Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi:
Castiel/Dean, accenni Gabriel/Kalì e Jessica/Sam, Anna Milton, Balthazar,
Claire Novak, Jo Harvelle.
Rating: Pg13.
Charapter: 1/2.
Beta: nessuna, causa tempo tiranno
/o
Genere: Commedia,
Introspettivo, Romantico.
Warning: AU, Slash.
Words: 5197/8673 (fiumidiparole).
Summary: Sam sta per sposarsi,
Dean sarà il suo testimone e, come da tradizione, dovrà ballare per secondo con
la sposa. Jessica promette terribili ripercussioni, se le faranno fare brutta figura, quindi è costretto a prendere lezioni di
ballo. Il maestro è Castiel.
Note: Il titolo della fic è lo
stesso dell’omonima
canzone di Cyndi Lauper, da cui è tratta anche la strofa che fa da
introduzione alla storia.
DISCLAIMER:
Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù
Time
After Time
Prima Parte
Hai detto: «Vai piano, resto indietro».
La lancetta dei secondi torna indietro.
Se sei perso, puoi guardare e mi troverai,
volta dopo volta.
Se cadi ti prenderò, ti
aspetterò,
volta dopo volta.
Il
cielo era azzurro, gli uccellini cinguettavano, la centrale era tranquilla, e
Dean Winchester doveva essere appena diventato sordo.
«Puoi
ripetere?» gracchiò, aggiustandosi meglio il cellulare contro l’orecchio.
«Devi
prendere lezioni di ballo» sbuffò di nuovo Sam, all’altro capo della linea.
Sì,
doveva proprio aver perso l’udito. «Ballo» soffiò Dean, come se non avesse idea
di cosa stessero parlando.
«Sì, ballo. Quella cosa che si fa in due,
abbracciati, muovendosi a passo di musica, hai presente?»
ironizzò suo fratello, esasperato. Lui riuscì quasi a sentirlo fisicamente alzare gli occhi al cielo.
«Sì,
okay, Samantha, ma perché?»
«Perché
fra due settimane mi sposo, Dean, e tu sei il mio testimone» gli ricordò «E il
testimone balla con la sposa subito dopo lo sposo, e Jessica ucciderà prima te e poi me, se le
farai fare brutta figura» spiegò. «Sta uscendo fuori di testa,
in questi ultimi giorni. È intrattabile e non so più come prenderla, quindi tu
lo farai. Fine della discussione. Sono perfino disposto a pagarti le lezioni».
«Non è
questo il problema, Sammy. E che, sul serio, io a prendere lezioni di ballo?
Stai scherzando?» replicò con voce un’ottava più alta
del normale.
«Senti,
consideralo il mio regalo di nozze, okay? Un’amica di Jess mi ha dato
l’indirizzo di una buona scuola, te lo mando via sms» concluse
spiccio.
«Te l’ho
già fatto il regalo. Ehi, no, Sam, aspetta!» nulla da
fare, aveva riattaccato. Un minuto dopo arrivò il messaggio che gli aveva preannunciato. Dean lasciò cadere la fronte sulla scrivania,
in preda allo sconforto, producendo un tonfo sordo. Incastrato, era appena
stato incastrato dal suo fratellino, maledetta
puttana. «Più scopate decenti, ecco cosa servirebbe a Jessica per scaricare la
tensione» borbottò inacidito.
«Che
succede?» gli arrivò alle spalle una voce ben nota.
Il
maggiore dei Winchester si voltò a guardare Jo
Harvelle, capelli biondi raccolti, semi-nascosti dal berretto e divisa della
polizia stirata di fresco.
«Sammy
vuole che prenda lezioni di ballo» la informò, storcendo la bocca in una
smorfia.
«Di
ballo. Tu, lezioni di ballo?» chiese
conferma per poi scoppiare a ridere senza attendere risposta.
«Sì sì,
ridi pure» sbuffò lui.
Quella
stronzetta era la loro migliore amica da che avessero memoria, praticamente una sorella acquisita. Quando Sam era entrato a
Stanford, Jo aveva seguito la strada di Dean, entrando alla’accademia della
polizia, ed aveva preso il distintivo qualche anno
dopo di lui. Ora, sfortunatamente, era la sua partner.
Lei gli
lanciò le chiavi della volante, concedendogli un sorriso. «Su
col morale, dai. Prendila con filosofia: peggio di quanto sei già non puoi diventare».
«Jo?»
la chiamò lui, dopo aver afferrato il mazzo al volo.
«Sì?» cinguetto la ragazza.
«Vaffanculo»
concluse Dean, dandole uno scappellotto e superandola
per imbucare l’uscita. La collega gli trotterellò dietro senza smettere di
ridire, maledetta.
*°*°*°*°*
Dean
ricontrollò per la terza volta l’indirizzo sul cellulare. Sì, la strada era proprio quella. Se non l’avesse avuto scritto lì davanti,
non ci avrebbe mai creduto. La scuola di ballo si
trovava in un vicoletto dietro un ristorante cinese, l’odore di fritto
impregnava a tal punto l’aria che il poliziotto fu certo che avrebbe dovuto
farsi una secondo doccia appena rientrato a casa. Ma quella non era la parte peggiore.
