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Autore: mikybiky    07/06/2006    6 recensioni
Broken Heart è la storia di una giovane donna incinta che ha perso il fidanzato pochi mesi prima del matrimonio. In preda alla disperazione, una sera le sembra di vederlo avanzare verso di lei; convita che non sia un'allucinazione, lo chiama. Lui le risponde, le tende una mano. Lui è vero, è vivo, ma non è Alex...
Questa fanfiction è dedicata ad una mia amica, che è peraltro la protagonista, cotta di David ^^. Quindi la storia è concentrata su di lui.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Broken Heart by mikybiky is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
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Questa fanfic è un'opera di fantasia: Fatti e luoghi citati sono invenzione dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Non ho avuto l'occasione di chiedere l'autorizzazione ai Simple Plan o ai Silvestrein di citarli in questa storia, ergo mi prendo la responsabilità di eventuali richiami. Sono stata autorizzata dalla stessa ad utilizzare la protagonista come tale e a fare il suo nome. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi o altre persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.



Ad Angy


Broken Heart

Secondo i miei genitori ero solo una stupida, una fallita. Secondo loro non avevo minimamente idea di che cosa volesse dire amore. Pensavano soltanto che io avrei trovato la delusione in lui. Speravo veramente che fosse lui il mio vero amore? Loro pensavano questo. Non avevo minimamente voglia di andare a cercare nei cuori delle altre persone per capire che cosa veramente fosse l'amore. Mi rinchiudevo dentro di me e stavo assieme a lui, persona completamente diversa e distante da me. Questo continuavano a dirmi. Era la persona sbagliata, non mi dovevo fidare. Ma perché lo credevano? Per quale assurdo motivo dovevano sostenere questo? Che cosa gli aveva fatto lui perché loro lo giudicassero così pesantemente? E se io non davo retta loro, mi consideravano una fallita. Non sarei più stata “la loro bambina” (e detestavo quell'aggettivo), ma semplicemente loro figlia. E per loro figlia intendevano dire di sangue. Non mi consideravano più nella famiglia. Mi avrebbero tolto l’eredità? Sai quanto me ne sarebbe importato! Io amavo lui e dei giudizi dei miei genitori mi importava assai poco. Se lo consideravano un fallito totale a cui io davo corda, fatti miei. A me piaceva, anzi, lo amavo. Non volevo che giudiziassero la mia di vita, consigli okay, ma non ordini e imposizioni. La vita era mia, ero maggiorenne e finché non mi avrebbero dichiarato l’infermità mentale me la sarei gestita da me.
Ero ancora una ragazza, avevo ventun’anni, e per questo loro mi consideravano giovane e ingenua. Già, giovane e ingenua per sapere che cosa fosse veramente il vero amore, giovane e ingenua per gestirmi la vita da me, giovane e ingenua per scegliere da sola la persona che avrei amato. Ma che cosa vogliono loro, che si sono sposati all'età di diciannove anni mia madre e ventuno mio padre? Perché non mi vogliono lasciare vivere in pace la mia vita, trovandomi da me le persone che amo? No, secondo loro lui era la persona sbagliata, mi avrebbe solo delusa. Non mi avrebbe dato niente, se non ammarezza. Già, solo amarezza. Per loro la nostra storia era come lo spumante, la spuma cresceva e cresceva, ma poi perdeva efficacia e svaniva. Così noi, il nostro amore sarebbe cresciuto, arrivato alle stelle, ma poi ci saremmo stufati l'uno dell'altro e l'amore “puf” che svaniva. Ma questo non era mai successo. “Abbi pazienza”, mi diceva mia madre. Pazienza? Ma quale pazienza! Perché cavolo avrei dovuto avere pazienza di aspettare che il nostro amore finisse, scusatemi? E comunque erano passati degli anni e noi ci amavamo sempre di più. Già, ci amavamo sempre di più; io amavo lui e lui amava me.
Lui, Alex, il mio ragazzo. Lo avevo conosciuto perché frequentavamo lo stesso gruppo di amici, quando ancora eravamo liceali. È sì, ancora non immaginavamo che fra noi due potesse nascere un grande amore, proprio quello che viene chiamato “amore della propria vita”. Ma alla fine era successo, ci eravamo piaciuti, messi assieme ed infine innamorati. Quando eravamo usciti assieme per la prima volta ci eravamo giurati che la nostra storia non fosse solo per divertimento, ma che sarebbe andata avanti o finita solo per via dei sentimenti. Allora a mia mamma piaceva. Non diceva niente. Però, poi, quando mi ha fatto la dichiarazione d’amore, lei ha iniziato a vederlo come un perdente, uno che non dava niente. Ma io lo amavo troppo per dare retta ai miei genitori.
Lui non era uno di quei classici tipetti tutti fighi, palestrati, alti, tirati, biondi e occhi azzurri [per carità del cielo, lo voglio moro e occhi verdi!! N.d.a.]. No, era tutto il contrario: non era molto di bell’aspetto, era bassino, moro e occhi verdi, fisichino piuttosto snello e gracile… ma io ero cotta di lui, e ne andavo fiera.
Provate ad immaginarvi che faccia fecero i miei quando dissi loro che mi sarei sposata: non lo accettarono. Credo proprio che fu quello il momento principale che mi fece staccare dalla mia famiglia. Mio padre si oppose, cercò di separarci. Mia madre, invece, sparse voci false su di lui, cercando così di affibbiargli una cattiva reputazione. Non volli mai sapere cosa aveva detto in giro, ma da quel giorno non rivolsi più lei la parola. Rimasi, al contrario, ancora in rapporti, seppur molto freddi, con mio padre. Nonostante questo, ancora diffidava di Alex. Ma perché? Perché proprio il mio ragazzo, mio futuro marito, dovevano detestare? Perché?
Fatto ancor più increscioso per loro, provate ad immaginarvi, fu quando rimasi incinta. Successe cinque mesi dopo la notizia del matrimonio. Lo dissi a mio padre, pensando che l’avrebbe presa bene. Oddio, lui la prese anche abbastanza bene, voglio dire, io diventavo madre e lui nonno. Un bambino era pur sempre un bambino, ma non prese affatto bene il fatto che il padre fosse Alex. Cosa assurda, né lui né mia madre pensava che io e Alex avessimo già avuto quel tipo di rapporti. Veramente assurdo, è successo la prima volta a diciotto anni, pensavo che lo sapessero!
Bé, in ogni caso fatto sta che i miei genitori non approvavano la mia storia con Alex, il matrimonio né il bambino. Allora io feci una bella cosa: chiusi con loro.

