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Autore: EllenJenkins    25/09/2011    3 recensioni
Ben, sopraffatto dal senso di abbandono e solitudine, cade in un profondo sonno. Di chi è quella voce che lo chiama nei suoi sogni? Potrà mai svegliarsi? Vorrà mai svegliarsi?
Bevin (KevinxBen) - Shounen-Ai
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 - Culpa

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Culpa, ae, f., 1 colpa, fallo 2 negligenza

Colpa [cól-pa] s.f. 1 atto, comportamento che infrange una norma giuridica o morale; senso, sentimento di –, (psicol.) sensazione di rimorso o di colpevolezza 2 (dir.) azione od omissione da cui, per imprudenza o negligenza, deriva un danno ad altrui

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Quando riaprì gli occhi una forte luce lo investì, ma non gli provocò lo stesso mal di testa dell’ultima volta. Anzi, non gli sembrava di stare male in nessun modo e per una volta non aveva addosso quella perenne sensazione di sonno. Si sentiva bene come non mai, vivo e pieno di energie. Doveva essere finalmente guarito.

Ma quando si guardò intorno ci mise poco a capire che quella non era la sua stanza. Era sì sdraiato su un letto, ma era decisamente più morbido del suo, la disposizione dei mobili era completamente diversa e cosa ci faceva una bambina di fianco al suo letto!?

-Ah, mamma. Ti sei svegliata!- La creatura sorrise piena di gioia mentre Ben la guardava incredulo

-Eh, non so chi tu sia, ma di sicuro non sono tua madre, non sono nemmeno una ragazza!-

-Questo lo so, ma sei comunque la mia mamma!- Il giovane eroe vide i suoi occhi verdi brillare sempre di più ogni secondo che passava mentre i suoi lunghi capelli castani si spostavano ad ogni suo più piccolo movimento

-Lasciamo perdere, dove siamo piuttosto?- Disse mettendosi seduto e guardandosi intorno

-Siamo dentro all’Omnitrix- Disse come se nulla fosse continuando a sorridere

-Cosa?! Com’è possibile? Sono stato più volte dentro l’Omnitrix e questo non gli assomiglia per niente- Sembrava una normalissima casa come tante altre -E come fai a sapere dell’Omnitrix?-

-Te l’ho detto, mamma. Siamo dentro all’Omnitrix, in uno spazio ben più profondo rispetto a dove sei già stato-

-Ma com’è possibile? Io mi sono solo addormentato e tu cosa ci fai qui? Non mi sembri un alieno-

-Io sono umana. Sono sempre stata qui da sola, volevo qualcuno con cui passare il tempo, per questo ti ho chiamato! Ti sei addormentato e la tua coscienza invece che interrompersi come al solito è finita qui. Il tuo corpo è ancora nel mondo reale, come in coma-

-Aspetta un attimo. Se sei sempre stata qui significa che sei nata con l’Omnitrix, che centro io? Dovrebbe essere Azmuth la tua mamma- Il pensiero che il vecchio galvaniano potesse essere una madre lo inorridì e diverti allo stesso tempo

-Io non sono stata creata con l’Omnitrix, quindi a sua volta Azmuth non è il mio creatore. Io sono nata a partire dal tuo DNA che l’Omnitrix ha acquisito-

In effetti se ci faceva caso lei gli assomigliava molto, non solo per il colore degli occhi e dei capelli, ma anche per alcuni tratti del viso. Allo stesso tempo però, non era una sua perfetta mini copia al femminile. C’era qualcosa nel suo volto che le ricordava qualcun altro, anche se non riusciva a capire chi. Scosse la testa

-Comunque non posso stare qui devo tornare a cas- Si interruppe ancora prima di finire la frase

Aveva davvero così tanta voglia di tornare in quel mondo di solitudine, dove era abbandonato e dimenticato da tutti? Cosa ci guadagnava se non intere giornate da passare senza la compagnia di nessuno? Nessuno aveva più bisogno di lui o lo voleva con se. Le parole dei suoi amici nel momento in cui aveva più bisogno di loro gli echeggiarono nelle orecchie.