«Davvero?»
chiese a nessuno in particolare, fissando la piccola insegna sopra
l’assolutamente anonima porta. «Voglio dire, sul serio?» rincarò e sta volta sembrò proprio parlare con la
scritta Dancing Heaven davanti a lui, che sembrava
fissarlo corrucciata, tutta decise linee rosse su sfondo bianco.
Apparentemente, sì, quel posto si chiamava proprio così.
Si sfregò
nervosamente la bocca, guardandosi in giro per controllare che non ci fosse
nessuno, nemmeno stesse per compiere un delitto. Poi prese un respiro profondo
ed entrò.
«Permesso?
C’è nessuno?» esordì, vedendo la piccola hall vuota.
Era una stanza occupata solo da qualche sedia ed una
grande scrivania. Le pareti erano di un tenue e rilassante celeste e l’unico
quadro dietro lo scrittoio raffigurava un giardino verdeggiante.
C’era
solo un’altra porta, oltre a quella da cui era entrato, ed
al momento era socchiusa, lasciando cadere uno spicchio di luce sul pavimento. Oltre essa, proveniva una musica ritmata e due voci
maschili. Dean non riuscì a distinguere di cosa stessero parlando, ma si
avvicinò comunque e bussò sul pannello. Le voci si zittirono, poi la musica si
spense.
«Avanti»
lo invitò qualcuno e lui spinse la porta per ritrovarsi su una sala più ampia,
con grandi finestre su un lato e rivestita di specchi su quello opposto. Sul
fondo, Dean notò un enorme impianto stereo, prima di rivolgere l’attenzione
sugli unici due presenti a parte a lui.
Il
primo era un ragazzo vestito in trench, dall’aspetto
piuttosto ordinario: caucasico, tra i venticinque e i trent’anni, capelli
scuri, viso pallido, non troppo alto. L’unico tratto distintivo che riuscì a
scorgere in lui, furono i due grandi occhi blu che gli
puntò immediatamente addosso.
L’altro
era alto e sottile come uno spaventapasseri, vestito d’abiti tanto aderenti da
enfatizzare ancora di più la sua magrezza. Aveva capelli biondi, occhi chiari e
furbi, ed un sorriso da joker sul viso spigoloso; gli
fu antipatico al primo sguardo.
«Tu
devi essere il maestro di ballo» osservò, dirigendosi incontro a quest’ultimo.
«Io? No
no, questo ragazzo qui» disse indicando se stesso «ora ha un appuntamento con una bellissima soprano. Questo
qua, invece,» continuò, afferrando l’altro uomo per le
spalle e piantandoglielo davanti «deve accogliere un cliente. Bye bye, Cassie» concluse dando una pacca sulla schiena al tizio in trench,
il quale – a quell’appellativo – gli rivolse uno sguardo tra il paziente ed il
rassegnato.
Dean lo
osservò andarsene con un sopraciglio inarcato. «È etero?» chiese
incredulo ad alta voce, quasi senza rendersene conto.
«Balthazar
è un po’ quello che capita» rispose il ragazzo – uh… che razza di nome era Cassie? Sembrava un po’ troppo da donna
– rimasto con lui. «Cosa
posso fare per lei, agente?» continuò quello.
«Come
sai che sono un poliziotto?» domandò lui sorpreso.
«Il
rigonfiamento della fondina sotto l’ascella» rispose l’interpellato, indicando
la sua giacca in pelle.
Lo
sguardo di Dean si fece calcolatore. «Ottimo occhio.
Non è da tutti notarlo, specie sotto abiti così larghi»
ammise, annotandosi mentalmente di cercare informazioni su questo tizio. Ma prima gli serviva un nome, quindi gli tese la mano. «Sono Dean Winchester».
«Castiel
Elliot» si presentò quello.
Ah,
ecco, era un nome che aveva già più senso di Cassie, per quanto bizzarro fosse. «Quindi
sei tu il maestro di ballo?» domandò l’agente.
«Esatto.
Sei qui per prendere lezioni?»
«Uh… sì»
confermò Dean controvoglia «Con chi dovrei farle?»
Castiel
inclinò la testa da un lato, in un’espressione che lo fece apparire stranamente
innocente e confuso, davvero buffo. «Con me».
«C-come
sarebbe a dire con te? Di solito gli
uomini non provano con delle ballerine?» replicò,
accigliandosi appena.
«Ci
sono solo io» rispose semplicemente il ragazzo, lasciandolo senza parole. «Se è
un problema…» aggiunse poi, vedendolo in difficoltà.
«No,
io, uhm…» gli sembrava scortese giudicare inadatto quel tizio senza nemmeno
conoscerlo, così, solo perché era un maschio. «Ho
avuto l’indirizzo da un’amica di mia cognata e… mio fratello sta per sposarsi,
sono il testimone e mi stanno obbligando a prendere lezioni per evitare di
pestare qualche piede. Quindi non avevo idea di cosa aspettarmi, quando sono
arrivato qui» spiegò infine, vagamente sconsolato.
