DEDICA: A Cloud, per la
citazione che non ha
indovinato ma che ben presto riconoscerà, e a feyilin.
NOTE: Il capitolo a
seguire è il più lungo
e il meno convincente che abbia scritto finora. E non lo dico
perché mi
faccio pare mentali su ogni singola parola che scrivo, ma proprio
perché
questo è il meno riuscito di tutti, almeno secondo me.
Lascio a voi l’ardua
sentenza, ma vi avviso per correttezza (e per pararmi un po’
le terga nel caso in
cui sentiate il bisogno di tirarmi verdura marcia random o vi
addormentiate nel
bel mezzo della lettura per il troppo tedio, ahah). Spero che riusciate
a
trovarci lo stesso qualcosa di valido. Comunque una buona notizia ce
l’ho: dal
prossimo capitolo riprenderò le fila della storia e mi
ricollegherò al prologo.
E’ una promessa.
Buona
lettura!
“When
I lay my head down to go to sleep at night
My
dreams consist of things that’d make you wanna hide
Don’t
let me in your tower, show me your magic powers
I’m
not afraid to face a little bit of danger, danger
I
want the love, the money and the perfect ending
You
want the same as I, so stop pretending
I
wanna show you how good could be together
I
wanna love you through the night, I’ll be your sweet
disaster”.
(Natalia
Kills, Wonderland)
Fino a poco
tempo prima, Gwaine e Lancelot non si sarebbero potuti definire
propriamente
amici. Avevano avuto modo di combattere fianco a fianco diverse volte
-solitamente per dare man forte ad Arthur o per difendere Camelot dallo
stregone svitato, dal bellicoso aspirante invasore o dalla bestiaccia
magica di
turno- ed erano molto affezionati al principe e a Merlin. Condividevano
anche
un’infatuazione per la bella (vabbè) Gwen;
infatuazione che però, nel caso di
Gwaine, era durata da Natale a Santo Stefano. Al di là di
queste poche cose, i
due sentivano di non avere niente in comune: troppe differenze
caratteriali,
per non parlare delle loro totalmente discordanti filosofie di vita.
Era stato
quindi con un certo distacco che si erano rivolti un breve cenno di
saluto quando
si erano incontrati nella stessa malfamata locanda di Arcores, un
villaggio
senza Dio e senza legge, coinvolti in una rissa con gli altri avventori
ubriachi spolpi di Scivolizia. Chi avesse dato il via alla scazzottata
e per
quale motivo i baldi giovani ci si fossero ritrovati nel bel mezzo non
è dato
saperlo. Sta di fatto che, essendo uomini d’arme e
d’azione, Lancelot e Gwaine
non si erano fatti pregare per menare le mani. Terminato il parapiglia,
erano
rimasti solo loro in piedi, ansanti e l’uno di fronte
all’altro, e il resto dei
contendenti con le gambe
all’aria:
chi perché piombato in coma etilico, chi perché
steso da un gancio sinistro ben
piazzato e chi perché determinato a fingersi k.o. piuttosto
che prenderne
ancora. I due si erano scambiati una vigorosa stretta di mano ed uno
sguardo
complice alla “yo bro, siamo usciti vittoriosi da una rissa
quindi potremmo
anche andare d’accordo”, appianando così
le loro divergenze (benedetta
psicologia maschile). Quando, davanti ad un boccale di birra offerto
dall’oste,
avevano scoperto di stare entrambi dirigendosi a Camelot, era venuto
loro
spontaneo decidere di proseguire il viaggio insieme.
Mai idea si
rivelò più azzeccata, giacché nei
quattro giorni che avevano impiegato per
giungere a destinazione essi avevano avuto occasione di scambiarsi
confidenze,
partecipare ad altre due risse, fumarsi qualche spinello
e diventare, in
una parola, amici. Durante un bivacco notturno, Lancelot aveva
confessato
candidamente all’altro che non era riuscito a levarsi Gwen
dalla testa (de
gustibus) e, dopo aver letto su Qui
del coming out di Pendragon junior, aveva pensato che forse quella
sarebbe
stata l’occasione giusta per dichiarare amore imperituro alla
ragazza e
chiederne la mano (ripeto: de gustibus). Gwaine aveva borbottato in
risposta
che tornava a Camelot perché sentiva la mancanza di Merlin e
del principe, che
ne aveva abbastanza della vita raminga e che avrebbe provato per un
po’ a mettere
radici. Qualcosa nei suoi occhi sfuggenti e nel sospetto rossore delle
guance
avevano convinto Lancelot che l’amico gli stava omettendo
qualcosa. Ma poiché
era un giovine molto discreto e rispettoso non aveva indagato oltre e
aveva
finto di essersi bevuto quella mezza verità.