Qui invece c’era quella bambina che aveva passato tutta la vita da sola e che voleva che qualcuno le facesse compagnia, proprio come lui in quel momento. Lei sì che aveva bisogno di lui. Poteva stare in quel mondo, anche se non era quello reale, e vivere con lei e forse poteva essere di nuovo felice. Si voltò verso la bambina e vide i suoi occhi oscurarsi

-M-Mamma, vuoi tornare? Non vuoi stare con me?- Ben sorrise, come poteva lasciarla da sola?

-No, piccola. Resto con te. Non voglio tornare in quel posto così triste-

-Lo so. Da qui dentro riesco a sentire le tue emozioni, mamma. So che eri triste, per questo ti ho fatto venire qui. Per stare insieme-

-Grazie- Era tanto tempo che qualcuno non faceva qualcosa per lui -Come ti chiami, sai quanti anni hai?-

-Ah, ho sette anni, quasi otto. Ma non ho un nome, nessuno me l’ha mai dato-

-Allora da oggi ti chiamerai Alice. Ti piace?- Il suo volto si illuminò di nuovo

-Sì, sì, mi piace. Mamma!-

Era strano essere chiamato a quel modo, ma ogni secondo che passava si sentiva sempre meglio e sapeva che aveva fatto la scelta giusta. Così sarebbero stati felici entrambi.

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Sandra Tennyson schiacciò sul pedale dell’acceleratore, cercando ti tornare a casa il più in fretta possibile senza però oltrepassare i limiti di velocità. Quando era uscita per prendere le medicine per Ben si era dimenticata che era domenica e che l’unica farmacia aperta si trovava dall’altra parte della città. Il caso voleva che in quella zona non c’era campo e si era accorta della chiamata del figlio solo pochi minuti fa.

Sperava solo che Ben stesse bene, se aveva cercato di chiamarla voleva dire che era stato male, ma sperava con tutto il cuore che non fosse nulla di serio. Parcheggiò in malo modo nel viale e corse in casa verso la camera del ragazzo. Quando entrò, con il fiato corto per la corsa, Ben era sdraiato sul letto e sembrava che stesse dormendo, il telefono ancora nella mano destra in una lenta presa.

Sembrava stare bene, almeno stava respirando. Non voleva svegliarlo ma doveva prendere le medicine. Vi si avvicinò e iniziò a scuoterlo e a chiamarlo, ma tutti i suoi sforzi sembravano vani. Ben non si svegliava. Il panico la prese nella sua morsa un’altra volta. Spaventata prese il telefono dalla mano del figlio e chiamò un’ambulanza. Mentre aspettava si mise di nuovo al suo fianco e continuò a cercare di svegliarlo.

Quando il suono delle sirene raggiunse le sue orecchie andò alla porta d’ingresso e condusse i paramedici in camera del figlio. Subito presero a parlare tra di loro in un linguaggio che non riusciva a capire mentre caricavano Ben sulla barella e correvano di nuovo verso l’ambulanza. Sandra li seguì a ruota e quando fu in giardino vide suo marito uscire dalla sua macchina

-Tesoro, cos’è successo- Le chiese l’uomo preoccupato mentre guardava il figlio immobile sulla barella venire caricato sulla vettura

-Oggi aveva la febbre sono uscita per comprare delle medicine e quando sono tornata non si svegliava. Ho paura Carl- Rispose lei abbracciando il marito mentre iniziava a piangere

-Voi siete i genitori?- Chiese un paramedico

-Ah, sì. Cos’ha nostro figlio?- Chiese Sandra con il volto inondato dalle lacrime

-Non possiamo dirlo con certezza. Vi prego seguiteci in ospedale con un macchina-

I due annuirono, salirono sull’auto di Carl e seguirono l’ambulanza. Il viaggio fu avvolto nel silenzio che veniva spezzato solo dai singhiozzi della donna. Una volta arrivato furono messi in sala d’aspetto. In mezzo a tutto il movimento e la confusione della sala, loro due si sentivano gli unici così fermi, immobili su quelle scomode sedie di plastica. Tutto il mondo andava avanti e loro non sapevano cos’avesse loro figlio e se fosse sopravvissuto.

