CAPITOLO 4
Severus Piton sedeva
alla sua scrivania, nell’ufficio che un tempo era appartenuto ad Albus Silente. Non gli piaceva occupare quel posto. Si
sentiva indegno, come se non avesse avuto alcun diritto di stare lì, nonostante
fosse stato proprio il vecchio preside a chiedergli di ucciderlo prima che lo
facesse la maledizione.
Oltre al rimorso e alle preoccupazioni che lo tenevano sveglio la
notte, dall’inizio dell’anno si era aggiunta anche la noia; trascorreva le
giornate nel suo ufficio, ad eccezione di quando veniva convocato da Voldemort, e si dedicava a noiosissime scartoffie del tutto
inutili, visto che ormai Hogwarts era una scuola solo
per definizione. Inoltre, c’erano anche quei maledetti Carrow
e le loro punizioni; per quanto fosse sempre stato un insegnante severo e
spesso ingiusto, non poteva tollerare che venissero inflitte pene corporali o
maledizioni ai suoi allievi, perciò dovette prendere più volte in mano la
situazione ed anticipare i due fratelli Mangiamorte,
ordinando a chi venisse portato da lui di lucidare coppe, pulire i bagni,
riordinare vecchi archivi: tutto ciò che potesse tenerli lontani da una
maledizione Cruciatus.
A questo si aggiungevano gli ordini impartiti da Silente, nel quadro
appeso al muro, e la costante attenzione che doveva prestare nel non far
trapelare niente delle sue vere intenzioni.
Tra le poche occasioni in cui si sentiva un po’ meno fuori posto e
vagamente meno stressato, vi erano le visite che Narcissa
faceva periodicamente a scuola. Sapeva che, con la scusa di voler scambiare due
parole con lui, cercava informazioni su suo figlio e desiderava vedere con i
propri occhi che stava bene.
Una di quelle visite avvenne poco prima dell’inizio della primavera.
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Narcissa si materializzò davanti ad Hogwarts, una notte di metà marzo. Ormai la neve era
scomparsa del tutto, rendendo di nuovo visibili alla luce della luna i prati
verdi e qualche fiore che cominciava a spuntare dal terreno. Sembrava che la
natura non volesse arrendersi al potere della morte.
Salutò con poco interesse alcuni Mangiamorte
che incontrò sulla strada verso l’ufficio del preside, ma i suoi occhi erano
ben attenti a guardarsi attorno; cercava con lo sguardo suo figlio Draco, sperando di scorgerlo con la coda dell’occhio, ma i
corridoi erano praticamente deserti. Di certo non era più preoccupata come lo
era stata fino a qualche mese prima. Da quando era rientrato a scuola e si era
allontanato dal rifugio del Signore Oscuro, cioè dalla loro stessa casa, era
certamente più al sicuro e questa consapevolezza si era tramutata in più ore di
sonno durante la notte; diversamente da suo marito, le cui condizioni di stress
erano legate soprattutto alla derisione, al rimprovero e alle punizioni del suo
Signore, per lei dipendevano quasi esclusivamente dalla salute del suo unico
figlio, perciò, anche se avere la casa invasa da morti e prigionieri e vedere
suo marito ridotto in quello stato le procurava particolare fastidio e rabbia,
sapere che suo figlio era lontano da tutto quello la rendeva più forte. Anche Severus sembrò notarlo, quando si incontrarono appena fuori
dal suo ufficio.
“Narcissa. Ti trovo meglio”.
“Ti ringrazio” rispose. Poi aggiunse: “Non entriamo?”
“Preferisco di no. Sai, il ritratto di Silente…”
Narcissa annuì, incamminandosi con lui verso la
parte opposta.
