bene per il momento, e tu?- le domandò lui. Hina decise che con i suoi amici poteva essere sincera, quindi gli raccontò tutto quello che era accaduto e cosa aveva intenzione di fare. L’amico la guardò e preoccupato. –Hina io ti credo. Ma ti confesso che questa storia non mi piace. Tutti sentono che lassù c’è qualcosa e ne hanno paura. Proprio per questo nessuno ci va. Anche se tu riuscissi a scoprire il mistero, quello che succederebbe lascerebbe il segno. Tutti quelli che si sono salvati per un breve tempo, secondo le voci, non sono mai tornati come prima.- fece il ragazzo alla fine. Hina si accorse che lui aveva la fronte imperlata di sudore. Un sudore freddo, di paura.- Posso capire Mark. Ma finche nessuno farà qualcosa tutti avranno paura. Io voglio svelare il mistero e ho bisogno di sapere che tu sei con me per andare avanti.- disse Hina dopo un po’. Mark rimase in silenzio qualche minuto, giusto il tempo di riflettere, poi disse- Sono con te. Ma ti prego di essere cauta e di stare attenta.-. Hina gli sorrise e poi scomparve per il corridoio. S’avviò decisa verso l’ufficio del professor David, ma quando dovette bussare il coraggio le venne meno. Quell’uomo la metteva a disagio e aveva il potere di farla sentire piccola e insignificante. Il cuore aveva preso a batterle all’impazzata. Deglutendo a fatica, bussò tre volte. Dall’interno provenne una voce bassa, che le disse di entrare. Con la mano sudata e tremante abbassò la maniglia e la porta s’aprì senza fare alcun rumore. La stanza era piena di scaffali con sopra miliardi di libri. In fondo c’era il professore seduto dietro alla scrivania, chino a scrivere

 

 

 

 

 

 

qualcosa e, davanti alla scrivania, c ‘erano due sedie. Hina entrò, chiuse la porta e attese di essere degnata di uno sguardo. –Oh signorina Mirren! Non mi sarei mai aspettato una visita proprio da lei.- disse lui, sollevando il capo, giusto per vedere chi fosse entrato; per poi tornare alle sue carte. – Se è per questo neanche io mi sarei mai immaginata a fare una cosa del genere, ma ho bisogno di alcune informazioni.- disse lei con tono deciso avanzando verso di lui e fermandosi a un metro dal tavolo. David chiuse la penna e si appoggiò allo schienale della sedia, guardandola interessato. –Molto bene! Si sieda dunque e mi parli del perché è qui.- la invitò. Lei si sedette sulla sedia alla sua destra e cercò, nel modo più rapido possibile, il modo in cui cominciare. Quando parlò, la sua voce era normale, senza titubanza, come in un’interrogazione. –Vede professore nel visitare il castello ho scoperto una porta al secondo piano e questa non si apre. Ho chiesto alla signora preside e mi ha detto che il terzo piano non esiste più e che era di proprietà di qualcun altro. E’ vero?-. Lui la fissò con i suoi occhi blu elettrici a lungo, esaminando attentamente ogni sua azione e comportamento. –A quanto pare mi sembra si sia già informata, quindi è inutile mentire. Allora! Il terzo piano è sempre stato di nostra proprietà e un giorno di vent’anni fa è stato chiuso.- rispose –Perché?- chiese lei. Il suo tono e il suo sguardo lo congelarono. In quel preciso momento lei voleva da lui tutto quello che le poteva dare e senza repliche.- Si dice sia morto qualcuno.- rispose distogliendo lo sguardo da lei –Un incidente?- chiese lei colta alla sprovvista da quella notizia. –Un incidente?- continuò. Il professore negò. – Non so molto al riguardo, però a quel che ho sentito, non è stato un incidente. – rispose in tono pacato. Stavolta toccò a Hina abbassare lo sguardo. Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. David la fissò e per un momento dimenticò di essere il crudele professore. –Chi è morto?- chiese lei una volta che ebbe ritrovato la parola e il coraggio di fare domande. –Questo non lo so.- rispose lui con un sospiro. –Lei sa chi è Reick?- domandò decisa ad andare avanti. –Ne ho sentito parlare. Toshio ve lo ha detto vero? Prima di lui c’è sempre stato qualcuno che diceva di averlo visto. Proprio in base a queste voci molte persone sono salite al terzo piano, dove si diceva vivesse. Non sono mai vissute a lungo queste persone. Adesso di dice che sono solo fantasie e che non c’è niente là sopra, ma è proprio perché sappiamo che c’è qualcosa che non ci vogliamo andare; abbiamo paura.- rispose lui –Vuole andare al terzo piano?- le chiese lui guardandola con attenzione. –Voglio solo svelare il mistero. Non voglio rimanere qui avendo paura.- rispose lei. –Anche Karin è voluta salire e quando è scesa, era terrorizzata, sconvolta. Subito dopo se ne è andata o se preferisce è scappata. Io non credo ci sia qualcosa là ormai a parte i topi; le chiedo solo di non fare sciocchezze.- disse. –Risolverò il mistero. Glielo prometto.- disse Hina e poi se ne andò. Karin era la ragazza che c’era prima di lei, di cui aveva preso il posto. E sentire che era scappata da quel luogo la terrorizzava. Ma ormai aveva fatto una promessa, non solo con il professore, ma anche con stessa, con l’intenzione di finire quello che molti, prima di lei, avevano iniziato. Pranzò insieme agli altri, in silenzio. –Hina cosa c’è?- le chiese d’un tratto Alex –Karin è scappata?- gli chiese lei fissandolo. –Aveva paura vero? Per questo se ne è andata.- gli disse. Gli occhi le si stavano per riempire di lacrime. Perché nessuno glielo aveva detto? Perché le avevano mentito?, si chiedeva; eppure no riusciva a trovare una risposta. I suoi amici rimasero in silenzio, sapevano che in parte era colpa loro se Hina veniva a conoscenza della verità proprio ora. Mentre finiva il suo pasto, un’idea attraversava la mente di Hina e questa si faceva sempre più concreta a mano a mano che il tempo passava. Così, finito di mangiare, andò in camera sua e si mise una maglietta rosa e un paio di jeans. Prese la borsa e uscì di corsa dall’edificio. Mentre usciva dal portone una mano le si strinse attorno al braccio, fermandola. –Dove vuoi andare?- le chiese Liroy. A quanto pareva, la notizia della sua missione, era ormai conosciuta da tutti. –Karin se ne è andata perché ha visto qualcosa. Voglio che mi racconti cos’è successo.- rispose lei –Hina ti stai immischiando in cose troppo grandi.- disse lui. –Senti non voglio vivere qui con il terrore di cosa sta sopra di me. Adesso scusami.- ribatte lei. Si liberò dalla sua stretta e si diresse a passo risoluto verso la strada più in basso. Prese la prima filo che trovò e si diresse a Tianjin, un piccolo paese vicino alla costa, dove si diceva Karin vivesse con i suoi genitori. Erano le tre del pomeriggio quando si fermò davanti a casa sua. Il cielo era ricoperto da nubi grigie e un piccolo venticello le scompigliava i capelli. Salì i quattro gradini che la separavano dall’ingresso e bussò alla porta di un colore verde scuro. Le venne ad aprire una donna alta e magra, con corti capelli biondi e il viso di un pallore spettrale. Hina avrebbe detto che fosse americana. –Sì?- le disse lei. –Mi scusi signora, sono Hina Mirren ho preso il posto di Karin all’orfanotrofio, potrei parlare con sua figlia un istante per favore?- chiese gentilmente la ragazza. Nel sentire il nome della figlia gli occhi della donna si

