Questo capitolo
necessita di una premessa, che spero leggerete tutti. Credo che sia un passo
obbligato, considerando che l’aggiornamento arriva dopo più di cinque mesi.
Non posso dire
di non aver aggiornato per mia pigrizia, o per mia mancanza di tempo, anche se
sicuramente lo studio, gli esami e quant’altro hanno influito. E sicuramente,
come molte altre volte, ho avuto delle crisi d’ispirazione tali da bloccare il
mio lavoro, ed infatti leggendo forse noterete che c’è qualcosa di particolare
che non ne era previsto e di cui ho dato conto via Fb
e che ora non riprendo per non spoilerare troppo…J . Credo di non
aver aggiornato per la profonda mancanza di stimoli che mi ha causato il
ricevere pochissime recensioni nello scorso capitolo, a fronte di un numero di
visite sempre molto alto . 8 recensioni (di cui alcune negli ultimi tempi)
contro 1528 visite. Ora ovviamente so che molte di queste visite non sono
veritiere, nel senso che basta aprire il capitolo per far scattare il
contatore, ma comunque il numero è molto alto, considerando che questa storia
ha comunque 176 preferiti e ben 274 seguiti. Ora è chiaro che io non pretendo
commenti da tutti, ad ogni capitolo, e specie da persone meravigliose che mi
fanno sempre sapere il loro punto di vista anche per altra via. Ma queste sono
cose che non fanno molto piacere. Sarò dura, ma io non nessun dovere di
pubblicare questa storia, potrei benissimo continuare a scriverla e mandarla
via mail a coloro che mi seguono. Sarebbe semplicissimo no? E so perfettamente
di essere magari impopolare o ripetitiva con questo discorso, ma per pseudo
autrici come me che comunque non hanno moltissima fiducia nelle proprie
capacità e credono sempre di non essere all’altezza, questa è stata una bella
botta. E ripeto, non mi sono mai lamentata, quando le recensioni erano una
quindicina, perché non credo nemmeno di meritare duecento recensioni a
capitolo, ma credo che questo discorso fosse comunque doveroso, perché la
recensione può anche servire a dire che la storia sta prendendo una piega
sgradita, io lo accetterei. Ed invece nulla.
Se sono stata
convinta non solo a pubblicare, ma anche a continuare questa storia, lo devo
all’entusiasmo di alcune ragazze straordinarie, che davvero mi hanno riempito
il cuore. Ovviamente sapete che parlo di voi, Francesca, Turchese, Nadia, Ale
Stella, Sandra, Anna, Rosa e tantissime altre che adesso probabilmente e, con
somma colpa, sto dimenticando. Le prime due, in modo particolare, mi hanno
davvero incoraggiato tanto. Hanno creato un gruppo su FB su cui invito davvero
tutti, perché è meraviglioso, e si chiama Put a spell on her eyes (http://www.facebook.com/groups/209545025766521/)
e mi hanno sostenuto in ogni modo possibile ed immaginabile, dai consigli ai
disegni alla realizzazione di video; e al di là di questo, mi hanno fatto
sentire che la mia storia era arrivata a qualcuno, che avevo trasmesso qualcosa
e che non avevo mai smesso di farlo. Davvero, sono stata fortunata a trovare
persone come loro… ed è per loro che questa storia è ancora qui, in piedi.
Certo, può
darsi che ora dopo tanti mesi, la mia storia non sia nemmeno più seguita come
prima, oppure non piaccia più. E lo accetterò, tranquillamente. Ma se la
situazione dell’ultima volta dovesse ripresentarsi, chiaro che sicuramente
potrei reagire in qualsiasi modo. La mia non vuole essere una minaccia, ma una
constatazione.
So che è un
problema segnalato tantissime volte su EFP, e so anche che forse non c’è
soluzione. Ma non dirlo, non sarebbe stato da me, come ho già detto altre
volte.
Detto questo,
ringrazio come sempre coloro che hanno recensito, che mi hanno fatto sapere il
loro parere su FB e in altre maniere, grazie davvero.
Vi lascio alla
lettura del capitolo, con un breve riassunto, nel caso vi foste persi qualcosa!
Draco ed Hermione
sono riusciti a fuggire dalla trappola tesa da Astoria, alias Summer Layton, che si è alleata con Pucey e Montague, gli
assassini di sua sorella Helena, per uccidere entrambi, dopo aver compreso il
legame che unisce i due. Hermione, ancora parzialmente sotto il controllo dello
Zahir che Astoria, con l’inganno, le ha fatto creare, è senza voce e sotto il
pesante rischio di essere nuovamente controllata dalla Greengrass,
che vuole che uccida Draco. Quest’ultimo l’ha portata a casa di Pansy
Parkinson, per proteggerla, prima di recarsi in un luogo sconosciuto, senza
riuscire a parlare con Hermione e senza sapere che la ragazza è innamorata di
lui e che l’effetto dello Zahir è parzialmente sopito. Draco per aiutare Hermione
a tornare sé stessa, ha convocato una sua vecchia conoscenza, la figlia di Igor
Karkaroff, Raissa, che le ha detto che l’unico modo
per tornare libera, sarebbe concentrarsi sull’amore che Draco nutre per lei. E per
farlo, le sta facendo vedere i ricordi che Draco ha su di lei, conservati da Blaise Zabini per farli vedere a Serenity, qualora fosse
accaduto qualcosa a Draco stesso. Nella parte iniziale, come sempre, c’è un
pezzettino del futuro lontano cinque anni che sta vivendo Hermione: dopo aver
ricevuto una lettera, Hermione torna a Londra dopo cinque anni, intenzionata a
trovare Draco con il figlio Alex.
E in questo
capitolo, sta parlando con qualcuno…
Capitolo 32 – Love song requiem
step three
“Sei cambiata… non che non lo immaginassi,
ma… insomma… anche esteticamente… vederti è tutto un altro paio di maniche…”.
“Bè, ci sta… sono passati cinque anni, in
fondo…”.
“Non credo che sia per quello…”.
“Lo so, d’altronde portavo la stessa
acconciatura da quando avevo diciotto anni… ma all’asilo, sai, quelle mamme
tutte agghindate… mi facevano sentire a disagio…”.
“Un tempo, non ci avresti dato peso…”.
“So anche questo… ma fare
contemporaneamente la mamma e il papà, cambia molto della tua prospettiva…”.
“E Ronald?”.
“Troppo permissivo, non credo che sia nato
per questo… se doveva negare una cosa ad Alex, lo spediva difilato da me… non
che volessi il contrario, insomma. Credo di aver sottolineato in ogni modo
conosciuto che doveva comportarsi da amico, da zio, da qualsiasi cosa, tranne
che da suo padre…”.
“Sei stata dura…”.
“Sono stata giusta… e visto com’è
andata a finire, potresti darmi torto?”.
“No, onestamente no”.
“Questi anni sono stati una specie di
prova continua di resistenza… per me, certo. Ma soprattutto per lui, per Ron…
non lo ringrazierò mai abbastanza per aver accettato tutto questo, per proteggere
me ed Alex. Specie, sapendo che è figlio di Draco… lui non l’hai mai accettato,
credo che nel profondo di sé stesso, nonostante quanto Alex somigli a Draco,
non ci creda nemmeno. Se vi facevo accenno, lui rifiutava anche solo di
sentirne parlare, sai quante volte ho cercato di condividere con lui il dolore
per averlo perso? O ricordare cosa mi aveva unito a lui?”.
“Sei stata ingenua a pensare che potesse
comportarsi da amico con te, allora…”.
“Hai ragione, appena l’ho capito ho
smesso, mi sono tenuta tutto dentro… e va bene così… ma, anche se credo che la
sua segreta speranza fosse che Alex lo considerasse suo padre un giorno, in
modo da convincere anche me a considerarmi sua moglie, le cose non cambiano. Né
mai cambieranno. Sono stata vera, sono stata onesta. Sapeva che sarei tornata
da lui. Ci vuole più forza per fare questo che per rimanermene tranquilla in
Italia con lui… ci vuole una forza che nemmeno so se possiedo ancora, dopo
tanti anni passati a resistere. Ma lo devo ad Alex… e a me… nessuno credeva che
l’avrei fatto, ma lo sapevano tutti…”.
“Parli dei tuoi… o di Helder e Hayden?”.
“Di tutti… credo che a tutti avrebbe fatto
più piacere che fossi rimasta in Italia, con Ron… ovvio, vogliono che sia
felice, e li ringrazio per questo. Peccato che io non lo fossi, ero solo
sicura, non felice… e, tornando indietro, forse non mi sarei sottoposta a tutto
questo. Avrei protetto Alex in un altro modo… e sarei tornata da Draco, subito.
Perché io posso essere felice solo con lui… e il loro proteggermi è impedirgli
di farmi male ancora. Questo pensano, sono convinti che Draco mi manderà via,
se anche riuscissi a trovarlo… cosa che nemmeno io posso escludere
completamente, anzi. Molto probabilmente andrà davvero così… e se mi tratterà
sarà solo per Alex, quindi è chiaro che sperassero che andasse diversamente…”.
“Tutti, tranne me…”.
“Lo so… e ti ringrazio per questo…”.
“Che cosa farai adesso? Ho fatto tutto il
possibile… anche Kevin per quanto conti… sai, alla centrale… ma nulla… sono
anni che non lo vedo, da quella mattina che…”.
“Io lo troverò… in qualche modo, troverò
lui e Serenity… non potrei vivere sapendo di non averci nemmeno provato. Fosse
anche l’ultima volta che lo vedo, io devo trovarlo…”.
Un piccolo seme. Piccolo, minuscolo, fragile.
Timoroso, soprattutto.
Draco lo vede, lo scorge, mentre trova una culla
nei suoi pensieri, un incavo di friabili convinzioni e di volubili idee. È
piccolo, è fragile, ma, giorno dopo giorno, mette radici.
Mette foglie brillanti e verdi. Germoglia di
colori mai visti. Fruttifica.
Giorno per giorno.
Quando Draco, per la settima volta in circa dieci minuti, si ritrovò a
leggere la stessa riga dell’estratto conto mensile delle spese del locale, capì
che c’era decisamente qualcosa che non andava. Alzò gli occhi al cielo,
sospirando, togliendosi gli occhiali dalla montatura di metallo che usava per
leggere, e poggiandoli sul bancone nel cono di luce della lampada verde che
illuminava le carte. Si passò pensosamente un dito sul mento, cercando di
recuperare il filo dei suoi conti, ma un nuovo urlo proveniente dalle cucine,
lo fece desistere completamente dal suo malsano proposito di controllare
l’economia del locale. Guardò l’orologio, le undici e trentacinque… se fosse
stata una serata normale, a quell’ora ci sarebbe stata gente che andava avanti
ed indietro, cibi e bevande portati in processione, con somma gioia delle sue
tasche. Ed invece no… i babbani dovevano inventare una cosa chiamata Champions
League, attinente ad un’altra cosa infernale, chiamata volgarmente calcio… e
quindi, dato che c’era una partita importante, tutti erano rimasti a casa o si
erano attrezzati per andare a vedere il match in un altro locale, non come il
suo, che rifiutava categoricamente di proiettare le partite di calcio.
L’ultima volta che si era azzardato a fare una cosa del genere ci aveva
rimesso, oltre che un buon quarto del suo autocontrollo a non usare la magia e
a restare il penitente Draco Malfoy sotto mentite spoglie non magiche, anche
cinque sedie ed un tavolino, dato che ad Ashley Cole era venuto in mente di
arpionare con un calcio volante Steven Gerrard, che aveva praticamente già segnato.
Non che i maghi fossero da meno… le ricordava ancora le partite di Quidditch, viste con Blaise e
Theodore. Là volavano Schiantesimi da far impallidire
persino l’algido Piton.