Castiel
gli rivolse un sorriso appena accennato, non come stesse ridendo di lui, ma
come se fosse davvero partecipe della situazione. «Credo di aver capito chi
sei, mi avevano avvertito che saresti passato. Abbiamo
due settimane, giusto?»
Dean
annuì in conferma.
«E come
te la cavi a ballare?» gli domandò il maestro, appendendo il trench ad un attaccapanni in un angolo. Sotto indossava solo una
camicia a scacchi azzurri ed un paio di jeans
sdruciti; in qualche modo, senza quell’enorme soprabito addosso, parve
improvvisamente più minuto ed i suoi occhi ancora più fottutamente blu.
«Più o meno come un manico di scopa su pattini a rotelle,
Billy» rispose Dean, con un mezzo sorriso.
«Billy?» replicò Castiel, reclinando di
nuovo la testa in quella maniera buffa; l’agente iniziava a capire che era una
sua posa usuale.
«Come
Billy Elliot» chiarì Dean, calcando
sul cognome, che era lo stesso del suo nuovo amico.
Lui
sbatacchiò le ciglia – nere, lunghe, arcuate… sul serio, a chi le aveva rubate,
ad una bambola di porcellana? – per la sorpresa e le
sue guance cesellate arrossirono come papaveri. Oh, Cristo. Gli era sembrato
una persona ordinaria, a primo sguardo, ma più lo osservava e più coglieva
particolari del tutto fuori dalla norma e, Dio, perché ora si comportava in
quel modo così… uhm… disarmante? Un attimo fa sembrava del tutto padrone di sé ed ora era il ritratto di un adolescente imbranato. Chi diavolo era, questo ragazzo?
Stranamente,
quell’improvviso imbarazzo fece sentire Dean un po’ più sicuro di sé. «Quindi… pensi di riuscire a fare di me un bambino vero?»
ironizzò, cercando di riscuoterlo.
Per un
attimo Castiel si accigliò, come se non avesse colto la citazione, poi il suo
viso si ridistese in un’espressione neutra. «Prima di tutto, vediamo se sei
davvero una scopa, come dici» decise, accendendo l’impianto stereo con il
telecomando. «Un lento, d’accordo? Giusto per vedere
se riesci a cogliere il ritmo».
«Un
lento?» chiese lui confuso.
«Sì.
Devi solo girare in tondo. Avrai pur portato una ragazza al ballo della scuola,
no?» tentò l’altro.
«Non
avevamo passato la notte a ballare, non so se capisci» il poliziotto gli
rivolse un sorriso smagliante e di nuovo il ragazzo arrossì appena. Poi poggiò
il telecomando da parte e gli si accostò con decisione, tanto da invadere il
suo spazio personale. Dean si tirò indietro per riflesso condizionato. «Devo…
abbracciarti?» domandò incerto.
Castiel
gli poggiò una mano sulla spalla e con l’altra strinse una delle sue, assumendo
la posa femminile. «Braccio intorno alla mia vita, Dean» lo istruì. «Più piano,
non devi scortarmi in cella» aggiunge poi, quando il poliziotto lo stritolò con
una presa di ferro.
«I
delinquenti non li rinchiudo a passo di danza» borbottò lui, abbassando il capo
per guardarsi i piedi, mentre il maestro lo sospingeva a dondolare leggermente.
Castiel
portò due dita sotto il suo mento e con un tocco leggero gli fece alzare il
viso. «Guarda me, non c’è nulla d’interessante là sotto» ordinò, catturando il
suo sguardo. «Il ballo è soprattutto questo: contatto.
Non solo fisico, ma anche visivo. Se non guardi la tua partner, la stai
ignorando» spiegò. «Non
pensare a nulla, non hai nulla da fare, ora. Ascolta la musica, solo la musica» suggerì, vedendolo un po’ troppo rigido.
Impacciato,
Dean tentò di girare in cerchio seguendo la musica, sospingendo appena l’altro
ragazzo. «È una canzone così sdolcinata» si lamentò, giusto per non lasciare
troppo spazio al silenzio. Erano così vicini che la situazione si stava facendo
dannatamente intima. Si leccò nervosamente le labbra e notò che Castiel stava
fissando qualcosa sul suo viso, probabilmente le lentiggini; era una cosa che
faceva un sacco di gente che incontrava, perfino chi lo conosceva da anni.
«Che
musica ti piace?» rispose il maestro, dopo un po’, riportando gli occhi nei
suoi e, no, lui proprio non riusciva ad abituarsi a quanto fossero blu – erano una sorpresa ad
ogni battito di ciglia. Dean rabbrividì, sentendosi totalmente scoperto, nudo
sotto quello sguardo, eppure al sicuro; sembrava capace di leggergli dentro.
«Mi
piace il rock ed il metal» rispose l’agente,
schiarendosi la voce.