 

 

 

 

 

 

riempirono di lacrime. Un uomo di colore, un amico di famiglia, cinse le spalle della donna e le disse di andare a riposarsi, dopo di che la sua attenzione fu rivolta alla ragazza che gli si parava davanti. –Stava cercando Karin?- le chiese l’uomo. Hina annuì, intuendo che era successo qualcosa. –Mi dispiace doverle dire che è morta. Durante una gita in barca è caduta ed è affogata. In quei giorni, dopo che aveva lasciato il suo lavoro intendo, era diventata molto strana. Non parlava quasi più e si spaventava spesso. Sa dirmi il perché?- le chiese lui –Era proprio per quello che ero venuta. Pensavo che potesse dirmi qualcosa.- rispose Hina. –Io e lei non avevamo segreti, ma in questo caso ha preferito andare da una cartomante del paese, piuttosto brava a spiegare le origini delle cose.- disse lui. Hina, colpita da quella tragica notizia, non si arrese. Si diresse alla casa della cartomante e le si presentò dinanzi una donna giovane, a cui però si sarebbe detto che avesse visto secoli. La pelle bianca, gli occhi d’oro e i capelli marroni chiaro rossicci. Questa la codusse in una stanza buia e piena di scaffali e di stoffe colorate. Libri e pergamene giacevano sparsi dappertutto. Condusse la ragazza fino ad uno spazio tondo delimitato da delle tende colorate e al cui centro stavano un tavolino e due sedie. Sul tavolino brillava un’unica candela accesa, la sola fonte di luce presente. –Tu sei Hina vero? Sei qui per Karin.- le disse la donna una volta che si furono sedute al tavolo. –Sai dirmi cosa la turbava?- le chiese Hina, ammaliata da quella particolare persona. –Tu vuoi sapere di lei e del terzo piano dell’orfanotrofio vero?- le chiese di nuovo la donna. Hina annuì nuovamente. Quando gli occhi d’oro della cartomante incontrarono i suoi, si sentì attraversare da una specie di scossa. –Vedi Hina, Karin era tormentata dai sogni , dai fantasmi. Questi non la lasciavano mai: li vedeva di notte e ci pensava tutto il giorno; non riusciva ad accettarli. I fantasmi non possono nuocere, possono solo contribuire al nuocere. I fantasmi sono degli spiriti, o delle anime come si suole chiamarle, che non appartengono a questo mondo. Ci rimangono solo quando c’è qualcosa che li lega qui anche dopo la morte. E in certi casi, possono provare anche dei sentimenti.- disse. Hina rimase sconcertata. –Ma… non bisogna avere un corpo per provare emozioni?- domandò la ragazza. La donna sorrise debolmente. –Oh no. I sentimenti e le sensazioni non provengono dagli organi, bensì dalla coscienza e nemmeno questa fa parte del corpo. Quindi uno spirito staccato dal corpo possiede ancora queste caratteristiche, mentre il corpo no.- rispose lei –Ma quello del terzo piano ha ucciso. Ma come può se è uno spirito?- chiese Hina –Vedi, ha fatto del male, eppure non era malvagio. A sua volta ha subito un torto in passato.-,-E come possiamo farlo tornare come prima?-,-Non lo so. Ognuno ha il suo modo, ma alla fine è per tutti la stessa cosa; bisogna risolvere il problema. Comunque sia, è vero è uno spirito, ma solo al di fuori del luogo in cui è. Se è morto in un luogo, lui tornerà in quel luogo e solo in quel luogo lui è come noi, in “carne” se così lo vuoi definire, altrimenti, fuori dal luogo, è solo uno spirito.-,-Ma come si fa se lui ti uccide appena ti avvicini alla soluzione?-,-Bisogna solo trovare il modo.- rispose questa in un sussurro. La cosa appariva a Hina sempre più chiara, ma anche sempre più impossibile a mano a mano che si raccoglievano informazioni. Quando uscì dalla casa la luce del giorno la accecò e, adesso che era venuta a conoscenza di alcune cose, il mondo tutto intorno a lei le sembrava diverso in qualche modo. Prese l’autobus e arrivò all’orfanotrofio che era notte inoltrata. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che pensare a quello che la cartomante le aveva detto. Appena si chiuse la porta della sua stanza alle spalle il buio l’avvolse e sembrò aderirle perfettamente attaccandosi a lei da ogni parte, soffocandola. Si mise il pigiama e andò a dormire. Durante le poche ore che aveva a disposizione per dormire fece un sogno strano. Era nel vuoto, in un buio profondo, sospesa senza cadere sul nulla. Delle ombre nere e viola le danzavano attorno, stringendo sempre di più il cerchio che formavano attorno al suo corpo. Finchè 3 anelli di fumo non la legarono. Uno alla gola, uno alla vita e uno alle caviglie. Alla fine, mentre stava per soffocare, si svegliò di siprassalto, la fronte madida di sudore e il  respiro accellerato. Dato che mancava poco all’ora del risveglio si preparò e uscì. Vide Mark seduto sulle scale e decise di confidarsi. Gli raccontò tutto quello che aveva scoperto e, alla notizia della morte di Karin, gli occhi gli si riempirono di lacrime e qualcosa lo spinse a continuare la risoluzione del mistero del terzo piano; Hina intuì che tra Karin e Mark doveva esserci stato qualcosa di molto più forte della semplice amicizia. –Che cosa ti serve?- le chiese il ragazzo. Hina stette un attimo in silenzio prima di rispondere. –Avrei bisogno delle schede di tutti i bambini che affermano di aver visto Reick.- disse alla fine. Mark salzò e si diresse subito di sotto. Mentre lo seguiva Hina sentì un tonfo provenire da uno stanzino. Rimase indietro e, silenziosamente aprì la porta. Era una stanza molto piccola piena di scaffali e scatoloni e, lì, al centro, c’era Toshio seduto per terra. –Toshio che ci fai qui?- gli chiese. Poi, tornando a guardare la