Quel ricordo, ora così lontano gli fece stringere il cuore per un momento,
ma poi intervenne un altro urlo sovraumano dalle cucine che ebbe, perlomeno, il
positivo effetto di distrarlo da quel pensiero. Le spalle afflosciate, decise
di alzarsi alla fine, per rendersi conto di che diamine stesse succedendo
ancora. Non che non lo immaginasse… la colpa era la sua, certe cose uno se le
doveva anche aspettare.
April aveva un esame l’indomani, ed aveva chiesto di poter fare solo il turno
mattutino. Gail aveva biascicato qualcosa sul trigono di Giove con Orione, ed
era fluttuata fuori qualche minuto prima. Lorna e Corinne, ovviamente, avevano
inventato una serie di balle spaziali per non lavare i piatti. Lawrence, da
clausola contrattuale, non aveva l’obbligo di lavare i piatti, Trey idem. Non
era nemmeno venuto quella sera, dato che la discoteca era chiusa. Con somma
pace delle sue orecchie, anche Astoria non c’era. Doveva incontrare quella che
prendeva il suo posto a casa sua per darle la solita scorta settimanale di
capelli per la Pozione Polisucco, cosa che durava
tendenzialmente tutta la serata visto le lagne che faceva per strapparseli.
Ergo, gli unici due rimasti è che potevano urlare in quel modo, nelle
cucine, erano ovviamente la Granger e Seth.
Si sporse, sospirando oltre la soglia, guardando all’interno. Immersi tra
pile di pentole e nuvole di schiuma, mentre davano le spalle alla porta, Seth
ed Hermione non si resero conto della sua presenza.
Lei era intenta a lavare i piatti, un paio di guanti azzurri di gomma che
le arrivavano quasi al gomito, i capelli raccolti e tenuti goffamente assieme
con l’ausilio di una matita a mo’ di fermaglio, da cui cascavano delle ciocche
che lei continuava a spostare con fastidio, inarcandosi come un gatto dato che
aveva le mani bagnate. Era una serata calda e nelle cucine faceva ancora più
caldo, quindi si era tolta la divisa da cameriera per il solito paio di shorts
neri e la maglia da calcio rossa, che, a dispetto di quello che diceva, aveva quasi
adottato. Come sempre, era scalza: le ballerine nere di velluto che indossava
durante il turno, erano in un angolo, ma evidentemente doveva ancora perso le
ciabatte.
Seth era alla sua sinistra, anche lui immerso nel lavabo, mentre brandiva
pericolosamente il tubo dell’acqua per risciacquare le pentole, lavate da
Hermione. Pericolosamente, perché lo agitava come un’arma nella foga della
conversazione con l’amica, schizzando dappertutto e provocando le urla di
Hermione che Draco aveva sentito da fuori. Seth era ancora vestito di tutto
punto, come poco prima, troppo preso dalla conversazione per rendersi conto di
avere la camicia di Armani a cui tanto teneva, zuppa fino al gomito. Senza
contare la macchia di schiuma sui jeans neri.
Draco alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta, dire che quei due
avessero legato era un pallido eufemismo… come facessero ad andare d’accordo
due persone così diverse, era un autentico mistero. Draco poteva azzardare che
fossero semplicemente complementari: la Granger così realistica, cinica e poco
dedita alle pratiche femminili, che invece affascinavano il sognatore e vanesio
Seth.
“Punto primo, uno così perfetto non può esistere! È insano, malato e
fuorviante dare un messaggio simile alle ragazzine! E a te, per quello che
conta, visto quanto sei ingenuo, Seth!” stava sostenendo la Granger, ad ogni
parola il suo volto si faceva più rosso, specie ai tentativi di Seth di
prendere la parola “Punto secondo, lei è un’idiota! Diamine, cade anche in una
buca larga ottocento chilometri e visibile dallo spazio! Ma è ovvio, altrimenti
quel tomo non si sarebbe mai interessato a lei se non fosse così imbranata da
necessitare della scorta anche per andare in bagno!”, la Granger proseguì senza
nemmeno prendere fiato, sbuffando all’ennesima ciocca di capelli che le era
caduta sulla schiena “Punto terzo, è una saga profondamente anti femminista!
Lei fa sempre tutto quello che dice lui, parola per parola, e non si
ribella mai…!.Per non parlare di quando lui la abbandona. Cade in una depressione
non umana!”. All’ennesimo tentativo di Seth di interromperla, assunse un
cipiglio severo, inarcando un sopracciglio, prima di replicare: “E punto
quarto, e per pietà non aggiungo altri duecento motivi di biasimo, un amore del
genere non è amore… e basta…”.
La sua voce, su quelle ultime parole, aveva assunto un colorito più tenue,
soffuso, quasi triste. Draco, ancora seminascosto dietro la porta a spinta, la
vide distintamente serrare le spalle, quasi in una contrazione involontaria.
Tacque per qualche istante il rumore anche delle stoviglie e dei gorgheggi
d’acqua, e il suo viso si chinò leggermente, mentre probabilmente fissava senza
vederlo realmente, il lavabo ancora ingombro di piatti sporchi. Seth si voltò
repentinamente verso di lei, guardandola preoccupato. Doveva aver capito che
cosa le fosse passato per la mente, perché le posò una mano sulla spalla e
sussurrò: “Herm, tutto ok?”.
Lei, come se fosse stata attraversata da una scarica elettrica, inarcò la
schiena, tornando dritta, come se fosse stata colta in una colpa capitale. Non
era l’espressione di Helena, quella della bambina colta con le mani nella
marmellata, che lui adorava tanto… no, era un’espressione completamente
diversa. Helena, quando era colta in fallo, semplicemente sorrideva teneramente,
piegando la testa di lato.
La Granger, no. Mai. Sbarrava gli occhi, serrava le spalle, contraeva le
dita, come se fosse terrorizzata. Ecco, come terrore puro… di rivelare qualcosa
di troppo segreto.
Forse, di rivelare che anche lei fosse fallibile come ogni persona. Era
semplicemente terrorizzata che qualcuno capisse che non era perfetta.
Draco sospirò tra sé e sé, più conosceva Hermione Granger, più studiava le
sue espressioni, e più esse diventavano dissimili da quelle di Helena. Di primo
acchito, infatti, ancora le avrebbe potute confondere, ma stava diventando
sempre più difficile. Si assomigliavano ancora come due sorelle, ma lentamente
l’incanto stava svanendo. Era facile, prima, fraintendere le espressioni della
Granger. Per esempio, lei abbassava lo sguardo e lui ripensava ai momenti di
tristezza di Helena.
Ma Hermione era come un foglio di carta in controluce. Dietro, si vedeva
che cosa pensava davvero. E la maggior parte delle sue preoccupazioni, dei suoi
pensieri, non avevano nulla in comune con quelli di Helena.
E conoscerli, intuirli, faceva sì che la vedesse diversa.
Gli era rimasto solo il sonno della ragazza, quando non era cosciente. Era
il solo momento in cui riusciva ad ingannarsi, le palpebre di lei chiuse su
quegli occhi scuri, follia di domande che affastellavano la sua mente.
“Comunque tu, Twilight, stasera non lo vedi! Non nel mio spazio vitale,
almeno… che comprende una superficie di almeno quindici chilometri quadrati…”
esplose alla fine lei, la voce più stridula del solito. Cambiava discorso,
evidente. Le spalle si erano aperte di botto nel suo solito contegno quasi
militaresco, Draco si sorprese di come aveva preso ad annotare e riconoscere
tutte quelle cose di Hermione, senza nemmeno rendersene conto.
Seth iniziò ad uggiolare, implorandola, dando vita ad una serie di strepiti
intensificati dalla voce di lei, che continuava a perorare la sua causa con la
tenacia di un avvocato.
“Stasera nessuno vede niente di niente…” Draco, alla fine, uscì allo
scoperto, pensando che solo la sua presenza avrebbe fatto terminare le
lamentele di Seth, cosa che infatti accadde quasi immediatamente, mentre
l’amico si voltava a guardarlo sorridendo, con il solito sguardo dolce e
mieloso. Al suono della sua voce, anche la Granger si era voltata su sé stessa,
guardandolo per qualche secondo, mentre un ulteriore ciocca di capelli sfuggiva
dalla presa della sua acconciatura, sfiorandole una guancia. Non appena mise
completamente a fuoco che si trattava di lui, Hermione abbassò gli occhi imbarazzata,
restando a testa bassa.
Draco sospirò leggermente, quella era una novità degli ultimi giorni. Da
quando le aveva detto dei suoi e lei si era scoperta assolutamente ignara delle
trame che avvenivano alle sue spalle, Hermione era sempre timorosa di guardarlo
negli occhi, abbassava il mento che prima soleva sollevare ad ogni piè
sospinto, nel cipiglio orgoglioso che le era tipico. Ora, si vergognava quasi
di guardarlo.
Anzi… togliamo il quasi… Hermione Granger, la Regina del Bene, si
vergognava davvero di guardarlo. Si vergognava di sé stessa. Come sempre, aveva
preso sulle sue spalle sottili e magre colpe non sue, le stesse colpe che, da
quella sera su quella terrazza, lui le aveva definitivamente tolto,
assolvendola. Era innocente anche per Draco, come era sempre stata per chiunque
altro.
Ma Hermione Granger, agli occhi del suo implacabile tribunale interiore,
era colpevole e meritevole di una pena esemplare. La immaginava tormentarsi
nelle notti insonni, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per impedire quello
che gli era accaduto, oppure mentre si chiedeva se avrebbe potuto sapere
qualcosa di più, di fronte al silenzio omertoso del Ministro.
In attesa del supplizio e della redenzione, tingeva le guance di un rossore
inquieto, serrava le parole in gola, taceva gli occhi del bagliore fiero che
aveva sempre.
A Draco venne curiosamente da sorridere. Non da ridere, non di lei… solo da
sorridere. Ne soppesò la figura per qualche istante, trovandola ormai
curiosamente familiare, in quella cucina, con quell’abbigliamento comodo,
persino in quella posa che la faceva apparire più piccola, mentre restava scalza
sul pavimento della cucina e tormentava il labbro inferiore con i denti. Dopo i
primi giorni di spaesamento, quando, emergendo dai suoi pensieri, la vedeva
davanti ai suoi occhi e doveva fare uno sforzo immane per non chiederle che
cosa diamine ci facesse ancora lì, ora era naturale vederla lì. Naturale, già.
Con una semplicità che disarmava, Hermione Granger era diventata una presenza
naturale attorno a lui. La guardò ancora, lei che stringeva le spalle, quasi
incassandole dentro il petto, come a volersi rendere invisibile. La curvatura
delle labbra sottili di Draco fiorì sul suo viso, senza che lo avesse
premeditato.
Era bella.
Un tonfo nel petto, e si corresse automaticamente, senza traumi o
confusione. Non era lei che era bella:
era bella la sensazione di averla lì.
Poteva essere insopportabile come poche, ma Hermione aveva il dono di
illuminare e riscaldare l’aria attorno a sé. Lei non ne era minimamente
consapevole, anzi si stupiva non poco
nel rendersi conto che aveva un qualunque effetto sugli altri.
Hermione spingeva tutti a migliorare, perché scandagliava dentro le persone
e vedeva quello che loro non riuscivano a vedere… dove potevano arrivare, chi
potevano essere, cosa potevano conquistare. Iniettava fiducia, speranza,
coraggio.
In questo, non è che fosse dolce, beninteso: spesso era dura, perché odiava
la gente che sprecava sé stessa, il proprio tempo, le proprie doti. Diventava
quindi autoritaria, caparbia, orgogliosamente fiera e supponente.
Eppure, non c’era nessuno che non l’adorasse, come se tutti leggessero
dietro quell’apparente ruvidezza, il sentimento profondo che nutriva per chi
era oggetto di quelle attenzioni.
Seth e Serenity conoscevano un’allegria che Draco non li aveva mai visto
addosso, ed anche gli altri colleghi le volevano bene sinceramente. Solo
Astoria, ovviamente, non poteva sopportarla e chiedeva a Draco ogni giorno
perché la tenesse lì.
