Serie TV > Flor - speciale come te
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Autore: Danicienta    26/09/2011    3 recensioni
Non sono mai stata soddisfatta dal finale della serie, per questo motivo ho deciso di inventarmi una storia tutta mia, dove a narrare i fatti sarà la nostra protagonista Flor. Buona Lettura!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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      ___Un Bacio non Deve Fare Male___


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Svegliata dal profumo amarognolo del tipico tè argentino, mi alzai lentamente da letto e osservai il piccolo vassoio d'acciaio che aveva occupato il mio comodino.  La luce filtrava a malapena dalle finestrelle della mia stanza, ma illuminava con facilità l’invitante colazione energetica che ero solita degustare ogni mattina: croissant appena sfornati e naturalmente mate che in quel preciso momento era accompagnato da un fiore, una rosa dal color pesca che sembrava mi invitasse a saziare quello spiacevole languorino che si era creato nel mio stomaco.
«Finalmente ti sei svegliata! – spostai la testa al letto accanto. Roberta, già vestita e pettinata, mi osservava con una certa euforia – Ce ne hai messo di tempo! E’ Più di mezz’ora che ti sto chiamando!» le sorrisi estasiata al ricordo dell’ennesimo sogno dove un Federico più che valoroso mi salvava da una strega inferocita «Ero un po’ occupata»
«Ah, già, il tuo Principe – la piccola di casa si sistemò il nastro delle treccine – Quando glielo dirai?» spalancai gli occhi stupita «Cosa?»
«Che sei cotta di lui! – si alzò dal letto e mi si avvicinò schioccandomi un bacio sulla guancia – Ora vado, altrimenti quella cotta sarò io! Ciao!»
Come un folletto intrepido, la bimba se l’era data a gambe saltellando!
“Tipico di Roberta” pensai, ricordando quanto quella ragazzina fosse tremendamente audace e talvolta perfino impertinente.
Da quando aveva scoperto che ero innamorata di suo cugino, non aveva fatto altro che far comunella con quella pazzoide di Maya, cercando in tutti i modi di farmi dichiarare.
«E’ semplice vai lì, cerchi il suo sguardo, lo fissi negli occhi con mistero, con estro e poi gli dici “Federico, mi sono innamorata di te”» alzai gli occhi al cielo, assistendo per l’ennesima volta a quella che sembrava essere la rappresentazione scolastica della mia presunta “dichiarazione” a Federico «Ma che dici, Maya! – sbottò Roberta afferrando uno dei miei cuscini a forma di cuore – questo fa troppo “telenovelas argentinas” – saltò sul letto, briosa – Flor, tu vai da Federico, lo guardi negli occhi – elevò il cuscino a pochi centimetri dal suo viso – ti avvicini e …» un sonoro schiocco rimbombò per tutta la stanza, mentre una appassionata Roberta si gettava impetuosa sul letto.
Roberta aveva suggerito un bacio e Maya ed io ci stavamo sbellicando dalle risate.

Sorrisi a quel ricordo.
Quante me ne combinavano le donne di casa?
Ogni giorno era un passo in più verso la pazzia!
E mentre un Federico malinconico e furioso girava per i corridoi di casa alla ricerca di una scusa logica per sfogare la sua ira, io e le principessine di casa studiavamo le più strambe giustificazioni che le Streghe usavano per spendere e spandere i milioni dei Fritzenwalden.
Non immaginavo si potesse essere così brave a mentire senza nemmeno essere attrici!  
E così tra manicure, tisane alle erbe e creme antinvecchiamento, i pesos del maggiore di casa si prosciugavano nel nulla e un Federico, sempre più agitato e profondamente confuso, vagava alla ricerca di risposte a quei resoconti fiscali i cui zeri sembravano essere aumentati senza ragione.
La risposta?
Beh, semplice ed efficace.
“Non credevo di aver speso tanto” “Pensavo fosse in saldo” “Ne avevo proprio bisogno” o peggio di tutte “Ero convinta di avere usato la mia di carta!”
«Streghe!» farfugliai allo specchio, mentre mi sistemavo il maglioncino giallo pastello che Titina mi aveva regalato l’anno passato.
Possibile che Federico non si accorgesse del covo di vipere in cui si era soggiogato?
«Vedo che ti è piaciuto il mio regalo!» il sorriso di Franco mi invase l’anima «Buongiorno, Farolito!» lo abbracciai in segno di gratitudine «Buongiorno a te, Angioletto! Allora, piaciuta la colazione a letto? - si sistemò la felpa rosso porpora, per poi dedicarmi uno di quei suoi sorrisi spaccapietre – Non sai che lotta ho dovuto fare con mio fratello, ma poi si sa, Franco Fritzenwalden vince sempre, no?»
Federico aveva l’ostinata capacità di interferire sempre nelle vite altrui, in modo particolare nella mia!
 Non vedevo nulla di male nei gesti affettuosi di Farolito, in fin dei conti era un mio amico e come tale si comportava, tranne che in alcuni momenti, quando sembrava volesse divorarmi con quei suoi occhi azzurro Cielo. Ma questa era un’altra storia.
Tutto stava nel fatto che Federico vedesse malvagità ovunque, tranne dove più gli sarebbe servito vedere.
Un caso disperato!
«Cosa c’è, Flor? Non ti è piaciuto il mio regalo?» agitai violentemente le mani, negando con il capo «Oh no! Che sciocca! Mi sono fatta prendere dai miei soliti fliquity! – respirai a fondo – Comunque no! Il tuo regalo è stato fenomenale, sopratutto il mate, con tanto zucchero come piace a me!» Franco mi si avvicinò lentamente «Così ti piacciono le cose dolci, Angioletto!» sussurrò accarezzandomi teneramente la guancia «Ehm – indietreggiai imbarazzata, mentre mi perdevo nel mare blu dei suoi occhi, fino a che le mie spalle toccarono l’anta dell’armadio.
Corsa finita, Flor bloccata.
Abbassai sconcertata lo sguardo, ritrovandomi a fissare le mie scarpette verde prato – ecco, io credo che …»
«Dolci come te – sibilò, mentre con un tocco lieve, mi sollevava leggermente il mento per far ricadere il suo sguardo penetrante nel mio – Ti hanno mai detto che sei molto carina? - scossi il capo, ribassandolo, decisa a non rispondere, ma Franco sembrava determinato e molto sicuro di sé – Ebbene sì, sei molto, ma molto carina! Un Angioletto caduto dal cielo per la troppa bellezza!» mi sorrise, facendomi sciogliere il cuore. Sapevo e sentivo che le distanze tra noi si stavano accorciando e, anche se avevo una tremenda voglia di chiudere gli occhi e scappare a gambe levate, sembrava che gli occhi magnetici della mia “Lanterna” mi tenessero imprigionata.
Sentivo il suo profumo, il suo calore, perfino i battiti del suo cuore sembravano talmente amplificati da rimbombare temerari nella mia testa.
Chiusi gli occhi, decisa a continuare ciò che la mia mamma e le mie fatine probabilmente volevano.
Se quello era il desiderio del Destino, allora avrei giocato le carte che mi erano state assegnate.
Decisa del bacio di Franco.
Anche se innamorata di Federico.
«Disturbo?» la voce rauca di Federico irruppe nel silenzio della mia stanza. Imbarazzata più che mai e con ancora il cuore in gola, mi allontanai velocemente da Franco, ringraziando le mie fatine per non avermi fatto compiere la più grande sciocchezza della mia vita.