«Be’,
dubito che si possa ballare un lento su una canzone dei Metallica, ma magari la
prossima volta possiamo provare con qualcosa di
diverso… magari i Bon Jovi» considerò Castiel «Guarda me» lo riprese subito
dopo, quando lui cedette alla tentazione di controllarsi i piedi.
«Sarebbe
già un miglioramento» sospirò Dean e solo quando l’altro lo attirò in una
giravolta, spostandosi senza più stare fermi nello
stesso punto, si rese conto di essere molto più rilassato. La sua presa sulla
mano di Castiel divenne più gentile e solo allora si accorse di averla stretta
un po’ troppo forte; era una bella mano, leggera ed
affusolata, non come le sue, enormi e piene di calli a causa delle armi.
Passò
forse un altro minuto o due, la musica declinava ormai sul finale, quando il
ragazzo gli sussurrò all’orecchio: «Stai quasi ballando un valzer, Dean»
lasciandolo attonito e facendogli perdere completamente il ritmo.
Inciampò
e per poco non caddero tutti e due a terra, ma Castiel
lo salvò stringendolo in una presa salda e più forte di quanto avrebbe mai
potuto sospettare, tirandolo contro di lui.
«Non
male per un manico di scopa» osservò il maestro, rivolgendogli di nuovo quel
sorriso morbido ed appena accennato.
*°*°*°*°*
La
mattina dopo, fu il trillo del cellulare a svegliarlo, e ad
un orario a dir poco indecente, considerato che era il suo giorno libero.
«Pronto?»
biascicò, senza nemmeno controllare il numero.
«Ehi,
Dean. Com’è andata la lezione, ieri?» gli arrivò la
voce del fratello.
«Bene.
Cas non è male» borbottò, aprendo un occhio solo per
guardare la sveglia sul comodino, affondando un po’ di più nel cuscino subito
dopo.
«Cas? È un maschio? E siete già in
confidenza?» lo trivellò di domande Sam, troppo in fretta ed
a volume troppo alto.
«Sì, e
sì. Hai idea di che ore sono?» ringhiò il maggiore,
ormai sul nervoso andante.
«Quasi
le dieci, perché?» rispose il ritratto dell’innocenza.
«L’alba, appunto» sbottò l’agente,
incazzato.
«Dean,
dovresti usare questo giorno per…» iniziò Sammy, ma lui non rimase ad ascoltare
la predica, semplicemente gli attaccò il telefono in faccia.
Si
rigirò un paio di volte, provando a riprendere sonno, ma fu tutto inutile. Alla
fine, con un grugnito scalciò le coperte ed arrancò
verso la doccia. Un quarto d’ora dopo, riemerse dal bagno un po’ più sveglio ed un po’ meno incazzato, ed il caffè aiutò ulteriormente in
tal senso.
Guardò
distrattamente l’orologio; erano quasi le dieci e mezzo, se si fosse dato una mossa avrebbe potuto fare la lezione di ballo quella
mattina, così da organizzarsi la serata come gli pareva.
«Dovrai venire tutti giorni» gli aveva detto la sera prima
Castiel.
«Tutti?» Dean aveva rischiato di perdere
qualche anno di vita. Che diavolo, aveva un lavoro anche lui e dei turni da
rispettare!
«Normalmente
tengo una o due, massimo tre lezioni settimanali con la stessa persona, ma ho
solo due settimane per farti diventare un ballerino quantomeno decente» il
maestro di danza si era stretto nelle spalle «Sono bravo, ma non faccio
miracoli». Dean non si era offeso solo perché era cosciente di essere
obbiettivamente un disastro.
Rientrando
a casa, però, aveva cercato notizie su di lui. Con sorpresa, aveva scoperto che
non era necessario ricorrere agli archivi della centrale, era bastato googlare
il suo nome. Sembrava che Castiel Elliot fosse stato una stella nascente del
tango, fino a pochi anni prima, poi una lesione al ginocchio gli aveva
stroncato la carriera. Così, ora era costretto al solo insegnamento, per
guadagnarsi quantomeno il pane.
La
prima cosa che fece, quando uscì di casa, fu dedicare
qualche attenzione alla sua bambina,
una splendida Chevrolet Impala del ’67, ereditata da suo padre. Dovendo
prendere la volante della polizia per lavoro, ormai usava la sua macchina
sempre meno spesso e questo lo faceva soffrire più di
dover vestire in divisa; aveva intenzione di cercare di passare a detective
solo per levarsi quelle due rogne.
«Ehi,
piccola. Ti sono mancato?» sussurrò scivolando al posto di guida ed accarezzando dolcemente il volante. L’auto parve quasi
ronfare in benvenuto, quando girò le chiavi nel quadro. Dieci minuti dopo,
stava parcheggiando di fronte al Dancing Heaven.
La
porta della scuola era aperta, così come quella che dava direttamente sulla
sala da ballo, probabilmente per combattere il caldo di quella mattina
insolitamente luminosa; anche le finestre erano spalancate. Si affacciò alla
sala con circospezione, sentendo provenire da essa musica e voci allegre.