Il loro
arrivo al castello (marcondirondirondello) fu annunciato ad alta voce
dal
soldato a guardia dell’ingresso principale, che dava
direttamente sul cortile
interno. Arthur, in quel momento proprio lì impegnato a
supervisionare
l’allenamento dei cavalieri più giovani, sorrise
particolarmente gaio e fece
cenno al piantone di lasciarli passare. Merlin, che invece passava di
lì
diretto al mercato, per la sorpresa si incartò su se stesso.
A salvarlo
dall’inevitabile capitombolo ci pensò il principe,
che sorrise intenerito nel
vederlo arrossire leggermente, per poi recuperare
l’equilibrio e correre come
un cucciolo scodinzolante ad accogliere i suoi amici – gli
unici, se si
escludeva il compianto Will. Gli si accostò, azzardandosi a
cingergli le spalle
con un braccio. Il mago, troppo di buon umore per imbarazzarsi e
respingerlo,
gli rivolse anzi uno dei suoi sorrisi a cinquantamila watt che secondo
l’inconfutabile
giudizio del futuro re era un’istigazione a delinquere e
un’autorizzazione a
mettere in pratica le proprie sconcissime fantasie. Deglutì
a vuoto.
“Lance!
Gwaine!” trillò Merlin saltellando in direzione
dei due ragazzi, ormai smontati
da cavallo.
“Che
Pollicino ti benedica, vecchio mio! Non sei cambiato affatto”
lo abbracciò con
trasporto Gwaine assestandogli delle pacche affettuose sulla schiena.
“Nemmeno
tu,
sei il cazzone di sempre” rise.
“E tu
il
solito insetto stecco. Ti danno da mangiare a sufficienza?”
“Sta’
pur
tranquillo, Gwaine. Mi assicuro personalmente che a Merlin vengano
servite le
pietanze più nutrienti e sostanziose servite durante il
regal desco” rispose
invece Arthur, con un sorriso gioviale ma interiormente
molto seccato dall’intimità tra i due
amici.
“Oh.
Altezza,
è sempre un piacere vedervi” mormorò
Gwaine un po’ in difficoltà, scostandosi
da Merlin per permettergli di salutare anche Lancelot e inchinandosi
rispettosamente di fronte all’erede al trono.
Decisamente
compiaciuto, il principe si schermì e offrì la
mano all’altro.
“Non
c’è
bisogno di tutta questa formalità, amico mio.
Posso considerarti come tale, non è
vero?” disse con una sfumatura di sfida
nella voce.
“Senza
ombra
di dubbio, Arthur” rispose ricambiando la stretta ma evitando
un contatto
visivo diretto.
Non del
tutto convinto, l’Asino Reale concentrò la sua
attenzione su Lancelot, cui
Merlin stava facendo un sacco di feste. La cosa, però, non
lo infastidì
affatto: non percepiva il cavaliere come una minaccia, al contrario di
Gwaine.
Bah, non voleva pensarci.
“Mio
prode
Lance, quanto tempo” tese la mano anche a lui.
“Arthur,
mio
signore” rispose quegli accettandola, un filino nervoso.
“Ditemi,
amici miei, cosa vi porta a Camelot?” chiese a quel punto
l’erede al trono,
squadrandoli con sincero interesse.
Gwaine
ripeté la sua già collaudata bugia, che peraltro
entusiasmò indicibilmente
Merlin, il quale prese a tempestarlo di domande: quanto pensava di
restare, se
sapeva già dove alloggiare... Arthur comprendeva il bisogno
quasi disperato del
suo amato di tenersi stretti i propri amici (non si era veramente
ripreso dalla
morte di Will), ma erano proprio necessarie tutte quelle moine?
Si volse con
aria interrogativa verso Lancelot. Era forse disagio, quello che
leggeva nei
suoi liquidi occhi d’onice? L’altro, prima di
rispondere, respirò
profondamente. Sì, era disagio.