Era passato circa un mese, poi, quando una terribile notizia giunse alle mie orecchie. Maledissi quel giorno. Bé, lo ricordo ancora con perfezione: Stavo andando a ritirare il mio vestito da sposa dalla sarta, quando il cellulare mi suonò. Sul display apparve il nome di mia sorella. Quando risposi aveva una voce rauca, quasi piangente. Mi disse di raggiungere al più presto casa sua. Avevo paura che fosse successo qualcosa, allora andai subito da lei. Quando fui arrivata, mi ricordo, mi accolse con occhi rossi, che trattenevano a fatica le lacrime.
Mi fece sedere sul divano e mi afferrò le mani stringendole forte nelle sue.
- Angelica - mi disse - c’è stato un incidente -
Il mio viso si contrasse. No, non doveva pronunciare quel nome… ti prego!
- Alex… - lasciò la frase in sospeso, ma io capii.
Scoppiai a piangere, accasciandomi sul pavimento. Non riuscivo a credere che Alex, il mio
Alex, fosse morto. No, non poteva essere così.
Ed è qui che inizia la mia triste storia, quasi vedova e incinta. E questa sarà la storia che vi narrerò, la storia di un cuore infranto.

Tutte le imposte di casa mia erano chiuse, senza lasciare filtrare un solo raggio di luce, anche se era ancora pomeriggio. Ma ormai erano chiuse da tre giorni, e tre giorni erano che non facevo niente. Me ne stavo distesa sul letto ad osservare la nostra fotografia (io ed Alex), senza mangiare, senza fare mestieri, senza fare niente. Dormivo e basta. Dopo quella terribile tragedia, non avevo più mosso un muscolo. Non riuscivo ancora a crederci che Alex fosse morto, che non fosse più assieme a me. Non piangevo neanche; il dolore marciva dentro e prima o poi mi avrebbe distrutta. Ma io soffrivo troppo. Non riuscivo più a ragionare. Credo che il digiuno di quei tre giorni e il dolore che si affollava dentro di me mi avessero dato alla testa. Non ero più in grado di fare niente. L’unica cosa che sentivo, era il dolore. Puro dolore, dolore di una moglie che ha appena perso il marito. Ma io non ero sposata, il matrimonio sarebbe dovuto avvenire di lì ad un mese. E invece la disgrazia l’aveva preceduto, abbattendosi su di me e portandosi via Alex.
In quel momento, sentii la porta principale aprirsi e qualcuno che saliva le scale.
- Alzati - mi ordinò, appena arrivò in camera mia.
Era mia sorella. Aprì le finestre e le ante, facendo entrare la luce.
- Senti - disse con voce molto più dolce, sedendosi accanto a me - so che è molto difficile, io stessa l’ho vissuto quando è morto Max (il suo bambino di sette mesi). Ma non ti puoi rinchiudere qua dentro! Devi rifarti una nuova vita, trovare un nuovo amore.
Io scossi la testa.
- L’unico era Alex - dissi
Alex. Esisteva solo lui.
Allora mia sorella si alzò, aprì l’armadio ed estrasse dei vestiti. Mi vestì, mi truccò e mi sistemò i capelli. Riuscì in qualche modo a farmi mangiare e poi mi trascinò fuori di casa. Mi aveva tolto anche la foto, quella che stringevo in mano.
Mi portò fino all’obitorio, dove giaceva il corpo di Alex. [Lo so, scena un po’ macabra XD]
Quando lo rividi per la prima volta dopo tre giorni, mi sentii male. Era morto. Non respirava, non poteva vedermi. Ed ero perfettamente consapevole che non dormiva.
Iniziai a piangere, capendo qual’era il vero dolore. Non potevo accettarlo, non lo sopportavo. Mi opprimeva, troppo: il mio ragazzo era morto, non mi avrebbe più sorriso, non mi avrebbe più parlato, non mi avrebbe più baciato, non avrebbe mai potuto vedere suo figlio. E questo mi faceva troppo male.
I funerali si svolsero alla svelta, dopodiché mi richiusi in casa.