«Non se
ne parla» stava dicendo Castiel.
«Oh,
andiamo, sono certo che ti piacerà» rispose una voce che, dopo qualche attimo,
Dean identificò come quella di Balthazar. Ed infatti
eccolo lì, accucciato in un angolo.
Il
maestro di ballo stava dando lezioni ad una coppia,
una bella donna di origine indiana ed un ragazzo un po’ tarchiato, dai furbi
occhi castani ed i capelli color miele. Si accostò all’uomo per aggiustare
l’inclinazione del suo gomito.
«Da capo»
ordinò poi «Un, due, tre. Un, due,
tre. Un, due, tre…»
«Potresti
anche aiutarlo, una volta tanto» intervenne il suo allievo, con tono
confidenziale; evidentemente conosceva entrambi.
«L’ultima
volta che ho accettato di aiutare Balthazar in uno dei suoi trucchi, mi ha
quasi tagliato in due per davvero» rispose Castiel, inclinando appena il viso
della ragazza.
«Avevamo
undici anni!» protestò il diretto interessato «Ora sono un professionista».
Ma il
ballerino gli rivolse comunque un occhiata scettica.
«E tu
sbirro, ti va di aiutarmi?» domandò Balthazar, rivolgendosi improvvisamente a
lui.
«Chi
abbiamo qui? Chi è questo bel ragazzone?» domandò
l’uomo dagli occhi scuri, nel bel mezzo di una giravolta.
«Ciao,
Dean» lo salutò il maestro, rivolgendogli un rapido sorriso.
«Ehi,
Cas. Se disturbo, torno in un altro momento» disse
lui, occhieggiando con apprensione Balthazar, che intanto gli stava
gironzolando attorno come uno squalo, esaminandolo.
«Saresti
perfetto» annunciò quest’ultimo.
«Perfetto
per cosa?» chiese l’agente guardingo.
«Per
assistermi in un gioco di prestigio» l’interpellato gli rivolse un sorriso che
andava da orecchio ad orecchio.
«Smettila
d’importunare i miei clienti» lo riprese Castiel «Dieci minuti, Dean, finisco
con loro e poi sono da te» lo rassicurò.
«Chi è,
Cassie?» gli chiese di nuovo l’altro uomo.
«Stai
sbagliando il secondo passo, Gabriel» rispose il maestro, sordo alla sua
curiosità. «Kalì, permetti?» continuò, offrendo la mano alla ragazza. «Un, due, tre. Un, due, tre. Vedi? Lei
impara molto più in fretta di te, perché mi ascolta».
A
quelle parole, Kalì rivolse a Gabriel un sorriso vittorioso e lui le mandò un
bacio.
«Non ci
hai ancora detto chi è» rintuzzò tuttavia lui.
«Un
nuovo allievo» spiegò Castiel, arrendendosi e restituendogli la mano della
ragazza.
«Oh, ma
sentilo come dice allievo» lo canzonò
Gabriel e Balthazar ridacchiò, facendo accigliare l’amico.
«Io
sono molto fiero di tutti i miei allievi».
«Oh,
certo, e non c’entra nulla che questo sia uno stallone alto, biondo e bello»
continuò Gabriel.
«D’accordo,
ne ho avuto abbastanza di voi, per oggi. Tutti fuori, ci rivediamo venerdì» dichiarò Castiel, spegnendo la musica.
«Ma…» tentò Balthazar.
«Ho
detto tutti fuori. Ho un’altra
lezione, ciò vuol dire lavoro. Fuori!» disse inflessibile, sospingendo l’amico oltre la porta.
Non
appena i tre lasciarono la sala, calò un pacifico silenzio e Castiel si sfregò
la fronte, come se gli avessero causato un bel principio d’emicrania; Dean non
poteva biasimarlo.
«Ti
chiedo scusa, a volte è come avere a che fare con bambini dell’asilo» osservò
il maestro, rivolgendosi finalmente solo a lui.
«Non
c’è problema, sono piovuto qui all’improvviso» riconobbe l’agente.
Castiel
si sciolse in un sorriso, abbandonando l’aria accigliata. «Come stai?» gli domandò.
«Io…
uh… bene» borbottò Dean, sentendosi inspiegabilmente a disagio, ma un disagio diverso da quello precedente; in qualche modo più
piacevole.
«Oggi
niente armi da fuoco. Immagino tu non abbia più intenzione di spararmi» notò il ragazzo.
«Sono di
riposo. L’ho lasciata nel cruscotto» spiegò l’agente. «E non ti sparerò senza un ragionevole motivo, promesso. Per
quanto riguarda Balthazar, invece…» considerò quasi
sul serio.
Il
sorriso di Castiel, seppure lieve, bruciò in quegli
occhi blu in un modo che li rese ancora più intensi. «Sei pronto?» domandò,
indietreggiando verso il centro della sala.
Dean lo
seguì, come calamitato da quello sguardo. «Ora che il gatto e la volpe sono
andati via…» si fermò ad un passo da Castiel, incerto su cosa fare o dove mettere
le mani.