“Arthur,
voi
sapete che vi stimo e che darei la vita per salvare la vostra. Se mai
un giorno
voleste richiedere i miei servigi di cavaliere, io diventerei con somma
gioia
il vostro più fedele servitore ed amico; senza nulla
togliere a Merlin, la cui
lealtà è una gemma
preziosa quanto
inscalfibile”.
Arthur
annuì, sebbene un po’ spiazzato, e lo
incoraggiò a continuare.
“Sette
giorni or sono ho avuto modo di apprendere su Qui
una certa notizia. Credetemi, ho parecchi amici gay e l’idea
che voi e Merlin stiate assieme mi riempie il cuore di
letizia” continuò
alquanto impacciato. Fece una pausa, e quando riprese a parlare
sembrava più
sicuro. “Vi sarete accorto della mia, beh, scuffia esagerata per Gwen... E dato che fino a
poco tempo fa ne eravate
innamorato pure voi, devo chiedervi se i vostri sentimenti per Merlin
sono
sinceri. In primo luogo perché, se lo farete soffrire
illudendolo, non esiterò
a privarvi della vostra virilità; poi perché
avrei intenzione di sposare Gwen e
di vivere con lei per sempre felice e contento”.
Un silenzio
di tomba, pesante e denso come una colata di piombo fuso,
seguì l’ultima
affermazione di Lancelot. Il dolce cicalare di Merlin si
azzittì di colpo ed
egli fece una smorfia ansiosa indirizzata a Lance, mentre Gwaine
inclinò il
capo, curioso di assistere alla reazione del principe. I cavalieri
interruppero
l’allenamento, interdetti da tanta pacata risolutezza. I vari
sguatteri e paggi
che avevano assistito alla scena gelarono, già tremando al
pensiero
dell’esemplare punizione che il nobile avrebbe inflitto a
quel ragazzo così
temerario. Persino i piccioni si bloccarono in volo e i cavalli
trattennero il
fiato.
Arthur, da
parte sua, posò una mano sulla spalla di Lancelot con
espressione grave.
“Amo
Merlin
più di Camelot e di mio padre messi assieme, e non appena
quest’ultimo si
degnerà di allontanarsi da Cenred quel tanto che basta per
apporre una firmetta
veloce gli farò promulgare un editto che legalizzi i
matrimoni gay, così potrò
sposare il mio trottolino amoroso dudù du dadadà” disse terribilmente serio.
Il
suddetto trottolino Merlin si
schiaffò una mano in faccia, improvvisamente
rosso come una rapa matura, e Gwaine ridacchiò.
“Per
quanto
riguarda Gwen, hai la mia benedizione: di lei non me ne frega
più niente, detto
tra noi. A mio parere avresti potuto scegliere una fanciulla
più aggraziata e
meritevole... Ma come si suol dire, de
gustibus non disputandum est. E beccati la citazione colta,
toh”. A quel
punto si voltò verso Gwaine. “Dimenticavo: siete
entrambi miei ospiti”.
Merlin non
riusciva più a controllare quella mina vagante e impazzita
che era diventato
Arthur. Non che non fosse in un certo senso adorabile, quando lo
incantava con
i suoi occhi obliqui da gatto, lo ricopriva di attenzioni e gli
dedicava
appassionate parole d’amore; ma chiamarlo trottolino
amoroso dudù du dadadà di fronte ai
suoi amici era semplicemente troppo. Doveva
mettere in chiaro giusto un
paio di cosette e far capire all’altro che se solo avesse
osato di nuovo fargli
fare una tale figuraccia con un qualsiasi essere vivente dotato di
intelletto e
parola avrebbe provveduto di persona a evirarlo, sissignore. E pazienza
per le
notti di fuoco mancate. Gli aveva dato quindi appuntamento la sera
stessa, dopo
il desco, in quell’angolo buio di quel corridoio buio del
terzo piano del
castello (marcondirondirondello) dove Arthur gli aveva rubato il suo
primo
bacio. Non per romanticismo -giammai!- ma perché era
l’unico posto tranquillo
dove nessuno li avrebbe disturbati (o colti in situazioni
compromettenti, coff
coff).
Dopo una
lunga attesa il nostro eroe arrivò alla conclusione, con una
certa stizza, che tra
i pregi del principe non figurava certo la puntualità. Va
bene che era un Asino
-e gli equidi, si sa, non hanno un gran senso del tempo- ma quanto gli
ci
voleva per salire tre o quattro rampe di scale, santa zucchina?
