Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: small    25/09/2011    1 recensioni
Amanda Sprint è una strega, ma non è affatto contenta di esserlo... così, un guaio tira l'altro, si trova a cercare di diventare una fata, con scarsissimo successo e con molto, ma veramente molto, da perdere.
Dal I cap.
"Con aria melanconica le streghe apprendiste infilarono i loro libri nelle borse e si trascinarono fuori dal bar, lasciandosi alle spalle l’insolita conversazione che avevano avuto sulle fate."
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO II
SCATTO E FELINO

 



 Camminava da un pezzo, ma non le importava. Aveva la testa altrove, persa tra fantasie remote e impossibili. Superò di buon passo la Foresta Bruciata. Non si era mai spinta oltre quel tetro paesaggio. Sapeva che c’era qualcosa, ma non avrebbe mai potuto immaginare cosa, neanche nei suoi sogni più entusiastici. Quando superò l’ultimo appassito ramo, si trovò davanti ad un boschetto. Non come gli altri secco ed umido, ma verde e rigoglioso. Vedeva uccelli di tutti i colori appollaiati sulle cime degli alberi. Socchiuse gli occhi, non abituata all’improvvisa luce del sole che l’aveva investita, mai così forte. Li riaprì e voltò lentamente la testa verso destra. Lo spettacolo che le si parò davanti era orribile quanto bello era il primo. Se alla sua sinistra regnava indiscussa una natura selvaggia, alla sua destra vi erano immensi ettari di deserto, arido, peggio persino della Foresta che si era appena lasciata alle spalle. Guardò dritta davanti a se, ma poté scorgere solo una fioca luce rossa, che sembrava dividere i due mondi. Si concesse un attimo di silenzio e di sosta, mentre la sua mente lavora febbrile. Da quale parte andare? La domanda la tormentava. Lei avrebbe volentieri intrapreso la strada nella bellissima foresta, ma come faceva a sapere che era quella giusta. Lei sapeva che doveva andare nella periferia del Regno, ma non aveva mai pensato che per “periferia” si intendesse quella…quale che fosse il bosco giusto. Disperata, Amanda, si buttò a terra, strinse le ginocchia al petto e si lasciò andare in un pianto disperato. Verrei reputata una scrittrice troppo perfida se il mio cuore non provasse un po’ di pietà per la poveretta, quindi vedremo di dare ancora una volta ad Amanda il giusto aiuto. Caso volle, dunque, che la vecchietta tanto cercata passasse vicino a quella strana luce rossa. Il pianto la sorprese e si diresse verso la fonte di tanto dolore, poiché era una vecchietta molto curiosa e che non sapeva proprio stare zitta. Quando vide la ragazza, seduta sul rigido terriccio, le bastò un’occhiata per riconoscerla e capire con chi aveva a che fare.
- Amanda Sprint! Non ci si lamenta in quel modo – la ragazza alzò la testa, asciugandosi le lacrime che le pendevano da occhi e guance – Immagino che tu non abbia detto nulla ai tuoi, vero? Saggio, molto saggio.
 Romilda Sprint si allontanò dalla nipote con passo deciso e stava già al limitare del bosco rigoglioso quando, con aria impaziente, si voltò verso Amanda.
- Allora! – sbraitò – Hai intenzione di rimanere lì per sempre? Ti decidi ad alzarti e a seguirmi? Credi che abbia tutto il pomeriggio a disposizione? Su, alzati e stammi dietro, ma attenta a mettere i piedi esattamente dove li metto io.
 Amanda guardò la zia, una lacrima calda le cadde lungo il mantello nero come la notte, ora completamente fuori posto. Si alzò incerta sulle gambe, domandandosi se avessero retto dopo quella sfogata. Per fortuna parvero salde come sempre e così Amanda si avviò a testa china, ma con passo deciso, dietro Romilda. Tirò su con il naso e mandò giù un paio di domande, riservandosele per dopo. Chissà perché doveva passare esattamente dove camminava la zia. Seguì la bizzarra parente nel bel bosco, senza realmente vederla. Girarono molte volte a destra, due o tre volte andarono a sinistra. Ormai si trovavano nella parte più folta della foresta, Amanda ne era praticamente certa. Un nodo le attorcigliò lo stomaco. Stava facendo la cosa giusta… o no? Una vocina la rimbeccò dentro la testa. “Certo che fai la cosa giusta” parve rassicurarla “ci hai pensato tanto!”. Un po’ più rincuorata, ma non del tutto convinta, continuò a camminare, con lo sguardo rivolto ai propri piedi. Osò alzarlo solo quando la zia si fermò di botto.