Avevo litigato con i miei, non avevo più fatto sapere niente ai miei amici, avevo allontanato mia sorella, il mio ragazzo era morto lasciandomi incinta: ero rimasta sola. Un altro dolore da affrontare, la solitudine.
Decisi che quella notte sarei andata a farmi un giro. Così afferrai la mia giacca e le chiavi ed uscii. In un solo posto sarei andata: quello dove io ed Alex ci eravamo conosciuti.
Stavo passeggiando sul lungo lago, su quel tratto dove nessuno andava. Ero da sola, non un’anima viva. E così mi sentivo meglio, da sola. Però, improvvisamente, un’ombra sgusciò fuori da un cespuglio. Riconobbi in lei un ragazzo: bassino, moro, un fisichino magro… per un momento la nausea mi avvolse: sembrava Alex. Mi bloccai, mentre lui avanzava. Non lo credevo veramente, ma ci speravo. Iniziai nuovamente a piangere. Avevo visto il suo corpo, lo avevo visto mentre veniva sepolto, ma speravo comunque che fosse lui. Più si avvicinava, più le sue forme si delineavano: sembrava veramente Alex.
Dio, ti scongiuro, fa che sia lui! Mi sembrò anche assurdo, cioè, dentro di me ero conscia che lui fosse morto, ma ancora non lo accettavo. E forse era per questo che in qualche modo speravo che fosse Alex.
Quando fu davanti a me, ne fui sicura: era lui, Alex, il mio Alex.
- Alex? - sussurrai, mentre le lacrime scorrevano flemmatiche sulle mie guance.
Quando vide il mio volto sorrise, un sorriso misto fra amarezza e disperazione. Sentii il mio cuore accelerare i battiti, il bambino agitarsi nel mio ventre. Una speranza incombette su di me, facendomi veramente credere che colui che mi trovavo davanti era il mio ragazzo.
- No, David - rispose però lui, distruggendo l’unica luce che mi sosteneva.
Da flemmatiche e gioiose, le lacrime diventarono subito abbondanti e piene di dolore e angoscia. Mi ero sbagliata, non era Alex. Il che era distruttivo per me, perché proprio non riuscivo ad accettare che fosse morto. Gli rivolsi un sorriso di dolore, mentre il suo sguardo stupito era rimasto rapito dal mio.
- Scusa - gli dissi.
Dopodiché mi piegai su me stessa dal dolore ed iniziai a piangere.
- Ehi - mi disse questo David, abbassandosi al mio livello - è tutto a posto? -
Io scossi la testa, nascondendola fra le mani. Lui estrasse dalla tasca un fazzoletto candido e ricamato (e che ci fa Dave con un fazzoletto da donna??? °O°), tirandomi su la testa.
- Tieni - mi disse, porgendomelo (il fazzoletto).
Io lo presi e mi ci asciugai le lacrime.
- Grazie - lo ringraziai, restituendoglielo
Quando mi fui abbastanza calmata, gli spiegai tutta la storia.
- Innanzitutto, grazie per avermi sostenuta -
- Figurati, non c’è di che - rispose lui
- Io sono Angelica - mi presentai - e se non ho capito male tu dovresti essere David, giusto? -
- Già - mi rispose lui - dimmi, se posso, per quale motivo piangevi? E poi… chi è Alex? -
- Vedi… Alex è il mio ragazzo. Io… non sai quanto la amavo, ci dovevamo anche sposare.
Ma… ma tutto è finito quando… - cominciai di nuovo a piangere, bloccando la frase.
David credo che mi comprese, infatti mi prese la testa e la strinse forte sul suo petto (non è un po’ prestino per due tipi che non si conoscono? :p).
- Tutto OK? - mi chiese, quasi come conferma
Io annuii, poi continuai, sempre piangendo.
- Mancava un mese al matrimonio quando… mia sorella mi ha chiamata e… e mi ha detto che Alex aveva avuto un incidente stradale e… - ebbi di nuovo un’altra crisi di pianto.
David capì subito che cos’era successo.
- Mi dispiace - sussurrò, porgendomi di nuovo il fazzoletto
- Grazie - dissi io, asciugandomi le lacrime - tu, invece? Per quale motivo sei qui? -
Lui, subito, abbassò la testa.
- Più o meno per lo stesso motivo - mi rispose, mesto - vedi, Alison, la mia ragazza… anche noi ci amavamo tanto, eravamo assieme da tanto tempo. Ma un giorno lei mi ha confessato una cosa terribile… -
Comprendendo la difficoltà di David nel terminare la frase, gli cinsi le spalle.
- È tutto OK? - gli chiesi, con la stessa fermezza che il ragazzo aveva utilizzato prima con me.
Lui, però, scosse la testa.
- È successo tutto così. Si è presa una bella sbornia una sera e, senza ragionare, ha fatto la prima cavolata che si possa immaginare -
Ovviamente, capii subito di cosa il ragazzo stesse parlando. Anche a me, un po’ di tempo prima, era capitata una cosa simile. Mi ero sborniata ed ero finita a letto con il primo approfittatore che avevo incontrato. Ma Alex mi aveva perdonata. Alex, ecco di nuovo lui. Non sarei riuscita a levarmelo dalla testa, fosse cascato il mondo.
- E ti ha confessato di avere avuto un rapporto con un altro ragazzo? - gli chiesi, iniziando a trovare in lui molte caratteristiche che mi componevano.
- No - fu la sua risposta - questo me lo aveva riferito uno della polizia. Dopo che era successo, Alison si era rivolta alla polizia. Non aveva agito di sua volontà quella sera, quindi lo aveva denunciato. E non avrebbe avuto senso lasciarla per questo, insomma, era stata stuprata, non aveva colpa. Solo che un giorno… pochi giorni fa… mi ha detto che era rimasta incinta -
- Mi… mi dispiace - dissi
- Mi ha lasciato, non sopportava di aspettare un bambino che non fosse mio -
- Ma non c’erano possibilità che fosse tuo il figlio? - gli domandai
Lui scosse la testa.
- Mi dispiace David - gli dissi, abbracciandolo.
Ad un certo punto, delle gocce d’acqua toccarono il mio volto.
- Senti, perché intanto non ci incamminiamo? - gli proposi, rialzandomi
Lui annuì, alzandosi anche lui. Mi asciugai le lacrime, poi iniziai a camminare, seguita da lui.
- Perché i tuoi amici e parenti non ti hanno confortata dopo la morte del tuo ragazzo? - mi chiese subito dopo essere partiti
Io tirai su con il naso.
- Ho litigato con i miei genitori qualche mese fa. Loro non approvavano che io stessi con Alex. Mentre mia sorella e i miei amici… li ho allontanati. Sentivo che non mi davano il giusto conforto, seppur ci provavano -
- Che vuoi dire? - mi domandò
- Voglio dire che se mi hanno sostenuta - gli spiegai io - l’hanno fatto solo per quanto riguarda la morte di Alex, ma non mi hanno sorretta nella mia depressione -
Il ragazzo sospirò.
- Ti capisco - mi disse
Io alzai lo sguardo su di lui, stupita.
- Mi capisci? - gli domandai, senza fare caso al suo sguardo scontento.
- Vedi, quando Alison mi ha lasciato, i miei amici mi hanno detto che avrei dovuto dimenticarla, ma io non ci riuscivo. Loro non capivano il mio stato d’animo, no, non lo capivano. Così, questa sera, ci ho litigato e sono venuto qui per stare solo. Tu, invece, perché sei qui? -
Io sorrisi debolmente.
- Qui è dove ci siamo conosciuti io e Alex - risposi - una sera di quattro anni fa -
- Io non lo conoscevo questo posto - disse invece lui - sono qui solo di passaggio -
- E da dove vieni, per l’esattezza? -
- Dal Canada, Montreal - mi disse
- Dal Canada? - esclamai - e che cosa ci fai qui a Londra? -
Lui alzò un sopracciglio.
- Lascia perdere - mi disse, capendo che non avevo capito chi era - parlami ancora un po’ di te -
- Non ho molto da dire - risposi io - quello che devi sapere di me è che se anche io sembro sempre molto felice (anche se in questo periodo sono proprio l’opposto) non lo sono veramente. Detesto quando la gente mi giudica per il mio stato d’animo, quindi ho imparato a mostrarmi felice più del dovuto. Io sembro sempre pazza, felice, spensierata. Ma in verità dentro di me c’è la tristezza, la solitudine -
David rise appena.
- Che c’è? - gli chiesi io, asciugandomi una lacrima
- Niente - mi rispose lui - è che la stessa che hai detto di te è quello succede a me -
- La stessa identica cosa? - gli chiesi io, stupita
Lui annuì. Improvvisamente, sentii come quel ragazzo mi assomigliava. Parlavamo solo da una decina da minuti, ma già sentivo che avevamo molto in comune. Era diverso da Alex, certo, ma avevamo tante cose che ci legavano. Allora mi accorsi che provavo qualcosa per lui. Non era amore, o meglio, non ancora, ma sentivo un certo ardore dentro di me che non provavo più da quando… da quando Alex era morto. La pioggia iniziò a scendere più intensamente, allora decisi di andare a casa.
- Senti, David - dissi - forse ora è meglio che vada a casa -
- Sì, certo - mi rispose lui - credo che anche i miei amici ora mi stiano dando per disperso -
- Che dici… magari ci si vede? -
- Certo - mi rispose lui
Io lo salutai poi presi un taxi e me ne tornai a casa.

