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Autore: Marzolina    25/09/2011    1 recensioni
"Non mi importa un fico se sei anoressico, bulimico, sordo, cieco, chiromante, pazzo, incasinato, dinoccolato, asfittico, atavico, mannaro o solamente stronzo. Basta che dai peso a quello che dico, a quello che penso, a quello che provo, a quello che sono. Dammi peso"
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Diete, diluvi ed altre disgrazie

Essere invitata a pranzo dai gemelli è come risalire in superficie dopo una lunghissima apnea sott'acqua. Non aspettavo altro.
Salgo sull'autobus e già gongolo per tutte le delizie che verranno sottoposte al mio attento, e per altro assolutamente parziale, esame.
La signora Cavillo - che pretende di essere chiamata Gianna - è stata immersa, come Achille da Teti, nel sacro fiume degli chef.
Da quel momento le sue mani, sempre siano lodate, sono state in grado di creare la pizza più celestiale del cosmo, la frittata più tonda del creato, le torte più caloriche dell'iperspazio.
Sto letteralmente sbavando sul mio vicino di posto mentre mi abbandono dolcemente a proibite fantasie gastronomiche.
Fantasie queste che mi risollevano decisamente dall'ennesima cocente delusione dello scorso pomeriggio.
Di nuovo io e lui, il mefitico dietologo, l'aguzzino della cellulite, l'assassino dei doppi menti, il sicario della felicità.
Ero seriamente sull'orlo dell'harakiri, quando ancora una volta la mia nemesi ha pronunciato la sofferta sentenza.

-Tsk tsk- brutto segno.
-Eeeeeh- bruttissimo segno.
-Niente. Tale e quale a prima, Spica. Non hai perso niente questo mese, mi spiace-
Ti spiace? Ti SPIACE? Non ti crede nessuno, bastardo. Non ti credi neanche tu, ammettilo.
Grazie al cielo mia madre non è presente. Aveva un appuntamento con Raimondo, la sua nuova fiamma. Non lo conosco ma so che non mi piacerà.
Di quelli con cui è stata ne ho amato solo uno, e l'ho amato alla follia. L'unico, il primigenio, quello con cui spartisco una considerevole parte di patrimonio genetico, forse la migliore.
-Pesi esattamente &%&2034ò/?^ chili- ogni sillaba di quel numero è come una pugnalata nelle costole, quindi ovviamente qui lo censuro.
-Possiamo contrattare, che dice? Mi fa uno sconticino? Un premio fedeltà?-
E lo stronzo mi ride in faccia. Apprezza la battuta. Ma io dicevo sul serio.