Lo scrutava alla ricerca del particolare che le sfuggisse, memore dei
celeberrimi litigi tra lui e la Granger, che avevano incontrato l’eternità tra
i ricordi degli studenti di Hogwarts.
Draco non le diceva del ritratto, ovviamente, Astoria non avrebbe capito. Dall’alto
della sua enorme superficialità ed egocentrismo, era convinta che lui non
amasse più sua sorella, che si fosse rassegnato e lui, per quieto vivere ed
inedia, glielo lasciava credere. Ma, del resto, non si sforzava di darle
nessun’altra spiegazione che non fosse un vago: “La Granger è un’ex Auror… è
per proteggere Serenity…”. Astoria alzava gli occhi al cielo, sbuffava, ma per
ora non controbatteva, aveva troppo da perdere per farlo, ma era cristallino
che la sua spiegazione si reggeva in piedi come un castello di sabbia. E se un
giorno Astoria, per puro coraggio o masochismo, avesse davvero fatto quella
domanda in più, che avrebbe risposto?
Non lo sapeva, Draco Malfoy non sapeva che rispondere alla domanda sul
reale motivo per cui tratteneva lì Hermione Granger. Parlava di un ritratto che
non sapeva nemmeno se poteva finire, per nascondersi la coscienza. E di questo
se ne rese conto compiutamente in quel momento, mentre guardava Hermione
incastrarsi perfettamente nelle sue abitudini e nella sua routine, con la calda
e soffice sensazione di essere parte del suo mondo, di quella piccola famiglia costruita
sull’argilla del dolore e sul limo delle menzogne.
Cosa li univa esattamente?
A volte, sembrava che lei agisse anche su di lui, come faceva con gli
altri. Come se lo spingesse a… essere migliore.
Allontanò questo pensiero con fastidio, quasi come fosse una mosca molesta,
agitando il capo con noncuranza. Figuriamoci, era solo per il ritratto. Non
c’era altro dietro.
E ci mancherebbe che, a volte, persino Hermione Granger non diventasse a
suo modo piacevole… in caso contrario, doveva essere davvero un errore divino
che fosse nata. Non poteva avere solo difetti, no?
Riprese a parlare più sereno, convinto dai suoi ragionamenti, ma non al
punto tale da non lasciarsi sfuggire un vigoroso sospiro mentre incrociava le
braccia: “C’è da chiudere cassa… e io devo stare con Serenity… quindi uno di
voi deve farlo, considerando anche che il vostro quieto e pacato interloquire
ha reso i miei neuroni una marmellata informe…”.
Draco terminò la frase con un silenzio eloquente, guardando i due che li
sostavano di fronte. Seth si dibatteva tra la voglia di assecondarlo e la noia
di doversi occupare delle scartoffie, mentre in Hermione passavano migliaia di
pensieri diversi.
Era facile leggerle dentro per lui, era facile in un modo quasi scontato.
Anzi, più che scontato… era… naturale, ecco. Ancora. “Naturale” era la parola
giusta.
Perché sembrava che lui, Draco Malfoy, fosse venuto al mondo provvisto del
manuale d’istruzioni di Hermione Jane Granger.
Tanti anni fa, una constatazione simile gli avrebbe provocato ribrezzo e
repulsione, poi ne avrebbe cercato un evidente tornaconto da sfruttare a suo
favore.
Ora, invece, nel celeberrimo mondo nuovo che fungeva da etichetta
consolatoria a tutto ciò che non aveva risposta, accoglieva quel fatto con
rassegnazione perché era un altro mattone che cementava quel legame
incomprensibile che li univa.
Per esempio, ora sapeva come se fosse ovvio, che Hermione stava pensando di
assecondarlo, ma solo per far piacere a Seth. Era visibile negli occhi nocciola
che saettavano da lui a Seth, ma ovviamente Draco sapeva di infastidirla con le
sue parole e con il suo tono di voce autoritario, quindi lei respirava forte un
paio di volte, inarcando le spalle. Eppure, Hermione non si sentiva in grado di
contraddirlo, visto che si sentiva ancora in difetto con lui, quindi l’istinto
da ribelle, che ben sopiva davanti alle regole ma che non per questo non
esisteva in lei, le sigillava sulle labbra parole cariche di livore e
frecciatine sarcastiche.
Draco, reprimendo ancora un sorriso, vedeva quelle parole astiose quasi
premere contro la sua gola, facendo pulsare la giugulare sotto la pelle candida
del collo rimasto scoperto.
Alla fine, mentre le si rilassavano le spalle, Draco capì ancora prima che
parlasse che lui aveva vinto. Dietro, però, quel sorriso di circostanza, sapeva
che la Regina dei Grifondoro aveva fatto vincere solo l’affetto per Seth ed il rispetto del dovere.
Nemmeno nella sua mente (anzi, forse, soprattutto in essa) gliela avrebbe data
vinta in qualche modo. Accettò di chiudere lei cassa, a patto che, quando fosse
risalita, Seth l’avesse piantata con Twilight.
“La fine te la registri, chiaro?!” borbottò, uscendo dalla cucina e
sorpassando Draco in una lunga falcata nervosa, raggiungendo velocemente la
cassa. Draco si voltò un secondo dopo che lei gli passò davanti, seguendo senza
accorgersi la scia ramata dei suoi capelli disordinati. Aveva ancora lo stesso
odore tenero di quando era a scuola, profumo di vaniglia, come quello di una
bambina. Era la prima volta che si rendeva conto che era sempre lo stesso di
tanti anni fa.
Gli faceva tornare in mente tante cose quel profumo, si srotolavano giorni
e giorni davanti ai suoi occhi, sentendolo. Quando era a scuola, era come un
campanello d’allarme, gli sembrava di fiutare la Granger come un animale da caccia.
Ovviamente non era cosciente di conoscerlo, ma lo avrebbe riconosciuto
subito. La percepiva immediatamente, quando era vicina.
Era sempre la stessa, negli anni lei non era mai cambiata. Era come una di
quelle montagne immutabili, che conoscono le stagioni come qualcosa di
capriccioso ed instabile, restando sempre identiche a sé stesse in modo fiero e
nobile.
Era… una roccia. Si chiedeva che cosa potesse spezzarla davvero.
Persino la scoperta dell’inganno ordito alle sue spalle da Potter, aveva
aperto delle crepe in lei, ma l’aveva lasciata in piedi.
Ci doveva essere qualcosa… ma cosa?
“Danny, che cosa c’è?” la voce di Seth lo raggiunse alle spalle, facendolo
sobbalzare. Seth seguì lo sguardo di Draco vedendolo puntato su Hermione che si
era appena seduta al bancone del ristorante, cercando di mettere ordine tra le
carte sparse. Il ragazzo moro gettò un’occhiata in tralice a Draco, sorridendo
appena, mentre lui si affrettava a replicare che stava andando di sopra. I suoi
passi conobbero una fretta che non aveva mai, mentre saliva le scale a due a
due.
Fremiti, tremori, sospiri, magoni… da quando c’era la Granger, conosceva
dimensioni del sentire umano che aveva dimenticato.
Si stese a letto, era un bene? No, non lo era. Non c’era nemmeno bisogno di
farsela quella domanda.
Non aveva bisogno di sentirsi vivo… aveva bisogno di esistere abbastanza da
prendersi cura di Serenity, controllare Astoria ed uccidere Pucey e Montague.
Chiuse gli occhi nella penombra crescente, non aveva bisogno di Hermione
Granger e della curiosità che gli metteva addosso. O dell’ansia di scappare
dalle stanze dove c’era lei. O del nervosismo che gli trasmetteva,
camminandogli vicino.
Non aveva bisogno di chiedersi che cosa avesse il potere di spezzarla, o di
accorgersi che il suo profumo era lo stesso di tanti anni fa, o di conoscere a
menadito le sue espressioni e i loro significati.
Non aveva bisogno di lei.
Si alzò da letto con un piccolo balzo, il passo che non ne voleva sapere di
tornare largo e disteso, sebbene fosse impercettibile la sollecitudine che
imprimeva i suoi movimenti in modo nuovo, febbrile, ansioso, mentre raggiungeva
Serenity. Cercò di saturarsi degli occhi della bambina, immergendosi nel
ricordo ceruleo di quelli di Helena, cercando di scavarsi quel colore nella
memoria, il pezzo del suo ritratto che non sarebbe mai potuto provenire dalla
Granger.
Serenity si addormentò, dopo aver mangiato, e Seth rientrò, accasciandosi
sul divano, e lui, a quel punto, sarebbe andato a letto, chiudendo gli occhi
sui suoi pensieri neri.
Avrebbe sognato alberi di Natale in fiamme, spiagge grigie dal mare spento,
rose dall’odore di ciliegia che gli marcivano tra le dita. E sarebbe andato
bene, perché era un modo di avere vicina Helena, nel rimpianto e nel rimorso
che non lo lasciavano mai.
Era un modo per continuare a punirsi della sua morte, ed andava bene così.
Invece, continuava a marciare per casa, senza sapere che cosa fare, né che
cosa dire, guardando l’orologio piegare le ore in minuti pigri e secondi
indolenti. Per converso, le vertebre, le ossa, persino la sua pelle, fremevano
di impazienza, di inquietudine e di una forma continua di cupa eccitazione, che
non gli facevano chiudere occhio. Non riusciva nemmeno a stare a letto disteso,
senza sentire l’improvviso impulso di alzarsi, come se fosse steso su un cumulo
di rovi ed ortiche.
Alle tre, quando oramai tutta la casa dormiva e Seth aveva finalmente
spento la tv, decise di andare di sotto per farsi una passeggiata. Già che
c’era, poteva controllare il locale, accertarsi che le luci fossero tutte
spente, cose così… impiegare il tempo.
E già mentre lo pensava, la sua mente considerava strana quell’occupazione.
Impiegare il tempo… non ne aveva mai avuto bisogno.
Il dolore e la noia del vivere erano una spugna che assorbiva tutto il
tempo, impregnandolo di lercio.
Pazzesco, aveva bisogno di impiegare il tempo… e di notte, poi… assurdo…
Scendendo le scale, intravide un bagliore rosato provenire dalla sala
ristorante. Il suo respiro si distese, trovando un ideale bersaglio a quel
fremito delle ossa che lo stava facendo impazzire. Poteva inveire contro lo
spreco di energia, tacciando qualche incauto dipendente di mancanza di riguardo
per le sue risorse finanziarie e per l’intera gestione del locale; avrebbe
borbottato un po’, risalendo le scale, magari avrebbe anche dato un calcio a
qualche sedia ed, infilandosi nelle coperte, avrebbe fatto sbollentare la
rabbia nell’aristocratica consapevolezza che non tutti potevano essere come
lui. Non tutti erano lui.
Il suo passo si gelò sull’ultimo gradino, mentre la sua mano si artigliava
al corrimano.
L’ansia inspiegabile si sedò come sotto l’effetto di un anestetico,
acquattandosi come un predatore nella boscaglia, mentre i suoi occhi,
acclimatandosi alla penombra, inquadravano l’unica zona luminosa della stanza.
Aveva i capelli color dell’oro rosso sotto quella luce, scivolavano
invisibili gocce di riflessi, mentre dormiva. Sembravano quasi attingere da una
fonte sotterranea e poi scrosciare liberi, percorrendone tutta la lunghezza.
Hermione si era addormentata con la testa china sul bancone, le braccia
incrociate come uno scomodo cuscino e le labbra semiaperte. Sulle spalle, aveva
messo una felpa stinta e consumata, forse perché aveva freddo, ma ora stava
scivolando di lato. Le palpebre chiuse fremevano leggermente ad ogni respiro,
che sembrava più frettoloso del solito.