Sorrisi al Freezer, che dall’alto del suo cospetto mi osservava indignato, talmente seccato da sembrare turbato. I capelli spettinati, il viso corrugato in un’espressione acida, gli donavano quel tocco principesco in più. Irresistibile in quel suo maglione cobalto ispezionava petulante me ed il fratello.
Sbottai in una risatina isterica per cercare di salvare l’irreparabile «Oh, salve Signor Federico! Stavo appunto ringraziando Franco per il pensierino, la colazione con le brioscine, la rosellina e … - mi avvicinai al vassoio e afferrai il contenitore d’acciaio, dove sicuramente qualche goccia di tè si era depositata sul fondo – e la bevandina – andai da Federico e gli infilai la bombilla in bocca – Coraggio, Federico, assaggi che squisitezza il mate dolce! – se con una mano sostenevo il recipiente, con l’altra disegnavo segni agitati nell’aria – Così gradevole, così delizioso, quasi angelico! – fissai il Freezer che man mano deglutiva sorpreso la bevanda – E guardi che con questo il Cielo si può veramente toccare! – spostai poi gli occhi su Franco, che da un momento all’altro si sarebbe gettato in terra per dar sfogo alla sua inesorabile risata. Lo fulminai con lo sguardo – Uno zuccherino! Non trova?» Federico tossì, sputando ciò che rimaneva del mate sulla moquette della mia stanza: nemmeno il caldo del mate era riuscito a penetrare il gelido cuore del Freezer!
Che fosse un caso?
«Oh, guardi qui che disastro! S'è macchiato tutto quanto! Crede di stare bene?» con fare preoccupato, afferrai un tovagliolino di carta colorata e, con affrettata dolcezza, gli ripulii la bocca, percorrendo lievemente il contorno delle sue labbra. I miei occhi vagarono alla ricerca dei suoi.
Fu un errore.
Un errore fatale.
Le gambe iniziarono a tremarmi e il cuore smise di battere.
L’espressione dura, rude e seccata che avevo colto sul suo viso pochi istanti prima, non lasciava la ben che minima traccia nel suo sguardo. Nonostante il suo carattere freddo, introverso, ferreo e terribilmente cocciuto, quel miele delicato dei suoi occhi nascondeva una dolcezza indescrivibile. Bastava fissarli per capire quanta sensibilità si celava dietro quella maschera di Freezer insolente.
Tanta sofferenza, tanta tristezza, tanto amore da dare ma senza sapere come.
Un Principe delle fiabe che aveva perduto il sogno di volare, volare con l’amore.
«Florencia, non permetterti più» sussurrò Federico, mentre una me, ancora persa, cercava di ricomporsi. Indietreggiai imbarazzata «Sì, Signore» sibilai mentre abbassavo lo sguardo scuotendo il capo per cancellare quelle strane sensazioni «Tutto questo casino per due gocce di mate! Era almeno buono, fratellino?» sdrammatizzò Franco.
Lui e il suo solito senso dell’umorismo, capaci anche di far tornare il sorriso al più triste bradipo vagabondo.
Perché questo era Farolito!
Spiritoso e allegro al punto giusto, forse anche troppo!
L’unico difetto che lo caratterizzava era quell’indescrivibile aria da corteggiatore che lo rendeva esageratamente sdolcinato e anche insolito, decisamente insolito.
«Non ho chiesto il tuo parere, Franco! – ruggì Federico, avanzando lentamente verso il fratello – Florencia è una mia dipendente e i suoi comportamenti non badano al rispetto di questa casa!» me ne stavo zitta, mogia, mogia ad ascoltare l’ira furiosa di quello che sembrava non più essere il mio principe Azzurro, bensì l’orco furibondo di una fiaba mal scritta!
«Certo, Federico! – Il Franco arrabbiato sapeva essere molto ironico e tremendamente sfacciato - Perché qui noi tutti siamo i tuoi cagnolini, no? Ritti e cupi, come degli abili robot?»
«Ah, perché tu adesso sei diventato l’avvocato difensore dei tuoi fratelli e del personale, giusto?»
«Tu non sai di cosa sto parlando!» sospirò sdegnato Franco «No, no, so bene di cosa stiamo parlando! – Federico mi osservò, scrutandomi da cima a fondo, per poi puntare i suoi occhi freddi e gelidi sul fratello – Stiamo parlando di etica, di comportamento e tu sei il primo a non rispettarla!»
L’ennesimo litigio, l’ennesima discussione basata sempre sulla stessa inutile causa: la moralità!
Federico era testardo, cocciuto talmente ostinato da mettere i brividi.
E Franco non era da meno!
Non era la prima volta che litigavano a causa mia e purtroppo di questo me n’ero resa conto.
Ogni piccola cosa che il gemello dei Fritzenwalden mi diceva o faceva, rischiava di mandare in collera il mio principale. Non so se per cattiveria o per lune storte o semplicemente per “etica” come la chiamava lui.
Quell’etica che oscurava l’educazione prussiana della famiglia. La stessa etica per cui un Fritzenwalden non poteva essere amico di una dipendente, la stessa per cui la bambinaia di casa doveva stare al suo posto, solo e soltanto ligia ai suoi doveri.
Cosa giusta, ma veramente nauseante, perché io volevo un bene infinito ai ragazzi.
Ma il lavoro è lavoro, e nonostante le mie continue discussioni con il maggiore dei Fritzenwladen al riguardo, la colpevole di tutto e di tutti ero solo e soltanto io.
Come in quel preciso momento!
Spazientita e veramente esausta di ascoltare sempre le stesse accuse, girai i tacchi e con fare terribilmente rabbioso abbandonai la stanza, sbattendo violentemente la porta.
Ero infuriata e avrei preso a calci chiunque, se avessi potuto.
Ma avevo paura, paura che da un momento all’altro Federico e Franco si sarebbe presi a cazzotti, lì, nella mia stanza.
Era troppo pericoloso e loro erano furiosi.
Sarebbe scorso del sangue?!
Muta, ma con i nervi a fior di pelle, rimasi ad origliare dietro la porta.
«Ci risiamo, Federico? – sbuffò Franco – Ancora questa storia? Non ti stufa ripetere sempre lo stesso disco? Perfino Florencia si è stancata di ascoltarti e sinceramente la capisco!»
«Florencia un corno, Franco! Qui la cosa la dobbiamo risolvere noi!»
“O mamma mia, qui si ammazzano” incrociai le dita, pregando le fatine della pace, perché tutto si calmasse e ritornasse la tranquillità.
«Sono d’accordo! Le cose le dobbiamo risolvere noi ed io sono stanco di girarci sempre intorno – Franco sospirò e dopo qualche istante riprese a parlare – Sono innamorato di Florencia! E non mi guardare così, Federico! Che cosa farai adesso? Mi caccerai? Mi ucciderai? O ancor peggio, mi priverai del cognome dei Fritzenwalden?»
Strabuzzai gli occhi stupefatta.
Franco era innamorato di me.
Franco, il mio Farolito mi amava. Com’era possibile?
Lui era un amico, il mio amico ed ora?
Tutto aveva senso.
I suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti affettuosi nei miei confronti, le sue parole, i suoi gesti, perfino i suoi incantevoli sorrisi, prendevano un colore diverso. Sembrava tutto così semplice, così ingenuo e invece tutto era rivolto a me, con un solo scopo: stravolgermi il cuore.
Ed io?
Io che ero sempre stata distante, comportandomi semplicemente come un’amica, poco prima, gli avevo fatto intendere che sarebbe potuto esserci qualcosa tra di noi.