Il giorno dopo non riuscivo a smetterla di pensare a lui. Ero molto giù di morale, ma stavo meglio di prima… risentii un’improvvisa voglia di vivere, di tornare ‘sul palco’ e fare vedere che ancora vivevo. E tutto grazie a David…
Sentii la porta aprirsi e qualcuno risalire le scale. Era mia sorella, di sicuro. Infatti. Rimase piuttosto stupita nel vedermi così attiva, questa volta.
- Cos’è successo? - mi chiese - ero venuta a tirarti fuori da questo buco, pensando che fossi qui come al solito. Ma invece -
Io abbozzai un sorrisetto.
- Ho conosciuto un ragazzo, ieri sera - sussurrai, quasi volessi che nessuno mi sentisse.
- Davvero? - disse lei, accendendo la radio - e come si chiama? -
- David -
Avevo la testa persa fra le nuvole. Non facevo altro che pensare a lui. Volevo rivederlo, ma non sapevo come. Magari tornando nello stesso luogo, ma non ero sicura che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa.
Intanto, mia sorella era intenta a sintonizzare la radio, e quando riuscì a mettere su RTL c’era una canzone dei Simple Plan, Crazy, quella appena uscita. Provai a cimentarmi nelle parole, canticchiandola, pensando se la società era veramente impazzita, come Pierre sosteneva (o comunque chiunque dei cinque l’avesse scritta). L’unico pazzo che riuscivo ad immaginare, in quel momento, era il camionista che aveva investito la macchina di Alex, uccidendolo. Scossi la testa, per rimarginare il dolore. Pensai a David per facilitare la cosa, ma poi un lampo mi attraversò la testa: stesso nome, stessa statura, stesso modo di vestire, stessi capelli, stesso paese… no, non potevano essere la stessa persona, era impossibile. Il David che avevo conosciuto io ieri il giorno prima non poteva essere David Desrosiers… e oltretutto io seguo i Simple Plan da una vita, l’avrei riconosciuto se fosse stato lui.
- Angy? - mi chiamò mia sorella - mi sembri un po’ persa -
Io non la guardai, alzandomi d’impulso. Accesi il computer, connettendolo ad internet. Agitata, accedetti alla pagina web del loro sito ufficiale, cercando delle foto sul bassista. Rimasi piuttosto sconcertata nel constatare che erano proprio la stessa persona. Corsi a vedere le date del tour. Se i Simple Plan erano a Londra, voleva dire che avrebbero fatto una data, no? Due date: l’undici e dodici febbraio, all’Astoria. Mi voltai di scatto verso mia sorella, chiedendole:
- Sai dove si trova l’Astoria? -
- Sì, ci sono stata un paio di volte. Non è lontano, ci si mette giusto mezz’ora -
Riflettei. Domani sarebbe stato l’ultimo giorno che avrei potuto vederlo. Che cosa avrei fatto?
- Mi ci puoi portare? - le chiesi di scatto, dimenticando il dolore.
Lei mi guardò stupita.
- Chi suona? - mi chiese, dubbiosa
- I Simple Plan, ma non è importante - risposi io - devo vedere un ragazzo, ti prego, portamici! -
- D’accordo, d’accordo! - mi disse lei - per che ora? -
- Credo… credo che per le nove andrà bene -
- Alle nove? Ma non è un po’ tardi? Sarà già iniziato il concerto! -
- Lascia perdere! - mi scocciai io - tu portami e basta! -
Lei preferì non indagare, semplicemente annuendo. Io mi sedetti sul letto e mi misi a riflettere. Come avrei fatto a vederlo? Ci sarebbe stata tanta di quella gente fuori ad aspettarli… magari lui però mi avrebbe riconosciuta… chi lo sa?