 

 

 

 

 

 

stanza, vide un buco quadrato sul soffitto; una botola. Hina intuì quello che poteva aver fatto il bambino. –Sei andato al terzo piano?- gli chiese. Toshio annuì. In quel momento la ragazza prese una decisione avventata. –Rimani qui.- gli disse. Aiutandosi con i mobili e gli scatoloni si arrampicò fino alla botola ed entrò. Il terzo piano si poteva dire che era costruito tutto in legno. Era lungo come gli altri due piani e aveva molte stanze. Una biblioteca, degli uffici e delle stanze per dormire. C’era anche una sala giochi. I giocattoli erano tutti per terra, impolverati dal tempo. In quel posto c’era una calma impressionante. Solo una persiana, mezza distrutta, mossa dal vento sbatteva ogni tanto. Quel luogo le metteva i brividi, appure si sentiva incapace di scappare. C’era anche una camera da letto singola, per un bambino considerando le dimensioni. Questa però, più che una stanza sembrava una prigione. Le sbarre alla finestra, una piccola lampadina come luce, un bagno disgustoso, una panca in legno e il letto basso e duro. Quando entrò sentì un forte senso di rabbia invaderla. Su un misero banco contro la finestra c’erano dei fogli scritti, dei disegni, una tavoletta con le lettere come quella che aveva Toshio e un libricino con scritto “Memorie”. La copertina rigida era di un rosso sbiadito e le pagine leggermente ingiallite. Lo prese in mano e in quello stesso momento udì uno schiocco. Si girò e sul letto c’era una piegatura, come se qualcuno ci fosse sdraiato. Questa si alzava e si abbassava regolarmente, come un respiro. Seguirono altri schiocchi e tutte le volte, la piegatura sussultava. Quando sembrò smettere, Hina allungò la mano verso la piegatura, ma appena fu a pochi centimetri da essa, la piegatura si accentuò e un urlo risuonò dappertutto. Hina indietreggiò ritraendo il braccio e cadde per terra spaventata. Sempre con in mano il diario si alzò e corse verso la botola fuori dalla stanza. Quando stette ormai per raggiungerla,  dietro ad essa si radunarono delle ombre nere e viola, come nel suo sogno, a formare l’ombra di un uomo. –Hina.- si sentì chiamare. Toshio era in parte a lei e le tirava un braccio. –Toshio! Ti avevo detto di non venire.- disse lei, ma le sue parole furono soffocate da un urlo di rabbia dell’ombra. –E’ arrabbiato. Dobbiamo scappare.- disse il bambino spaventato. Hina non se lo fece ripetere due volte; ma dove andare se alla botola c’era l’ombra? Toshio la guidò per 3 stanze e aprì una seconda botola, solo rettangolare. L’ombra dietro di loro, intanto, continuava a lanciare urli sempre più forti e il terreno aveva cominciato a tremare. Un vento impetuoso iniziò a frustargli il viso. Proprio mentre stavano per essere colpiti da degli oggetti scesero nella botola e questa si richiuse sopra di loro. La stanza era buia e loro erano su delle scale. Fecero cinque scalini e, a tentoni, si diressero alla porta. La botola iniziò a tremare, come se qualcuno di sopra volesse scendere. I due si affrettarono e quando uscirono e la porta fu richiusa, entrambi si sentirono meglio. –Era Reich vero?- gli chiese Hina e il bambino annuì. –Oh siete qui!- esclamò una voce. I due si voltarono e videro Mark avvicinarsi con in mano una ventina di cartelle. Il ragazzo li guardò sospettoso per un attimo –Non sarete andati di sopra vero?- chiese lui preoccupato. Hina annuì. La ragazza raccontò all’amico quello che le era successo e cosa aveva visto. Quando ebbe finito Mark era ancora più preoccupato del solito. –Tieni, queste sono le cartelle che mi hai chiesto.- disse lui porgendo a Hina le cartelle. Lei le prese cedendo invece al ragazzo il diario trovato. Il ragazzo si diede subito da fare leggendo il diaro, Hina prima di andarsene anche lei, ammonì Toshio, impedendogli di andare al terzo piano. Per la settimana che seguì Hina lavorò costantemente sulle cartelle, cercando qualcosa che accomunasse tutti quei venti bambini, tra cui c’era anche Toshio. Parallelamente, ogni notte, i suoi sogni diventavano sempre più reali. L’ombra che aveva visto aveva preso le sembianze di un uomo che non aveva mai visto da nessuna parte; per non contare che era anche carino. E, ogni notte, questo individuo la corteggiava in sogno, anche se a lei pareva che questo sogno, in realtà non fosse semplice fantasia, lei si stava davvero innamorando di quel ragazzo di cui non sapeva neanche il nome. Una notte, un rumore destò Hina che si sporse dalla finestra e, sotto di lei, disteso sull’erba del giardino, c’era Mark. Il viso pallido con un’espressione di terrore dipinta sopra, gli occhi spalancati, il corpo messo in una strana angolatura e sulla testa, un’enorme macchia di sangue. Si vestì e fece per scendere, ma una forza la tratteneva come per non seguire lo stesso destino del suo amico. Lei ignorò tutto. Scese e quando Alex le disse che era morto andò dove Mark stava lavorando. Scese a pian terreno e vide la porta della segreteria aperta. Un cassetto era aperto e molte cartelle sparse per il pavimento, così come alcune macchie di sangue. Sopra un cassettone di metallo c’era il diario che aveva  trovato al terzo piano, la copertina in fondo era aperta e all’interno si leggeva il nome di chi l’aveva scritto “Yoshi Saito”. Poco distante stava una cartella con alcune chiazze di sangue e portava il nome di quel bambino. Era di circa vent’anni fa. Hina l’aprì e lesse che quel bambino era particolarmente dotato e silenzioso. Gli era stato affiancato un tutore, come