Lo stavo per baciare!
Corsi in giardino, senza intendere ne volere. Avevo solo un desiderio: parlare.
Parlare con la mia mamma, con quella noce che, una volta piantata nel terreno umido di casa, aveva dato vita ad un tenerissimo germoglio smeraldo. Solo con lui potevo essere sincera e sentirmi a mio agio, perché lui era frutto dell’amore della mia mamma ed era come averla lì, accanto a me.
E quel piccolo simbolo d’affetto era tutto ciò che in quel momento più desideravo al mondo.



«E così quel bonbon dagli occhioni celesti è cotto di te, tesoruccio?»
Titina mi sistemò accuratamente un riccio un po’ troppo ribelle «Già, così sembrerebbe»
«E perché quel faccino tanto triste?» scossi il capo lentamente.  
Nella mia testa risuonavano ancora le parole ambigue delle mie fatine «Parole d’amore sussurrate al vento, prendono sapore dalle labbra da cui escono» Titina si bloccò e stranita, scrutò il mio sguardo «Che cosa hai detto, Flor?» dondolai nervosa il capo «Ehm, no, niente di particolare! Solo una stupida frase letta su un giornale, tutto qui!» in realtà l’unica cosa che ero riuscita a leggere era il mistero che quelle mie strambe fatine erano solite aggrovigliare attorno ad una semplice frase!
Mi domandavo chi fosse stato l’inventore di quegli assurdi rebus? Non era più semplice dire in faccia i problemi e cercare di risolverli nel migliore dei modi? A quanto pareva no!
Le fatine preferivano arzigogolare, meditare, escogitare, fare le “misteriose” in tutto e per tutto!
Ed io, perplessa, titubante, talmente scettica da farmi venire da sola il mal di pancia!
Franco e la sua improvvisa dichiarazione d’amore avevano mandato in completo tilt ogni fliquity caotico del mio povero cervello!
Quella strana confusione aveva poi lasciato spazio ad un indescrivibile imbarazzo. Non sapevo cosa fare, come comportarmi e quando lo incrociavo per casa, quando tentava di avvicinarsi a me, lo ignoravo, cercavo di essere il più distante possibile, evitando ogni suo piccolo gesto d’affetto.
Ma era giusto?
«E alla villa? Come va in quella casa di matti?» presi il succo di frutta dal bancone e ne bevvi un piccolo sorso «Come vuoi che vada? – assaggiai uno dei tanti biscottini al cacao che occupavano il vassoio di ceramica colorata – I bambini sono sempre più dispettosi con quel loro visetto angelico, poi ci sono le Streghe e la loro asfissiante acidità, Federico che mette sempre il naso dove non deve metterlo e la mia mammina che tenta di proteggermi da quell’aria viziata che si respira giorno e notte in quella casa – depositai il bicchiere sul bancone maculato del negozio – A proposito della mamma, hai presente il suo diario segreto?– Titina annuì, afferrando un biscotto alla marmellata –Ti ricordi che ti ho parlato spesso di quell’Alberto che ne firmava alcune pagine? Sono scomparse» la mia cara “Zia” strabuzzò gli occhi, per poi inghiottire lentamente il boccone «Come scomparse?»
«Scomparse, svanite – agitai le mani in aria – volatilizzate! Il problema è che non so veramente chi potrebbe averle prese e nemmeno il perché? – presi un tovagliolino di carta e nervosa cominciai a torturarlo con le mani – Chi potrebbe essere così interessato a un paio di vecchie pagine?»
«Non pensi che possano essere stati i bambini? Magari uno scherzetto innocuo, un qualcosa da niente» scossi lentamente il capo e sorrisi al ricordo dei miei “docili” angioletti «No, i bambini non mi farebbero mai una cosa del genere. Sanno quanto siano importanti per me i ricordi di mia madre. Sono sicura che loro non centrano niente, forse …»
«Forse chi? Federico? Credi che il tuo datore di lavoro, abbia …»
«Boh, non so! In questi giorni è così strano che potrei pensare di tutto, anche dargli dell’impiccione! Pensa che l’altro giorno l’ho pure beccato in camera mia a guardare alcune foto che tengo sul comodino»
«Si, ma non è un ladro! – sbuffai nervosa – Per quanto possa essere un ficcanaso non lo ci vedo proprio nella parte di un borseggiatore! Piuttosto, io non mi fiderei per nulla al mondo di quelle due streghe! - afferrò un spazzola a mo’ di arma – Quella Delfina ha uno strano modo di fare e quella Maria Laura, scusami se te lo dico, ma mi puzza un po’! – agitò la sua abile “spada” – E poi non sei stata tu a dirmi degli insulti e le varie minacce?! Se fossi in te, mia cara, affilerei lo sguardo e starei più attenta, in quella casa si nascondono fin troppe cose e fai qualcosa per questa macchia – mi indicò la voglia che tenevo nascosta sotto la frangetta – ogni giorno sembra ingrandirsi sempre di più» osservai Titina per un istante. Non avevo colto bene le sue parole.
La sua bocca mi diceva una cosa, ma gli occhi azzurri, sembravano trasmettere altro.
Conoscevo da tempo Titina.
Conoscevo il suo carattere chiacchierone,  così propalatore, e leggermente logorroico ed era difficile pensare,anche solo per un attimo, che potesse nascondermi qualcosa. Non ne era capace.
Perfino un pappagallo sarebbe riuscito a tacere più a lungo di quella cicala della mia cara “Zia”.
Era impossibile che ne fosse capace, almeno così mi era sembrato fino a quel momento.
«Titina – fissai i miei occhi nei suoi – c’è qualcosa che non so, ma che dovrei sapere?»



Malala conosceva mia madre.
Non si sapeva ne come ne perché, ma la donna che più amavo al mondo e quella che più odiavo si conoscevano e sembrava si fossero frequentate per un po’ di tempo.
Ora, come poteva essere che la mia mamma, una donna dal cuore d’oro, la cui bontà, superava quella di un dolce appena sfornato, potesse aver stretto amicizia con Malala, malandrina diplomata in magia nera e laureata in maledizioni?
«Tua madre mi scrisse spesso di un’amica conosciuta poco tempo prima della tua nascita. Disse che l’aiutò molto nella gravidanza, dato che tuo padre era spesso via per lavoro. La descrisse con pochi aggettivi, disse che era una brava persona, un’anima generosa e un’amica confortante che qualche anno dopo la tua nascita sparì nel nulla. Mi ricordo ancora quando ironicamente mi scrisse di una parrucca che quella donna era solita portare. Quel giorno mi sbellicai dalle risate, immaginandomi Margarita fare altrettanto davanti alla sconosciuta. Per non parlare del suo strano modo di vestire in lutto, sempre nero, bianco, nero. Avrei giurato che me la paragonasse a Mortisia Addams»
Alcune cose tornavano.
Il bianco e il nero erano sicuramente i colori preferiti da Malala, ma se la Strega nascondesse la sua calotta pelata sotto una parrucca, non lo sapevo e tanto meno sapevo se in qualche momento della sua vita avesse trasmesso bontà ad altre persone che non fossero bigliettoni verdi.
 A quanto pareva il destino non me la stava raccontando giusta, però Titina sì e una grande soddisfazione si era appropriata del mio orgoglio.
Non era da tutti, togliere le fedi ad una pettegola discreta come la mia cara “Zia”!
L’unico problema era “affilare” occhi e orecchie e cercare di ricavare più informazioni possibili dalla Strega Madre e dalla sua apprendista,
In fondo cosa ci voleva?