- Oh, bene – disse Romilda. Intorno a loro era tutto buio, ormai le alte chiome arboree copriva completamente il cielo e si potevano intravedere solo due ombre nere – Amanda, siamo arrivate. Ora ricorda bene questa formula magica e ripetila dopo di me. Slokey wratuy gaiciy
 L’anziana strega fece uno movimento circolare con il braccio e sorrise, soddisfatta. Poi svanì nel nulla. Amanda provò un’orribile sensazione di vuoto allo stomaco: sola in un bosco sconosciuto. Ingoiò e poi, con un coraggio non da lei, si sforzò di ricordare le esatte parole della zia.
- S…slok…slokey wre…wratuy…gggg…gaicy. Slokey wratuy gaiciy
 Ma non successe nulla. Era nella stessa foresta buia, non vedeva oltre il suo naso e si sentì veramente persa. Poi le venne in mente un’altra cosa. Inspirò profondamente e imitò il movimento circolare fatto dalla zia con il braccio destro. Quindi trattenne il fiato per ciò che accadde. Davanti a lei vi era una casetta deliziosa, irreale. Il tetto assomigliava a quello di un fungo, rosso con piccoli cerchi bianchi e macchioline nere qua e là, delizioso il comignolo di mattoncini arancioni che sbucava all’improvviso dalla parte più bassa del tetto e che sbuffava un fumo grigio chiaro. Le pareti erano lisce, levigate, tinte di giallo. Una porticina piccola, mezza aperta, si trovava in cima ad un paio di scalini di pietra, adorabili anche questi. Tutto sembrava piccolo, ma grazioso. Le finestre avevano svariate forme, passando da quelle più semplici – come cerchi e rettangoli – alle più complesse – cuori, soli, nuvole e simboli arcaici – ed erano tutte bordate di una corona d’edera. Piccole violette, timide e ritrose, spuntavano sopra la porticina, mentre rose profumate, di tutti i colori, accoglievano con i loro petali i visitatori, posizionandosi lungo i bordi degli scalini. Amanda rimase per molto ad ammirare quell’incantevole spettacolo, perché di case così colorate e particolari non aveva mai viste. I colori non erano spenti e vuoti come quelli del Regno Stregonesco, ma tutti esprimevano gioia e la strega riconobbe anche il rosso acceso, colore di cui cercava disperatamente un tritone. La Casa delle Meraviglie, come l’avrebbe in seguito denominata, spalancò la sua porticina e un odore dolcissimo di gigli e ribes la invitò ad entrare. Senza perdere altro tempo, Amanda scavalcò gli scalini con un balzo ed entrò nella meravigliosa casetta. Si trovò in un salotto, con colorati soffitti e pavimenti, un divano giallo in un angolo e il camino, proprio davanti. Sulle pareti erano affissi disegni di svariati animali della foresta, che sembravano prendere vita con quei magnifici affreschi. Si aprì alla sua destra una porta da cui uscì Romilda, portando due tazze di tè fumante su un vassoio di cristallo.
- Oh, bene – disse, vedendola, le fece cenno di accomodarsi sul morbido divano, all’ angolo della stupenda stanza. – Credevo, anzi, temevo che non saresti riuscita ad entrare, poiché avevo dimenticato di dirti di muovere il braccio in modo circolare, ma vedo che hai capito da sola. Significa che sei una buona osservatrice e io provo molta simpatia generalmente per coloro che sanno cogliere i dettagli.
 Le porse una tazza di tè. Amanda la prese e ne bevve un sorso. Non aveva mai assaggiato nulla di così squisito. Romilda tirò fuori dal nulla un elegante sgabello e vi prese posto.