Draco sospirò, sgradita calma nel petto, e fece qualche passo,
avvicinandosi di più a lei. Meditò sull’idea di salire di sopra e prendere
carta e matita, in modo da andare avanti con il suo lavoro sul ritratto di
Helena, ma non ne aveva voglia. Improvvisamente, quel tumulto interiore, per
cui avrebbe pagato milioni di galeoni pur di fare qualcosa, si era congelato in
una bonaccia priva di alcuna volizione o intenzione.
E poi, diamine… quella sera gli parve davvero assurdo cercare Helena in
Hermione Granger.
Assurdo, già, perché oramai il delicato filo rosso che le univa ai suoi
occhi, si stava disgregando come nulla, persino mentre le guardava dormire.
Helena dormiva del sonno di una creatura da fiaba, la immaginava ancora
così nel sonno della morte, anche se non l’aveva voluta vedere al suo funerale.
Impalpabile il respiro, immobile il viso, perfetta nella sua aurea serenità e
pace. Il giorno poteva portarle dolore, angoscia, senso di colpa, ma di notte
Helena rinasceva come un fiore dorato, cullandosi in una quiete che la faceva
somigliare ad una principessa addormentata, in un mondo che peccava se non si
addormentava assieme a lei.
Hermione, invece, era sempre agitata, anche quando dormiva. Raramente,
dormiva di filato per un’ora, la sentiva spesso svegliarsi ed andare in giro
per casa, a meno che non fosse stanchissima. I suoi sogni erano sempre pieni di
particolari che la facevano sobbalzare, spaventare e muovere con ansia. Spesso,
quando la ritraeva, si era dovuto allontanare di scatto, perché si stava
risvegliando di soprassalto. Aveva pochissimi attimi, in cui dormiva
tranquilla, e quindi assomigliava ad Helena.
E quella notte non era tra quelle tranquille.
La sentiva addirittura mormorare qualcosa, con voce quasi incrinata dal
pianto. Voce spezzata. Lei che si spezza. Qualcosa che la spezza.
Quel flusso di pensieri diedero impulso alle sue gambe di muoversi ancora,
fisso sulle sue labbra rosse che si aprivano e si chiudevano, sillabando con
dolore qualcosa. Qualcosa che si ripeteva, continuamente, e qualcosa che lui non
conosceva.
Qualcosa, che la stava lacerando dall’interno e che non aveva nulla a che
fare con lui. Già, perché quel qualcosa non sembrava avere a che fare con la
morte dei genitori di Draco e sull’inganno di Potter, che pure l’avevano tanto
prostrata.
Era qualcosa di diverso… e come sempre il manuale d’istruzioni di Hermione
Granger, tornò utile come non mai. Lo pronunciava con colpevole affezione, lo
ripeteva come qualcosa che conosceva bene, lo assaporava anche nel sonno come
un caldo conforto che racchiudeva in poche sillabe tutto un senso che Draco non
conosceva. Un senso che si era spezzato, tra le sue mani.
Scommetteva che fingesse che non fosse importante… ma nel sonno lo
rincorreva, chiedendosene il motivo.
Si sentiva un sonnambulo, camminava a
passi piccoli ed incerti, la distanza da lei sembrava allungarsi a dismisura.
Era come trascinarsi dietro una catena di domande, legate alla caviglia, che lo
rendevano più lento.
Tra quelle, primeggiava in pesantezza quella più ovvia: che cosa gli
interessava delle parole che Hermione Granger pronunciava nel sonno?
Quella constatazione fu provvidenziale, perché lo fermò un attimo prima che
Seth scendesse le scale, stropicciandosi gli occhi. Draco finse un’espressione
scocciata alla vista della ragazza addormentata, come qualsiasi datore di lavoro
che vede il suo dipendente dormicchiare sul posto di lavoro. La indicò con il
capo a Seth, alzando le sopracciglia con aria annoiata.
“La prossima cameriera che assumiamo, dovrà avere la particolare qualifica
di restare sveglia dopo mezzanotte…” commentò Seth con voce che voleva essere
sarcastica, ma uscì solo tenera, guardando Hermione “Ieri sera mi sono spaccato
la schiena a riportarla in camera… stasera ci pensi tu Danny?”. Draco, che era
profondamente perso nei suoi pensieri, sussultò: “E che, non può dormire qua?!
Peggio per lei che si è addormentata… oppure la sveglio e tanti saluti…”.
“Ti sconsiglio entrambe le cose…” sbadigliò Seth, salendo di sopra con
nonchalance “Domani sarebbe intrattabile… e ti giuro che non è bello che sia
intrattabile…”. Pronunciò le ultime parole con il giusto tono sospeso tra la
minaccia e la paura.
Gettando un’ultima occhiata divertita alle sue spalle, mentre fingeva un
improvviso colpo di sonno tale da non lasciarlo nemmeno finire il discorso, si
chiuse la porta alle sue spalle, gettandosi sul letto.
L’armadietto di Summer poteva sicuramente contenere almeno dieci delle sue
camicie di Armani, rifletté sogghignando prima di addormentarsi profondamente,
a bocca spalancata.
Draco imprecò tra sé e sé, mentre la porta della camera di Seth
chiudendosi, produceva un rumore sordo, amplificato dal silenzio della notte.
Passeggiò nervosamente avanti ed indietro per qualche minuto, misurando la
dimensione della stanza con i lunghi passi infastiditi, maledicendo nell’ordine
la letargia della Granger, la solerzia di Seth nel presentarsi sempre quando
non era il momento e, non da ultimo, il fatto che lui, Draco Malfoy, invece di
dormire della grossa, si fosse messo in testa di andarsene in giro a quell’ora.
Poteva lasciarla lì, eccome se poteva… Seth non era nessuno per dargli ordini.
E se ne era quasi persuaso, girandosi bruscamente su sé stesso e dando le
spalle alla ragazza ancora addormentata. Poi una voce estremamente molesta e
fastidiosa che, tanto per gradire, parlava esattamente come la Granger, gli
sibilò nella mente: “Hai forse timore di Hermione Granger, Draco? Continui a
scappare davanti a lei… che c’è? Temi anche lo sfiorarla adesso?”.
Ma certo che non temeva il toccare quella piccola sciocca… che se dormiva
in camera sua, come tutte le persone normali, avrebbe fatto meno danni. Anzi se
dormiva proprio in un altro Stato, ne faceva ancora meno… la vocina pigolò
ancora che lei era lì, perché lui aveva messo in piedi quella farsa del lavoro
da cameriera, quindi non era colpa della Granger, ma la mise a tacere con
stizza. La colpa era della Granger, a prescindere!
Dal nervosismo stava quasi per battere il piede per terra, in modo che lei
si svegliasse e risolvesse quell’incresciosa situazione, ma, rendendosi
improvvisamente conto del suo atteggiamento quantomeno infantile e recuperando
un po’ di autocontrollo, Draco sospirò lungamente come per darsi coraggio,
avvicinandosi rassegnato a lei e berciando con voce perentoria: “Granger, se ti
azzardi a svegliarti, giuro che ti do una botta in testa… ci manca anche che mi
veda…”.
Cercando di fare attenzione e sfruttando la flessuosità dei movimenti che
aveva appreso negli anni, Draco spostò cautamente Hermione, spingendole
indietro il busto contro lo schienale della sedia. Lei mugugnò un po’, ma
continuò a dormire con il capo inclinato mentre Draco la sollevava,
afferrandola per la vita e poi sotto le ginocchia. Accoccolata tra le sue
braccia, Hermione appoggiò il viso nell’incavo della spalla di Draco,
scambiandolo forse per un caldo cuscino.
Ancora augurandosi che lei non si svegliasse o che ad Astoria non fosse
venuto in mente di fargli una visitina notturna, salì le scale sempre con
Hermione in braccio, il respiro di lei che gli solleticava il collo,
procurandogli un brivido caldo lungo la schiena. Si sentiva circondato dal
profumo di lei come se ne fosse stordito, come se non fosse rimasta una sola
molecola d’aria che non ne fosse impregnata. Era leggerissima tra le sue
braccia, la ricordava più grassottella quando erano a scuola.
Invece solo ora si rese conto che era dimagrita molto, diventando
longilinea come una gazzella. Figuriamoci, conoscendola, era capace di saltare
anche il pranzo, se aveva delle cose da fare…
Ma che gliene importava?
Spingendo la porta con un piede, entrò nella sua camera, reggendola ancora
in braccio, la matita che le teneva buffamente assieme i capelli scivolò di
lato, liberandoli, mentre faceva quell’operazione. L’odore di vaniglia si fece
ancora più forte, mentre Draco cercava di ignorarlo. Finalmente, nella
penombra, intravide il suo letto e la appoggiò delicatamente su di esso,
facendo sempre attenzione che non si svegliasse. Hermione si accucciò in
posizione fetale, mettendo una mano sotto il cuscino e continuando beatamente a
dormire.
Ancora, gli venne da sorridere.
Stava diventando un riflesso condizionato, quando le era vicino, tipo una
paresi delle labbra che non smettevano di piegarsi quando incrociavano la
Granger.
Si sedette sul letto accanto ad Hermione, la scusa che si era stancato a
salire le scale con lei in braccio e voleva riprendere fiato. Il suo sguardo,
acclimatatosi alla semioscurità, si volse attorno alla ricerca di qualcosa che
nemmeno lui sapeva di stare cercando. Lei continuava a respirare tranquilla,
mentre lui esaminava la sua camera. Era più o meno come sempre, come quando era
vuota settimane prima ed Astoria la usava quando voleva dormire da lui.
La libreria d’acero bianco, il comodino con la lampada azzurra, l’armadio
con lo specchio dalla cornice dorata.
Unici segnali che lei ci fosse, che Hermione Granger davvero vivesse in
quella stanza, erano una valigia ingombra di vestiti ai piedi del letto, che
lei non aveva mai evidentemente disfatto, ed un libro sul comodino, con una
foto come segnalibro. Sembravano lei e la Weasley, ma non poteva dirlo con
certezza. Aveva fermato le sue dita, prima che corressero curiose a guardare
meglio anche quel particolare sciocco.
Era saturo dei particolari sciocchi di quella piccola sciocca.
Non aveva disfatto la valigia, perché voleva darsi l’impressione di essere
di passaggio. Allo stesso modo, non aveva personalizzato quella camera con
nulla di suo, così da non rendersi compiutamente conto che viveva lì sotto il
suo stesso tetto. Doveva essere per lei insopportabile, quando se ne rendeva
conto. Scommetteva che ignorava quel pensiero, ma quando esso tornava, nelle
mura di quella stanza, sotto quel soffitto, si sentiva soffocare dalla
dipendenza materiale che aveva maturato nei suoi confronti, in quanto suo
padrone di casa e datore di lavoro. Gettò un’occhiata distratta alla valigia
stessa, ingombra di felpe, jeans e t-shirt.
Il suo abbigliamento la rispecchiava pienamente, mai nulla di aderente, di
scollato, di vistoso. Colori chiari, tenui, che non dessero nell’occhio, così
da passare inosservata. Non aveva mai cercato di mettersi qualcosa di più
provocante, nemmeno quando erano a scuola e forse, ricordò con una punta di
disgusto, voleva fare colpo su Weasley.
Figuriamoci adesso… non credeva che stesse con qualcuno, ma era evidente
che non lo stava nemmeno cercando. Era dannatamente brava ad ingolfarsi in mise
comode e pratiche che facevano inorridire Seth.
Non conosceva nessuna donna che, in sua presenza, si fosse comportata come
lei.
Sapeva di non lasciare le donne indifferenti, era successo a scuola e
succedeva ancora oggi. April, Lorna, Corinne e persino Gail, nel momento in cui
sapevano che lui c’era, sfoggiavano sempre i loro look migliori, sbattevano
ciglia, dispensavano sorrisi.
Non c’era una che fosse fuori posto, quando sapeva di doverlo incontrare.