Sguardo indiscreto, udito perfetto e fortuna, tanta fortuna.
Fortuna che ultimamente non avevo!
Inserii le chiavi nella serratura della villa e con fare svogliato entrai in soggiorno.
Crudelia Demon e la sua cagnetta giacevano in tutta la loro vanità sul divano di casa, intente in una loro tipica conversazione. Da un lato Malala e la sua aria ricca di presunzione e dall’altro Delfina, pronta a dare sfogo ad ogni suo minimo capriccio «E così la nuova collezione di Gucci sarà presentata questo Natale – Maria Laura sorseggiò il cocktail verde limone, alzando superba il mignolo destro – Sarebbe un incanto poterci andare –  fissò una rivista poggiata sul tavolino – L’Europa. Moda, benessere, qualità e ricchezza.»
«Versace, Armani, Chanel, Dolce&Gabbana, Richmond e chi più ne ha, più ne metta! – risero spaventosamente isteriche – Mamma, chiamo subito! – Delfina afferrò il telefono fisso della villa – Vedrai, Eveline non potrà dirci di no!»
“Arroganti approfittatrici!” pensai, mentre Tarantola e Ragnetto mi fecero un leggero cenno, prima di salire le scale e rifugiarsi nel loro covo maligno.
Scossi il capo sempre più scoraggiata.
Mia madre non poteva aver frequentato quella donna, neanche nel peggiore degli incubi!
«Greta! – urlai quasi sdegnata – Sono a casa! Ho già fatto io la spesa!» come volevasi dimostrare, nessuna risposta!
In villa Fritzenchucchen si respirava una certa aria di egoismo fuori dalla norma.
Tanta gente, tante teste, tanti cuori, ma ognuno indirizzato ai fatti propri.
Una persona poteva parlare, gesticolare, mettersi a saltare fino a toccare il cielo con un dito, che se non era ne il momento ne il luogo adatto, potevano crollare i grattacieli, cadere i pianeti, annegare i pesci che nemmeno il più ficcanaso dei muri ti prestava attenzione.
Questo era uno di quei momenti.
E così, con l’autostima bassa e l’umore quasi a terra, raggiunsi la cucina.
Federico seduto alla penisola, conversava animatamente con un’altra persona, dandomi completamente le spalle.
Svogliata, poggiai la borsa della spesa accanto al lavandino e mormorai un apatico buongiorno. Federico e l’uomo che gli sedeva accanto si voltarono di colpo.
Ogni giorno che passava, mi rendevo sempre più conto di quanto fossi innamorata di quel Principe dallo sguardo freddo e indifferente, quello stesso sguardo che ora mi squadrava da cima a fondo, in quella sua tenuta informale. Maglia verde e jeans marroni non facevano di certo l’uomo d’affari che era, ma anche se avesse indossato il più sudicio degli stracci, per me sarebbe rimasto il più valoroso del cavalieri con o senza spada, perché Federico era questo.
Il mio cavaliere freddo dagli occhi dolci come il miele.
Il mio Principe Azzurro.
Scossi il capo leggermente.
Forse mio, mio non proprio, ma un Principe Azzurro lo era di sicuro.
«Flor! – Federico posò un braccio attorno al collo dell’uomo – Ti voglio presentare una persona»
Il sorriso del Principe era veramente indescrivibile, irresistibile, solare, caloroso, quasi magico.
 Sembrava che solo in quell’uomo dai capelli castani e gli occhi timidamente chiari si nascondesse il segreto per far sciogliere quel ghiacciolo congelato del Freezer. Un mistero talmente sbalorditivo da trasformare il dolce miele dei suoi occhi nella cura balsamica per il mio cuore.
Il suo sorriso era la cura alla mia solitudine, al mio dolore, alla mia nostalgia, a tutti i miei mali.
«Flor, lui è Matias, il mio migliore amico, nonché mio avvocato – gli occhi dello sconosciuto si illuminarono improvvisamente e un dolce sorriso gli colorò il viso – Matias, lei è Florencia, la bambinaia dei miei fratelli» strinsi la mano dell’uomo, accompagnando il gesto da un timido bacio di cortesia, come era solito fare in Argentina, poi lo fissai per qualche istante.
Il maglione a collo lungo lo rendeva ancora più magro di quanto sembrasse, mentre i pantaloni scuri gli cadevano perfettamente. Trepidante, incrociai il suo sguardo. Uno sguardo dolce, affettuoso, ricco di emozioni. Un blu notte, profondo, talmente vivo da penetrare nell’anima. Un sguardo famigliare e che già una volta avevo incontrato nella mia vita.
Lo sguardo di …
«Florchi!» il giovane mi avvolse in un abbraccio caloroso, dal quale titubante e tremendamente spaventata indietreggiai.
Solo una persona mi chiamava così. Solo una persona aveva “osato” chiamarmi così.
Quella persona era …
«Matu!» eccitata lo abbracciai con un’energia indescrivibile, inspirando quel suo solito profumo agli agrumi. Sembrava che con un semplice tocco, avessi varcato quella porta che mi separava dal passato, perché fino a qualche secondo prima Matias era il mio passato che ora si era fatto realtà.
Quanto era piccolo il mondo, quanto ci si poteva aspettare dal Destino, ma soprattutto quanta bellezza c’era nel ritrovare un amico perduto, un amico che pensavi disperso e che non avresti mai immaginato di rincontrare, poterlo stringere, accarezzare, sentirlo vivo e accanto a te.
Un Miracolo.
Un Miracolo nato tredici anni prima per le strade del barrìo “Esperanza”, più precisamente dal gelataio all’angolo in un pomeriggio d’estate.
Nonostante i miei sei anni appena compiuti, sapevo essere abbastanza cocciuta da persuadere mia madre, convincendola anche dei più bizzarri desideri e quel giorno i miei fliquity perversi si erano focalizzati solo e soltanto nell’immagine di un enorme e succulento gelato, di quelli grossi, ma talmente grossi da far venire l’acquolina anche al più sazio degli elefanti.
Panna e cioccolato, un classico, ma nella coppetta in fantasia, prendeva un gusto tutto diverso.
Degustavo avida il mio desiderio, su una panchina del parco, ciondolando divertita le gambe e progettandone già un prossimo, mentre osservavo scocciata due marmocchi che, come due moschettieri, agitavano giocosi due enormi spade di legno.
“Bello” pensai, ma sicuramente non quanto il mio gelato, visto che mi ci ributtai addosso famelica, creandomi una realtà parallela dove solo io ed i gelati facevamo del mondo una cosa migliore.
«Andiamo, Principino» una donna bionda irruppe nei miei pensieri, riportandomi alla realtà. Con estrema eleganza, la vidi avvicinarsi e accarezzare il biondino, che infastidito si allontanò «Non mi chiamare così! – puntò la spada contro probabilmente la madre – Non mi piace!» la donna, per niente arrabbiata dal tono spregevole adottato dal figlio, gli scostò dolcemente la frangetta ribelle «L’auto ci aspetta e Peter pure, non vogliamo far fare tardi a papà, giusto Federico?» la donna si accarezzò teneramente il ventre, leggermente gonfio «Sì, però viene anche Tute!»
«Federico, Matias deve andare a casa con la sua mamma, non può partire con noi»
«Ma …»
«Niente ma, l’aereo ci sta aspettando e poi sono sicura che ti troverai bene in Germania» il biondino fissò il vuoto per qualche istante, prima che l’atro ragazzino lo raggiungesse e gli dasse qualche colpetto sulla spalla in segno consolatorio «Tanto ci sentiamo, no? Ci sono l’e-mail!» i due amici si abbracciarono dolcemente. Seguii la scena con il gelato ormai finito, finché vidi sparire il biondino e la madre su di una macchina scura.