-I signori Tennyson?- Carl e Sandra alzarono gli occhi verso il dottore davanti a loro

-Sì, siamo noi- Dissero alzandosi, le loro mani intrecciate per farsi forza l’uno con l’altro -Nostro figlio sta bene?-

-Il ragazzo è in coma-

-C-Come? Questa mattina aveva solo un po’ di febbre- Disse la donna trattenendo le lacrime e stringendosi di più al marito

-Non ci sono dubbi che il paziente sia in coma, ma la cosa strana è che non abbiamo trovato anomalie nel suo corpo. Sembra essere completamente sano. Dobbiamo ancora fare diversi accertamenti, ma spesso questo genere di coma è causato da problemi a livello psicologico-

-N-Non capisco, si spieghi meglio-

-È capitato che alcuni ragazzi disadattati e che non riescono a integrarsi con il mondo, invece di scegliere vie come il suicidio, droga o alcool semplicemente si addormentano per fuggire dalla realtà. Ma io non sono un esperto, dovreste parlare con uno psicologo-

Sandra inorridì alle parole del medico. Ben era sempre stato un ragazzo allegro e vivace, sì non faceva molte amicizie, ma non pensava che si trovasse così a disagio con il mondo tanto da volerne fuggire. Era anche vero che non parlava con suo figlio da diverso tempo

-È colpa mia Carl, non gli sono stata abbastanza vicino. Questo è un periodo delicato, cosa stavo pensando. Lasciarlo da solo tutto questo tempo-

-No, Sandra è colpa di tutti e due- Disse l’uomo mentre continuava a stringere la moglie tra le braccia. Non sapeva se stava cercando di incoraggiare lei o se stesso

-Ah, devo chiamare Gwen- Si allontanò verso un telefono pubblico visto che aveva dimenticato il cellulare nella sua macchina nella fretta. Compose il numero di casa della nipote e aspettò che rispondesse

«Pronto?»

-G-Gwen, sono Sandra-

«Oh, zia cosa c’è, è successo qualcosa?» La voce della donna le era sembrata strana

-S-Si tratta di Ben. È … è in coma- Voleva spiegarsi ma non riuscì a dire niente che scoppiò a piangere di nuovo

«Co-Come in coma?»

-P-Puoi venire qui?-

«Sì, arrivo subito. Chiamo anche Kevin, va bene?» Sandra sembrò pensarci un momento, ma sapeva che il ragazzo era il migliore amico di suo figlio

-V-Va bene-

Appena ebbe finito la chiamata tornò dal marito aspettando l’arrivo dei due ragazzi

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Appena Gwen ebbe messo giù il telefono abbandonò qualsiasi cosa stesse facendo e si fiondò giù dalle scale. Per fortuna che quella mattina si era vestita, se no non sapeva quanto tempo avrebbe perso. Compose il numero di cellulare di Kevin e mise in vivavoce mentre faceva partire la macchina

«Pronto, Gwen?»

-Ascoltami devi venire subito in ospedale. Ben è in coma-

«Cosa?! Cos’è successo?!»

-Non lo so. I suoi genitori sono già lì-

«Arrivo subito»

Quando arrivò in ospedale vide Kevin già all’entrata a chiedere informazioni. L’officina era molto più vicina all’ospedale di quanto non fosse casa sua. Appena la vide le indicò di seguirlo e in silenzio arrivarono fino alla sala d’aspetto dove sedevano i genitori del ragazzo

-Gwen- Disse la donna ancora in lacrime correndo verso la nipote abbracciandola

-Zia, si può sapere cos’è successo?-

-Non lo so con precisione. Questa mattina aveva solo un po’ di febbre. Poi sono uscita per comprare le medicina e quando sono tornata non si svegliava più. I medici dicono che è in coma ma che non c’è nulla che non vada con il suo corpo. Sembra possa essere una causa psicologica-