 

 

 

 

 

 

lei adesso, ma a quanto pareva non lo sopportava. Forse per l’uomo che gli stava attaccato, forse il bambino troppo scontroso, Yoshi era stato chiuso in un stanza cella e l’unico a vederlo era il tutore che gli insegnava, gli dava da mangiare e lo aiutava. In quel periodo il bambino era diventato più buono, o almeno così sembrava. Quando uscì ingannò il tutore e lo uccise, per quanto riguardava il bambino, anche lui morì poco tempo dopo. La cosa che la colpì fu il fatto che il tutore si chiamava Adam Reich, ed entrambi erano al terzo piano. Hina in quel momento capì che il tutore non era altri che il fantasma e quindi Mark era morto perché si era avvicinato alla verità. La cosa che non capiva invece era del pechè fosse ancora lì; in fin dei conti Yoshi era morto. Per quanto le premesse continuare la ricerca era troppo sconvolta per andare avanti. Con il diario e la scheda sotto braccio tornò in camera, li mise su un mobiletto e tornò a dormire. Come per distrarla da tutto arrivò l’uomo che l’aveva attratta. La corteggiò per molto tempo e solo alla fine si unì a lei, portandola ad un piacere inimmaginabile. In quel momento Hina si convinse che non poteva essere tutto solo un sogno. Quano si svegliò si sentì rinata. Ma il ricordo del suo caro amico Mark morto la fece sprofondare di nuovo nel dolore. Per tutta la mattina e gran parte del pomeriggio lesse il diario di Yoshi e la storia della vita che aveva passato lì quel bambino la sconvolse. A quanto pareva, dal momento in cui fu messo nella stanza cella, non è che non fosse cattivo, ma , essendo nascosti da tutti, il tutore poteva difendersi dai continui attacchi di quel bambino. All’inizio gli aveva dato semplici punizioni, come si fa con gli studenti biricchini, in seguito Yoshi era diventato più aggressivo e Reich aveva dovuto difendersi. Aveva iniziato con semplici scappellotti via via sempre più forti, poi aveva preso a legarlo, altrimenti quel “mostro di bambino” lo mordeva, graffiava o tagliava. Finchè un giorno, spazientito, non lo aveva legato e frustato. In quella parte della tortura, era stato Reich in persona a scrivere; si notava la differenza di scrittura tra i due. Quando, alla fine Yoshi fu di nuovo ammesso tra gli altri, rabbioso contro il suo tutore lo aveva colpito, con la sua forbice dalla punta lunga e tagliente, al costato, per poi usare la frusta come nastro per strangolarlo e farlo stare zitto. Il bambino aveva calcolato tutto alla perfezione. La forbice aveva perforato il polmone di Reich e alla fine l’uomo era morto affogato nel suo stesso sangue. Hina rabbrividì a quella descizione. Yoshi raccontava vittoriosamente quel giorno. I giorni dopo la morte di Reich però non furono piacevoli. Il bambino era diventato ancora più silenzioso di prima e si spaventava come niente. Faceva sogni orribili, in cui c’era anche l’uomo che aveva ucciso e reclamava vendetta. Ad un certo punto diceva che Reich, sebbene fosse morto, gil facesse del male ancora, finchè un giorno non lo aveva soffocato con la sua stessa frusta. Quell’ultima frase era stata scritta da una mano diversa da quella di Yoshi, una mano tremante e pesante. E il tutto era firmato “Reich.”. Hina in quel preciso istante ebbe la conferma che Reich era ancora vivo. In fretta e furia prese le cartelle confrontandole tra loro e, apparentemente, niente le accomunava. Solo dopo molti minuti di attenta ricerca vide che tutti i bambini erano giapponesi. L’unico che non trovava era Toshio, il quale non aveva genitori giapponesi, ma la nonna e il che lo rendeva una vittima. Un fruscio alla sua destra le fece voltare il capo. Dal diario usciva qualcosa. Quando Hina lo prese e vide di cosa si trattava, il  suo cuore si fermò per un istante. Era una foto del bambino e di Reich. Il bambino era arrabbiato, l’altro era sorridente. Era una foto in bianco e nero e apparteneva a Reich, proprio come era firmato dietro la foto. Il problema era che Reich non era nientemeno che l’uomo che sognava tutte le notti e del quale era segretamente innamorata. Avvertendo il pericolo incombente andò a chiamare Alex e Liroy; le uniche persone che stavano ad ascoltarla. Una volta che li ebbe trovati gli raccontò tutto e i 2 presero delle decisioni all’istante. –Nasconderò Toshio in un posto che certamente Reich non conosce.- disse Liroy; Alex invece la accompagnò dalla preside, dal professor David e dal dottore per raccontargli tutto. L’unico risultato fu che i 3 si rifiutarono categoricamente di crederle. Hina tornò nella sua stanza sconsolata. Anche quella notte sognò Reich, ma anche sapendo che era il fantasma non riuscì a respingerlo; era troppo innamorata di lui. Voleva sentirlo vicino, perché sapeva che non le avrebbe fatto del male. Un rumore la svegliò durante la notte. Non vide niente a parte le ombre della notte, eppure sentiva come una presenza lì con lei. –Alex?- chiamò, ma non ottenne risposta. Mentre ancora il dubbio e la paura la assalivano, sentì come due mani invisibili che le percorsero le braccia e arrivarono alla vita, per poi risalirle sotto la maglietta fino al seno. Si sentì riempire di carezze e poi, come una bocca, che le lasciava dei baci alla base del collo. Non si preoccupò nemmeno di chiedersi se stava sognando o chi fosse a farle tutte quelle premure, si lasciò semplicemente coinvolgere. Tornò nel sonno tra le braccia di Reich che le stava facendo le stesse cose, finchè la loro unione non fu completa. I 4 giorni che