L’altro ragazzino rincorse l’automobile, salutando l’amico, fino all’esasperazione, poi quando anche la vettura era un pallino indistinguibile, si accasciò a terra, disegnando strane figura con la spada in legno.
Incuriosita, mi avvicinai timidamente al ragazzino. La mia mamma stava parlando con il gelataio e non mi avrebbe sgridata se mi fossi allontanata per qualche istante. Gli picchiettai un dito sulla spalla e il bambino si voltò, fissando i suoi occhi blu nei miei «Sei triste? – domandai, mentre con un polso mi pulivo la boccuccia ancora sporca di gelato. Il bimbo, leggermente disgustato, annui – Perché? Perché sei triste?»
«Perché il mio migliore amico se n’è andato in Germania» farfugliò il ragazzino «E cos’è la Germania?» mi accucciai accanto a lui «E’ un Paese Europeo, al di là dell’Oceano»
«Ah - osservai curiosa la scritta che il bimbo con la spada aveva fatto pochi minuti prima - A .. M .. I ..» tentai di leggerla «Amigos, amici» mi corresse malinconico, mentre studiavo ed analizzavo quella strana scrittura «E tu non hai altri amici? - chiesi con la discretezza che solo un bambino può avere. Il ragazzino scosse leggermente il capo – e ti va di essere mio amico?»
Il bambino mi sorrise «Matias» mi porse la mano. La scrutai, cercando di capire cosa fare, poi, ricordandomi i film visti con la mamma, la strinsi decisa «Florencia»

E così Matias Ripamonti era stato il mio primo ed unico vero amico. Ci eravamo fatti compagnia a vicenda. Io alla ricerca di una persona con cui divertirmi, passare il tempo e giocare spensierata e lui in attesa del ritorno del suo amico.
Trascorrevamo la maggior parte del tempo assieme. Io ero entrata a far parte della sua vita e lui della mia. Le nostre famiglia si apprezzavano e amavano vederci ridere e scherzare, senza parlare poi dei pranzi e delle cene condivise, in cui l’allegria era all’ordine del giorno.
Ana e Bartolomeo erano due persone squisite e facevano di Matias la persona più preziosa al mondo. Li ricordavo con estrema dolcezza. Lei con i suoi capelli rosso fuoco, talmente ribelli da essere paragonati ai serpenti della dea “Medusa” e Bartolomeo, speciale in quei suoi due occhi blu mare, ma esile in quel suo corpo alto quasi come un “grattacielo”, come ero solita dire da piccola.
Credo che quegli otto anni furono senz’altro i migliori della mia vita.
Poi, però, come tutte le cose, anche quelle belle devono finire e qualche anno prima della morte di mia madre, Matias dovette trasferirsi e di lui non ebbi più notizie, tranne un orsetto.
Esatto, un piccolo orsetto di peluche.



«Guarda cosa ho qui per te» Matias afferrò una borsetta di cartone colorato che aveva delicatamente posato su letto di Roberta qualche istante prima.
Dopo l’effettivo shock della cucina, dove un Federico alzava il sopraciglio sempre più sconcertato, io ed il mio amico di sempre, eravamo riusciti a sfuggire alla sua intrepida scarica di domande, rifugiandoci nel luogo più sicuro della casa: la mia stanza.
 Un piccolo batuffolo bianco prese piede davanti ai miei occhi «Un orso di peluche! – emozionata lo presi tra le braccia  ed inspirai dolcemente quel profumo di arancia e cannella, tanto famigliare. Sorrisi a Matias – Ah, grazie Matu! Grazie! Grazie mille! - mi gettai al suo collo e, presa dal fliquity dell’affetto compulsivo, iniziai a riempirli il viso di piccoli bacetti giusti, giusti per dimostrargli la mia gratitudine, finché incrociai il suo sguardo ed imbarazzata indietreggiai, mentre cercavo di ricompormi il prima possibile – E così, te ne sei ricordato?» deviai gli occhi all’orsettino. Matias si alzò pian piano dal letto e iniziò a passeggiare curioso per la mia stanza «E come non potevo? E’ sempre stato il simbolo della nostra amicizia – si soffermò allo specchio della scrivania e mi scrutò pensieroso – E poi il 26 agosto è un giorno importante, non trovi?» fissai i suoi occhi blu e sorrisi emozionata da tanta dolcezza «Il mio compleanno – sussurrai – Ho sempre ricevuto i tuoi orsetti, sai? – pensai nostalgica agli ultimi anni trascorsi in orfanotrofio, dove Matias e i suoi regalini erano diventati un semplice ricordo – Tranne che in questo ultimo periodo» la mia voce nascondeva una certa tristezza. Speravo solo che il mio amico di sempre non si fosse accorto, non era tempo ne di lacrime ne di ripensamenti «Flor, solo perché non hai più avuto mie notizie, non vuol dire che io ti abbia dimenticata – si accucciò davanti a me e dolcemente prese le mie mani tra le sue – Ti ho cercata, Flor – con le sue dita forti e possenti accarezzava con cura le mie – Ti ho cercata, ma non ti ho mai trovata! Da quando mi trasferii, sei anni fa, non c’è stato un solo giorno nella mia vita, in cui non abbia pensato a noi, alla nostra amicizia, ai bei momenti passati insieme ed ora – abbassò lo sguardo per poi rialzarlo ed incentrarlo nel mio – Ed ora, che siamo qui, faccia a faccia, come due adulti, vorrei che accantonassimo per un attimo il passato per pensare con chiarezza alla nostra amicizia, al presente che finalmente potremo rivivere»
Le sue parole erano così sincere e così pure da farmi brillare gli occhi.
Era sempre stato questo suo strano modo di porsi a colpirmi. La sua dolcezza, la sua franchezza, quell’autentico e genuino modo di vedere le cose sotto un altro aspetto. Quel suo ostinato ottimismo, talmente persuasivo da confondere anche il più testardo dei muli.
Era bello avere di nuovo a che fare con quel suo temperamento perseverante, con quel suo tono di voce pacato, chiaro, limpido come le acque profonde che albergavano nei suoi occhi.
Gli sorrisi.
Era strano, anzi stranissimo, trovarsi lì, a fissarsi dopo parecchi anni come se niente fosse, come se il tempo non fosse passato, come se il tempo si fosse fermato, permettendoci di cancellare ogni brutto ricordo, tra questi anche la morte della mamma.
Era strano osservarlo, vedere riflessi i miei occhi nei suoi, come due specchi d’acqua, pur sapendo che anche per noi, come per i ricordi, il tempo era passato. Sapendo che non eravamo più dei mocciosi giocherelloni che si divertivano scherzando e passando il tempo insieme. Questa volta, a specchiarsi, non erano più degli occhi infantili, fanciulleschi, bensì occhi adulti e maturi.
Era questo che eravamo diventati.
Due adulti.
«Vedo che li conservi ancora» Matias giocherellava con uno dei miei amuleti, lo raggiunsi e con aria di sfida glielo levai dalle mani «Esatto! Sai come sono e sai anche che non ci si deve permettere di toccarli – mi scostai la frangetta – senza il mio permesso, chiaro!»
«E quelle lucine che dicevi di vedere? – mi sorrise divertito – Ti fanno ancora compagnia?»