Ora Amanda poteva scorgerla in tutta la sua persona. Aveva capelli biondi, non brutti come quelli di Panzia Fullenor, ma lisci e setosi, cadevano brillanti sulle sue spalle, dritte e perfette. Gli occhi color ambra rilucevano di una luce abbagliante, che dava alla zia l’espressione più bonaria che voi possiate immaginare. Benché fosse molto vecchia non c’erano rughe sul suo volto, leggermente scavato lungo le guance. La sua bocca era piccola, deliziosa come una goccia di rugiada al mattino. Sorrise e Amanda dovette sbattere le palpebre per non rimanere ammaliata da tanta bellezza.
- Allora – disse Romilda, lasciando cadere la sua tazza sul vassoio cristallino, che non si ruppe, ma si allontanò verso quella che probabilmente era la cucina – Cara Amanda, se sei venuta da me deve essere per un motivo importante, non per una sciocchezzuola. Cosa è successo, mia adorata? Qual è stato il fattore scatenante che ti ha costretto a prendere questa decisione, di certo non avventata?
 La sua voce era strana, diversa. Improvvisamente non era più la strega che l’aveva rimproverata per aver pianto, ma sembrava più matura. Le note soavi che rilasciava la sua bocca penetravano dentro, costringendo a dire la verità, perché sottrarsi a una così bella voce sarebbe risultato impossibile a chiunque.
- Non sono una strega – rispose Amanda, sperando di non tradire l’emozione che le pervadeva tutto il corpo – Non sono una strega – ripeté, fiera di dire ciò che provava, liberamente, senza costrizioni – Anzi, meglio: non voglio essere una strega. Ci ho messo diciassette anni per capirlo, ma alla fine ho vinto, ho trionfato. Non voglio essere una strega.
 Un aroma di viole la travolse, come la voce, che sembrava onnipotente, capace di tranquillizzare anche il gatto più malvagio.
- Lo so – disse piano Romilda, con quel suo tono calmo, profumato, delicato – Lo so da molto. Per la verità, lo so dal giorno in cui sei nata. O non ti avrei chiamata Amanda.
 La ragazza si sentì spiazzata da quell’affermazione. Era tutto così strano, ma ora le appariva possibile. Ogni cosa prendeva senso se a pronunciarla era quella voce lusinghiera, che la faceva sentire bene, come se non fosse veramente lei.
- Non capisco – mormorò, lenta, atrofizzata, curiosa – Amanda? Cosa c'entra ora il mio nome. Io non sono Amanda la strega…
- Tu sei quello che deciderai di essere – ribatté la voce, perché non crederle? – Amanda, ascolta, il tuo nome è il principio e la fine. Ma io non posso dirti oltre, sarebbe ingiusto privarti del piacere della scoperta. Tu sai cosa devi fare per ottenere ciò che vuoi. No! Tu sai cosa vuoi, quindi non controbattere di non conoscere realmente i tuoi desideri. Leggi il tuo cuore, ti darà tutte le risposte che cerchi. Io non posso farlo per te, cara, mi devo limitare a guidarti lungo la via che ti aspetta. Io…
 BUM! Un rumore improvviso, proveniente dal piano di sopra fece alzare di scatto Amanda e Romilda. Dalle scale scese un animaletto minuscolo…un tritone. Amanda lo guardò un lungo attimo. Aveva piccoli occhi azzurri, un lunga coda dura, leggere “squame” che gli coprivano il dorso, era lungo all’incirca undici centimetri. Ed era rosso. Rosso acceso, vivace, brillante, proprio come lo aveva sempre sognato. Lo prese tra le mani e lo guardò meglio, sentendo la pelle viscida sotto le sue sottili dita.
- Oh zia! – disse, al colmo della felicità, ma quella precedette la sua domanda e fece un breve cenno d’assenso con il capo. Amanda strinse il tritone rosso al mantello nero – Lo chiamerò Scatto – decretò – perché l’ho trovato dopo essere scattata su dal divano.
 BUM! BUM! BUM! Ora non poteva essere Scatto, Amanda ne era certa. Un’angoscia mai provata prima la invase tutta, ma la zia non parve minimamente turbata, al contrario aveva in volto un sorriso compiaciuto. Guardava con affabilità le scale che conducevano al piano superiore.
- Cosa…AH! – Amanda non poté trattenere l’urlo che le sfuggì inaspettato dalla bocca. Una testolina si era affacciata dal corrimano a chiocciola. Fece una faccia buffa, qualcosa tra uno “scusa” e un “non urlare”.