«Dato
che devi ballare ad un matrimonio, pensavo
d’insegnarti un valzer lento» iniziò a spiegare quest’ultimo. «Quando uscì, fu una grande novità perché era il primo ballo
in cui si danzava abbracciati, ma parliamo del diciottesimo secolo, quindi si
mantiene comunque una certa distanza tra i partner. E mi sembra l’ideale, visto che ballerai con la moglie di tuo fratello».
Accese
la radio, combattendo per qualche minuto con il telecomando, poi le note
morbide e crudeli di “She’s always a
woman” riempirono l’aria.[1]
«È
riferita a mia cognata?» chiese Dean divertito «Giuro che non è poi così male».
«È la
preferita di Kalì. E per qualche motivo che non capisco, anche Gabriel l’adora. Sia lei che la canzone, intendo»
Castiel si strinse nelle spalle, prima di spiegargli la posizione da assumere. «Come
regola, uomo e donna dovrebbero sempre guardare hai lati opposti,
ma tu ballerai con una persona di famiglia e non certo per competizione, quindi
non è necessario».
«Pensavo
avessi detto che ci si deve sempre guardare negli occhi» obbiettò comunque
Dean.
«Ogni
ballo è un caso a sé. Il lento è più intimo del valzer».
«È tipico degli innamorati» osservò il poliziotto.
«Sì»
confermò il maestro. «Ora: un passo avanti» iniziò
attirandolo verso di sé «Passo giro in tre tempi: passo, passo e chiudi.
Passo indietro, e ricominci da capo. Non è complicato, no?»
Dean
storse la bocca, non troppo convinto e Castiel gi sorrise
rassicurante. «Ora più veloce» lo incitò «Passo
avanti, passo giro, passo indietro. Passo avanti,
passo giro, passo indietro. Ascolta la musica… sì, così».
«E
menomale che non è complicato» borbottò l’agente. Aveva l’impressione di avere
due piedi sinistri e quasi cedette alla tentazione di controllare.
«Guarda
me, Dean» lo richiamò subito Castiel, sollevandogli il viso fino ad intrappolare i suoi occhi. «Tranquillo,
abbiamo tutto il tempo del mondo. Ascolta il ritmo… è lento, vedi?» La sua voce era bassa, roca, rilassante. «Parti sempre con il destro. Lentamente dobbiamo descrivere
un cerchio nella sala».
Lui si
leccò le labbra, nervoso. «Mi sento così ridicolo» sbuffò, tentato di
allontanarsi.
«Mi
abbandoni già?» Castiel inclinò la testa di lato in quella posa buffa,
accigliandosi appena. «Pianteresti una ragazza da sola in mezzo alla pista da
ballo?»
«Tu non
sei una ragazza» osservò Dean.
«Sono
la tua donna, in questo momento» asserì Castiel, la bocca morbida che modulava
quelle parole come fossero un bacio «La tua partner».
L’altro
ragazzo si agitò, passando il peso da un piede all’altro, imbarazzato. Per
quanto guardasse Castiel, tutto in lui era decisamente
maschile, non brutto, solo maschile. «Non
ci riesco» scosse il capo, fermandosi.
«Ti
metto così a disagio? Quando balliamo, per me non hai sesso, Dean. Sei solo un
allievo, il mio partner» il tono del maestro era
paziente, gentile, lo fece sentire uno sciocco ragazzino che faceva i capricci.
Chinò
il capo, fissandosi i piedi, stavolta non per controllare i propri passi, ma
semplicemente perché non riusciva a reggere il suo sguardo. Castiel spense la
musica.
Così
non andava. Il ballerino non lo disse, ma Dean lo percepì comunque nel suo
sospiro.
«Senti,
io… non mi piace ballare, okay? Non vado nemmeno in discoteca, né ora, né
quand’ero ragazzino. Sono un tipo da pub, da birra, da chitarra elettrica» sbottò frustrato.
«Dean…»
ritentò Castiel, posandogli una mano sulla spalla «…
siamo soli, qui. Nessuno ti vede e nessuno ti sta giudicando. Io non sono qui
per questo, sono qui per insegnarti a ballare»
sussurrò con quegli occhi malinconici, blu e sinceri. «Sono
qui per correggere i tuoi passi, e spiegarteli mille e mille volte, finché non
li capisci, finché non ti vengono naturali. Ti prenderò, se cadi, ed incasserò i tuoi pugni, se ti viene una crisi di nervi. E
andremo piano e imparerai, e il giorno del matrimonio sarai il migliore in
pista» gli promise.
Il
ragazzo sbuffò, poco convinto, ma in qualche modo meno nervoso. «Okay».
«Okay?
Nessuno impara in due giorni. Ci vogliono mesi, anni di pratica per diventare
davvero bravi. A noi basta che tu conosca i passi. Nessuno pretende di più».
«Lo so»
borbottò Dean. E, invece no, evidentemente non lo sapeva, perché quelle parole
lo fecero sentire scioccamente meglio.