Quella sera arrivò piuttosto lentamente. Non volevo stare fuori un’eternità ad aspettare che uscissero, quindi convinsi mia sorella a partire alle nove e mezza da casa nostra. Alle dieci circa eravamo arrivate. Io scesi dalla macchina, agitata.
- E se non mi riconoscesse? E se non volesse più vedermi? E se non riuscissi a parlarci? -
- Angy, stai calma! - mi disse mia sorella, per tranquillizzarmi.
Alla fine le avevo raccontato tutta la storia, e lei era stata piuttosto felice nel sapere che avevo
ritrovato il senso di vita, quello che avevo perso quando Alex era morto.
- Stai calma - mi disse - vedrai che riuscirai a parlarci! -
- Ma ci sono un casino di fan! - dissi io - perché dovrebbe vedere proprio me? -
- Forse perché ci tiene? -
Io scossi la testa, nervosa.
- E se invece non ci tenesse? Se per lui sono stata semplicemente una scusa per pensare ad altro? -
- Smettila, ti impedisco di pensare cose del genere! - mi riprese - dicevi così anche di Alex, avevi paura che ti lasciasse, e invece alla fine… -
- È morto, Sarah, Alex è morto - dissi io, lasciando che qualche lacrima calda mi strisciasse lungo le guance.
- Angy!! Anche se Alex non è più con noi, questo non vuol dire che non ti abbia amata, che non ti volesse sposare e che non volesse il bambino che aspetti! -
Io abbassai la testa. Sapevo perfettamente che era così, ma Alex era comunque morto. Cercai di distrarmi, ascoltando la musica che risuonava all’interno del locale. Stavano suonando la cover di “Happy Together” dei Beatles. Sentivo confusamente la voce di Pierre che gridava “hands up!”. Mi accostai alla porta, per sentire meglio. Prima che andassi in attesa, Alex mi ci voleva portare. Sorrisi debolmente a quel pensiero, ma sapevo che non avrebbe potuto esistere lui per tutta la vita ormai. Improvvisamente la porta si aprì, facendomi sobbalzare. Ne uscì un ragazzi moro, alto, con in mano la sigaretta.
- Ehi! - mi disse - scusa, non ti volevo far prendere spavento -
- Non ti preoccupare - risposi io.
Poi mi allontanai, andando vicino alla macchina.
- È un suo amico? - mi chiese Sarah, guardandolo mentre si fumava una sigaretta.
- No - risposi io - credo che sia uno dei Silvestrein -
Lei mi guardò con aria assente, facendomi chiaramente capire che non ci capiva niente.
- La band supporter -
Annuì. Poi mi venne in mente un’idea. Mi avvicinai al ragazzo che stava fumando e gli rivolsi la parole.
- Ciao - dissi debolmente
- Ciao - mi rispose lui, sorpreso nel vedermi.
- Suppongo che tu sia uno dei Silvestrein, giusto? -
- Ehm… sì, sono il chitarrista - mi rispose, facendo un tiro. Poi riprese - perché non sei al concerto? -
- Ecco… a dir la verità io non posso, aspetto un bambino - dissi
- Ah. Allora presumo che tu sia qui lo stesso per vedere il Simple Plan una volta fuori, giusto? -
- Bé, ecco - iniziai a farfugliare - effettivamente la mia idea era quella di vederli… uno in particolare. L’ho conosciuto ieri sera e oggi volevo rivederlo, visto che domani è l’ultimo giorno che è qua. E mi chiedevo se magari tu… -
- Avessi potuto dirglielo? -
- Ecco… sì -
Lui mi sorrise.
- Certo, gli dirò che lo aspetti qui fuori -
- Grazie - gli dissi - lui sarebbe David, il bassista -
- Sì, certo, lo conosco molto bene. Glielo dirò -
Detto questo lui spense la sigaretta e rientrò.
Io aspettai con pazienza che il concerto finisse. Mia sorella era rimasta con me per tutto il tempo, benché fossimo rimaste completamente in silenzio.
Quando sentii risuonare all’interno del locale le note di “Perfect”, capii che il concerto era finito.
Allora mi alzai e mi misi accanto alla porta, aspettando che uscissero. Dissi a mia sorella di tornare a casa e che sarei tornata con un taxi. Lei allora partì, augurandomi in bocca al lupo. Io le sorrisi, poi aspettai. Il concerto finì e tutti i fan iniziarono ad uscire, accumulandosi davanti alla porta. Io li guardai, sconcertata: mi confondevo fra tutti loro, era impossibile che David mi riconoscesse. Allora andai dall’altra parte, mettendomi in disparte. Non ci avrei più parlato, non mi avrebbe vista. Come avevo potuto sperare di rivederlo? Che illusa che ero.
Ci volle mezz’ora prima che i ragazzi uscissero. Appena scorsi Pat sbucare fuori dalla porta ebbi una palpitazione. Uscirono prima Jeff, poi Pierre, poi lui e dopo gli altri due. Respirai profondamente. In fondo avevo chiesto al chitarrista dei Silvestrein se poteva dirgli di me… notai subito che David cercava qualcuno. Feci un profondo respiro. Non avevo intenzione di chiamarlo io, avevo troppa paura. Poi, improvvisamente, Seb si voltò verso di me e, vedendomi, fece un cenno a David, il quale si girò. Appena mi vide mi sorrise e allora io ricambiai. Sentii il cuore che iniziava ad accelerare i battiti. Ebbi l’impressione di diventare completamente rossa. Con una grande delusione dei fan, si diresse verso di me e mi prese per mano.
- Ciao - mi disse
- Ciao - risposi io
- Che cosa ci fai qua? -
Io arrossii ancora di più, abbassando la testa.
- Mi sono resa conto solo stamattina di chi eri e… io ti volevo rivedere, così sono venuta qua -
Lui mi sorrise, poi mi diede un bacio sulla guancia.
- Ascolta, adesso devo firmare un po’ di autografi ai fan, tu intanto aspettami sul tour bus, Pat penserà a tutto -
Io annuii e così Pat mi portò fino al loro tour bus, dove salii. Rimasi stupita nel vederlo così grande e così disordinato. Bé, di sicuro sei maschi non rappresentano di certo la perfezione, ma c’è da capirli. Loro ci considerano le loro cenerentole!* Mi sedetti su un sedile, senza accorgermi che il pullman era a due piani.
- Allora - mi disse Pat - Dave mi ha parlato di te -
- Sì? - chiesi io
- Sì - mi rispose lui - però… Bé, ieri è tornato a casa furioso, sai, avevamo litigato -
- Sì, mi aveva accennato -
- Ma poi quando Erick (nome di pura fantasia) gli ha detto che lo stavi aspettando, prima ha fatto i salti di gioia, poi ci ha spiegato tutta la storia -
- I salti di gioia? -