Ne aveva fatto quasi un motivo di vanto Draco Malfoy, perché almeno
venivano al lavoro in ordine. E una parte remota della sua mente registrava
anche che, ognuna di esse, sarebbe stata disponibile nei suoi confronti, in
senso prettamente carnale.
Cosa, al momento, poco rilevante, ma comunque esistente.
Invece, Hermione Granger era come sempre la dannata eccezione a tutte le
regole della sua vita.
Passava accanto a lui, sfoggiando fiera la sua maglietta da calcio o la sua
felpa azzurra, se non indossava la divisa da cameriera. Lasciava i capelli spesso
bagnati dopo la doccia, lasciandoli arricciare in piccole onde ribelli, senza
acconciarli in alcun modo particolare. Niente smalto, niente trucco, se non
quando era necessario, e questo non corrispondeva mai a quando lo incrociava.
Lesinava i suoi sorrisi, le sfumature calde dei suoi occhi e, anche se
adesso non lo guardava più con odio, certo non vedeva mai nei suoi occhi
qualcosa che potesse lasciar presagire un qualche effetto di lui su di lei.
Anzi, sembrava sempre contenta di essere ignorata da lui.
Strinse i pugni… quando, invece, lei, Hermione Granger era semplicemente
impossibile da ignorare.
Non riusciva mai ad ignorarla. Lo infastidiva, lo innervosiva, lo faceva
arrabbiare, o diventare scontroso… lo faceva pensare… fino ad arrivare a farlo
sentire in colpa, a farlo intenerire persino, ma non riusciva mai ad ignorarla.
Ad ignorarla, come lei, invece, sembrava fare con lui…
Ed ancora le cose si capovolgevano come sempre… ed era lui che notava cose
che non avrebbe voluto mai notare. Chiuse gli occhi nervosamente, lasciando
andare una riflessione a lungo repressa, ma oramai, anch’essa, impossibile da
ignorare.
Non aveva la bellezza di Helena o di Astoria, eppure, ora come ora, si
rendeva conto che non era mai stata così bella.
Era bella in modo buffo, distratto, nervoso, ma lo era davvero, era quel
qualcosa dentro, quella scintilla di speranza e bontà, nascosta sotto strati di
cinismo, a trasfigurarle il viso di una luce perfetta e pura, che nemmeno
Helena aveva mai avuto.
Perché Hermione era soprattutto certa di sé e di quello in cui credeva, e
il mondo si plasmava sotto i suoi occhi castani, come se fosse creta ai suoi
ordini.
L’aria stessa di quella casa era
cambiata, da tramontana fredda a scirocco tiepido, come se lo stesso respiro di
quelle stanze fosse diventato nuovo… come se fosse diventato suo, di Hermione
Granger.
Persino ora, che dormiva, la sentiva respirare attorno a lui, sentiva
ancora quel lieve calore sul collo, dove era appoggiata poco prima. Si portò la
mano su quel punto, come a fermare il pulsare incontrollato di quel punto
incandescente sulla sua pelle fredda. Lieve come se fosse fatta apposta per non
essere vista né sentita, sentì sotto le sue dita una piccola goccia d’acqua.
Ritrasse la mano, guardandola meglio. Sull’indice, sentiva
indiscutibilmente la frescura di una goccia d’acqua. Intuendo che cosa fosse,
portò l’indice alle labbra.
Salata. Una goccia d’acqua salata.
Come poco prima, quel formicolio leggero che avvertiva sempre sotto la
pelle e che, per ora, non sapeva fare altro che chiamare curiosità, lo fecero
muovere senza accorgersene, mentre si chinava sul corpo addormentato della
Granger. La sua mano le sfiorò leggermente una guancia, la pelle sotto le sue
dita era morbida… e bagnata. Indiscutibilmente bagnata. Aveva pianto.
“Piangi anche tu, allora…” sussurrò al silenzio, le sue dita che
continuavano a percorrere la superficie liscia della sua pelle. Lei mugugnò
qualcosa, facendo spaventare, senza che però la sua mano riuscisse a spostarsi
dal suo viso.
Non riusciva a staccarsi dal suo viso.
Non riusciva a farlo, dannazione.
Le palpebre di lei si mossero di nuovo nervosamente, nel sonno si morse il
labbro inferiore, altre lacrime caddero sulle dita di Draco che ne sentì il
peso umido addosso.
Fu rapido, improvviso, brusco.
Lei aprì le labbra e quel qualcosa che la stava spezzando, venne fuori,
come se non ce la facesse più a restare sottovuoto. Era la stessa parola di
poco prima, piena di senso ed affezione nel pronunciarla, perché era qualcosa
effettivamente che andava ripetuto. Più e più volte, in stanze che ridevano e
letti che si baciavano. In una casa ora troppo grande, da non far nemmeno
patire la sistemazione sotto il tetto di un antico nemico.
Una parola… che non era una parola… ma che lei doveva aver ripetuto chissà
quante volte, riempiendola di un significato adesso perduto.
Quella parola era un nome.
E tra l’istante, in cui Draco lo udì, e quello dopo, in cui finalmente i
pezzi vennero a combaciare perfettamente, Draco si chiese ancora come si stesse
abbandonando alla curiosità per Hermione Granger, quando le loro stesse vite
reclamavano un fossato incolmabile che le tenesse separate.
La sua mano si ritrasse mentre Hermione pronunciava l’ultima sillaba del
nome “Dean”.
Si alzò in piedi, fuggendo da Hermione come faceva sempre, come avrebbe
continuato a fare.
… ma i pensieri, da quelli non si poteva scappare. Specie da uno.
Dean Thomas avrebbe dovuto solo ringraziare di stare con una come lei.
Quante cose sono successe, senza che io me ne
accorgessi? Senza che lui se ne accorgesse? Le nostre parole, i nostri gesti,
ci hanno scavato dentro, come l’acqua che divora la roccia. Abbiamo dato a
quello che ci stava accadendo la dimensione di una pioggerellina stupida,
quando avevamo tra le mani le avvisaglie di un uragano. Nei suoi pensieri, nei
suoi ricordi, avverto la stessa confusione che ha attanagliato me, mentre
scoprivo un legame con l’ultima persona al mondo con cui credevo di averlo.
Nei suoi ricordi, passano rapidi sprazzi di
fiducia e quella curiosità che cresce giorno per giorno, sembrano macchie di
luce che filtrano da una foresta oramai non più scura ed inaccessibile. Arriva
all’ammissione compiuta di non odiarmi più, quella mattina in cui pensammo di
essere attaccati dai Mangiamorte, ma invece si trattava solo di Astoria con la
sua varicella. Sento nei suoi pensieri, incatenante come una marea argentea, il
desiderio di abbandonarsi a me, di vedere il peso che porta sulle spalle
alleggerirsi, sempre grazie a me.
Ma lo nega, sempre. Annaspa sotto quel peso, il
rimorso per la morte di Helena, la preoccupazione per Serenity, la rabbia per
la morte dei suoi, ma inspiegabilmente, anche se man mano sembra comprendere
quanto io potrei aiutarlo, decide sempre di più di lasciarmi fuori.
E non lo sa, sembra non capirlo, ma vuole
solo… proteggermi.
I ricordi turbinano ancora dietro lo specchio,
ma, dopo qualche attimo, mi accorgo immediatamente che qualcosa è cambiato.
Sta succedendo qualcosa di strano, di diverso.
Il loro stesso colore sta cambiando, sta
diventando molto più scuro e tendente al grigio. Aggrotto le sopracciglia, non
riuscendo a capire ed avvicinandomi di più allo specchio.
Ho visto spesso ricordi cambiare in base
all’emozione del loro possessore, ma questa… cosa… sembra diversa.
È come… se stessero perdendo definizione. Come
se stessero scomparendo.
La mia impressione si rivela esatta quando mi
rendo conto che anche il loro ritmo sta incalzando, scorrono molto più
velocemente, senza che io ne possa visualizzare nessuno.
Poggio la mano sullo specchio nella sciocca
quanto insensata aspettativa che questo li arresti, ma, con orrore, mi accorgo
che, sotto le mie dita, si apre una leggera crepa. Corre velocemente lungo la
superficie dello specchio, tagliandola nettamente a metà.
Stacco la mia mano come se scottasse e me la
stringo al petto. Sta succedendo qualcosa… decisamente… e non è un buon segno.
Draco…
Sta succedendo qualcosa a lui… con sofferenza,
mi rendo conto della verosimiglianza del mio pensiero. I suoi ricordi… se
stanno scomparendo… sta succedendo qualcosa a lui.
Qualcosa di serio, di grave… la morte non li
cancella, constato con razionalità, cercando di non farmi sopraffare da quel
pensiero così straziante.
Eppure, anche se escludo la cosa peggiore fra
tutte, non riesco comunque a calmarmi. Non ci può essere nulla di buono dietro.
Ed ha a che fare con quello che sta facendo, lontano da me.
Mi guardo attorno con disperazione, cercando un
modo per andarmene e per riprendere coscienza. Sarà anche che io rimanga muta
per sempre e che questa fosse la mia sola possibilità di liberarmi dello Zahir,
ma devo assolutamente capire che cosa sta succedendo. Il mio sguardo vaga
sperso nell’immenso spazio vuoto, senza trovare nulla, la nuca che mi si
inzuppa di sudore freddo. I miei occhi tornano senza volerlo alla sola cosa
reale, lo specchio; come una videocassetta con il tasto dell’avanzamento
veloce, vedo ormai solo frammenti di immagini che passano rapidissimi, diventando
sempre più invariabilmente indistinguibili, fino a quando la superficie diventa
completamente grigia.
Sotto il mio sguardo attonito, lo specchio si
infrange in mille pezzi. Nascondo il viso dietro le braccia, urlando e temendo
la cascata di frammenti che rischia di rovinarmi addosso. Cado in ginocchio,
mentre li sento colpirmi la pelle come una scarica di piccoli dardi appuntiti,
anche se so perfettamente che non esistono nemmeno.
Il mio urlo si infrange nel silenzio circostante
con una nettezza così chiara che capisco che non è più la mia mente ad
immaginarlo, ma è davvero reale.
E la cosa mi si conferma quando, riaprendo gli
occhi dietro un bagliore rosato, mi accorgo di non essere più nella mente di
Draco, ma nella camera a casa di Pansy Parkinson.
Mi sollevo immediatamente seduta con uno scatto
brusco dalla posizione distesa in cui ero, il Pensatoio ancora accanto a me sul
letto. Lo guardo distrattamente, la sua superficie non è più argentea, ma
scura, al pari dello specchio e dei ricordi di Draco. Non c’è niente di
buono in questo. Nulla, niente di buono.
La testa mi gira paurosamente e la stessa stanza
vortica su sé stessa, vittima della mia ansia che non riesco a tenere a freno.
Chiudo gli occhi, ispirando profondamente e cercando di calmarmi, sovrapponendo
la luce del sole al tramonto, che filtra dalla finestra, rendendo le pareti
rosa, alle immagini orribili su che cosa può essere successo a Draco.
Picchietto le dita sulla tempia, cercando di
concentrarmi e, al contempo, di calmarmi, restando ancora con gli occhi chiusi,
come se la terribile paura che mi sta assalendo possa arrestarsi dietro le mie
palpebre.
Cercherò una bacchetta… la strapperò anche a morsi da Zabini o dalla
Parkinson se dovessero impedirmelo e farò un Incantesimo di Localizzazione per
trovare Draco.
Poco importa se Astoria mi trova, stavolta ho la
bacchetta e non riuscirà a controllarmi di nuovo… e se dovesse farlo… non lo
farà, basta, non mi troverà. Prenderò strade poco battute e lo riporterò a
casa, dovunque diamine si è andato a cacciare.
La mia risoluzione si gela su sé stessa,
afflosciandomi le spalle. La voce… mi sarà tornata?