«Allora
riprendiamo?» propose il maestro, con uno di quei suoi sorrisi minuscoli e
stupidamente adorabili. E lui annui, stringendogli la vita ed
attirandolo a sé. «Uoh! Non così forte» esclamò l’altro stupito.
«Ehi,
sei la mia ragazza, no?» ghignò Dean riuscendo a strappargli una risata, una
risata vera, che rotolo sui muri della sala con un acustica
perfetta, calda e densa come liquore.
*°*°*°*°*
I
giorni rotolarono uno dietro l’altro e Dean ebbe l’impressione di trascorrerli
danzando tutto il tempo. Faceva una o due ore di lezione con Cas al giorno, accennava i passi mentre camminava per casa,
canticchiava le canzoni sotto la doccia e rivedeva le lezioni in sogno; sentiva
la voce di Castiel che lo correggeva, che lo spronava, che sussurrava il suo
nome in quel modo così gentile, i suoi occhi blu che lo fissavano tutto il
tempo. E, alla fine della settimana, non era più un manico di scopa su pattini
a rotelle. Non che fosse diventato un esperto o si fosse all’improvviso
scoperto un genio del ballo liscio, ma quantomeno conosceva i passi del valzer
e non rischiava più di pestare i piedi a qualche malcapitata.
Per
contro, le lezioni iniziavano ad annoiarlo, il maestro era sempre immensamente
paziente e disponibile con lui e a Dean piaceva trascorrere con Castiel il
proprio tempo libero, ma i passi ripetitivi e le musiche lente non facevano
proprio per lui. Quindi fu con una certa curiosità
che, a metà della solita ora, accolse le nuove parole dell’amico.
«Stasera
voglio insegnarti qualcosa di diverso» gli disse il ballerino, con uno di quei
sorrisi così rari, che Dean iniziava ad amare un po’ troppo.
«Ma… pensavo che avessimo poco tempo» obbiettò tuttavia.
«È
vero, ma tu impari più in fretta di quanto immaginassi e devi almeno conoscere
un altro ballo da sala, altrimenti che farai se non sceglieranno un valzer?»
spiegò Castiel.
L’agente
annuì, ammettendo che il ragionamento aveva una sua logica. «Quindi
che facciamo?»
«Voglio
insegnarti…» iniziò Cas recuperando il telecomando e rivolgendogli un sorriso
malcelato «… le basi del tango!» annunciò facendo partire la musica. E, oh,
sembrava davvero entusiasta. Cosa davvero strana, perché di solito era un tipo
molto controllato.
Dean
riconobbe quasi subito la musica famosa. «Mi è venuta voglia di
un bicchiere di Vecchia Romagna» commentò, inarcando un sopraciglio e, con sua
sorpresa, Cas scoppiò a ridere, rendendo anche lui stupidamente di buon umore.[2]
Il
maestro lo raggiunse e lo attirò bruscamente a sé, passandogli un braccio
attorno alla vita, con un forza che Dean non avrebbe
mai sospettato. «Dopo» promise «Offro io».
«Sembri…
proprio contento» osservò l’agente. E aveva senso, davvero, sapeva che il tango
era la specialità di Castiel.
«Penso
sia un ballo molto adatto a te. È passionale ed intenso. Il linea teorica e
molto semplice: si tratta di camminare ed improvvisare delle figure standard,
seguendo la musica. Ma decidi tu quali fare e quando farle» spiegò, prendendo la sua
mano. «Il concetto è: l’uomo guida, la donna segue».
«Uomo
guida, donna segue. Perfetto» annuì Dean.
«Detto
così può sembrare maschilista, ma è tutto il contrario. Il tango è coppia, per
metà uomo e per metà donna» continuò Castiel,
guardandolo fisso negli occhi, in un modo bruciante che gli scombussolò
qualcosa dentro.
«Tutto
chiaro. Tranne una cosa: perché stai guidando tu?» chiese
confuso. E avrebbe dovuto sentirsi più a disagio, sul serio, perché…
andiamo, lui che faceva la parte della donna? Inoltre, fino ad ora non era mai
stato tanto a stretto contatto con Castiel, nemmeno quando avevano ballato il
lento. Il valzer aveva una presa rigida, larga, e Dean dubitava che per ballare
il tango si dovesse stare tanto appiccicati. Per dirla tutta: al momento Cas lo
stava proprio abbracciando. Ed il fatto di non
sentirsi affatto a disagio lo turbava più di tutto il resto.
Dean
aveva perso la madre quando aveva quattro anni, qualche mese dopo la nascita di
suo fratello, e fin da piccolo aveva dovuto occuparsi di lui mentre suo padre
era a lavoro. Gli erano state gettare sulle spalle un sacco di aspettative e per tutta la vita aveva dovuto dimostrare di
essere adeguato ed all’altezza di esse. Aveva fatto
tanti sbagli, perché aveva un mucchio di difetti ed aveva dovuto crescere da
solo, senza l’appoggio di nessuno, ma quel ragazzo aveva un modo di fare che lo
faceva sentire bene, accettato, perfetto esattamente così com’era, ed al
sicuro. Dean aveva Sam e aveva Jo, ma per lui erano la sua famiglia, il suo
fratellino e la sua sorellina, qualcuno da proteggere. Con Castiel, invece, per
la prima volta sentiva di potersi davvero appoggiare a qualcuno.