“La mia casa è diventata invivibile, Severus”
disse lei dopo un po’, seria e a voce bassa per non farsi sentire da orecchie
indiscrete. “Certo, sai che mi fa piacere che il Signore Oscuro stia nella
nostra casa, però… i prigionieri, i cadaveri… “
“Ma l’hai detto tu stessa che è un piacere avere con voi il Signore
Oscuro, quindi anche questo piccolo inconveniente non dovrebbe essere un grande
problema”.
Narcissa inarcò un sopracciglio.
“Severus, Bella non è con noi, quindi non
fingere che anche tu non ne saresti infastidito”.
Severus ghignò.
“Bella no, ma molti altri sì, perciò fai attenzione a quello che
dici”.
Narcissa respirò a fondo. Aveva ragione, doveva
trattenersi; non poteva assolutamente permettere che si spargessero certe voci,
per quanto fosse più che certa che tutti avessero intuito qualcosa, visto che
né lei né Lucius né Draco
davano l’impressione di essere poi così entusiasti.
“E non c’è un posto in questo immenso castello in cui possiamo parlare
senza essere disturbati?” chiese. Severus pensò
qualche istante prima di rispondere.
“Il mio vecchio ufficio nei Sotterranei è ancora a mia completa
disposizione. Uno dei pochi vantaggi di essere preside” aggiunse, con una
smorfia. Così, si incamminarono verso la parte più bassa della scuola, ma nel
tragitto intercettarono Amycus Carrow
e uno studente molto giovane al suo seguito. Il bambino tremava e si tormentava
un labbro con i denti, nervoso.
“Dove stai portando il signorino Green, Amycus?”
chiese Severus, fermandosi davanti a lui.
“Ho appena sorpreso questo ragazzino nella Guferia
mentre inviava una lettera” disse il Mangiamorte,
strattonando il piccolo studente per un braccio. Severus
sembrava un po’ scettico.
“E che problema ci sarebbe, dunque?”
Amycus estrasse una busta da una tasca del
mantello e gliela porse. “Stava chiedendo di tornare a casa perché secondo lui
le punizioni sono troppo dure. Gli faccio vedere io qual è una vera
punizione…”.
“Tu non farai niente del genere” disse Severus
e l’espressione di Amycus fu come se l’avesse
innaffiato con acqua gelida. “Si dà il caso che io conosca i genitori del
ragazzo e che siano di sangue puro da intere generazioni. Non mi sembra che le
azioni del signorino Green richiedano un provvedimento così estremo: pulire la Guferia senza magia direi che è molto più adeguato”.
“Ma… Piton…”
“Non farmi ripetere” minacciò Severus, che
si rivolse poi al bambino: “Seguimi”.
I tre lasciarono Amycus Carrow
da solo nel corridoio, evidentemente furioso e offeso al contempo. Dopo aver
percorso un corridoio e una rampa di scale, Severus
si fermò e si voltò verso lo studente, sovrastandolo e guardandolo con
severità.
“La prossima volta potrebbe non andarti così bene, signorino Green. Mi
sono spiegato?”
Il bambino Tassorosso annuì velocemente con
la testa e al cenno del professore si allontanò verso la sua sala comune. Severus e Narcissa proseguirono
invece verso i Sotterranei.
Narcissa non pensava che Severus
sarebbe intervenuto per salvare quel bambino. Sarebbe stato forse un
comportamento più adatto a lei, che era madre, ma non se lo aspettava da lui,
il braccio destro del Signore Oscuro. Decise però di non fare domande sulla
vicenda.
Arrivarono nel vecchio ufficio che per tanti anni era stato abitato da
Severus, prima che si trasferisse in quello del
preside. In realtà, sembrava che la stanza non fosse affatto abbandonata.
“Ci vieni spesso qui?” chiese Narcissa, ma
non ottenne risposta. Rimase in piedi in mezzo alla stanza, guardandosi
attorno. Era già stata una volta in quel posto, anni prima, quando si era
recata ad Howarts per un colloquio sulla carriera
scolastica di Draco. Non era certo il genere di
arredamento che preferiva, ma almeno erano in una zona tranquilla; aveva
davvero bisogno di una chiacchierata tra amici come quelle di un tempo, senza
preoccupazioni, minacce di morte o urla disumane provenienti dai prigionieri
nelle segrete.