 

 

 

 

 

 

seguirono furono del tutto normali, non successe niente di anormale e, ogni notte, Reich tornava puntuale per portarla nel mondo del piacere e Hina, di questo, non si preoccupava. Verso le sei del pomeriggio del quinto giorno, mentre Hina stava percorrendo il corridoio del primo piano, si sentì osservata. Degli occhi fissi al centro della sua schiena. Non sapeva perché, ma era quasi del tutto certa che fosse il fantasma; poiché Toshio era stato nascosto e non riusciva a trovarlo. Allungò il passo e si diresse verso l’ufficio della preside, ma prima di arrivare a dieci metri di distanza, davanti all’entrata si materealizzò dal nulla la sagoma nera di un uomo e, dentro di se, sapeva anche chi era. Si fermò spaventata e poi prese a correre a perdifiato verso le scale del secondo piano. Avvertiva i passi felpati e la presenza di Reich sempre più vicini, malgrado stesse correndo. All’ultimo scalino cadde e chiamò aiuto. Quando sentì che il fantasma l’avrebbe ormai presa, Alex apparve accanto a lei, allarmato dalle sue grida e quella presenza misteriosa scomparve. –Hina cosa è successo?- le chiese l’amico –Non lo so. C’era qualcosa…- tentò di rispondere lei ancora sotto shock, ma non c’erano parole per descrivere quello che era accaduto. Alex la accompagnò fino alla sua stanza, dopo di che, anche se cotrario, la lasciò sola. Hina chiuse a chiave la porta e vi si appoggiò contro. Non passò molto tempo che questa iniziò a tremare e la maniglia continuava a muoversi; qualcuno stava cercando di entrare. Hina si allontanò bruscamente dall’entrata e, dopo aver dato un’occhiata alla porta, si diresse verso la finestra e tentò di aprirla. Così come era cominciato, tutto si fermò e il silenzio tornò a riempire la stanza. Ma per Hina quel silenzio non era normale, era come un peso su di lei. Continuò a armeggiare con la maniglia della finestra che non si apriva, quando il silenzio sembrò diventarle ancora più opprimente. Una mano le afferrò il braccio destro bloccandoglielo dietro la schiena e un’altra le tappò la bocca; stavolta la paura ebbe la meglio su tutto il resto. –Adesso io ti toglierò la mano dalla bocca, ma tu non dovrai urlare, intesi?- disse una voce maschile vicina al suo orecchio sinistro. Hina annuì, poiché chiedere aiuto sarebbe stato inutile; chi l’avrebbe sentita? Chi sarebbe stato in grado di battere quell’uomo che, da come la teneva, pareva forte?. L’uomo fece scivolare la mano dalla bocca al collo della ragazza e, a poco a poco, il buio attorno a lei aumentò, finchè non cadde nell’incoscienza. Quando si svegliò si trovò in una stanza quasi identica alla sua, a parte per dei pochi raggi di sole che entravano dalle persiane mezze distrutte di una finestra, i colori spenti, quasi vecchi e i granelli di polvere che danzavano nell’aria mescolandosi tra loro. Ci impiegò pochi istanti per capire che quella non era la sua stanza, ma una camera del terzo piano. Subito la paura minacciò di sopraffarla nuovamente. Si alzò ed esaminò quel che restava della stanza. Faceva caldo, la tapparella della finestra era abbassata, i mobili mezzi rotti, la porta in piedi ancora per miracolo e una poltrona a un metro dal letto ancora intatta. Il bagno era sporco e la porta lì, a contrario dell’altra, era sfondata in piccolissime schegge di legno. Dopo circa dieci minuti la porta della stanza venne aperta e il suo rapitore fece irruzione. Entrambi rimasero pietrificati. Tutti e due indossavano la tuta bianca dell’orfanotrofio e, di sicuro, non si aspettavano una presentazione, così per dire, silenziosa. Hina, in quell’istante, si trovò davanti l’uomo che per tutte le notti la corteggiava e l’aveva fatta innamorare; l’unica cosa era che adesso poteva vederlo chiaramente. Era alto e magro, gli arrivava poco sopra le spalle, i capelli marroni scuro cortissimi, quasi a spazzola, che davano solo una piccola piega alla frangia, gli occhi castano chiari, i lineamenti sottili, un fisico da far paura, quasi che un venticello potesse portarlo via, ma una forza travolgente e la maglia attillata che ne delineava la perfetta forma, contraddivano quella supposizione. In quel poco tempo che rimasero a fissarsi Hina sentì la paura mutarsi in debolezza. Sotto quello sguardo si sentiva piccola, ma anche coccolata come se gli occhi la potessero accarezzare. –Hina.- riuscì solo a dire lui, evidentemente ammaliato da tanta bellezza. Si erano sempre visti nei sogni, ma quante volte ci si sente dire hc ei sogni non sono mai come la realtà, e in questo caso erano meglio. –Adam Reich suppongo.- disse lei con lo stesso tono ipnotizzato. Quando lui fece un passo verso di lei, fu tentata di indietreggiare, ma alla paura di quello che aveva fatto in passato, si mescolò la voglia di toccarlo, di baciarlo e di realizzare i suoi sogni in realtà. Si trovò così a pensare a come si potesse avere paura di una persona e al contempo amarla, ma ben presto i pensieri furono messi da parte e sostituiti dal desiderio. Tutto avvenne in sacro santo silenzio. Adam si sedette sul letto dietro di lei e le sfiorò, da dietro, le mani con le proprie, accarezzandole, per poi fare il percorso delle braccia. Hina, dal canto suo, lo lasciò fare. Lui la prese dolcemente per la vita e la fece sedere sul letto tra le sue gambe, circondandole poi la vita con le braccia. Senza smettere di muovere le mani, iniziò a insinuarle le dita sotto la maglietta e a baciarla debolmente alla base del collo, risalendo fin sotto l’orecchio. La ragazza chiuse gli occhi cullata da  quel tocco dolce e