«Ah, tu stai parlando delle fatine, giusto? – sistemai l’amuleto “alalà” nel contenitore apposito – Potrei definirle come delle guide, delle accompagnatrici, sai, sono come certi segnali stradali che ti mostrano qual è la strada giusta da fare quando hai perso il tuo navigatore personale»
«E il tuo, Florchi? Che fine ha fatto il tuo navigatore personale?» scossi leggermente il capo «Purtroppo l’ho perso con la morte di mia madre» gli occhi di Matias si riempirono di piccoli brillantini «Mi dispiace – sussurrò – avrei dovuto esserci»
«Non importa, è acqua passata. E tu? Passi sempre così il tuo tempo? Italia-Germania, Germania-Italia-Buenos Aires?» il sorriso di Matias sembrava nascondere una certa aria di malinconia «Lavoro con Federico da tempo ormai. Ci conosciamo da una vita ed è una brava persona – ricordai i due bambini che giocavano spensierati in quel parco come due veri moschettieri – Diciamo che sono di famiglia qui e anche in Germania ed in Italia, vado spesso per lavoro. Ma dimmi, Flochi, cosa ci fai qui dai Fritzenwalden?»
Fu così, che tra una risata e un’altra, gli raccontai per filo e per segno la mia piccola avventura dal collegio all’arrivo in villa, naturalmente passando per Titina, Bata e i ragazzi e accennando la triste storia di Carina, ma evitando volontariamente la mia piccola – grande cotta per Federico. Era il suo migliore amico!
«Com’è piccolo il mondo» Matias scosse lentamente il capo «Già, piccolo ed imprevedibile. Chi l’avrebbe mi detto di ritrovarci qui, dopo anni e anni senza vederci, a ricordare i vecchi tempi?»
«E pensare che ho passato anni a cercarti, senza mai ottenere risultati e poi, tutto d’un tratto ti ritrovo a lavorare come bambinaia a casa del mio migliore amico, se non è destino questo?!»
«A proposito di casa, quanto tempo resterai? Mi piacerebbe che passassimo un altro po’ di tempo assieme, noi due, che ne dici?» Matias si portò una mano al mento pensieroso, poi sorrise sarcastico «Federico mi incatenerà come un povero matto! E’ uno schiavo del lavoro e ama schiavizzare anche il suo staff, per tanto credo che rimarrò qui per un po’ di tempo e penso proprio che lo passeremo insieme – mi si avvicinò con cautela e lentamente mi avvolse tra le sue braccia – Mi sei mancata, Florchi»
«Anche tu, Matu»
La porta di camera mia si aprì improvvisamente ed una Maya si gettò energicamente su Matias, che nell’impatto interruppe l’abbraccio, finendo faccia a faccia sul mio lettino «Ciao Tuti!» l’adolescente di casa solleticò il mio caro amico, che in risposta le scompigliò animatamente i capelli, raccolti in una coda di cavallo. Li osservavo divertita.
Maya sembrava così bambina e di certo anche Matias.
«E allora? Come sta la Principessina di casa?» domandò Matu, rincorporandosi sul letto «Ma quale principessina, principessina, sono una donna, sai? – Maya si alzò e, dopo essersi sistemata la gonna in jeans, sfoggiò le sue doti femminili in una piccola sfilata – visto? – si accucciò poi ai piedi del letto esibendo il più perfetto labbro da coniglio – Allora? Cosa mi hai portato di bello dalla Germania? Non dirmi una di quelle salsicce bianche grasso di maiale, perché ti scotenno! Piuttosto, mi aggraderebbe qualcosa di italiano, come non so – Maya si portò un dito al mento e alzò lo sguardo pensierosa – Una borsa o un cappello o ancor meglio, un profumo!» Matias sospirò divertito «Giù, nello studio, nella borsa rosa - Maya drizzò le antenne e con uno smagliante sorriso abbandonò la stanza a tutta velocità – E non farti vedere da tuo fratello!»
«Maya!» l’urlo di Federico spezzò il silenzio. Guardai Matias divertita «Troppo tardi»



«Allora? Che te ne pare?» balzai davanti a Matias, bloccandogli completamente il passaggio di ritorno alla villa «Allora, cosa? – mi scrutò da cima a fondo – Stai parlando del tuo abbinamento piumino pesca e gonna menta o della tua irrefrenabile mania per le snakers?»
«E dai! – gli diedi un buffetto sulla spalla - Il mio abbigliamento è i-n-s-u-p-e-r-a-b-i-l-e e poi sai benissimo di cosa sto parlando!» Matias si portò le mani in tasca e mi sorrise divertito «Sempre la stessa, eh?»
«Tale e quale! – mi sistemai il berretto in lana rosa scuro – Adesso dimmi come ti è sembrato il gruppo!»
Gli attesissimi saluti al nuovo ospite di casa Fritzenwalden, avevano portato una nuova brezza di allegria alla villa, rendendone l’aria molto più respirabile rispetto agli altri giorni. I ragazzi sembravano aver preso con filosofia l’arrivo di Matias e ogni giorno che passava lo trattavano come un membro in più della famiglia. Con la sua amichevole dimestichezza, Matu era l’armistizio di casa. Un tiepido velo di “tranquillità” sembrava aver coperto l’intera abitazione, nascondendo in chissà quale angolo sotto il tappeto quella maledetta polvere di acidità che aveva dominato per tanto tempo. Sembrava si fosse creato un enorme specchio dove la felicità dei ragazzi si rifletteva come un manto di isterismo negli occhi delle due perfide streghe, nascoste nel loro covo alla ricerca della prossima vittima.  
Federico aveva cambiato la sua attitudine da perfetto oppresso convulsivo in una semplice mancanza di affetto che faceva ricadere solo sulle spalle del povero Matias.
In quanto a me, beh, avevo dedicato tutto il mio tempo a ristabilire l’amicizia con Matu, accantonando rimpianti e rancori in un reparto speciale del mio cuore. Il cosiddetto “Dimenticatoio” dove c’era sempre meno spazio dovuto alle marachelle dei bambini e alle ormai noiose e canzonate urla pungenti delle Streghe.
Un record da non poco conto.
E Matias conosceva tutto di me: il mio carattere, la mia famiglia, i miei amuleti, perfino le mie fatine. Ciò che volevo mostrargli, non era più il mio passato, bensì il mio presente, la mia nuova vita.
Bata, Facha, Nata e Clara ne facevano parte e con loro il mio fervido desiderio di cantare e ballare e perché no? La mia vita.
«Quelle quattro campane da dormitorio? - guardai Matias sconcertata – Sto scherzando, Florchi! – sorrisi – La verità è che mi siete sembrati incredibili! L’idea di creare un band musicale è stata veramente incredibile e la tua voce – alzò un sopraciglio –  Si può sapere quando è nato questo talento improvviso? Che io mi ricordi, eri peggio di una chitarra scordata!»
«E invece hai davanti a te l’ugola d’oro della famiglia Fazarino!» entrambi scoppiammo in una sonora risata «A parte gli scherzi, Flor, da quando canti così bene? Hai preso lezioni?» ripresi il cammino verso casa, seguita dal mio accompagnatore «Ma quali lezioni, lezioni?! Sai meglio di me che i soldi non piovono dal Cielo! Diciamo che la mia è stata una passione nata così dal niente!»