- Amanda – disse zia Romilda, perfettamente a suo agio -  Sono lieta di presentarti la mia cara amica Odina.
 La testolina uscì dalla scala e si mostrò per intero. Era una fanciulla, di circa diciassette anni, ma non era una strega. Aveva capelli tra il biondo e il rossiccio, legati in un’elegante coda bassa da un mazzo di fiori di tutti i colori. Due ciocche di capelli le cadevano spaurite sul viso, senza però coprire gli splendenti occhi nocciola, allungati ai margini, con ciglia lunghe e morbide come le molle di un orologio. Aveva un naso piccolo, all’insù, e una boccuccia rosa chiaro, contornata da due deliziose fossette. In mezzo agli occhi aveva uno strano tatuaggio a forma di fiore, luccicante, color rosa pallido, che si lasciava dietro quattro goccioline d’acqua argentee, anch’esse indelebili, due sotto gli occhi, sulle guance, e altre due sulla fronte. La sua pelle richiamava il colore della rosa canina. Le braccia nude erano incrociate con grazia dietro la schiena e nascondeva le mani, candide. Un vestito di tulle viola le arrivava fin sopra il ginocchio, terminando a forma di onda increspata. Una cintura di rose, tulipani, gigli e viole le stringeva la vita, facendo rigonfiare appena il vestito. Aveva i piedi scalzi, ma la sua caviglia destra era cerchiata da una corona di fiori, bellissimi e profumatissimi, provenienti da un altro mondo. Ma la cosa ancor più sorprendente erano le dentate foglie rosa chiaro, come ali, che aveva dietro la schiena: era una fata.
- Ciao – salutò con una vocina bassa, ma musicale, capace di incantare tanto quanto quella di Romilda – Io sono Odina. Felice di conoscerti Amanda.
 La fata fece uno strano inchino, movendo in modo buffo il braccio. Amanda, sentendosi completamente a disagio, ricambiò con il tipico saluto del Regno Stregonesco.
- Anch’io sono lieta di conoscerti – per cercare un saluto comune allungò la mano, ma se ne pentì subito.
 Vide le sue scure unghie tinte di nero, mentre la mano della ragazza assomigliava ad un petalo del più delicato fiore. Si strinsero la mano e si guardarono, intensamente. Gli occhi nocciola riflessero il verde di quelli di Amanda, e viceversa. La sensazione era strana, sognante, ma realistica ed entrambe dovettero adattarvisi.
- Bene – disse zia Romilda, con tono sbrigativo, improvvisamente di nuovo strega – Ora che vi siete presentate possiamo procedere. Prego, sedetevi.
 Le due ragazze obbedirono, senza però cessare di fissarsi, meravigliate della stranezza dell’altra. Indescrivibili le emozioni contrastanti che turbinavano intorno e dentro di loro, come fasce dai multicolori che, appena ne avvisti uno, quello cambia affinché tu non possa localizzarlo. Odina arricciò le labbra, scoprì i denti bianchi e lucenti e Amanda vide in quel sorriso tutto il fascino di un mondo diverso. Per un momento provò una dolorosissima fitta allo stomaco. Cosa avrebbe dato per poter sorridere anche lei in quel modo, così apertamente. Se solo avesse saputo come si faceva.
- Oh, bene – riprese zia Romilda, prendendo posto sullo sgabello che prima aveva abbandonato – Sono felice che vi siate incontrate qui, se fosse successo fuori da questa casa non so proprio come avreste reagito. Ma prima di cominciare a spiegare ciò che vi devo dire da molto tempo, dimmi Odina: cosa ti ha portato qui?
 La fata scosse appena la testa. Parve risvegliarsi da un lungo sonno. Le curve delle labbra di abbassarono appena e prese un’espressione allegra, ma che lei, era chiaro, considerava di massima tristezza.
- Ecco – cominciò, anelandosi una delle ciocche rossicce che le pendevano davanti le orecchie – Io non avrei voluto, ma ho litigato nuovamente con quella mia compagna amatissima, quella che non sta mai zitta. Oh, come non la amo (perchè nel Regno Fatato la parola “odio” non esiste)! Oh me non felice! Beh, comunque, quella è subito schizzata dalla professoressa Dolceluna, che ovviamente le ha dato ragione. Mi sono sentita non viva e così – deglutì – ho preso il sentiero che mi avevi mostrato, ho pronunciato le parole magiche e credevo di aver sbagliato, perché ero arrivata dentro una casa che non conoscevo. Allora ho deciso di scendere le scale e…c’eri tu. Mi dispiace – aggiunse, mesta.