 

 

 

 

 

 

delicato. Non c’erano parole per descrivere quello che provavano i due giovani, completamente dimentichi della realtà. Hina scordò che l’uomo che la toccava era in realtà un fantasma e che in passato aveva ucciso, Adam, invece, dimenticò che il suo vero scopo era uccidere Toshio e Hina, poiché era vicina ormai alla verità. Ma erano entrambi follemente innamorati che a quel punto la ragione non importava. Contavano solo i sentimenti a lungo repressi e che ora, potevan essere finalmente soddisfatti. La mano di lui le accarezzò la pelle morbida, risalendo sul torace e quando arrivò al punto giusto le catturò uno dei seni. In quel momento una piccola parte di ragione fece aprire gli occhi a Hina, avvertendola. Ma fallì miseramente. Adam le prese il capo, voltandola verso di se, e baciandola con passione. La verità fu di nuovo soffocata. I due si alzarono e, quando il fantasma le disse di alzare le braccia, lei lo fece. Delicatamente il giovane le fece scivolar via maglia e calzoni. Hina aprì gli occhi e lo osservò mentre anch’esso si liberava di maglia e pantaloni. Soltanto gli indumenti intimi erano rimasti a dividerli. Il fisico di lui era ancora più bello di quello che si era sempre immaginata. Gli posò la testa su una spalla e una mano sul suo ampio petto, facendola scorrere su tutto l’addome, tracciandone un percorso ben definito. L’uomo tornò a baciarla con ardore, un ardore che Hina ricambiò. Mentre si baciavano lui la prese in braccio e la fece sdraiare sul letto poi, fu il suo turno. Di distese accanto a lei standole sopra, rimanendo sollevato da lei quel tanto che bastava per non schiacciarla. Adam prese a baciarla lungo il collo. Con tocco esperto le slacciò il reggiseno e ne tracciò un percorso completo con la lingua; lei rabbrividì. Hina gli fece passare le mani sui corti capelli, tenendo sempre gli occhi chiusi. Lui fece scivolare via le mutandine che ancora la coprivano e prese a baciarla con più passione. La ragazza si fece travolgere e ben presto la loro unione fu completa. Lei si addormentò tra le braccia di lui e si svegliò solo nel pomeriggio. Quando riaprì gli occhi Adam era seduto sulla poltrona davanti al letto e la fissava. Hina lo guardò per un momento e poi si rimise il reggiseno, le mutandine e la maglietta, incurante dello sguardo di lui sempre fisso su di lei. –Che cosa hai intenzione di fare?- gli chiese infine, guardandolo dritto negli occhi. Lui la guardò un attimo confuso. –Cosa intendi?- chiese. -Per Toshio. Perché non lo vuoi lasciare in pace?- domandò lei, con voce più sicura. –E’ un giapponese.- rispose semplicemente lui. –Non è una buona ragione. Non è stato lui a ucciderti.- disse lei con foga. –E’ per colpa sua che sono ancora qui.- replicò il fantasma, anche lui ormai determinato ad averla vinta. –No è colpa tua e del tuo maledetto odio se sei ancora qui.- ribattè lei. Gli occhi le si erano inumiditi. Adam si limitò a voltare il capo senza rispondere. –Perché mi hai portato qui?- gli chiese lei. La sua voce tremava; aveva paura. –Devi dirmi dov’è Toshio. E poi, ti ricordo che hai svelato il mistero; adesso ti devo uccidere.- rispose lui tornando a fissare gli occhi in quelli di lei. Lo sguardo del fantasma adesso era fermo e deciso e il suo volto era solcato da un sorrisetto malvagio. Ad Hina venne la pelle d’oca. –Non ti dirò dove si trova.- disse lei, cercando di riprendere l'autocontrollo. –No? Io penso di sì.- disse lui alzandosi. Hina cercò sul pavimento, velocemente, i suoi pantaloni e le sue scarpe, doveva andarsene di lì il più velocemente possibile. –Perché te ne vuoi andare? I tuoi sentimenti per me sono forse cambiati? Oppure hai paura che mi sia preso gioco di te? Ebbene no, non l’ho fatto. Io ti amo. Ma come ti amo il mio spirito ha bisogno di uccidere.- continuò lui. –Smettila di cercare Toshio. Se davvero mi amassi capiresti perché lo faccio. E se salvare la vita a quell’innocente vuol dire doverti abbandonare, ebbene, anche se a malincuore, lo farò.- disse lei. La decisione che aveva preso le era appena costata una pugnalata al cuore. Lei amava quell’uomo, ma lui era un fantasma, lei e Toshio no. Se l’avesse aspettata ci sarebbe stato il tempo per loro, ma adesso, contava solo sopravvivere. –Dov’è il bambino? Tu mi ami vero?- le chiese lui facendola indietreggiare, fino a farla sedere sul letto. Quando lei non rispose le infilò le mani sotto la maglietta e le catturò i seni –Non è così?- disse. Hina sentiva che l’uomo che aveva davanti non era quello con cui aveva fatto l’amore poche ore prima. La paura le lambì il cervello. –No Reich! No!- disse lei, quando lui iniziò a baciarla sul collo. Con grande fatica lo respinse. Nel momento in cui Reich tornò a guardarla, i suoi occhi erano malvagi. –Dimmi dov’è il moccioso oppure te lo farò dire con la forza.- disse alzando la voce. Hina riuscì solo a negare con il capo. –Come vuoi.- il sorriso che fece Adam pietrificò la ragazza. Con una forte spinta la fece stendere sul letto e le salì a cavalcioni. Quando tentò di scappare le immobilizzò i polsi. Iniziò poi a baciarla sul collo con una foga, impressionante, quasi avesse perso il controllo. Seguentemente iniziò a stuzzicarle il capezzolo con i denti sopra la maglietta, quando poi la sollevò e continuò a stuzzicarla, qualcosa, un piacere immenso, pervase Hina. Ma la ragione stavolta non si era fatta abbattere. Quando sembrò sul punto di arrendersi a lui, lo respinse; o almeno tentò. Adam la baciò