Finalmente
sentì alle sue spalle un rumore felpato di passi. Si
voltò, preparandosi a
chiedergli conto di quel clamoroso ritardo. Aveva forse dovuto dare la caccia ad un troll o
aveva per caso
aiutato un lepricano a recuperare la sua pentola piena d’oro
nascosta ai piedi
dell’arcobaleno?
Ma non era
Arthur l’uomo che gli si presentò alla vista,
bensì Gwaine. Gwaine,
con il suo fascino da guascone, la massa di capelli
scomposti e l’atteggiamento alla “io so’
Romeo, er mejo der Colosseo”. Lo
spericolato, ridanciano Gwaine, i cui occhi però apparivano
in quel momento
appannati, velati di mestizia.
“Gwaine”.
Persino
Capitan Ovvio se ne sarebbe uscito con qualcosa di più
intelligente.
“Merlin,
devo parlarti. E’ piuttosto urgente”
l’altro non si perse in preamboli.
“Oh,
uhm,
cioè… ok. Però non adesso, eh?
Rimandiamo a domani mattina. Devo conferire un
attimo con Arthur”.
“Non
posso
aspettare fino a domattina, Merlin. Ti ho seguito fin qui apposta per
parlarti.
E poi non so te, ma io non vedo Arthur nei paraggi”
ribatté alquanto seccato.
“Hai
ragione, scusami” sospirò l’altro.
“Non era mia intenzione essere scortese, ma
i ritardatari mi danno sui nervi .
Di
cosa volevi parlarmi?”
“Cercherò
di
essere breve, lo prometto. Ma prima consentimi di farti una domanda: tu
sei innamorato
di Arthur?”
Déjà
vu. “Sì”
mormorò, impacciato ma al contempo stranamente sicuro di
sé.
“Ne
sei
convinto?” insistette Gwaine.
“Sì,
ne sono
convinto. Lo amo, sebbene dorma ancora con l’orsacchiotto.
Perché me lo chiedi?”
rispose, un po’ ridacchiando e un po’ arrossendo.
Il viso
dell’amico, al contrario, assunse un colorito terreo.
“Gwaine,
ti
senti male?” cominciò a preoccuparsi.
“No”
l’altro
scosse la testa e abbozzò un sorriso tirato, spento.
“No, dovevo aspettarmelo.
Sono stato stupido io a credere di avere ancora qualche
speranza” disse poi
abbassando lo sguardo sul pavimento.
Il mago gli
si avvicinò, afferrandolo per la spalle con piglio deciso.
“A
cosa ti
riferisci, amico mio? Quali speranze?”
Egli si
liberò dalla presa, arretrando di un passo. Poi rivolse a
Merlin un’occhiata
carica di amarezza, prima di rispondere-
Ammettetelo:
state morendo dalla voglia di scoprire cosa stesse per dire Gwaine, eh?
Spiacente,
gentile pubblico, siamo costretti a rimandare il momento della Grande
Confessione. Perché vedete, proprio mentre
l’affascinante moraccione
raccoglieva il coraggio ed il fiato, nel corridoio buio del terzo piano
fecero
la loro furtiva comparsa alcuni servitori che Merlin conosceva solo di
vista e
si misero a trafficare con quelle che sembravano essere luci
stroboscopiche e una palla da discoteca?? In nome di Donna Summer, da dove saltavano fuori
quei marchingegni?
Lo stupore
-per usare un eufemismo- dei due ragazzi crebbe in maniera esponenziale
non
appena i servitori si dileguarono, lasciando il posto ai musici di
corte. Il
bassista (il bassista?) urlò ai suoi colleghi: “E
one, e two, e one two three
four!” e tutti insieme attaccarono con
la melodia. Melodia che, al mago, suonò familiare in modo
inquietante in quanto
gli ricordava tantissimo la canzone preferita di Gaius: stesso ritmo
accattivante, stessa musichetta leggera e sbarazzina.
Cominciò a sudare freddo.
Fu in quel
momento -epico, tragicomico, topico: come più vi aggrada-
che entrò in scena il
cantante. Per poco Merlin non stramazzò al suolo e Gwaine
rischiò un colpo
apoplettico.