Se non mi è tornata, se quei pochi ricordi di
Draco non sono stati sufficienti a farmi tornare in me, non posso fare nessun
incantesimo, nemmeno volendo, nemmeno ignorando la condanna che, comunque, mi
farebbe localizzare immediatamente dal Ministero, se facessi una magia. Cosa
che nemmeno è auspicabile, se Pucey e Montague hanno effettivamente degli
infiltrati al Ministero stesso. Sospiro, a questo penserò dopo. Se non ho la
voce, questo problema non si pone.
Riapro gli occhi stancamente, sospirando e
pronta alla prova del nove.
È solo in quel momento che mi accorgo che, nella
stanza, non sono sola.
Di fronte a me, seduto sul letto, c’è qualcuno; rabbrividisco
al contatto con il suo sguardo gelido e, per un folle attimo, nella penombra
della stanza al tramonto, penso che sia Draco. I miei occhi si inumidiscono
immediatamente, mentre cerco di metterlo al fuoco, concentrata sulla luce dello
sguardo di fronte al mio, che solo apparentemente assomiglia ad una penombra
assoluta. La stessa luce oscura degli occhi del mio Draco.
Ma è solo un attimo, un attimo bellissimo e
crudele assieme, che mi lascia sconvolta e senza fiato. Uno spasmo mi blocca il
cuore, mentre trattengo le lacrime.
Mi chiedo come diamine abbia fatto a non
rendermi conto di non essere sola, la presenza dello sconosciuto di fronte a me
è così totalizzante da essere percepita persino ad occhi chiusi.
Ulteriore prova, se mai ce ne fosse bisogno, che, quando si tratta di
Draco, io divento muta, sorda e cieca di tutto il resto.
Il giovane uomo di fronte a me non può avere più
di venticinque anni, è alto ed imponente, mi sovrasta con la sua altezza anche
da seduto. Le spalle larghe sono coperte dal tessuto pesante di una giacca
grigia, portata in modo neglettamente elegante su una camicia bianca, chiusa
sotto il collo da una medaglia d’oro che luccica di rubino nella luce del
tramonto. La sua aria severa ed impettita è completata da un viso dai tratti
duri, le labbra carnose e piene sono aggrottate in una smorfia arcigna,
parzialmente celata da una lieve barba scura. Scuri sono anche i capelli ricci
che porta spettinati e che coprono la fronte spaziosa. Gli occhi sono color del
mare in tempesta.
L’uomo, che non ho mai visto in vita mia, è
pericolosamente vicino, sento quasi il suo respiro sul viso. Mi ritraggo per
quanto me lo consenta la distanza tra me e lui, arretrando fino ad incontrare
la spalliera del letto. Il timore che sia un altro sgherro di Astoria, venuto a
farmi fuori, mi colpisce in modo inaspettato, ma, sebbene non so minimamente
chi sia, sento che non a che fare con lei. Anzi… il suo cipiglio e il suo
sguardo… me lo fanno collegare immediatamente a Raissa. Le somiglia. Deve
essere un suo parente.
Quindi, tecnicamente, se il mio collegamento non
è inesatto, non dovrei avere nulla da temere.
Eppure, il suo sguardo, dopo la prima fugace
impressione che me l’ha fatto confondere con quello di Draco, mi mette
terribilmente in soggezione. La bocca impastata, cerco di distogliere lo
sguardo da lui. La mano fredda del giovane si muove improvvisamente dopo il mio
gesto ed io mi ritraggo ancora con timore, ma lui si limita a sollevarmi con
due dita il mento, come se mi stesse studiando. Sulla mia pelle calda, le sue
dita sembrano ancora più fredde, rabbrividisco a quel contatto, incapace di
reagire.
Il suo sguardo mi scava sotto la pelle, come
aveva fatto anche Raissa, provocandomi un brivido, accentuato dal fatto che si
morda il labbro inferiore con aria contemporaneamente sensuale e cacciatrice.
Mi sento un topolino in trappola.
Mi volta il viso da una parte all’altra, lo
sguardo azzurro fisso su di me, come se stesse cercando qualcosa. Ancora, allo
stesso modo di Raissa. Di secondo in secondo, sembra rapire qualcosa dai miei
occhi, che va ad illuminare i suoi di ghiacciate lucciole cobalto. Sotto quello
sguardo, avverto qualcosa che non mi piace… e che difficilmente potrei
fraintendere… era in ombra in Raissa, era meno evidente. In quest’uomo, sembra
invece un riflesso così evidente da trasfigurare il viso.
Si confonde ad una voglia di conoscere, di
sapere… e assume un carattere quasi sessuale. Quest’uomo mi vuole.
Quel pensiero, scuotendomi la schiena di brividi
freddi, mi fa ritornare in me, dopo qualche secondo di spaesamento.
Allontano con stizza la sua mano dal mio viso, riscuotendomi.
Lui sbatte gli occhi un paio di volte sorpreso, gli occhi tornano opache sfere
di ametista, il blu si fonde con il rosso del sole.
“Chi diamine sei?!” chiedo con voce scocciata, cercando di allontanarmi ancora da lui “E ti
dispiacerebbe non trattarmi come un pezzo di carne in vendita?!”.
Solo dopo averla sentita nelle mie orecchie,
spalanco gli occhi e mi porto le mani alla bocca, accorgendomi che la mia voce
è tornata.
Più roca del solito, ma… è tornata.
Dovrebbe esserne completamente purificata per poterla dire al sicuro… e il
segnale evidente sarebbe il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli che
ritornerebbero normali…
Mi alzo di scatto dal letto, dirigendomi verso
lo specchio alla mia destra, dove ancora ci sono delle boccettine di profumi
rovesciati nel mio impeto di prima contro la Parkinson.
Il mio riflesso è pallido, sfatto, indebolito.
Ho le occhiaie, indosso ancora il vestito di seta viola che mi ha fatto
indossare Astoria, ho le mani sporche di terreno.
Ma i miei occhi e i miei capelli sono di nuovo
gli stessi. Castani dorati, come li ho sempre conosciuti, sin da piccola.
“Sono libera…” mormoro più a me stessa,
che all’uomo alle mie spalle, portandomi una mano a coprire le labbra che
tremano.
In tutta quella manovra, lui non ha smesso un
secondo di fissarmi.
Cercando di ignorare la sensazione perforante
del suo sguardo sulla schiena, avvicino il polso al mio viso: persino la
cicatrice sembra essere scomparsa.
Sono tornata completamente me stessa. Ho di nuovo il mio libero arbitrio,
il mio cuore, la mia mente.
Il labbro inferiore mi trema dal sollievo, mi
stropiccio gli occhi davanti allo specchio per impedirmi di scoppiare a
piangere, dopo la fine di quest’incubo.
… o meglio, dopo la fine di una parte di
quest’incubo.
L’angoscia mi riprende ad ondate, unita alla
consapevolezza che adesso non c’è niente che mi possa fermare. Niente,
nemmeno quest’uomo.
Mi volto bruscamente su me stessa, pronta a
scagliarmi su di lui e a strappargli la bacchetta di dosso, pur di correre a
cercare Draco.
Invece sussulto, ritrovandomelo ancora ad un
centimetro dal mio viso, non mi sono nemmeno accorta che si è alzato. Con un
gesto rapido e flessuoso, quasi senza respirare, mi prende per un braccio,
piegandomelo dietro la schiena ed avvicinando il mio corpo al suo, fino a
quando aderiscono perfettamente.
Terrorizzata, visto che è molto più forte di me
e mi sta facendo decisamente male, tento di divincolarmi, non riuscendo ad
indovinare le sue intenzioni.
Mi giunge infine una nota profonda e roca,
mentre finalmente si degna di parlarmi: “Non ci pensare neanche…”.
La sua voce ha l’effetto di farmi drizzare i
capelli sulla nuca. “A far che?!” pigolo spaventata, cercando ancora di
liberarmi, gli occhi colmi di lacrime di frustrazione.
Mi sovrasta ancora in altezza, quindi non devo
guardarlo in viso, riesco solo a fissare lo sguardo impietrito sulla medaglia
appuntata al collo.
Il braccio che piegava senza sforzo il mio, si
sposta sulla mia schiena. La stretta non si fa meno salda, anzi impedisce
ancora di più i miei scarni movimenti. Con durezza, stringe la mano libera sul
mio viso, costringendomi a sollevarlo fino ad incontrare il suo. Trattengo le
lacrime solo per orgoglio, perché mi sta facendo davvero male. Lo guardo con
espressione feroce dritto negli occhi, ma lui non se ne accorge nemmeno. Ha lo
sguardo fisso sulle mie labbra, sento la tensione del suo corpo contro il mio.
Per un secondo, penso che mi stia per baciare, e
l’impercettibile movimento del suo viso verso il mio, mi fa sussultare ancora,
mentre tento disperatamente di allontanarmi.
Ma, invece, si limitare a sussurrare sulle mie labbra:
“Non ci pensare neanche a muoverti da qui, o a fare qualsiasi altra cosa tu
abbia in mente, sei anche sotto la mia custodia adesso, Granger… e fin quando
ci saremo io, Raissa, Zabini e la Parkinson, tu non ti muovi da qui…
soprattutto per andare a cercare Malfoy…”.
Sussulto, sentendo il nome di Draco.
Anche lui deve sapere dov’è… e ha capito subito che voglio andare da Draco…
perché stanno facendo di tutto per trattenermi qui e per non dirmi nulla?
Incurante della mia situazione e della vicinanza
con quest’uomo, bisbiglio, ormai in lacrime, cercando di guardarlo negli occhi:
“Per favore, dimmi dov’è…”.
Come sempre, ogni orgoglio ed ogni dignità evaporano come acqua, quando si
tratta di Draco…
Qualcosa nello sguardo dell’uomo sembra
addolcirsi, e finalmente molla la presa. Respirando a fatica, indietreggio di
qualche passo, fino ad urtare il muro alle spalle, le ginocchia che mi tremano
e la sensazione ancora del suo corpo contro il mio. Mi stava per baciare, ne
sono certa.
Mi guardo attorno terrorizzata, cercando una via
di fuga, ma le sue parole successive riescono a farmi perdere ancora ogni
volizione e intenzione di agire.
“I suoi ricordi sono scomparsi, vero?” la sua
voce sembra quasi sorridere in modo sardonico, guardandomi con la testa
inclinata di lato e studiandomi con lo stesso interesse di poco prima. Combattendo
con l’imbarazzo che mi provoca, biascico un sì.
“Sei stata fortunata, allora, a tornare in te,
prima che sparissero del tutto…” sorride ancora comprensivo, appoggiandosi con
una spalla al muro accanto a sé ed incrociando le braccia “Io e Raissa avevamo
intuito che sarebbe andata così, era così dannatamente scontato, così
dannatamente da Malfoy… offrire i suoi ricordi, come prezzo…
sinceramente credevo che avessi più tempo, ma Malfoy come sempre mi ha
sorpreso, evidentemente ce l’ha fatta prima del previsto… ma fortunatamente ce
l’hai fatta anche tu…”.
Non mi piace il tono della sua voce, non mi
piace che sembri soddisfatto, non mi piace nulla del desiderio che ha negli
occhi, non mi piace che mi guardi ancora inumidendosi le labbra.
E non mi piacciono le sue parole, che continuo a
non capire.
Offrire i suoi ricordi come prezzo… se quest’uomo
non mente, Draco ha offerto i suoi ricordi come prezzo a qualcuno. Ma a chi? E
significa forse che… quando tornerà, non si ricorderà più di me? L’angoscia
mi stringe un nodo in gola, stringo con la mano il collo, sentendomi soffocare.
Dopo tutto quello che ho fatto… dopo tutto questo… lui non si ricorderà di
me? Non può essere…
Il nodo blocca l’aria nei miei polmoni, tossisco
forte come per liberarmi da un corpo estraneo, ma la sensazione non passa, anzi
sembra diventare sempre più opprimente.
“Se tornerà da te, sarà probabilmente il più
grande Mago dei nostri giorni…” sussurra ancora il ragazzo con voce mielosa,
provocandomi una fitta allo stomaco.