«Beh, se anche io iniziassi a cucinare così dal niente e ti invitassi, preparati a venire con un bell’estintore a portata di mano! Non so quale grado di incendio potrei causare!» sorrisi all’immagine di un Matias ai fornelli con un simpaticissimo grembiule a fiorellini «Cantavo sotto la doccia, tutto qui!» Matu mi prese a braccetto «Bene, Signori e Signore da domani tutti a cantare sotto la doccia, perché così la fama di cantante invidiabile è assicurata!»
«Eh, dai! Non prendermi in giro!» osservai sorridente l’uscio della villa, poi spostai lo sguardo sul mio grande amico. Avvolto in un confortante cappotto nero, cercava di scaldarsi le mani, avvicinandole alla bocca, in un gesto un poco infantile. Poi, con fare professionale sbirciò l’orologio da polso «Prepara l’asse sulla schiena, Florchi. Abbiamo fatto leggermente ritardo»
«Suvvia, le undici non saranno un problema per Federico! Sommetto che tutti avranno già raggiunto le braccia di Morfeo» Matias mi guardò perplesso «Tu dici?»
Quando la porta si aprì, fummo invasi da un’impressionante penombra. Sembrava che il velo della notte fosse caduto su casa Fritzenchucchen, solo la luce della luna, faceva il suo timido ingresso dalle finestre. In salotto nemmeno il minimo rumore.
Avanzammo cauti, prudenti nel non fare baccano e più che contenti nel non aver trovato ad aspettarci il “Mangiabambini”. Dopo tanti giorni passati rendere partecipe Federico delle nostre più “intime” conversazioni, dandogli spiegazioni sul Cosa, Dove, Quando e Perché della nostra amicizia, finalmente potevamo respirare e sentirci sollevati e liberi. Due adulti amici e liberi di volersi bene e trascorrere insieme delle piacevoli serate, senza motivarle al proprio datore di lavoro.
“Impiccione di un Freezer!” pensai al varcare la porta.
«Ben tornati» un’ombra si elevò dalla poltrona che dava sull’ingresso. I capelli scompigliati e leggermente bagnati dalla luce notturna, rendevano il suo sguardo ancora più magnetico e decisamente seccato. Il viso nascondeva delle sottili rughe e quel  giallo che indossava come maglietta, era svanito nel crepuscolo, perdendone completamente la vivacità.
«Federico» sussurrò quasi spaventato Matias, mentre ancora mi teneva per mano, nella tentata entrata furtiva di qualche istante prima «Vi sembra questa l’ora di rientrare a casa?» fece un passo in avanti, sprofondando nella candida luce della luna. I capelli biondi, quasi schiariti dall’effetto luminoso, brillavano quasi come il colore del latte e gli occhi, infastiditi e leggermente stizziti, splendevano di luce propria.
Il cuore iniziò a battermi.
«Ci dispiace – abbassai lo sguardo, nervosa – ma sa com’è Signor Freezer …»
«Ti ho detto di non chiamarmi così!» ordinò bisbigliando. Alzai le spalle indicando la mia innocenza «Beh, sa com’è Signor Federico, una chiacchiera tira l’altra e un gelatino pure – cercai lo sguardo di Matias – molto buono devo dire, e comunque – fissai i miei occhi su Federico – e passa così velocemente la serata, ma talmente veloce che nemmeno ti rendi conto di quanto le lancette avanzino sull’orologio e fanno tic-toc, tic-toc e tic e toc ma sei talmente concentrato nella conversazione che …»
«Zitta, Florencia, zitta! – con lo sguardo fulminante mi indicò il patibolo – Nello …»
«Studio – continuai, avviandomi al mio destino e ricevendomi un’occhiataccia dal Freezer – Che c’è? E’ l’abitudine!»
Svogliata entrai nel laboratorio di Federico e presa da una fobia indescrivibile non so se più per il buio o più per il “Mangiabambini” ancora in salotto, cercai l’interruttore della luce «Ah, Fatine delle condanne a morte, fate che non chieda la mia testa, per favore» implorai quando finalmente l’oscurità sparì.
Dal salotto si udiva un leggero borbottio, e, incuriosita dalla situazione, mi affacciai alla porta chiusa «Non prendertela con lei – la voce di Matias suonava grave e supplicante – E’ colpa mia se abbiamo ritardato. Le avevo promesso un gelato, ma voleva rientrare a casa presto, per i bambini, capisci? L’ho pregata io perché venisse, contro il suo volere»
«Contro il suo volere, certo – Federico sospirò – Non capisco cosa ci troviate tu e Franco nel difendere così tanto il personale di questa casa?» ne seguì uno schiocco di dita «Ehi, Flor farà parte anche del personale di questa casa, ma prima di tutto è una persona, in modo particolare un’amica e io non sono il suo avvocato difensore, chiaro?»
«Ah certo, un’amica! – Federico rise quasi isterico – “Flor vieni qua, andiamo di la, vieni che ti offro un gelato, se vuoi possiamo uscire, tanto al Signor Freezer non deve interessare quello che facciamo, giusto?”»
«Esatto, Federico, non ti deve interessare quello che facciamo! Oggi è il nostro giorno libero e non siamo obbligati a rimanere incatenati né alla tua né alla vita dei tuoi fratelli, sai?» una risatina ironica pervase l’ambiente «Incatenati alla mia vita e a quella dei miei fratelli, bella questa! Chi te le scrive le battute, uno di quei tuoi amici sceneggiatori?»
«Cosa c’è, Federico? Non ti basta già controllare la vita dei tuoi fratelli, vuoi anche controllare quella del personale?»
«Sai come sono. Mi interesso alla vita delle persone che vivono in questa casa»
«Interessato o paranoico? Nei giorni che ho trascorso in questa casa, non hai fatto altro tranne che controllare la vita di Florencia. Che c’è, Tedesco, ti piace quella ragazza?»
Sbarrai gli occhi, mentre il cuore sembrava volesse uscirmi dal petto per saltare tre metri sopra il Cielo.
«Ma che dici? – Federico rise nervoso – Piacermi Florencia? Non ti passa per quella tua mente malata, il fatto che io sia già felicemente fidanzato?»
Una pugnalata dritta e pungente, raggiunse il mio cuore, perforandolo completamente.
«Beh, questo spiegalo al tuo ego, perché stai rovinando la vita a quella ragazza e io questo non te lo permetterò mai! Sei il mio migliore amico, ma anche lei lo è e per tanto io ti voglia bene come ad un fratello, il mio cuore ascolterà solo il suo. Mettiti l’ego in pace, Federico e fai chiarezza in quella tua testolina paranoica, perché è ora di pulizie!»
I passi di Matias lungo la scalinata centrale, interruppero il silenzio che si era formato dopo quella pesante discussione.
Ma tutte quelle parole, tutte quelle frasi sussurrate alla notte, non erano pesanti quanto il mio cuore. Mi sentivo oppressa, affaticata, asfissiata da quell’indigesto sentimento che mi stava torturando l’anima.
Io e quella mia ostinata capacità a vedere cose che non esistevano, a crearmi luoghi, situazioni ed emozioni senza nessun fondamento nella realtà. Io e quelle mie stupide illusioni, quei miei stupidi sogni che non facevano altro che farmi prendere il volo verso l’inferno.
Federico amava la Strega con tutto il suo cuore e tutta la sua anima.
Come potevo credere ancora nelle fiabe? Come avevo potuto minimamente pensare che come nei sogni, il capo si interessasse alla dipendente goffa? E infine, come avevo potuto illudermi così, dal niente, in un mare di utopia, dove le chimere regnavano senza peccato, dove il rapporto capo-inserviente era così ben definito da rimanere tale e quale nel tempo.