Per consolarmi della cosa quindi, mi sembra più che logico andarmi a strafogare a casa dei miei migliori amici. Me lo merito, cavoli!
Da casa mia fino alla fermata dell'autobus avrò perso come minimo quindici calorie! Potrei svenire da un momento all'altro. Non si vedono le guance incavate da denutrizione? No? NO?
No.
Ah, già, a proposito di denutrizione... Quel tizio. Lo scheletro. Pensavo (o temevo) di rincontrarlo ieri in sala d'aspetto. Invece niente, sparito, scomparso, evaporato, dissolto.
"Forse è precipitato in una crepa del marciapiede e nessuno è stato più in grado di ripescarlo" maligna sghignazzando la mia parte sarcastica.
"O forse semplicemente non ha gli appuntamenti fissati esattamente gli stessi giorni dei tuoi, demente -la rimbecca intanto il mio lato razionale e disfattista -Che dici, non poteva essere una coincidenza quella volta, mh?"
"Effettivamente"
"E poi perché ci stai ancora pensando a quello?"
"Già, perché?"
Questo dialogo interiore mi inizia seriamente ad inquietare.
La verità è che ci sto ancora rimuginando su perché quel tipo mi ha davvero fatto paura - oltre che orrore. Non ho mai visto un individuo così irrimediabilmente perso in se stesso, così convinto della propria disfatta. Era come guardare in faccia la negazione personificata della vita.
Ma forse sono solo io che oggi ho il ciclo e quindi sono particolarmente sensibile alle seghe mentali random.
Per quanto ne so poteva benissimo trattarsi di un vampiro, diciassettenne da un po', che con mossa studiata aveva fatto finta di finirmi addosso per valutare la mia consistenza e la possibilità di avermi come portata principale al prossimo sabba.
Certo non qualcuno destinato a me dalla cieca mano del fato o roba simile! Questa cosa delle coincidenze mistiche, per cui un giorno vieni investita da uno strafigo pazzesco e il giorno dopo esci in pigiama per buttare la spazzatura e scopri che è stato tuo vicino di pianerottolo per sette anni, non esiste!
Ad un tratto la mia tasca inizia a squillare e quando ne estraggo quell'aggeggio paleolitico dalle fattezze di un grosso telecomando nero che ancora mi ostino, caparbia e orgogliosa, a chiamare "cellulare", sono quasi sorpresa che mi stia chiamando Marika e non quel tipo (il cui nome adesso come adesso mi sfugge e che comunque non avrebbe motivo di avere il mio numero dato che, forse non mi è ancora entrato in zucca, non lo conosco e ho intravisto solo una volta).
-Pronto?- rispondo alla fine.
-Pronto, Spica, ci sei?- ha la voce stanca, Marika, il che non è mai buon segno.
-Cos'è successo?- le chiedo subito io perché so per certo che è successo qualcosa.
-Niente di grave, non preoccuparti, è solo che a Betta si sono rotte le acque quindi... -
Betta, Elisabetta, è la sorella maggiore dei gemelli. Una di quelle classiche persone che dopo il matrimonio non si sono preoccupate di comprare anche un televisore nuovo e quindi si sono viste drasticamente limitate ad una sola le possibili attività da fare per ammazzare il tempo dopo cena.
In stato di perenne gravidanza.
Secondo i miei calcoli questo dovrebbe essere il sesto pargolo che sforna ad intervalli regolari di un anno ciascuno.
Non so davvero se ammirarla per la costanza o compatirla per l'incoscienza.
-Sta bene?-
-Sì sì, siamo tutti qui in sala d'aspetto. E' un maschietto, un altro. Lo chiamerà Mattia, credo-
-Congratulazioni-
-Grazie, senti... mi dispiace oggi dovevi venire e...-
-Ci mancherebbe! Sarà per un'altra volta-
-Certo e, Spica-
-Sì?-
-E' una mia impressione o sei un po' giù di morale oggi?-
-E' una tua impressione- e riattacco.