-Oh, no. Mi ha chiamato prima ma non gli ho dato retto e ho riattaccato subito. E se invece si sentiva male? Cos’ho fatto. Ho lasciato che mio cugino entrasse in coma perché stavo studiando?!- Man mano la sua voce diventava sempre più isterica e le lacrime iniziavano a formarsi agli angoli degli occhi

-Calmati Gwen. Ha chiamato anche me ma neanche io gli ho dato retta- Disse Kevin ma lei non lo stava ascoltando

-È colpa mia!- Urlò mentre le lacrime superarono la barriera degli occhi e presero a scender come fiumi in piena sulle sue guance

-Gwen non è colpa tua- Cercò di convincerla Kevin, ma risultava insincero alle sue stesse orecchie. Anche lui si sentiva terribilmente in colpa

-Sì invece, se gli avessi dato retta forse ora non sarebbe in coma-

-Non puoi dirlo, molto probabilmente non avremmo potuto fare nulla-

-Ma almeno avrei tentato di fare qualcosa, invece che voltargli le spalle! Quanto lo abbiamo trascurato in questo periodo?! È tutta colpa nostra!-

A quell’ultima frase Kevin non rispose nulla e semplicemente abbracciò la ragazza che continuò a piangere come mai aveva fatto in tutta la sua vita. Nessuno parlò più, il silenzio calò tra i presenti mentre aspettavano altre novità. Il sole stava pian piano raggiungendo l’orizzonte, ancora un’ora o due e sarebbe definitivamente tramontato, lasciando spazio alla notte. Sentirono dei passi e i due adulti riconobbero il dottore di prima

-Abbiamo finito le analisi, ma ancora non c’è nulla di anomalo. Penso sempre di più ad una causa di natura psicologica-

-P-Possiamo vederlo?- Chiese Carl al medico

-Certo. Prego seguitemi- I quattro lo seguirono fino ad una stanza

All’interno Ben stava sdraiato immobile, come se fosse solo addormentato. Sul volto aveva una maschera d’ossigeno e al suo corpo erano attaccati diversi macchinari oltre alla flebo. Sandra corse dal figlio e gli strinse la mano destra, mentre Carl prese posto al suo fianco. Le finestre erano dall’altra parte della stanza e la luce del tramonto creava un’ombra sul lato sinistro del ragazzo. In quella penombra Kevin notò qualcosa

-Gwen, guarda- Disse indicando il polso sinistro di Ben. Lei si avvicinò

-Ma cosa?- L’Omnitrix emanava una strana luce verde. Visto che non era molto intensa durante il giorno la luce del sole l’aveva mascherata

-E se fosse l’Omnitrix la causa di tutto?- Le chiese Kevin

-C’è una grande possibilità che sia vero. Quell’orologio ha dato più volte diversi problemi. E se è davvero la causa di tutto c’è solo una persona che sa cosa sta succedendo-

-Azmuth-

*Owari Cap.2*

-Buon giorno- ndRan
-Non so da dove cominciare. Una cosa che ci siamo dimenticate di dirvi: titoli sono in latino, se non si era notato; abbiamo messo la traduzione e la definizione dal dizionario di italiano, tanto per fare scena- ndJane
-Non è per fare scena! Comunque per i primi capitoli il titolo non è difficile da intuire, ma non sappiamo il titolo dei prossimi capitoli, così abbiamo messo le mani avanti- ndRan
-Questo capitolo ha risposto a diverse domande, ma ora ne sono sbucate delle altre. Vi terremo sulle spine per ancora un po’ di tempo!- ndJane_EvilSmile
-Non essere così sadica! Non impari mai. Comunque dal prossimo capitolo si vede forse qualche minuscolo, lontano accenno di Bevin, ma per scene vere bisognerà aspettare ancora un po’- dRan
-Come sempre, leggete e commentate. Ciao- ndRan&Jane

   
 
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