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Autore: Elenie Estel    06/06/2006    1 recensioni
il seguito di "Vacanza da ricordare". Kate e i malandrini sono tornati ad Hogwarts, e mentre i quattro cercano di aiutare Remus diventando animagi Kate cerca di sopravvivere da sola...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ragazzi, che partita!”
Ha ragione. È stata fantastica! E i Tassi sono sotto di centoventi punti. Grandioso! Mai vista una cosa del genere. E tutto in sedici minuti e mezzo, stando al cronometro. Da pazzi!
“In sala comune si fa festa! Muovetevi, che se no non resta niente per voi!” urla qualcuno dagli spalti.
Sono ancora euforica, seguo gli altri nello spogliatoio. Sono così di fuori che quasi non noto uno scalino. Per fortuna ho un buon equilibrio. Incespico per un paio di passi, tra l’ilarità generale. E per la prima volta da mesi rido. Come una pazza. Sono felice e basta. È molto rilassante.
Ci cambiamo il più in fretta possibile e corriamo al castello.
La sala comune è effettivamente in festa. C’è gente ovunque, tutti parlano, ridono, fanno domande. Cerco di stare dietro un po’ a tutti, ma è impossibile. Così sconnetto il cervello. Non penso, agisco. Rido alle battute, sgranocchio noccioline e cioccolata, bevo quello che mi passano e, a richiesta, commento la partita.
“Ehi, Kate! Bela partita!” mi dice qualcuno da molto vicino. Ray.
“Già! È andata veramente alla grande!” urlo. Altrimenti non penso riuscirebbe a sentirmi.
“Senti, qui fa un caldo boia, ti va di andare a prendere un po’ d’aria?” chiede. Effettivamente si bolle. E mi sento la testa leggera come una piuma. Forse ho mandato giù una burrobirra di troppo… cose che capitano.
Usciamo dalla stanza senza che nessuno se ne accorga. C’è una tale calca! Ci mettiamo a sedere su una scala. Quella che porta alle camere dei ragazzi.
Ho la testa ancora leggera, ma per lo meno ora respiro.
Rimaniamo in silenzio. Non ho niente da dire a Ray. Lui invece sembra sulle spine. Come l’ultima volta che ci siamo parlati, in infermeria. Di sicuro vorrà riprendere il discorso. Ma cosa voleva dirmi?
“Senti, Kate… io… ehm… volevo chiederti una cosa…”
“Me ne sono resa conto. Cosa?” forse sono stata un po’ brusca.
“Volevo chiederti se tu…cioè, noi… insomma, più o meno…” si blocca un’altra volta. Comincio a spazientirmi.
“Se non mi fai la domanda non potrò mai rispondermi. Non voglio stare qui tutta la sera.” Decisamente un po’ brusco, ma non sono mai stata particolarmente paziente.
“Ecco, volevo…ah, va be’… non importa.” Si alza e se ne va, lasciandomi sola sullo scalino. E così ancora non so che cosa gli passa per la testa. La situazione è un po’ snervante. Ma forse non avrei dovuto aggredirlo così… forse dovrei andare a cercarlo e scusarmi. Mi alzo e mi sistemo un po’. sono tutta in disordine.
“EHI! Kate! Che ci fai qui?” Jim urla con tutto il fiato che ha in gola.
“Rifletto. È consigliabile farlo, ogni tanto.” Rispondo. Non mi va di parlare con lui a tu per tu. Mi sento troppo in colpa.
“Ehi! Calma, non ti ho mica fatto niente…” se l’è presa. Non volevo offenderlo. Davvero.
“Scusa. Sul serio, non volevo offenderti. È che sono stanca.” È vero. Mi sento distrutta. È come se tutte le mie energie fossero evaporate.
Faccio per dirigermi verso la scala delle ragazze, ma mi ferma.
“Aspetta. Ti va di parlare un po’? Sei un po’ strana ultimamente. Sicura di stare bene?” se n’è accorto. Non poteva non accorgersene.
Respiro a fondo prima di rispondere. È il momento. Ora o mai più.
“Sto male. È vero. Ma non voglio parlarne qui. È troppo di passaggio. Voglio parlare un po’ con te, in pace.” L’ho detto. Ora non si torna indietro.
Jim sembra riflettere un attimo. Poi mi chiede di aspettarlo la un attimo. Sparisce nel suo dormitorio. Rimango sola ai piedi della scala per qualche istante. In cui non posso fare a meno di chiedermi che cosa ho fatto. Non so se sarò capace di parlare. Ma in fondo è ora che ci provi, credo.
“Kate! Sali su!” Jim mi chiama. Lo raggiungo nel dormitorio.
“Uscire sarà facile, poi useremo questo!” mi indica il mantello argenteo che sta nascondendo sotto la veste. “È un mantello dell’invisibilità! Vieni!”
Mi trascina fino alla sala comune, e da lì fuori dal buco del ritratto, senza che nessuno ci fermi.
Appena fuori ci infiliamo sotto il mantello.
“Mi è venuto in mente un posto tranquillo!” sussurra. “Seguimi!”
Lo seguo su e giù per scale, lungo corridoi e per vari passaggi segreti fino a una porta che non ho mai vista.
“Eccoci. La stanza delle necessità è quello che fa per noi!”
  
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