 Ma Romilda non parve scossa dalla rivelazione, al contrario fece un breve cenno d’assenso con il capo, come ad intendere che capiva perfettamente. Quindi alzò una mano e un enorme librone le volò contro. Lo posò tranquillamente sulle ginocchia e lo aprì con fare pratico.
- Ora – disse con semplicità – Abbiamo chiarito tutto.
 Amanda a quella frase si risvegliò ed ebbe un improvviso pensiero che non poté far tacere.
- Io non ho capito nulla.
 La zia le rivolse uno sguardo ambrato penetrante, che parve trapassarla, e la ragazza vacillò sotto quel peso, insormontabile, insopportabile. Fu costretta ad abbassare gli occhi per continuare a tenerli aperti. Ma la vecchietta sorrise.
- Hai ragione, Amanda – disse, calma come prima, per nulla preoccupata o arrabbiata da quella interruzione improvvisa e fuori posto – Tu non sai che Odina non vuole più essere una fata. Ha scoperto, come te, che la sua vocazione è un’altra, che desidera diventare una strega.
 Amanda parve inorridita da quelle parole e si rivolse verso la fata, sorpresa.
- Perché non vuoi essere una fata? Sei così bella e leggiadra!
 Ma Odina ricambiò la sua frase con un sorriso lezioso, alquanto fastidioso.
- Oh no, cara – disse Odina, tranquilla come Romilda– Vedi, Amanda, io sono la più brutta fata del Regno. Ci sono quelle carine carine, che hanno stivaletti color malva fino al ginocchio, altre hanno calzamaglie lunghe e bellissime, altre ancora cerchiano sempre la loro bella chioma con corone floreali, poi ci sono quelle che hanno delle ali enormi, così grandi da non sembrare vere e altre…beh, potrei prolungarmi a parlare del mio Regno per secoli. Sappi che io lì sono fuori posto tanto quanto lo sei tu nel Regno Stregonesco. Io non amo le ali, non amo le magie che fanno le altre, non amo gli animaletti tanto carini che abbiamo tutte per compagnia. Io non amo essere una fata – diede un piccolo risolino, probabilmente il più dolce suono che abbiate mai sentito – Fino a poco tempo fa non sapevo neanche come esprimere il mio non essere felice. Sai, da noi non esistono parole tristi, non esistono sensazioni lugubri, quindi tutto quello che provavo era indefinibile. Per fortuna un giorno, vagando senza meta nei boschi, ho trovato tua zia Romilda. Ha detto che mi stava cercando perché dovevo compiere “nonsocosa”. Così ho pensato che la cosa giusta fosse seguirla. Mi ha portata qui e mi ha rivelato la natura della sua identità. Non puoi neanche immaginare la mia gioia al pensiero di aver finalmente incontrato una strega. Allora capii, tutto. I miei sogni, i miei desideri, le mie voglie… nulla mi era più oscuro. La mia storia, noterai, è simile alla tua, molto simile.
 Odina chiuse la bocca, riprese il solito cipiglio allegro e iniziò a fischiettare, evidentemente rallegrata di qualcosa che solo lei sembrava conoscere. Romilda aveva un sorriso che le prendeva tutta la faccia e guardava le due ragazze con un interesse, per niente moderato. Al contrario, pareva sul punto di esplodere in tanti piccoli coriandoli colorati. Sprizzava gioia da ogni poro e nulla sarebbe stato capace in quel momento di rovinarle la felicità.