Alto, una
chioma di capelli fin troppo lunghi, neri e lustri per essere naturali,
un boa
di struzzo rosa acceso e glitterato e una tuta di pelle nera
attillatissima con
tanto di scollo a V che gli scopriva sensualmente il collo e buona
parte dei
pettorali. L’insieme era al tempo stesso grottesco, gay
all’ennesima potenza e
morbosamente arrapante. Merlin
cercò con
lo sguardo gli occhi dell’individuo, ma una folta frangia li
copriva. Eppure il
suo istinto gli diceva che lo conosceva, e pure bene. Eseguì
una radiografia
completa del corpo perfetto (atletico ma non gonfiato, armonioso, con
due
spalle così e un culo che pareva scolpito nel marmo) del
misterioso capellone;
il tessuto aderente lo fasciava come una seconda pelle, evidenziandone
in modo
quasi pornografico i capezzoli turgidi. Gli ormoni impazziti del nostro
eroe
esplosero in un boato di apprezzamento di fronte a cotanta figaggine.
Esplorando il
corpo umano, quante
cose che impariamo, petto e muscoli gommosi: che spet-ta-co-lo!, Merlin li
sentì cantare.
Momento
momento momento.
I muscoli
gommosi erano una prerogativa
assoluta di un Asino Reale di sua conoscenza. Oh Zeus egioco, che fosse
lui?
Finalmente
l’arcano venne svelato. L’uomo del mistero si
scostò la frangia dagli occhi azzurrissimi,
da gatto, si esibì in un sorriso ammiccante che rivelava
denti bianchi ma un
po’ irregolari e con la mano sinistra -sul cui indice portava
l’anello della
sua casata- impugnò il microfono e cantò.
«L’indirizzo ce l’ho
Rintracciarti
non è un problema
Ti telefonerò
Ti offrirò una serata strana
Il pretesto lo sai: quattro dischi ed un po’ di whisky!
Sarò grande, vedrai
Fammi spazio e dopo mi dirai
Mmmh… Che maschio sei! »
Jesus Christ
Superstar.
Arthur stava
cantando -si fa per dire- la canzone più equivoca di tutti i
tempi (non per
niente la favorita di Gaius). Ragliando come l’asino che era.
Con una assurda
parrucca ed un boa di piume assolutamente da checca. E una tuta che,
beh,
inneggiava allo stupro.
Jesus Christ
Superstar.
Il giovane
Pendragon, da parte sua, si apprestava ad intonare i ritornello quando
vide che
alla sua esibizione stava assistendo un ospite non gradito: Gwaine.
Prima le
luci stroboscopiche lo avevano mezzo accecato, consentendogli di
scorgere a malapena
il destinatario della sua serenata, ma
adesso distingueva perfettamente anche la zazzera dell’amico,
la sua stazza.
Digrignò i denti. Che cavolo ci faceva lui lì?
«Lui chi è?
Come mai l’hai portato con te? »
cantò rabbiosamente, indicando l’intruso.
Per fortuna
il volume della musica non era alto, quindi Merlin provò a
ribattere senza
sgolarsi troppo.
“No
Arthur,
non è come pensi!” era chiaro che quello stupido
aveva frainteso la situazione.
«Il
suo ruolo mi spieghi qual è?
»
“Ma
che
ruolo e ruolo, se solo la smettessi di cantare-” non si diede
per vinto
l’altro.
«Io volevo incontrarti da solo, semmai!
»
Arthur non aveva intenzione
di cedere.
“OH
INSOMMA,
ASCOLTAMI UNA BUONA VOLTA! SE NON AVESSI IMPIEGATO CINQUANTA GIRI DI
CLESSIDRA
PER PREPARARE QUESTA MESSINSCENA MI AVRESTI TROVATO DA SOLO, RAZZA DI
ASINO!”
urlò esasperato.
Non diede
mostra di grande savoir-faire, forse, ma almeno ebbe
l’effetto di porre fine a
quello strazio. I musicisti si interruppero all’istante e
Arthur rimase a bocca
aperta a mo’ di pesce lesso.
“Sia
ringraziato Odino e l’intero pantheon celtico! Sei stonato
come una campana,
sappilo”.
Il principe
si tolse la parrucca, evidentemente deluso.
“Uff,
la
prossima volta col cavolo che do retta a quella drag queen di Gaius. Mi
ha giurato
che Il triangolo funziona sempre
come
serenata, sebbene qualcosa mi dicesse che non avresti
apprezzato”.
“Scommetto
che ti ha convinto lui a conciarti in questo modo, vero?”
indagò l’altro.
“Sì.
Sai, in
omaggio a Renato Zero. Sto così male?” era proprio
abbattuto.