Okay, è ufficiale. Sono perseguitata dalla sfortuna.
Appena metto piede giù dal pullman ecco che attacca il diluvio universale, con tanto di raffiche uraganiche e tuoni in sottofondo. Non mi sorprenderei se quel cumulo nembo grosso e minaccioso sopra di me fosse in realtà la nuvola di Fantozzi.
Di tornare a casa comunque non se ne parla nemmeno. E' già ora di pranzo e so perfettamente che le uniche cose edibili che riuscirei a reperire, in quel malinconico deserto di speranze infrante che è il nostro frigo, sarebbero a malapena uno yogurt magro e una mela sgonfia. (*)
Meno male che ho trovato dove ripararmi. Ed è un caso che si tratti di una pasticceria così come è sempre un caso che adesso stia addentando, come una iena che spolpa una carcassa, una brioche fumante al cioccolato.
Un caso, vi dico, un caso.
Resto quindi qui seduta tranquilla come un pascià, a spupazzarmi pastarelle varie ragionando nel frattempo di questioni esistenziali (ma oggi che ci sarà per cena?), quand'ecco l'irreparabile.
Il tempo di alzare lo sguardo e vedo che c'è un tizio, seduto sul marciapiede proprio di fronte alla vetrina della pasticceria.
Non è girato verso di me, mi dà le spalle e fissa invece - così almeno pare - il flusso ininterrotto di macchine che sfrecciano sulla strada bagnata sollevando cascate di fanghiglia ad ogni pozzanghera.
Fin qui tutto normale, ma la cosa inizia seriamente ad inquietarmi quando mi accorgo che il tipo in questione non ha neanche l'ombrello.
Se ne sta semplicemente lì, seduto in mezzo all'ira divina fatta nubifragio, senza nemmeno preoccuparsi degli schizzi che arrivano dai veicoli in corsa e che, sicuramente, contribuiscono a peggiorare ancora di più la sua, già penosa, situazione di parziale annegamento da pioggia.
Anche un altro cliente del negozio, un signore di mezza età grassoccio, quasi calvo e con ridicoli baffoni a manubrio (gli mancherebbe solo una lente d'ingrandimento e poi potrebbe comodamente farsi passare per Hercule Poirot) nota lo strano individuo e domanda al ragazzo del bancone:
-Ma che fa quello?-
Il tempo di formulare la domanda che "quello" è già scattato in piedi, come messo in allarme dall'eccessiva attenzione rivoltagli in quei pochi minuti, e si mette ad attraversare la strada.
"Attraversare".
No, non mi sembra il termine corretto; perché quando qualcuno attraversa, appunto, una strada, ciò implica un certo spirito di prudenza nell'attante stesso, una qualche sana e genuina voglia di non farsi investire e/o morire.
No, decisamente non lo userei per descrivere la situazione, visto che il tizio si sta letteralmente gettando a testa bassa in mezzo al traffico. Un suicidio pedonale.
Ed è il caos.
Si riversa, infatti, su di lui un coro angelico di clacson, qualcuno inchioda, qualcun'altro sterza proprio cinque secondi prima di spalmarlo definitivamente sull'asfalto, un passante grida.
E' morto, lo so. Già vedo gli organi interni bene in fila sulla strada.
Poi d'improvviso la figura tondeggiante di una ragazzina sovrappeso gli è miracolosamente alle spalle, lo strattona per il giubbotto completamente zuppo e se lo trascina dietro mentre entrambi cadono - non si sa come, ma sani e salvi - al sicuro sul marciapiede.
Ah già, l'ho fatto io.
Qualcuno applaude.
Ma come diavolo mi è venuto in mente? Chi cavolo si è impossessato del mio corpo mentre mi buttavo fuori dal locale per lanciarmi su quel pazzo incosciente?
-Potevi ammazzarti, disgraziato!- gli urlo quindi contro (mi ha pure fatto spiaccicare il cigno alla crema per terra, il criminale).
A questo punto mi viene da fare una riflessione, perché ci sono volte in cui le apparenze ingannano. Una persona che magari all'inizio avresti detto burbera, antipatica, profonda come una pozzanghera poi si rivela, invece, amabile e piena di buone qualità.
No, non è una di quelle volte.
-Ah, è per evitare questo che adesso cerchi di farmi fuori tentando di spappolarmi, grassona?- è una voce rauca, sibilante e chiaramente sarcastica quella che sento provenire da sotto di me. In effetti gli sono piombata sopra.
Abbasso lo sguardo e mi ritrovo faccia a faccia con quello. Il ragazzo della sala d'aspetto. Lo zombie, il cadavere, l'anoressico.
-Ti pregherei di alzarti, sempre se ne sei in grado da una posizione orizzontale. Magari chiamiamo una gru, che dici? Mi sto iniziando a sentire il pancreas in gola, e non è bello-
Non trovo neanche le parole per rispondere. La mia lingua biforcuta è in stato di shock per lo sdegno e l'umiliazione.
So solo che non voglio restare un attimo di più con un solo centimetro di ciccia a contatto con questa creatura diabolica. Cinque nanosecondi e già sono in piedi, fradicia, acciaccata e incazzata nera.
Si tira su anche lui, con quelle gambette scheletriche da gru moribonda, si controlla i jeans e il giaccone e poi mi rivolge uno sguardo, anzi quello sguardo di ribrezzo e schifo stavolta potenziato.
C'è solo una cosa da fare, è inutile ricordarmi la buona educazione o il contegno.
Lo faccio perché ho fame, perché sono stanca, perché mi fa male tutto, perché sono zuppa, perché mi viene da piangere e, fondamentalmente, perché ho appena salvato la vita a uno che non farà altro se non andare a rimpolpare le già sovraffollate fila di quella tristemente famosa categoria detta "stronzi".
-VAFFANCULO!- gli urlo in faccia e me ne vado.
Che giornata di merda.

* * *

(*) citazione dal libro "Cuore di ciccia" di Susanna Tamaro

   
 
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