“Come?!” chiedo attonita, stringendo i pugni. La
paura e il terrore, a quelle parole e, soprattutto a quel se tornerà, mi
danno coraggio insperato al suo cospetto. La rabbia per quello che potrebbe,
invece, aver fatto Draco, sacrificare i suoi ricordi, mi fanno tremare
come una foglia.
“Malfoy voleva solo una cosa: avere la forza
sufficiente per proteggere te e la bambina, e si è rivolto a me e a mia
sorella… penso che tu abbia capito che sono il fratello di Raissa, Dimitri…”
continua lui con voce ovvia, la preoccupazione che cresce ad ogni secondo. Non
mi fido di quest’uomo e non mi fido nemmeno dell’aiuto che può aver dato a
Draco.
Come diamine gli è saltato in mente di
rivolgersi a lui? L’angoscia mi impregna la schiena di sudore, il vestito mi si
attacca sulla pelle in modo scomodo e fastidioso.
“Non mi interessa chi diamine tu sia…” biascico,
sollevando il mento e guardandolo con espressione di sfida. Se l’ha messo in
pericolo…
Dimitri sorride sornione: “Dovrebbe, invece…
visto che, se Malfoy tornerà da te con un potere enorme, sarà solo per merito
mio…”.
“Dimmi immediatamente dov’è…” sibilo con voce
fredda, gli occhi che scintillano pericolosamente e i pugni contratti
“Dimmelo!” ripeto a voce alta, graffiandomi le corde vocali di fronte al suo
perdurante ed ironico silenzio.
Al mio urlo, finalmente nella stanza irrompono
la Parkinson, Zabini e Raissa. Pansy ha i capelli spettinati e lo sguardo
sconvolto, mentre si allaccia la vestaglia rossa. Espressione simile ha anche
Zabini, sembra che stesse dormendo profondamente, anche se non è ancora calata
la notte.
Gli occhi di entrambi sono profondamente
cerchiati, si guardano un istante, prima di concentrarsi su di me.
Raissa, invece, è esattamente perfetta come
prima. Mentre i primi due restano sulla soglia, quasi timorosi di entrare, lei
fa immediatamente qualche passo, riempiendo immediatamente la stanza della sua glaciale
presenza. Dimitri li guarda con sguardo sarcastico, indicandomi alla sorella
con un cenno affrettato del capo.
Raissa non replica nulla, guarda il fratello con
espressione incolore, facendo ancora qualche passo e ponendosi tra me e lui.
“Dimmi immediatamente dov’è Draco…” ripeto
ancora, ignorando Raissa, le narici che fremono, la rabbia che confonde i loro
lineamenti davanti ai miei occhi, colmi di lacrime.
“Sei tornata te stessa, dunque…” constata lei
con freddezza, guardandomi “E, se sei qui così presto, scommetto che i ricordi
di Draco sono spariti… ovvio, deve aver scelto quelli…”, sospira
lungamente, prima di rivolgersi a Zabini e la Parkinson: “… controllate la
bambina, non deve mai restare da sola…”.
I due, evidentemente sollevati, lasciano
correndo la stanza per andare da Serenity.
Lo sguardo di Raissa s’indurisce, voltandosi
alle sue spalle e fissando Dimitri che non ha mai perso l’espressione ironica
del volto: “Cerca di rintracciarlo… se sapesse che la Granger è di nuovo in sé,
forse si tirerà indietro…”.
Il volto di Dimitri diventa una maschera di
cera, pura elettricità scorre nel suo sguardo mentre fissa Raissa, e poi me:
“Sai meglio di me che è impossibile…”.
“So meglio di te che è improbabile, non impossibile…”
replica lei decisa, dandogli le spalle.
“E’ quello che voleva, no?” replica lui
monocorde, fissandomi ancora. Sostengo lo sguardo con livore. “Gli abbiamo dato
solo quello che voleva…”.
Raissa prende fiato, prima di soffiare rigida:
“Nessuno sa mai davvero che vuole, nemmeno Draco… la sola cosa che vuole
davvero è lei… se sapesse che lei è già sua, credi che non tornerebbe
indietro? O non hai notato il modo in cui si appartengono, Dimitri?”.
Le parole di Raissa mi colpiscono al cuore,
anche se apparentemente asettiche ed impersonali. E la stessa cosa accade a
Dimitri, anche se in modo completamente diverso. Sento distintamente il livore
dell’uomo crescere come il turbinare di una tempesta di vento. Le spalle contratte
e il passo marziale, lascia la stanza sbattendo la porta.
Il rumore sordo mi fa tremare, prima di
respirare di sollievo ora che è andato via.
Raissa sospira lungamente, portandosi una mano
alla tempia che massaggia piano, come se avesse una terribile emicrania, e mi
dà l’impressione di essere abituata al comportamento del fratello. Poi,
scrollando le spalle, torna a concentrarsi su di me. Mi ingiunge di sedermi sul
letto con un cenno brusco della mano, le ginocchia mi reggono a stento mentre
faccio quei pochi passi, prima di crollare seduta. Il petto mi si alza ed
abbassa così velocemente che temo di scoppiare, da un momento all’altro.
Raissa mi dà le spalle, fissando il panorama
fuori dalla finestra, il cielo che si tinge di viola, mentre il sole scompare
all’orizzonte. I piedi mi fremono d’impazienza e di ansia, fatico a restarmene
ferma al mio posto, mentre lei resta in silenzio, apparentemente assente. Tento
di calmarmi, cercando di respirare a fondo, cosciente che, se dovessi
irritarla, perderei l’unico autentico appoggio in questa casa. Un appoggio
friabile e poco saldo, d’accordo, dato che è evidente che anche Raissa fatica a
credere alle mie capacità e mi vede come una semplice ragazzina fortunata,
finita in una storia più grande di lei… eppure le sue parole di poco fa, il
fatto di avermi quasi difeso davanti a Dimitri e di avergli ordinato di cercare
Draco, mi fanno avere maggiore fiducia in lei. Certo, molta di più di quanta ne
possa avere in suo fratello, o nell’assoluta inettitudine di Zabini e della
Parkinson.
Dopo qualche secondo, Raissa finalmente si
decide a parlare, continuando a darmi le spalle. La sua voce è un lieve
sussurro, la intendo a malapena.
“Stai molto attenta a Dimitri…”.
“Perché?” chiedo con voce atona alle sue spalle,
le mie parole sembrano esse stesse stanche, come se fossi sfiancata dopo aver
percorso chilometri a piedi. Si reggono nell’aria, riuscendo ad arrivare a lei,
per miracolo. Mi sembra persino che stia perdendo di nuovo la voce, anche se so
che non è vero.
In realtà, è la forza che sto perdendo.
Raissa si volta finalmente e sospira, non
rivolgendo però lo sguardo verso di me. Gli occhi restano puntati contro una
parete: “Draco non aveva considerato l’interesse che avrebbe maturato Dimitri
per te: una donna, per di più mezzosangue, che crea uno Zahir, non ne rimane
uccisa e riesce persino a distruggerlo e, ora, si libera anche del suo potere
oscuro… Credo che ti voglia come non ha mai voluto niente nella sua vita… e
credo che, adesso, il suo più grande desiderio sia che Draco non torni mai più,
sarebbe facile, allora, averti tutta per sé…”.
Balbetto le parole successive, portandomi le
mani nei capelli: “Avermi… in che senso?”. Le mie parole mi sembrano stupide,
già mentre le pronuncio.
Come se non avessi già capito che cosa vorrebbe Dimitri da me…
“Averti in ogni senso…” aggiunge Raissa
con nonchalance, quasi come se fosse scontato “Dimitri è uno scienziato, un
esperto di Arti Oscure… la sua vita è conoscere, sapere, indagare…
ora sarà arso dal desiderio di capire come funziona la tua mente, a cosa
attinge la tua magia, come tu abbia fatto a creare uno Zahir… sei un’eccezione
ai suoi teoremi. Ma sei anche una donna, potente, intelligente… e sei
innamorata di Draco. Credo che non esista per lui sfida più appagante di
strapparti a lui…”, il tono delle sue parole diventa più leggero: “Non sei la
prima, e non sarai nemmeno l’ultima, è già accaduto, so come funziona… quando
coglie la dimensione scientifica di una determinata persona, perde
completamente interesse per lei… accadrà anche con te…”. Respiro più sollevata,
cercando di non concentrarmi sul buco nello stomaco che avverto al ricordo
degli occhi di Dimitri.
“Non è pericoloso, specie se ci sono io nelle
vicinanze…” aggiunge incolore “Lui e Draco non sono mai stati propriamente
amici, anzi… ma lui ha salvato la vita sia a me che a Dimitri, e questo per me
conta più di tutto. E per lui, per Draco, ora tu conti più di tutto…
quindi non permetterei in ogni caso che Dimitri ti facesse del male, anche se è
mio fratello…ammetto di capirlo, anche io continuo ad
ossessionarmi con le domande sul tuo conto… ma ho fatto una promessa a Draco, quindi,
anche se non mi sei esageratamente simpatica, devo lealtà alla promessa fatta a
lui prima di tutto…”.
Calmata la mia preoccupazione per Dimitri e rassicurata della effettiva
fiducia che posso riporre nel legame tra Raissa e Draco, la mia mente viene di
nuovo invasa in modo totale dal pensiero di Draco stesso. Come sotto una nebbia
corrosiva, i miei pensieri si sfaldano in mille pezzi minuscoli, scivolando
dalla mia comprensione. Draco ha sacrificato i suoi ricordi per avere più
forza, secondo quello che dice Dimitri. Ma a che pro? Se anche ottenesse
maggiore potere, non ricorderebbe più nulla di me.
E non potrebbe proteggermi.
E poi non posso credere che davvero
sceglierebbe di dimenticarmi…
Mi mordicchio pensosamente l’unghia del pollice, anche se lui non sa che io sono innamorata di lui e magari vuole
smettere di soffrire, proprio come ho fatto io, creando lo Zahir.
Chiudo gli occhi, una lacrima che sfugge fuori, in fondo io non posso dare
lezioni a nessuno.
Sono stata una sciocca… anzi una sciocca fortunata, visto com’è andata a finire.
Riapro gli occhi, fissando Raissa, la voce che balbetta: “Per favore, Raissa, dimmi dov’è Draco… dove
l’ha mandato Dimitri? Perché i suoi ricordi sono scomparsi?”.
“Io e mio fratello non saremo d’accordo su tante
cose, Hermione Granger…” scandisce bene lei, incrociando le braccia, il
mantello ondeggia alle sue spalle “… ma tu da qui non ti muovi… non
potresti aiutare Draco, nemmeno volendo… e ripeto, devo lealtà solo alla
promessa che ho fatto a lui… e gli ho promesso di non farti muovere da qui,
fino a quando non fosse tornato… o non fosse morto…”.
Deglutisco pesantemente all’ultimo inciso, non
ci devo pensare.
“Ma non gli hai promesso di non dirmi nulla,
vero?” prego ostinata, alzandomi in piedi e fronteggiandola “Per favore… dimmi
almeno dov’è…”.
Me ne frego della promessa che ha fatto a Draco… appena saprò dov’è, lo
andrò a cercare. Non mi conoscono ancora bene, se pensano di tenermi qui buona
e ferma.
Raissa sorride lievemente, è la prima volta che la vedo sorridere e mi dà
un brivido freddo, invece di riscaldarmi. Sembra che sia solo un sorriso amaro,
velato da una consapevolezza altrettanto penosa. Mi intima ancora di sedermi,
poi estrae la bacchetta dal mantello e fa comparire due tazze, di cui una tra
le mie mani.
La guardo senza capire, è piena di un liquido caldo color verde scuro.
“Sarà una lunga spiegazione…” snocciola, sedendosi accanto a me, la tazza
tra le mani “E inizia a far freddo… è tisana ai fiori di menta…”.