“Se ti
levassi anche quel ridicolo boa saresti il sogno erotico di
chiunque” rispose
Merlin schiettamente, per poi avvampare immediatamente dopo.
Tuttavia ad
Arthur sfuggì quell’apprezzamento involontario,
intento a fissare Gwaine con
sguardo inquisitore.
“Che
ci fai
tu qui, amico mio?” chiese con malcelato sarcasmo.
“Arthur,
stavo per l’appunto cercando di spiegarti-” si
intromise Merlin .
“No,
lascia
che parli io” lo zittì gentilmente
l’amico. Indi si rivolse al sosia biondo di
Renato Zero. “Avevo urgenza di parlare con Merlin, mio
principe”.
“Davvero?
E
cosa avevi di così importante da dirgli, posso
saperlo?” incalzò malevolo.
“In
verità non
ho potuto rivelargli alcunché, perché siete
sopraggiunto voi” spiegò l’altro in
tono sorprendentemente mite.
“Beh,
cosa aspetti
a parlargli: che a Lord Voldemort ricrescano i capelli?”
insinuò velenoso.
“Arthur”
lo
ammonì Merlin.
“No,
amico
mio, Arthur ha ragione. Merito di essere trattato alla stregua di terzo
incomodo, perché è proprio questo che sono. La
verità è che, nei mesi trascorsi
lontani da Camelot, ho capito di essermi innamorato di te”
mormorò guardando lo
stregone fisso negli occhi.
L’erede
al
trono ringhiò neanche troppo discretamente.
“Mi
ero
ripromesso di non rivelarti i miei sentimenti, ma quando mi
è giunta voce che
Arthur aveva perso la testa per te, non ci ho visto più: ho
subito pensato che
fosse uno scherzo di cattivo gusto, che lui ti stesse illudendo e
niente altro.
Per questo sono tornato, Merlin. Volevo la conferma alle mie supposizioni, metterti
in guardia,
evitarti un dolore. Ma ero in malafede e mi è bastato
vedervi insieme per
capire quanto mi fossi sbagliato. Voi due siete anime gemelle, le due
facce
della stessa moneta (aridaje!, NdA), e poco fa me ne avete dato la
prova: battibeccate
come una coppia sposata da trent’anni”
tentò di sdrammatizzare Gwaine.
Arthur nel
frattempo aveva assottigliato gli occhi, come un gatto diffidente.
Dunque non
si era sbagliato, a percepirlo come una minaccia.
Merlin,
mosso a compassione dall’evidente sconforto
dell’amico, tentò di consolarlo.
“Ma
no,
Gwaine, non devi incolparti. Al tuo posto avrei agito anche io
così, davvero.
Ti capisco”.
“No,
amico
mio carissimo. Non giustificarmi. Io sono in torto, e merito di fare
ammenda.
Mi dispiace” sussurrò ad entrambi, respingendo il
conforto del mago. “Adesso
scusatemi, devo proprio congedarmi”.
Se ne
andò
con la coda fra le gambe, scomparendo nell’ombra del
corridoio buio del terzo
piano. Merlin era ancora troppo sconvolto ed imbarazzato per riuscire a
ragionare lucidamente. Arthur, con la cattiveria derivata dal rancore e
dalla
gelosia, incrociò le braccia al petto e, con i suoi migliori
faccia da schiaffi
e tono strafottente, gli diede il colpo di grazia.
“Allora,
Merlin, di che volevi parlarmi?”
Bien, eccoci
qui. Siete ancora vive? Volete linciarmi?
Seriamente,
ora più che mai mi farebbe piacere -e mi sarebbe anche
utile- un vostro parere.
Sono confusa, demotivata, ho il ciclo e domani ricomincia
l’uni. Come sempre,
un ringraziamento speciale e melodrammatico (lol) a chi recensisce,
segue,
preferisce e ricorda la mia bislacca storiella.
Ah
sì,
giusto una noticina: la citazione all’inizio del capitolo
è di una canzone che
ho scovato su Youtube qualche giorno fa, e me ne sono innamorata
praticamente
da subito... Leggete il testo completo e ditemi se non vi sembra
perfettamente
calzante per Arthur e Merlin!
http://www.youtube.com/watch?v=DEFKN5nfcYU
(questo è il video con le lyrics)
http://www.youtube.com/watch?v=ayVuQLT00v0&ob=av2e
(e questo è il video originale)
Un bacio a
tutte!