Quest’ultimo
sbatté quelle ciglia dannatamente lunghe e le sue guancie si arrossarono
appena. Intrappolò il labbro inferiore tra i denti e l’agente seguì il gesto in
maniera ipnotica – aveva una bocca piena, pallida e leggermente screpolata, a
forma di cuore –, senza quasi recepire le parole
seguenti. «Posso guidare io? Solo per un po’, il tempo
di spiegarti un paio di cose, poi lascio fare a te». E, Dio, forse lo faceva
perché gli sarebbe stato più semplice insegnargli i passi, ma
Dean ebbe l’impressione che volesse farlo perché aveva proprio voglia di ballare
un tango con lui.
Sì
umettò le labbra, un po’ teso, e tornò a sentirsi un tantino manico di scopa.
Ma, ehi’, che diamine!, anche un manico di scopa su
pattini a rotelle poteva seguire qualcuno, se ci si attaccava. «O-Okay»
smozzicò.
E
allora Castiel gli sorrise rassicurante. «Pronto?»
domandò, restituendo ai loro corpi una distanza accettabile; per qualche
motivo, a Dean dispiacque un po’.
«Così?»
replicò incerto, posando una mano sulla sua spalla.
«Sì.
Tranquillo, dobbiamo solo camminare» gli assicurò,
sospingendolo per qualche passo, seguendo il ritmo della musica.
«Camminare?»
«Sì, la
prima cosa da imparare è la camminata».
«Sembra
semplice» rilevò l’angente ed il maestro non rispose,
ma la luce nei suoi occhi gli fece intuire che, appunto, sembrava.
Era una
camminata energica, ritmata. E più volte Dean perse il passo,
ma Castiel non ne fece un problema. «Di nuovo» diceva e «Ancora»
gentile, senza scomporsi.
«Questa…»
spiegò, quando il poliziotto ebbe preso il ritmo «… è
una baldosa – un quadrato –, una
delle figure più semplici. Un passo indietro, uno di lato, due avanti, di nuovo
uno di lato e unisci i piedi». Lo guidava con facilità e decisione, come se
Dean non pesasse niente; per la prima volta, il ragazzo intuì cosa ci
trovassero le donne di tanto speciale nel ballo: erano totalmente affidate al
compagno, al sicuro, tra le sue braccia. Niente preoccupazioni, niente doveri,
solo passi.
«Da
capo: un, due, tre, quattro. Sì, così, niente male» esclamò Castiel.
Dean
non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, sembrava completamente diverso
dalla persona con cui aveva ballato mezz’ora prima. Durante il valzer Castiel
era stato leggero ed aggraziato, composto. Ora era
fluido, forte, bollente.
«Cadenza»
continuò il maestro, fermandosi dopo qualche altro passo di camminata, tenendo
il ritmo sul posto. «Giro» disse ancora, guidandolo a girare attorno a l’asse di entrambi. Istintivamente, Dean si strinse un po’
di più a lui, lo sguardo blu di Castiel era ad un
soffio dal suo, forte e maschile come
non l’aveva mai visto prima. La prima volta che l’aveva incontrato, gli era sembrato un ragazzo ordinario, quasi minuto; ora, invece,
era più alto, più forte – un soldato, un signore.
«Passo,
passo, passo, quadrato. Sì, ci sei» lo elogiò Castiel,
la voce profonda che assumeva una nota vittoriosa, compiaciuta. Lo attirò a sé ed un momento dopo Dean si ritrovò rovesciato in un casché,
mentre la musica si concludeva con un ultima sviolinata, lasciando il posto ad
un silenzio assordante.
Il
maestro lo rimise dritto con molto attenzione, l’unico
rumore nella sala erano i loro respiri affannati. Non l’ha fatto davvero, pensò Dean, la testa completamente vuota,
il viso di Castiel ad una manciata di centimetri dal
suo.
«Quella
non era una figura del tango» soffiò senza fiato.
«No,
quella era improvvisazione» confermò il partner. Lo fissò per qualche momento
in silenzio, gli occhi che tremavano tracciando il suo viso. «Cosa ne pensi?»
gli chiese infine.
Dean si
schiarì la gola, senza parole. Non c’era paragone con il valzer, in cinque
minuti si era divertito – ed aveva sudato – più che in
tutta la settimana. «Voglio imparare».
Il
sorriso che Castiel gli regalò avrebbe potuto demolire il cielo.
[1] Billy
Joel – She’s
always a woman.
[2] Riferimento a Libertango
di Astor Piazzola, utilizzato anche nella famosa pubblicità del Vecchia
Romagna, in cui una coppia balla un tango; i liquori sono internazionali.