Severus si sedette sulla sua sedia dietro la
scrivania e invitò Narcissa a fare altrettanto,
indicandone un’altra di fronte al tavolo. Fece comparire dal nulla una
bottiglia e due bicchieri, che si riempirono di una bevanda rosso intenso.
“Vino elfico?” chiese Narcissa, prendendo il
bicchiere. “L’ultima volta che me l’hai offerto, ero in condizioni
imbarazzanti”.
“Mi ricordo” disse Severus, bevendo un
sorso. “Ora direi che stai molto meglio, anche se continui ad essere
preoccupata per Draco. Cos’è che ti turba? La
missione è stata conclusa e lui ora è a scuola, dunque non vedo il motivo per
cui debba darti ancora così tanta pena da arrivare fin qui”.
Narcissa osservò il vino nel proprio bicchiere,
prima di berne un altro po’.
“Lo so che non corre più i rischi di prima, Severus,
ma cerca di capirmi. È il mio unico figlio e nell’arco di un anno ho rischiato
di perderlo così tante volte che la paura mi è rimasta incollata addosso. Ho
sentito dire inoltre che c’è un gruppetto di ragazzi che fanno resistenza e non
perdono occasione di attaccare battaglia con i Serpeverde:
non vorrei che gli succedesse qualcosa nel tentativo di fermarli”.
Severus poggiò il bicchiere sul tavolo e si
lasciò andare contro lo schienale della sedia.
“Ammetto di aver pensato anch’io a questa eventualità. Ho detto a Draco di non esporsi troppo, ma lui vuole qualcosa da
fare”.
“Qualcosa da fare?” chiese Narcissa,
sorpresa. “Non gli basta quello che ha dovuto passare l’anno scorso? Possibile
che non abbia ancora capito?”
“Si sente frustrato per aver fallito la missione, sa che il Signore
Oscuro è molto deluso e vorrebbe fare qualcosa per sentirsi utile”.
Narcissa svuotò il bicchiere e si sporse
lievemente in avanti.
“E cosa spera di fare di così importante da riconquistarsi la stima
del Signore Oscuro?” chiese.
“Non ne ha idea. Non credo nemmeno che voglia farlo per la sua stima; probabilmente, è più per sé stesso che per gli altri”.
Narcissa chiuse gli occhi. “Sciocco ragazzo…”
Nessuno dei due parlò per qualche minuto. Severus
guardava un punto imprecisato della parete alla destra della scrivania, mentre Narcissa stava ancora rimuginando su quanto appena detto,
sempre con occhi chiusi. Intanto, all’esterno, il vento cominciò a soffiare
forte e a battere con insistenza sul vetro della finestra.
“Lucius come sta?” chiese Severus dopo un po’.
“Certo che trovare un argomento di cui mi faccia piacere parlare ultimamente è assai difficile” rispose lei con triste ironia, provocando un sorriso altrettanto ironico sulle labbra dell’altro. “Sta come l’hai visto l’ultima volta. Ha perso la stima di cui godeva, viene costantemente denigrato e punito dal Signore Oscuro e gli altri Mangiamorte ridono alle sue spalle. Per lui tutto questo è stato un duro colpo… è totalmente diverso dal Lucius che conoscevo. Vorrei che tornasse come prima, ma è molto difficile”. Esitò un attimo. Si versò un altro po’ di vino e ne bevve un sorso, come per trovare il coraggio di dire qualcosa. “Ci sarebbe un solo modo per tornare… come prima… come fino a qualche anno fa…”
Severus la guardò dritta negli occhi. Sembrava
volesse capire qualcosa osservandola più attentamente e per questo Narcissa, dopo qualche secondo, distolse lo sguardo,
fissando la scrivania di fronte a lei.