- Sì - disse - ci ha detto che sperava veramente di poterti rivedere, ma che ne dubitava visto che domani sera, dopo il concerto, partiamo -
Io sorrisi.
- Sì - dissi - anche io speravo di rivederlo. Poi, quando mi sono resa conto di chi era, pensavo che fosse troppo tardi, però sono riuscita a vederlo lo stesso -
- Prima non te ne eri accorta? - mi chiese, quasi divertito
- Bé, ad essere sincera no. Però ero leggermente… come dire, straziata dal dolore -
Pat mi sorrise.
- Perciò a te piace David e basta, non David dei Simple Plan, giusto? -
- Assolutamente - affermai io - certo, in altre circostanze credo che gli sarei saltata addosso, però… insomma, capisci? -
- Certo, certo - mi rispose.
Credo che David mi avesse aiutata molto a non soffrire più così tanto, ma la sua partenza imminente avrebbe di sicuro lasciato il segno…
Dopo dieci minuti circa, i Simple Plan salirono sul tour bus. Io mi alzai dal sedile, ansimante. Pierre, Seb, Jeff e Chuck, mi sorrisero, salutandomi. Io ricambiai timidamente. Dopotutto mi trovavo sempre davanti ai miei idoli; anzi, mi trovavo proprio sul loro tour bus, con loro davanti che mi salutavano! David venne verso di me e mi prese per mano. Mi portò al piano di sopra, dove, anche lì, regnava il caos.
Mi sorrise, accarezzandomi una guancia.
- Ciao - mi disse
- Ciao - replicai io
- Speravo di vederti! - affermò - è stata veramente una sorpresa trovarti qui -
- Volevo rivederti - gli spiegai io - a tutti i costi -
Lui mi passò una seconda volta il palmo sulla guancia, poi si avvicinò a me. Sapevo cosa voleva fare, speravo solo lo facesse al più presto. Gli presi la mano e lo guardai. Aveva un viso dolcissimo.
Allora mi avvicinai e lo baciai. Fu un bacio dolcissimo e passionale, che durò a lungo. Poi lui si staccò e rimase un istante a guardarmi negli occhi.
- Ascolta - mi disse poi - domani sera dobbiamo partire e purtroppo non ci rivedremo più. Perché questa sera non vieni da me? Voglio… sfruttare al massimo tutto il tempo che ci rimane -
Io sorrisi e annuii. Poi lo baciai di nuovo. Poi, di scatto, mi tirai indietro.
- Scusa, ti ho morsicato un labbro? - mi chiese.
Scossi la testa.
- Ascolta, David… c’è una cosa che ti dovrei dire… solo che non so come la prenderai -
- No, dimmi -
- Io… aspetto un bambino - gli dissi.
Lui arretrò leggermente con il viso, guardandomi un po’ deluso.
- Sei incinta? - disse
- Mi dispiace, so che avrei dovuto dirtelo ieri, però… -
- Perché non me l’hai detto? -
- Io… io credevo che non ti avrei rivisto mai più! -
- Invece ci siamo rivisti -
- Scusa, non ho il potere di prevedere - pronunciai quest’ultima frase un po’ malinconica.
Lui sospirò.
- Scusa, hai ragione - mi disse - è vero, non potevi saperlo. Il fatto è che… dopo quello che è successo ad Alison è un po’ difficile per me, capisci? -
- Sì, ti capisco perfettamente- gli risposi - solo che questo bambino io l’ho cercato e lo voglio, non è un errore e non posso buttarlo via -
- Certo, hai perfettamente ragione - mi diede corda - e non posso assolutamente impedirti di non tenerlo, se lo ami, e se amavi… cioè, ami Alex… -
Io abbassai la testa. Ricordarmelo mi faceva sempre troppo male. Certo, non lo avrei mai dimenticato, però era morto, era solamente un concetto astratto. Ora c’era David. Allora lo guardai e gli dissi:
- Ora Alex non c’è più. Ci sei solo te -
Lui mi sorrise e mi baciò nuovamente.
Quella sera, come da me promesso, mi fermai da lui. Però prima mi presentò gli altri (immaginatevi per me che gioia conoscere i miei idoli!) e poi andammo tutti quanti a festeggiare.
C’erano anche le fidanzate degli altri, che mi accolsero calorosamente. Io forse alzai un po’ il gomito, così David dovette riportarmi nella mia stanza (che aveva preso apposta per noi due). Mi distese sul letto.
- Ehi, ubriacona! - mi disse dolcemente, posandosi su di me.
Io gli sorrisi.
- Non mi ricordo quand’è stata l’ultima volta che mi sono divertita in questo modo - gli dissi
- E questa te la ricorderai? -
- Come no? -
Ci mettemmo a ridere e poi iniziò a baciarmi. Non provavo più una sensazione così bella da quando il mio ragazzo era morto, ma ora c’era un’altra persona a farmela vivere. Ed io ero felice.
L’indomani mattina mi svegliai verso le nove. Avevo un’espressione soddisfatta dipinta sul volto. Mi voltai. Accanto a me c’era David. Sorrisi, ripensando alla notte che avevamo appena passato. Era stata intensa e ricca di soddisfazioni. Mi avvicinai a lui, accarezzandogli una guancia.
Lui aprì gli occhi lentamente, sorridendo.
- Buon giorno - mi disse
- Buon giorno - risposi io
- Allora? - mi chiese - ti è piaciuto? -
- Sì, - risposi io - tantissimo -
Mi chinai di nuovo su di lui per baciarlo, ma qualcuno bussò alla porta.
- Ehi, ragazzi - era Jeff - non vorrei disturbarvi, ma fra poco dovremmo andare. Quindi vi conviene scendere per la colazione -
- Sì Jeff, adesso arriviamo -
David si alzò dal letto e io rimasi a guardarlo. Era così strano per me vederlo nudo, cioè, c’ero abituata, ma sapere che lui era il bassista dei Simple Plan era diverso.
- Che c’è? - mi chiese poi divertito, quando vide che lo stavo osservando.
Io scossi la testa.
- Niente - risposi - ti stavo solo guardando -
Mi sorrise. Era così dolce… avevo ritrovato l’amore.
Mi alzai anche io, vestendomi. Poi scendemmo a fare colazione.
- Oh, buon giorno! - esclamò Pierre, come se vedesse per la prima volta dopo tanto tempo una persona.
Io sorrisi, rispondendo. Anche David salutò lui e gli altri, poi ci sedemmo al tavolo. Non feci caso agli sguardi stupiti che la gente poneva su di me. Dopotutto, era come se loro fossero dei miei amici normali, no?
Dopo che avemmo finito di mangiare, ci avviammo verso il tour bus, dove partimmo.
- Ascolta - mi disse David, con un tono malinconico nella voce - ora noi dobbiamo andare a fare sound check. Ti devo riportare a casa… e… -
Lasciò la frase in sospeso. Ma capii ciò che voleva dire: non ci rivedremo mai più.
Mi si strinse il cuore. Lui mi piaceva, mi piaceva molto. Pensare che avrei perso anche lui non era affatto bello.