- Amanda – riprese piano la zia, senza fretta di parlare, di chiarire, forse non voleva far comprendere nulla, ma solo rivelare ulteriori enigmi – Io so cosa dovete fare per realizzare il vostro sogno. Ma prima che io vi divulghi questa importante e segreta verità, devo dirvi alcune cose. Tutto è scritto. Il Destino ha già deciso. Voi con le vostre scelte potrete alterarlo o seguirlo, ciò dipenderà unicamente dalla vostra volontà. I vostri nomi vi hanno segnato. Nel lungo viaggio che intraprenderete scoprirete verità e menzogne, voi dovrete essere in grado di distinguere tra le due. La prova più difficile sarà capire di chi fidarsi e chi, invece, va trascurato, perché non merita la vostra attenzione. Vi ripeto. Non dovete temere, perché tanto tutto è già segnato. Noi con le nostre scelte collaboriamo o cambiamo, ma in fondo una parte della nostra vita è già segnata. Il Caso o il Destino. Ciò lo lascerò al vostro giudizio. Io non posso dirvi molto, perché dovete essere voi a scoprire la grande verità che aleggia dolcemente sulle vostre teste. La forza di un nome. Sin dalla vostra nascita voi eravate destinaste ad incontrarvi, a parlare, a vivere insieme, a cambiare, a scegliere. Nei vostri nomi è scritto tutto. – fece una piccola pausa e Odina, pronta ne approfittò immediatamente per fare una sua domanda personale.
Guardò intensamente Romilda e poi, con voce bassissima, mormorò.
- Qual è  il Destino indicato dai nostri nomi? Ti prego, diccelo. Abbiamo bisogno di sapere, di comprendere fino in fondo ciò che ci stai mostrando.
 Parve scegliere le parole con molta cura, poiché fece numerosi interruzioni, ma nulla sembrava avere effetto sulla decisione presa dall’anziana. Quest’ultima scosse il capo, decisa a negare quel significato.
- Io non posso rivelarvi la Verità Perfetta, perché solo se sarete voi a trovarla diventerete ciò che siete designate ad essere. Mio compito non è darvi informazioni, ma ombrare tutto ciò che vi circonda, mettervi in guardia contro l’ignoto, contro il deforme, contro ciò che non avete mai immaginato neanche nei vostri sogni più proibiti. Io non devo rivelarvi segreti impronunciabili che mi hanno portato a darvi i nomi che avete, né posso spiegarvi che significato essi hanno. Io non posso. Non ho mai potuto. Mi dispiace più di ogni altra cosa dare ai vostri cuori questa grande delusione, ma capite che è per il vostro bene. Comprendete, ragionate, perdonate. Solo chi esegue questi tre grandi passi può pretendere di conoscere la sua vera indole. Quello che vi sto chiedendo – aggiunse con voce roca, resa bassa dal gran parlare o forse dallo sforzo di mostrare tutto quello che doveva – non è facile. Molti hanno fallito. Ma coloro che sono riusciti a compiere la più grande impresa di tutta una vita, sono stati lodati aldilà di ogni fervida immaginazione, sopra ogni altro. Nel pronunciare altro comprometterei il vostro futuro, quindi vi prego non chiedetemi altro.
 Abbassò gli occhi e li chiuse, stanca, mezza addormentata, ma felice. Felice perché ciò che aveva sempre saputo di dover dire ora era nelle orecchie della fata e della strega. Felice perché nessuno avrebbe potuto compiere meglio quel che lei sapeva dover fare. Felice perché ora aveva la possibilità di riscattare tutti i suoi sbagli. Lasciò le labbra incurvarsi piano in un sorriso. I capelli le caddero in parte davanti al viso. Attese. Non una reazione, ma le domande e le esclamazioni che le avrebbero rivolto contro, perché sapeva che non avrebbero tardato a riprendersi dallo shock, che le aveva momentaneamente ammutolite. La prima a ritrovare il coraggio di parlare fu Amanda. Inclinò la testa da un lato, come era solita fare, e fissò la zia. Ora non temeva lo sguardo penetrante che avrebbe potuto ritrovarsi addosso. Lasciò andare un sospiro.
- Cosa è che dobbiamo trovare? Quella…come l’hai chiamata? La Verità Perfetta? Cos’è? Come, quando, perché? Sono così tante le domande che sento di doverti fare… la testa mi sta esplodendo…non posso sopportare di tenere tutto dentro…io…io
Ma Odina la interruppe, concludendo la frase che aveva iniziato, un po’ impacciata per essersi intromessa.