Il battito della porta mi riportò alla realtà. Con il viso coperto dalle mani, Federico entrò in stanza farfugliando chissà quale maledizione. Indietreggiai inquieta, quasi spaventata dalla possibile reazione che avrebbe potuto scatenare quell’abominevole Mangiabambini.
«Che ci fai ancora qui? – ruggì con il suo solito tono disprezzante – Vattene, Florencia, vattene» la sua sembrava più una supplica che un ordine. Mi avvicinai a lui, intenerita da quell’improvvisa trasformazione da mostro a bambino.
Anche Federico sapeva essere dolce e tornare bambino e quel suo modo rude e selvaggio di apparire era la conferma che nel suo cuore giaceva ancora quello spirito ribelle di un normale diciassettenne, lo stesso spirito che probabilmente non lo aveva mai abbandonato.
Non lo potevo incolpare per aver scelto la Strega. In fin dei conti sappiamo tutti che l’Amore è cieco e lui aveva optato per un mondo fatto di incantesimi e pozioni magiche.
Cosa potevo fare io?
Aiutarlo.
Aiutarlo a entrare in quel mondo e accompagnandolo se necessario.
Da quel momento io, Florencia Fazarino, avrei fatto di tutto per dimenticarmi di Federico Fritzenwalden, anche a costo di vendere il cuore e l’anima.
«Mi dispiace, Signor Federico – gli posai una mano sul gomito e lo vidi osservarmi con estremo disgusto - Avrei dovuto rientrare prima. Mi prendo le mie responsabilità, costi quel che costi, anche raggiungere il patibolo e consegnarle la testa se necessario, l’importante è che non mi incarichi della manicure alla sua fidanzata. La Signorina Delfina, sa essere veramente isterica quando le si passa scarsamente il lima unghie»
«Chi ti da questo diritto, Florencia?» Federico mi si avvicinò adirato, furioso, quasi come un cane funesto. Lo sguardo inviperito, fiammante, pronto ad afferrarmi e a farmi sparire con una semplice scintilla. Gli occhi color miele si erano tinti di sangue. Sembrava un assassino, un assassino in preda ad un istinto omicida. Il giallo della sua maglietta era vivo, accesso di rabbia come il suo viso, un viso le cui rughe intimavano, spaventavano, terrorizzavano.
Ancora una volta avevo fatto una gaffe.          
«Chi mi da il diritto di che? -  indietreggiai – Di limare le unghie alla Signorina Delfina? – la mia voce tremava come una foglia – O di prendermi le mie responsabilità?» Federico mi prese per le braccia, scuotendomi, fino a farmi incontrare il suo sguardo con il mio «Chi ti da il diritto di prendermi in giro? Di entrare nella mia vita come un uragano e spazzare via ogni minima certezza? Di farmi litigare con il mio migliore amico? Di farmi dubitare di ciò che sento, di ciò provo – lasciò la presa e si girò di scatto, passandosi una mano tra i capelli biondi, leggermente sudati – e perfino di ciò che penso – raggiunse uno scaffale dello studio e, dopo aver fissato ed accarezzato dolcemente la foto dei suoi genitori,  mi osservò con indignazione – Da quando sei arrivata qui hai cambiato tutto a tua immagine e somiglianza. I miei fratelli, il personale, perfino me! Mi domando chi ti da il diritto di venire qui e di imporre il tuo modo di vivere e di essere?»
Lo guardavo tremante, spaventata, come se il bambino di qualche istante prima, si fosse nascosto per dare spazio ad un uomo rozzo, villano, arrabbiato più con se stesso che con il resto del mondo. Un uomo insoddisfatto della vita che gli stava regalando il più bel piacere che si potesse mai avere, ma che lui stava accantonando e gettando per lasciare spazio all’isterismo che solo lo stress del lavoro e le due Streghe potevano offrirgli. Il piacere e la bellezza di vedere crescere i propri fratelli.
Trattenevo a stento le lacrime.
Per l’ennesima volta mi stava dando la colpa di tutto e di tutti.
Deglutii, prendendo lentamente il respiro «Mi cacci – allontanai una lacrima con un dito – Se è il mio modo di essere, il mio modo di vivere, il mio modo di prendermi cura dei suoi fratelli, mi cacci! Se è questo che la fa star male, le sto dando l’opportunità di prendere il toro per le corna, la colga! – alzò un sopraciglio - Anziché stare qui a sbraitarmi dal mattino alla sera come uno squalo dannato, colga l’opportunità di stare bene lei e di far star bene anche a me, mi cacci, mi mandi via, lontano da questa casa, dal suo mondo e da tutta la sua famiglia e le garantisco che non mi vedrà mai più, mai più»
Solo quando mi bloccò nuovamente con quelle sue enormi braccia potenti, frenai il mio ennesimo fiume di parole, anche se le lacrime scorrevano incontrollabili sul viso, senza pudore, ne decenza. Mentre il mio sguardo si era perso un’altra volta nel suo. Notai un brillio strano in quei suoi due occhi miele, poi lo vidi avvicinarsi finché dolcemente mi sigillò le labbra con un bacio.
Una scarica elettrica percorse il mio intero corpo e immediatamente, come ipnotizzata, mi avvicinai sempre di più a lui.
Il cuore mi batteva all’impazzata e un’indescrivibile nube si era appropriata completamente  della mia mente, scollegando ogni minimo fliquity. Poveri neuroni impazziti!
Cellule emozionate che fluttuavano ebbre, gioiose tremendamente infatuati per le vie del mio cervellino, offuscato da enormi cuori che palpitavano all’unisono, perfettamente innamorati.
Incrociai le braccia per il suo collo e istintivamente aprii leggermente le labbra per corrispondergli il bacio. Federico sospirò sulle mie labbra e mi strinse i fianchi. Sembrava che il bacio si stesse facendo sempre più profondo, appassionato e il mio cuore batteva, così come il suo.
Lo sentivo, dal suo petto al mio, palpitare, pulsare, martellare come un dolce brivido, un tiepido sussulto, una delicata pelle d’oca.
Era un bacio.
Era dolcezza, tenerezza, delicatezza, gioia, passione e Amore.
Ci separammo lentamente quando anche l’ultima goccia di fiato ci venne a mancare.
Incrociai i miei occhi con i suoi e arrossii leggermente.
Federico mi sorrise e dolcemente mi accarezzò il viso. Lo seguii e ne imitai il gesto «La tua barba? Non c'è più» sussurrai con stupore. Federico mi sorrise teneramente «Solo ora te ne accorgi? Un bacio non deve fare male» e nuovamente si impossessò delle mie labbra.
Uno sciame di farfalle inondò la mia mente.  



ANGOLO AUTRICE:
Ciao Ragazzi!!!
Eccomi tornata con un nuovo capitolo!
Come prima cosa volevo scusarmi per il ritardo, ma il mio povero computer è stato confiscato per svariate settimane in terapia intensiva ... ma spero di essermi fatta perdonare a mio modo!
In tal caso e un po' in ritardo BUONA LETTURA!

PS: Ringrazio pubblicamente biby_ef ... flori186 ... freezer1996 ... federika21 per il bellissimo segno che lasciate sempre nei miei capitoletti.
Un ringraziamento speciale anche a plume, per la recensione inaspettata e il commento veramente emozionante. Prometto che appena potrò mi cimenterò in un qualcosa tutto mio ... ho già in mente qualcosina. ma per ora mi dedico alla mia eroina!
A tutti un bacio speciale

Dani

  
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