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Autore: Euterpe95    26/09/2011    1 recensioni
Dev'essere una prerogativa di coloro che hanno radici quella di tornare a casa, quella di avere un posto dove tornare.
Ariele torna al paese d'origine della sua famiglia
Ariele però, è come lo spirito dell'aria di cui porta il nome: non ha radici ed è senza tempo. Riuscirà a riconquistare l'amore di Luca, che nel frattempo sembra essersi dimenticato di lei? Riuscirà a  tenere testa al cupo ed affascinante Edward con il quale non fa altro che litigare?
Ma soprattutto, troverà ciò che sta cercando?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei scappare, fare un salto per vedere
se vale davvero la pena di fare così.

Vorrei fumare,

andare oltre e

superare le scale
per non tornare,
andare via da qui.
(...)
A volte penso che magari
si potesse staccare.
A volte penso che magari
si potesse volare.
Allora andiamo via
credi, il mio posto non è qui.
 
- Diluvio, Via da Qui -

A Gabriel,
per tutte le volte che siamo scappati in stazione e abbiamo preso il primo treno che passava di lì.
E per tutte quelle in cui abbiamo preso la multa perchè non avevamo il biglietto.
A Lucia,
per quelle volte, invece, in cui siamo scappate saltando la recinzione
e la preside ci metteva in punizione sulla panchina gialla dei bimbi cattivi.
 
Ad Annalisa,
in memoria di tutte le storie che ti ho raccontato di Manderìa,
mentre mangiavamo Pringles, Nutella e Ringo di nascosto in camera mia.

 A Francesco,
che in fondo non capirà mai come tutto questo mi possa rendere felice.

 

Vedevo la strada davanti a me.
Chilometri e chilometri di terra battuta e sassi circondata da campi di grano e gramiglia ancora verde, l’unica strada che conduceva a Manderìa era stretta e bastava poco perché si riempisse di fango e diventasse impraticabile. Come quel giorno. Il percorso era interamente ricoperto di una fanghiglia scura e appiccicosa. Scesi dall’auto e feci cenno anche a mia cugina Anita di uscire.
- Non riusciamo a muoverci?
Scossi lentamente il capo.
Lei sbuffò scostandosi la frangetta bionda dagli occhi e mulinando i capelli lunghi e liscissimi.
Anita aveva sei anni più di me, ma ovviamente ero sempre io a dover guidare, lei al volante si innervosiva e non mancava mai di trasmettermi questo suo nervosismo con pizzicotti e sbuffate sonore.
Quell’ estate compivo diciannove anni ed avevo appena terminato  la maturità, ottenendo come al solito il massimo dei voti senza aprire i libri.
- Lo sapevo che avremmo dovuto venire in treno e non prendere l’auto - sbottò sedendosi sul cofano con le gambe a penzoloni, come una ragazzina.
Mi appollaiai al suo fianco senza dire una parola perché l’idea di prendere l’auto era stata sua.
- Ci toccherà aspettare che passi qualcuno che conosciamo e intanto potremmo farci una bella chiacchierata, no? - propose stendendosi fino a poggiare la testa sul parabrezza della mia Aston Martin del ’56 rosso fiamma quasi nuova che mi avevano regalato i miei dopo il diploma.
Mia madre è nata a Milano ed è lì che vivevamo anche se mio padre era originario di quel paesino minuscolo in mezzo al nulla della Puglia meridionale. Da piccola passavo lì tutte le estati con nonna, Anita, sua sorella Margherita, Luca, Carlo e Andrea. Venni qui fino a quando compii quattordici anni poi questo paese con i suoi vuoti immensi e i suoi squallori non più riempibili con i giochi infantili iniziò a sembrarmi sempre più ostile: io non ero nata lì come tutti i miei cugini. Non era casa mia. Ragionando non riuscivo ad associare nessun luogo al concetto di casa. Milano, Manderìa o casa dei genitori di mia madre al lago? Anita, invece, non vedeva l’ora di arrivare e scrutava impaziente l’orizzonte sperando di veder comparire qualcuno, mi sembrava che fosse un po’ troppo attaccata a casa sua per essere una che si dichiarava libera ed indipendente, poteva girarla come voleva e vomitare odio sulla miseria antica di Manderìa quanto voleva ma finiva sempre per tornare. Dev’essere una prerogativa di coloro che possiedono radici quella di tornare a casa, quella di avere un posto dove tornare.
Io non l’avevo e mi toccava sempre fare finta che quello degli altri fosse anche il mio.
 
- Chissà quante cose saranno cambiate! - esclamò mia cugina con falso entusiasmo.
Sapevo che stava mentendo prima di tutto a sé stessa: una delle principali caratteristiche di Manderìa era la totale arretratezza sia sociale che economica, in poche parole era impossibile che fosse cambiata anche solo la disposizione dei fiori bianchi e rosa sotto l’altare della madonna immacolata nella piccola chiesa del paese perché ciò che era abitudine era definito tradizione insieme a ciò che non si aveva la minima voglia di cambiare. Come i due vasi in vetro soffiato ai lati della Vergine.
Mi sembrava quasi di riuscire a vederli quei fiori, due gigli bianchi dietro e cinque rose chiare davanti, di sentirne il profumo e di toccarne i petali.
- Ci saranno anche Luca, Carlo, Margherita e Andrea - ritentò lei con lo stesso tono che avrebbe usato un presentatore televisivo per pubblicizzare del dentifricio.
Luca.
Al ricordo dei suoi occhi scuri la mia bocca si curvò in un sorriso.
- Gli ho scritto, in questi cinque anni - dissi ad Anita fissando la strada.
Mia cugina mi guardò con l’aria maliziosa di chi la sapeva lunga.
- Ma non mi ha mai risposto, così un giorno ho smesso.
Lei mi passò un braccio attorno alle spalle e mi strinse a sé dolcemente.
- Forse si vergognava, Ari.
- E di che?
- Bè, non so se lo sai, ma è fidanzato con Maria Pasquali.
Un peso immane si posizionò sul mio cuore.
- Grazie davvero Any, adesso sì che sono allegra.
Lei rise e mi guardò.
- Almeno lei non assomiglia ad un’acciuga - concluse saltando vivacemente giù dal cofano e levandosi le Loubutin nere che indossava. Non ce n’era alcun bisogno in realtà: avrebbe potuto tranquillamente camminare sulla strada, ma io sapevo che le piaceva la sensazione della sua terra sotto i piedi. Chissà come mai per tornare a casa si vestiva sempre con i suoi abiti migliori e ne sfoggiava di diversi ogni giorno. Anita era avvocato e con il suo lavoro guadagnava piuttosto bene, salvo poi che spendesse ogni cosa in abiti e trattamenti di bellezza.
- Ogni tanto bisogna tornare a casa - sussurrò lentamente, assorta, cercando di giustificare la nostra presenza quasi inopportuna in quella specie di deserto.
No, pensai, ma questa è casa tua.
- Già, ma per te non è la prima volta - risposi sprezzante cercando di dominare la sensazione di disgusto che mi attanagliava la spina dorsale. Lei mi fissò dritta negli occhi.
- Vado in paese a vedere se qualcuno riesce a togliere la tua macchina dal pantano - disse voltandosi a camminare, i piedi nudi tra il grano e le scarpe che ondeggiavano nella mano come farfalle in trappola.
 
  

  
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