 

 

 

 

 

 

con violenza, una violenza che la travolse. Qualcosa le riempì la testa, annebbiandole la mente. Lui iniziò ad accarezzarla tra le gambe, provocandola; lei gemette e si agitò. Hina cercò di sottrarsi e tornare alla ragione, ma Reich non aveva nessuna intenzione di farla andare via. Le legò i polsi con un laccio e –Dimmi dov’è?- chiese. Hina lo guardò con occhi lucidi; stava per piangere. Non gli rispose. –Come vuoi.- le sussurrò all’orecchio con uno sguardo diabolico. Quando lui si unì a lei, la ragazza chiuse gli occhi, dal piacere e per paura di incontrare il suo viso. –Guardami.- disse lui –Non posso.- rispose lei –Guardami.- insistè lui. Hina si fece forza e con uno sforzo tremendo sollevò le palpebre per incontrare gli occhi di lui. Dopo pochi secondi si rese conto che stava per avere un orgasmo colossale, come mai aveva provato. Cercò di liberarsi i polsi, ma quel piacere l’aveva pietrificata, consumandole tutte le energie. Quando lui la lasciò, Hina si rivestì. Non sapeva perché eppure aveva il fiatone, come se avesse corso. La forza bruta di come lui l’aveva presa l’aveva spaventata e eccitata al tempo stesso. Voleva scappare da lui, eppure, voleva essergli anche vicino; ma sapeva che non era possibile. –Dov’è Toshio?- le chiese lui sovrastandola –Non te lo dirò.- disse lei urlandogli contro decisa; non si sarebbe fatta mettere sotto un’altra volta. –Dimmelo!- ordinò lui. –No.- rispose lei e scappò da lui con le lacrime agli occhi. Poteva sentire la sua furia mentre si allontanava. L’edificio cominciò a tremare; corse come una pazza e riuscì ad arrivare di sotto. Il terremoto aveva messo in allarme tutti. –Hina cosa succede?- le chiese Liroy facendosi incontro. –Bisogna andare tutti via di qua. Reich è disposto a uccidere tutti pur di avere Toshio.- rispose la ragazza. Lei e il professore andarono ad avvisare gli altri adulti e, con il loro aiuto, radunarono tutti i bambini. –Dov’è Toshio?- chiese Hina allarmata, quando non lo vide insieme agli altri bambini. –Voleva andare a cercarti.- le rispose il medico con fare indifferente. A quella risposta il cuore di Hina ebbe un tuffo. Come un razzo si gettò verso le scale che portavano al secondo piano –Dove pensi di andare?- le domandò Liroy agguantandola per un braccio. –Se Toshio è andato a cercarmi sarà al terzo piano e lì c’è Reich. Anche se è un fantasma anche lui prova sentimenti, se riesco a farlo ragionare forse riuscirò a portar Toshio fuori di qui.- rispose lei. –Vengo con te.- disse lui deciso –No, tu sei più utile qui. Devi dare una mano agli altri. Non preoccuparti per me, andrà tutto bene.- ribattè lei e sparì subito su per le scale. Nonappena arrivò al secondo piano, vide che la porta della stanza segreta era aperta e il terrore la pervase. Corse a rotta di collo alla stanza, la percorse in 3 balzi e salì velocemente le scale che la separavano dal terzo piano; anche la botola era aperta. Quando arrivò, un caldo tremendo e un odore di chiuso l’avvolsero. Ma non bastò questo a fermarla. Continuò a correre malgrado il fiato che si faceva sempre più corto e le gambe che minacciavano di cederle. Vagò per il corridoio e per tutte le stanze senza trovar nulla, finchè non giunse alla stanza cella. Quando aprì la porta un buio pesto l’avvolse. Poco lontano dalla finestra, illuminato dalla luce del tramonto, c’era Toshio. Di lato alla finestra, nascosto nell’ombra, una figura alta e nera, stava come di guardia. –Toshio.- disse lei. –Non vuole farmi andar via.- disse il bambino con voce tremante. La figura piantò i piedi a terra e il suo volto venne in parte colpito dai raggi del sole. In quella debole luce vide anche nella mano destra, arrotolata, c’era una frusta. –Vieni qui Toshio.- disse Hina, cercando di mantenere la voce calma. Il bambino avanzò e, mentre muoveva incerti passi verso di lei, il pavimento iniziò a tremare. –Non vi permetterò di andarvene.- disse Reich, quando il bambino raggiunse la ragazza. –Invece dovrai, perché noi non abbiamo alcuna intenzione di restare.- ribattè Hina. Lei e il piccolo si voltarono, ma proprio in quel momento, una parte di pavimento cedette davanti a loro, bloccandoli. La ragazza prese Toshio per la vita e saltò. Hina fece da muro e Toshio ed andò a schiantarsi contro la parete. Entrambi caddero a terra. Nel momento dell’impatto, Hina si era sentita mozzare il fiato. Quando abbassò lo sguardo, vide che un pezzo affilato di legno le aveva perforato il fianco. –Corri!- disse al bambino e, dopo una rapida occhiata al fantasma che si stava arrabbiando sempre di più, cercò di correre il più velocemente possibile verso l’uscita. Il sudore le rigava il viso e la schiena, le gambe non la sorreggevano più, i polmoni in fiamme e la ferita che contribuiva a rallentarla; a Hina venne voglia di arrendersi. Ma la minuta figura del bambino che correva davanti a lei, le infondeva speranza. Ormai il rombo del terremoto era devastante e copriva persino le loro voci. Proprio quando una trave minacciava di bloccare la botola, i 2 fuggiaschi vi caddero dentro. Si rialzarono e ripresero a correre, ma Hina era allo stremo. A metà del corridoio si inginocchiò; la mano destra sulla ferita. Toshio tornò vicino a lei –Hina avanti! Non puoi mollare adesso, che manca così poco!- le urlò, ma la ragazza non si mosse. –Non ce la faccio. Ormai non posso più fare niente. Ma tu devi andare. Non ho rischiato la vita per niente, quindi va.- gli rispose –!- urlò, quanod vide che il