- Io non capisco. Io non so se voglio capire. Ora tutto appare così confuso. Una parte di me già sapeva in qualche modo, non chiedetemi quale, che ero destinata ad avventure straordinarie. Ma c’è anche l’altra parte, che si rifiuta di credere nella realtà, perché le è ostile, perché ha creato tante sofferenze. Cosa debbo pensare? A chi posso domandare?
 Romilda rialzò la testa e tutta la vecchiaia parve, per un solo attimo, attraversare quello splendido volto. Scostò i lunghi capelli dal viso, socchiuse gli occhi e parlò, calma, ma la sua voce ora tradiva una nota di impazienza, di stanchezza.
- Le Custodi Perdute. Loro vi diranno ciò che volete sapere. Esse sono il Tutto e il Niente. Hanno Vita e hanno Morte. La loro storia è lunga ed è stata ormai dimenticata da tutti. Solo le stelle, talvolta, nelle notti più chiare e splendenti le raccontano, perché la memoria di coloro le quali custodiscono i segreti dell’Universo non vada perduta, ma noi non cogliamo quel meraviglioso canto che intonano.
 Voltò una pagina dell’immenso libro che aveva poggiato sulle gambe. Lì vi era un ritratto di due giovani, graziose, che però apparivano come fumo. Le indicò alle due giovani sedute sul divano.
- Amanda, sono certa che ricorderai la luce rossa che c’era tra questa Foresta e il Deserto. La luce di fronte alla quale ti sei fermata a piangere. E tu, Odina, so che non hai mai dimenticato il caldo colore del tramonto che vedi ogni volta che vieni qui. Ecco. Voi andrete insieme lì, perché anche se vi appare in due modi diversi, si tratta della stessa cosa. Entrerete nella Luce. Non abbiate paura. Questa non vi farà nulla se le vostre intenzioni saranno pure. In caso contrario agirà contro di voi e allora altri dovranno cantare la vostra memoria. Mi comprendete, vero?
 Annuirono, perché scoprirono che la voce si rifiutava di uscire dalle loro gole, impaurite.
- Oh, bene – proseguì zia Romilda, apparentemente non turbata dall’insolito silenzio – Voi entrerete nella Luce ed incontrerete le Custodi Perdute. Siate franche con loro, ma ben astute. Esse hanno infiniti difetti e altrettante virtù, poiché richiudono in loro tutto ciò che fa parte dell’ Universo. Una di loro è tendenziosa alla bugia, l’altra alla verità. Una si accontenta di facili guadagni, l’altra pretende sempre di più. Voi dovrete capire in che circostanze fidarvi di una e in quali dell’altra. Vi avevo già detto che il compito non sarebbe stato facile, ma la ricompensa finale sarà grandissima. Ora andate, non esitate. Ma ricordate che una volta dentro la Luce non potrete far entrare nessuno da fuori.
 Amanda aprì la bocca, strinse al petto Scatto e protestò.
- Mai io voglio che lui venga con me!
 Romilda annuì e le rispose grave.
- Se lo porterai con te quando entrerai nella Luce, lui ti seguirà in ogni altro viaggio.
- E io posso portare Felino? – chiese Odina.
 Solo allora Amanda si accorse che la fata guardava immobile un punto delle scale. Con gran dispiacere della strega lì, appollaiato, vi era un gatto nero come la notte, che nel villaggio aveva fama di gran iettatore. Quello si stiracchiò, aprì gli occhietti lucenti e saltò in groppa alla fata, probabilmente sua padrona.
- Felino? – domandò Amanda, incredula, quasi schockata.
Odina le rivolse uno sguardo penetrante, mentre continuava a grattare il gatto sotto l’orecchio sinistro.
- Si – rispose, non comprendendo la reazione della strega – Felino. Il mio gatto. 
Romilda chiuse di botto il libro proprio quando Amanda stava per contestare. Ciò evitò alla giovane strega quella che sarebbe stata indubbiamente una figuraccia.
- Se viene Scatto – decretò la zia, con un tono che non ammetteva critiche – Se viene Scatto, viene anche Felino. In fondo sono i vostri animali. Amanda e Odina, Scatto e Felino. 
































My corner:
Torno con un nuovo capitolo su Amanda, ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia e spero che continui a piacervi!!!! A presto
Small

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: small