Quando mi riportò a casa, lo salutai con un lungo bacio dolce e passionale.
- Ti voglio bene David - gli dissi
- Anche io - mi rispose
- Mi mancherai veramente tanto -
- Anche tu -
Ci baciammo un’altra volta, poi io mi girai e entrai in casa. Lo guardai allontanarsi con il suo tour bus. Qualche lacrima mi scese dalla guancia. Per evitare di cominciare a piangere e stare conseguentemente male, corsi nella mia stanza e mi misi a dormire. Con una bella dormita tutto si sarebbe cancellato, e mi sarei svegliata il giorno dopo che sarei stata meglio. Inghiottii delle pastiglie per il sonno e mi addormentai, un sonno profondo.

Ero tutta sudata, delle convulsioni mi facevano palpitare il petto come se fossi in preda ad un infarto. Allora mi svegliai agitatissima, sussultando. La mia fronte era imperlata di madore, i capelli erano tutti bagnati. Anche il pigiama era completamente fradicio. Le dita mi tremavano violentemente, facendomi scivolare di mano il bicchiere che avevo afferrato per inghiottire altre pastiglie. Capii che cosa volevano dirmi. Allora abbandonai l’idea di riaddormentarmi tranquilla e mia alzai improvvisamente. Guardai l’orologio, era l’una. Mi vestii e chiamai un taxi.
Mentre viaggiavo pensai a che cosa stavo facendo. L’avevo sognato, avevo sognato David. Avevo sognato che se ne andava per sempre e che ogni possibilità di rivederlo era bruciata. Allora mi ero svegliata in preda al panico e avevo deciso che sarei andata all’aereoporto, anche se le possibilità di rivederlo erano una si cento. Ma non si sa mai se la fortuna ti riserva proprio quella possibilità. In breve, raggiunsi il luogo da me cercato. Non ricordo con esattezza cosa successe, né, tanto meno, come successe, ma quando sopraggiunsi sulla pista d’atterraggio loro erano lì che stavano per imbarcarsi. Allora fui lesta e mi misi ad urlare.
- David!! David! -
Ma, sfortunatamente, non mi udì, né lui né gli altri.
- David! - urlai una terza volta, sperando che mi sentisse.
Ma ormai era salito sul suo aereo, e non potevo fare più niente. Scoraggiata, mi misi appoggiata ad un muro. Non avevo beccato quella possibilità, ma c’ero andata molto vicina. Evidentemente, neanche con lui avrei trascorso la mia vita. Era buffo. Avevo creduto che sia lui che Alex fossero la persona con cui avrei trascorso la mia intera esistenza, ma non era così. Alex era morto, e David se n’era appena andato.
Insonnolita, mi voltai e tornai indietro. Mi voltai ancora una volta verso il loro aereo privato: non era ancora partito, forse avrei potuto raggiungerlo, ma i gorilla che bloccavano l’entrata non erano molto attraenti. Allora me ne andai. Disattenta e sconfortata, andai anche a sbattere contro ad una persona.
- Oh, mi scusi - dissi
- Ehi! Stai un po’ attenta - ribatté il ragazzo, secco.
Mi scusai nuovamente, senza guardarlo in faccia, e poi ripresi. Ma lui mi fermò.
- Ehi, scusa! -
Un po’ irritata, mi voltai verso di lui per dirgliene quattro.
- Non l’ho fatto apposta, non ti ho visto…! - però mi accorsi che mi stava guardando come se ci conoscessimo. Effettivamente, aveva un’aria familiare.
- Tu non sei per caso quella ragazza di ieri? - mi domandò
- Io? -
- Sì, l’amica di David - replicò lui - quella fuori dalla porta -
Io rimasi a riflettere ancora per un po’, poi mi venne in mente che lui era il chitarrista dei Silvestrein.
- Sì, certo, mi ricordo di te! - esclamai
- Sei venuta a salutare Dave per l’ultima volta? -
- A dir la verità io ero venuta a vedere se riuscivo a bloccarlo, ma non ci sono riuscita -
- Se vuoi te lo posso chiamare io -
Io sorrisi.
- Sono in debito con te per due volte -
Lui sorrise a sua volta, poi corse fino all’aereo, dove si inoltrò. Ma al suo posto ne uscì David. Il bassista mi raggiunse.
- Angy! - esclamò, sorpreso.
- Dave, ciao! - lo abbracciai.
- Che cosa ci fai qui? -
- Dave, ci ho ripensato, e non ti voglio lasciare! - dissi tutto d’una fiato.
- Come? - mi domandò lui, un po’ perplesso.
- Sì, ho già perso una volta il mio fidanzato, e ora non voglio perdere anche te! -
- Ma… -
- Lo so che sembra assurdo, Dave, ma le cose sono cambiate dalla prima volta che ti ho visto, dall’altro ieri -
- Io… io… a dir la verità -
- David, ti prego, ascoltami senza interrompermi. Ieri sera, quando sono venuta a cercarti, ho capito che tu mi piacevi. Però ora ho compreso che va oltre al volersi bene, David, io mi sono innamorata di te! -
A questa affermazione, lui rimase un po’ sconcertato.
- Si, Dave, hai capito bene, io ti amo! -
Lui non sapeva che cosa dire, allora io mi avvicinai e lo baciai.
- Ti prego, io non ti voglio perdere! -
Dopo un attimo di riflessione, mi guardò serio in faccia e mi disse:
- Neanche io ti voglio perdere. Ti amo anche io ma, ad essere franco, non me n’ero reso conto. Ma ora che tu mi hai aperto il tuo cuore, ho capito che invece anche io sono innamorato di te. Non ti voglio perdere -
- Ma… come facciamo? Io non posso partire -
- Non c’è problema - disse - io finisco il tour e poi vengo qui da te. Nel frattempo ci sentiremo per telefono. OK? -
Io annuii. Lo baciai un’altra volta e poi lui ripartì. Ero felice. Non l’avrei perso. Lo amavo. Sì, lo amavo. E ne ero felice.