 

 

 

 

 

 

bambino continuava a rimanere lì. Quando vide che Toshio aveva sceso le scale, scomparendo alla vista, si accasciò sul fianco sinistro. Il terreno e le pareti cadevano e tremavano sotto e sopra di lei, ma non le importava; Toshio era salvo e questo non poteva renderla più che felice. Mentre si sentiva scivolare verso un oblio buio e nero, vide vicino a un muro l’ombra di Reich e, contrariamente a quello che il fantasma le aveva  sempre detto, non era felice di vederla morire, anzi, sembrava quasi triste. In lontananza sentì dei passi e delle voci agitate che urlavano, poi, il suo mondo diventò buio. Liroy, nel frattempo, quando aveva visto Toshio uscire dall’edificio, gli aveva chiesto di Hina e questo gli aveva risposto che era al secondo piano, ferita. Veloci come un razzo: lui, Alex e il dottore si erano precipitati nell’edificio e, dopo averla portata fuori, avevano cercato di rianimarla. Ma tutte le volte che ci provavano, lei rimaneva addormentata. Toshio, poco distante da loro, osservava zitto e, in silenizo, si era messo a pregare, che in qualche modo si salvasse; gli occhi lucidi per la disperazione. Avvertiva che Reich lo stava ancora fissando e che, se avesse alzato lo sguardo, lo avrebbe visto ad una finestra del terzo piano, ma non gli interessava, ormai era tutto finito; grazie a Hina. Ma come poteva rallegrarsi di tutto ciò se la persona che lo aveva salvato stava morendo? Il fantasma intanto aveva avvertito le emozioni di Toshio quando era vicino a Hina, ed anche ora che era fuori e lui di sopra a guardare la scena. Provava emozioni e sentimenti che si era dimenticato esistessero e che, da quando era morto, non aveva più provato. Lui sapeva che Hina sarebbe morta presto, ma l’amore che provava Toshio per lei e quello che provava lui per la ragazza, erano diversi eppure uguali sulla loro base. Capì che non poteva strappare quell’amore al bambino e così contribuì a salvare la ragazza. Quando il battito del cuore si era fermato e il rianimatore non aveva fatto niente i tre avevano ormai perduto la speranza, però Liroy ebbe il buon senso di provare una quarta volta e Hina riprese a vivere. Aprì gli occhi e continuò a respirare. Mentre con l’ambulanza lei e Toshio venivano portati in ospedale, Hina avvertì il pensiero di Reich che le diceva che l’avrebbe aspettata e in un qualche modo, seppe che anche lui l’aveva aiutata e, cosa più importante, che era cambiato.

 

Dopo un paio di settimane Hina uscì dall’ospedale e ricominciò il suo lavoro nella nuova scuola, costruita appositamente per i bambini scappati al terremoto. La vita sembrava essere tornata normale, ma non era così. Toshio era diventato molto più socievole, Alex era rimasto divertente ma nutriva come una strana paura per Hina da quando aveva saputo che aveva incontrato il fantasma e Hina, d’altra parte, era diventata molto più distante. Anche Toshio, che era diventato il suo bambino preferito, aveva notato un mutamento. Aal bambino aveva raccontato tutto quello che era successo con Reich e lui capiva che lo amava ancora. Quando gli anni passarono e Toshio se ne andò, Hina rimase, e il bambino, ora adulto, la andava a trovare tutti i finesettimana per parlare; ma le cose belle si sa sempre che non durano. Pochi anni dopo Hina morì in un incidente e al funerale parteciparono solo le persone che l’avevano conosciuta all’orfanotrofio poiché non si era mai fidanzata ne sposata. Toshio fu l’unico a continuare a  vederla e a parlarle, finchè lei non gli comunicò la sua decisione. La ragazza tornò al castello e vide che Reich aveva mantenuto la promessa “l’aveva aspettata”. Si incontrarono al terzo piano e, quando la vide, si meravigliò –Sapevo che saresti tornata.- disse lui dopo un po’. Hina sorrise e lo baciò. Per quanto ne seppe Toshio, lei e il fantasma vissero sempre insieme al castello e nessuno più si fece male. E questa storia la narrò ai suoi figli e al suo unico nipote, ovvero io. Mio nonno mi mostrò una foto di Hina e quando sentii la storia non misi in dubbio nulla. E ancora adesso ci credo e ci crederò sempre. Così, per non dimenticare, ho deciso di riportare il racconto in questo quaderno, che rammenta una memoria bella e terrificante al tempo stesso. 

  
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