Annuisco, contenta di averla convinta, e porto la tazza alle labbra. Il
liquido scivola nella mia gola, caldo prima e dopo freddo, dandomi una bella
sensazione alla bocca dello stomaco.
“Io e Dimitri siamo al momento i più grandi
studiosi al mondo sulle Arti Oscure…” inizia a spiegare, descrivendo piccoli
cerchi sulla superficie della tazza “… ma non è stato sempre così. Siamo i depositari
di una conoscenza che forse nemmeno Voldemort possedeva…”, sussulto nel
sentirla nominarlo per nome, chiaro sintomo che non ne ha mai avuto paura,
contrariamente a suo padre.
“Questa conoscenza ci è stata donata,
quando avevamo tredici anni io e quindici Dimitri…” continua, guardando un
punto fisso davanti a sé, ancora quel sorriso storto le curva il viso
bellissimo “Dico, donata, perché non l’abbiamo ottenuta in modo
tradizionale, consultando libri per anni o facendo ricerche… e l’abbiamo
ottenuta in pochi mesi, non in anni… ma non è stata una passeggiata… è stato
difficile, duro, lacerante… aggiungici pure tutti gli aggettivi che vuoi…”.
Sorseggia un po’ di tisana con un sospiro, non capisco che c’entri Draco con
questo racconto, ma continuo ad ascoltarla, restando in silenzio.
“Io e Dimitri abbiamo un vecchio debito verso Draco…
ci ha salvato la vita, durante la Guerra, nascondendoci dai Mangiamorte che ci
volevano dalla loro parte, proprio in virtù della nostra conoscenza… ed
ora stiamo saldando il nostro debito. Quando Draco ha spiegato a me e a Dimitri
che cosa voleva, farti tornare te stessa e diventare più forte, sapevo che il
solo modo era… portarlo da lui… ma non glielo ho detto. Io ho perso
troppo per quella scelta, non avrei voluto che lui la subisse… che nessun altro
la subisse… Dimitri, no. Per lui, era come sempre una sfida… e gli ha rivelato
tutto, più per vedere se poteva riuscire, che per altro… è tipico della sua
natura…”.
La salivazione mi si azzera del tutto a quelle
parole, la tazza mi trema tra le dita.
Raissa prende ancora fiato, prima di parlare.
Stavolta si volta e mi guarda dritto negli occhi: “Scommetto che conosci
Gellert Grindelwald…”.
Il cuore perde un battito nel petto, non può
essere. Chiunque nel mondo magico, sa chi è ovviamente e pensare che me lo
stia anche solo nominando, in riferimento a Draco, mi ghiaccia il sangue nelle
vene. Gellert Grindelwald era un potentissimo mago oscuro vissuto prima di Lord
Voldemort, aveva frequentato la scuola di Durmstrang, da cui venne espulso per
i suoi esperimenti malvagi. Ricordo di aver letto, in una serie di rapporti
segreti del Ministero che non sono mai stati resi pubblici, che conobbe il
giovane Albus Silente, di cui divenne molto amico, tanto da pianificare con lui
una sorta di "nuovo ordine" mondiale, in cui i maghi avrebbero dovuto
regnare sui babbani. Silente sembrava approvare queste idee, ed era in procinto
di metterle in pratica, quando suo fratello Aberforth lo accusò di trascurare
la loro sorella malata, Ariana. Questo litigio indusse Grindelwald a torturare
Aberforth, ed Albus Silente ebbe così la prova definitiva della crudeltà del
suo amico. Tra i tre scoppiò una lotta, durante la quale Ariana venne uccisa.
Dopo questo episodio Grindelwald scappò all'estero, dando inizio ad una
stagione di terrore. Silente inizialmente cercò di evitare di combatterlo,
poiché temeva che Grindelwald sapesse chi aveva scagliato l'incantesimo che
aveva ucciso Ariana, e non poteva sopportare l'idea di scoprire di averla
uccisa lui stesso. Infine, spinto dalle atrocità commesse da Grindelwald, lo
attaccò e lo sconfisse, facendo si che venisse rinchiuso.
E sono anche sicura che sia stato ucciso da
Voldemort stesso, il quale voleva dimostrare di non aver avuto mai alcun eguale
nella storia della Magia.
Perché allora Raissa l’ha nominato?
Assorbito il colpo, Raissa finalmente prosegue,
la voce più incerta: “Io e Dimitri siamo alcuni dei pochi al mondo a sapere
dell’esistenza di un suo parente, non sappiamo esattamente se sia suo fratello
minore, suo figlio o altro… ma è l’unico suo parente rimasto in vita. Si chiama
Adamar… al momento, credo che associarlo ad un uomo, è come associare un
deserto ad una città come Londra. Non è rimasto nulla in lui, che possa
chiamarsi umano. È in tutto e per tutto, un demone…”.
Rabbrividisco a quelle parole. E Draco adesso
è con lui. La tazza rischia di scivolarmi dalle dita, a causa del tremore
che mi ha assalito le mani. Sbatto le palpebre un paio di volte, per rendere
più nitida la mia vista, offuscata dalle lacrime che non voglio piangere. Si
è messo nelle mani di un demone. Per me e per Serenity… solo perché io mi sono
fatta usare da Astoria… se gli accadesse qualcosa per colpa mia…
Raissa accende le luci della stanza con un colpo
di bacchetta, strizzo gli occhi per la luce improvvisa, non mi ero accorta che
oramai si fosse fatto buio. Poi continua: “Adamar ha rinunciato alla sua
umanità… molto peggio di come fece Voldemort, perché Adamar non crede in
niente. Odia gli uomini, odia il mondo… e vive segregato da qualche parte, in
un luogo che non può essere trovato…percepisce la gente che ha bisogno del suo
intervento… e solo allora si fa trovare… altrimenti è impossibile che venga da
te…”, Raissa fa una pausa, sicuramente pensa alle parole che ha detto a Dimitri
sul trovare Draco. A lui aveva detto che era improbabile, ma capisco che
l’ha fatto solo per far andar via suo fratello.
In realtà, era davvero impossibile.
“Adamar ha dei poteri immensi, proprio perché
oramai è una sorta di cardine tra il mondo umano e le dimensioni demoniache… e
non c’è nulla che non possa farti ottenere, se impegni qualcosa di te stesso…”.
“I suoi ricordi…” bisbiglio, lasciando scivolare
la tazza al suolo. Il fragore ingombra la stanza di rumore, ma non rompe il
silenzio tra me e Raissa.
Esso è la sola difesa che impedisce al mio corpo
di spezzarsi in due.
Raissa annuisce, dopo aver gettato uno sguardo
distratto alla tazza distrutta e alla macchia verde che si espande sul tappeto.
“Vuole la cosa più preziosa che hai… in pegno…
e ti sottopone a delle prove durissime… anzi, durissime è un pallido
eufemismo…”, la voce si piega mentre soggiunge: “… io e mio fratello ci siamo
quasi uccisi tra noi…”. La guardo in tralice, non riesco a smettere di tremare.
Che cosa starà affrontando Draco?
“Adamar detesta la natura umana, spesso mi sono
chiesta che cosa gli sia successo, ma ovviamente non ci è dato saperlo. A chi
chiede il suo aiuto, vuole testimoniare quanto sia infame, meschino, sciagurato,
come essere umano. Se superi le prove, trattiene quello che hai impegnato come
una sorta di prezzo… e lui ha vinto…”.
“E come avrebbe vinto?”.
“Ti ha fatto perdere la tua umanità…e
tanto gli basta… ha dimostrato che esisteva qualcosa di più importante di ciò
che credevi prezioso nella tua vita…”.
“Tu e Dimitri avete superato quelle prove,
vero?” chiedo con un filo di voce, cercando di trovare un qualsiasi segnale che
possa alleviare l’enorme macigno che mi si è depositato sul petto “La conoscenza…
l’avete ottenuta… che cosa avete perso?”.
“L’amore per nostro padre…” sussurra lei
stentorea, senza traccia di emozione, gli occhi non brillano nemmeno “Non ho
versato una lacrima quando è morto… non so nemmeno perché lo amassi tanto…”. Gelo
su me stessa, portandomi le mani ai capelli, disperata.
“C’è ancora speranza, però…” sussurra Raissa,
guardandomi. Sento un’onda rovente sulla schiena, mi trattengo dall’impulso di
scuoterle le spalle affinché si muova a parlare.
“Ed è una speranza che mi auguro caldamente…
perché se Draco perdesse i suoi ricordi, dovrei proteggere io te e la
bambina… o comunque dirgli di farlo, quando probabilmente non gliene fregherà
più nulla… e voglio essere fuori da questa storia prima possibile… altrimenti
Dimitri si ossessionerà sempre di più su di te…”.
Giusto, come dimenticare…
“Adamar è un demone, ma è equo…”
chiosa Raissa, annoiata “Se non superi le prove, ti restituisce ciò che hai
dato… ammette di aver perso. Ammette che la tua motivazione non era così forte
da farti rinunciare alla tua umanità… se Draco supera le prove, perderà i suoi
ricordi per sempre… ma, se fallisce, li avrà indietro… è meglio sperare in
questo che nella possibilità di contattarlo prima che porti a termine il
rituale, dicendogli che stai bene, come ho detto a Dimitri… Adamar non lo
permetterà mai…”.
Già nel momento in cui pronuncia queste parole,
so perfettamente che non sarò in grado di aspettare che il rituale si concluda,
sperando che Draco non lo superi. Raissa ha detto di aver raggiunto la
conoscenza, in mesi… un tempo troppo lungo per attenderlo, qui, in
questa casa, pregando e crogiolandomi nell’angoscia.
Anche se è impossibile, cercherò di contattare
Adamar… magari, chiederò ancora l’aiuto di Helder… oppure, potrei andare al
Ministero e vedere di rintracciare notizie su di lui.
Anche se Raissa ha detto che solo in pochi sanno dell’esistenza di Adamar…
Ma sicuramente, ricercando, si potrebbe scoprire
qualcosa… è sicuro… nessuno sapeva nulla degli Horcrux, eppure io, Harry e Ron
li abbiamo trovati e distrutti. Ed anche se stavolta sono sola, ce la farò
anche questa volta. Troverò Adamar, interromperò il rituale e riporterò a casa
Draco, da me.
Devo solo trovare un modo per andare via, per
scappare, senza che loro se ne accorgano…
Tutto… farò di tutto, affinché Draco torni sano e salvo da me… e non
perderà i suoi ricordi… non posso permetterlo…
Raissa improvvisamente si alza in piedi,
gettando uno sguardo all’orologio a pendolo che batte le otto di sera. Sembra
soppesare qualcosa nella mente, poi si volta su sé stessa, tornando a guardarmi
con espressione enigmatica: “Sarà meglio che rimani seduta…”.
“Perché?” non ho nemmeno finito di pronunciare
queste parole che un’enorme debolezza mi coglie all’improvviso, rendendo il mio
corpo pesante come se fosse fatto di piombo. Faccio fatica persino a restare
seduta, l’impulso di lasciarmi andare alla gravità e di cadere supina sul letto
è così forte che a stento riesco a tenere gli occhi aperti.
Una consapevolezza folle e disperata, mi
raggiunge alle parole successive di Raissa, pronunciate con un sorriso
sarcastico.
Non sono più tra i Grifondoro… un serpente può essere leale, ma è sempre un
serpente…
“Tu non conoscerai bene me, ma io conosco bene te…”
sorride Raissa, premendo contro una mia spalla. La debolezza mi fa ricadere
istantaneamente sul letto, fisso gli occhi sul soffitto a cassettoni,
comprendendo finalmente. La tisana… ha messo qualcosa nella tisana…
“Dormi adesso… e intanto trasformo questa casa
nella tua bellissima prigione dorata…”.
Le parole di Raissa e il rumore dei suoi tacchi
sul pavimento di legno, sono l’ultima cosa che sento, prima di scivolare in un
sonno denso, privo di sogni.