La mattina dopo mi sveglia con il sorriso sulle labbra. Era da tanto tempo che non sentivo più una soddisfazione come questa. Ripensai a quanto avevo passato con Alex: ora lui non c’era più, però c’era Dave. E io ne ero assolutamente felice.
Mi venne in mente che una volta tenevo un diario. Allora mi avvicinai ad un cassetto e lo estrassi. Non lo avrei più continuato, ma ci voleva una conclusione. Alzai la testa e sorrisi. Sarebbe stata felice. Aprii l’agenda (che fungeva da diario) e mi misi a sfogliarla. Rilessi le ultime righe che avevo scritto:
Caro diario,
Ho perso l’amore, ho perso la vita. Ho perso Alex.

Guardai la giornata splendere al di fuori del vetro della finestra. Era veramente un bel giorno. Allora presi la penna e voltai pagina. Ci scrissi qualcosa, poi riposi il diario al suo posto. Mi avvicinai alla finestra ed osservai un jet volare alto nel cielo. Chissà se David ancora viaggiava o era arrivato? Afferrai il telefono e digitai un numero. Era ora di risentire i miei amici.
Sorrisi. finalmente ero di nuovo felice.

Caro diario,
Ho ritrovato l’amore, ho ritrovato la vita. Ho trovato David.



*Non ho intenzione di fare torto a nessun ragazzo, sia chiaro!!
  
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