“Farò finta di non aver capito, Narcissa”.
“Severus…”
“Se chiunque altro ti sentisse dire una cosa del genere, specialmente
tua sorella, potresti pure buttarti nel Lago Nero e faresti una fine più rapida
e indolore”.
Narcissa si sporse ancora più in avanti,
appoggiandosi con le braccia alla scrivania.
“Ma tu non sei chiunque, Severus. Non è la
prima volta che mi senti dire una cosa del genere, ma a differenza di quella
folle di mia sorella non ti sei mai scandalizzato, non mi hai mai intimato di
rimangiarmi tutto… mi hai solo detto di stare attenta, attenta a quello che
potrebbero pensare gli altri. Non a quello che pensi tu…”.
Narcissa non era mai stata un’abile Legilimens e non era mai riuscita a capire cosa passava
nella mente di Severus, però lo conosceva, lo aveva
visto crescere e cambiare ed era certa che avesse qualcosa di diverso, che non
fosse lo spietato Mangiamorte che sembrava; glielo
aveva confermato lui stesso poco prima, quando aveva sottratto quel bambino
alle maledizioni di Amycus, e un anno addietro,
quando aveva giurato di proteggere suo figlio anche a costo di rischiare la
propria vita. Per questo si era sempre rivolta a lui nel momento del bisogno,
perché aveva questa convinzione, o forse ancora una speranza, che anche lui, in
fondo, volesse esattamente ciò che voleva lei. Che finisse.
Ma non aveva il coraggio di chiederglielo. Sapeva che il suo intuito
non era affatto infallibile e, se si fosse sbagliata, avrebbe visto la morte
prima ancora di suo figlio e di suo marito. Anzi, probabilmente la avrebbero
seguita poco dopo.
Decise di rimangiarsi tutto. Si alzò in piedi di scatto e prese il
mantello, che aveva poggiato sullo schienale della sedia quando era arrivata.
“Perdonami. Non avrei dovuto...” disse. Si voltò verso la porta e fece
per uscire, ma la voce di Severus la fermò.
“Narcissa”. Si alzò anche lui e si avvicinò
a lei. Aveva veramente l’impressione, guardandolo negli occhi, che stesse
decidendo in fretta cosa dire. Una ulteriore conferma ai suoi dubbi. “Tu rischi
davvero troppo a parlare così. Anche solo a pensarlo. Hai ragione, non ho
reagito come avrebbero fatto altri, ma solo perché ti conosco e so che l’unico
motivo per cui dici questo è la paura per tuo figlio”.
“È proprio per questo, Severus” disse lei,
con gli occhi che sembravano riprendere vita. “Nessun altro lo capisce. A
nessuno importa se Draco vive o muore, basta che
compia le sue missioni e obbedisca al Signore Oscuro. E Bella darebbe i suoi
stessi figli, se ne avesse, pur di obbedire ai suoi ordini: lo ha detto lei
stessa! Cosa vuoi che le importi del mio di figlio! E tu… tu sei l’unico che mi
abbia ascoltata…”
Severus la guardava dritto negli occhi, senza
distogliere lo sguardo neanche per un momento.
“Non l’ho fatto solo per Draco. Il Signore
Oscuro lo avrebbe chiesto comunque a me, se avesse fallito”.
“Sì, ma in quel caso non saresti morto, se non fossi riuscito a…”
“Narcissa… basta”. La interruppe con voce
seria, che non ammetteva una parola di più. “Il mio interesse verso la salute
tua e di tuo figlio è indiscutibile, però ti prego di non mettere ulteriormente
in discussione la mia lealtà verso l’Oscuro Signore”.
Narcissa capì che avrebbe fatto meglio a chiudere
lì la discussione, prima di commettere qualche passo troppo azzardato. Riprese
completamente il controllo di sé.
“Perdonami, Severus. È la stanchezza, non so
più quello che dico.” Poi si congedò: “Ora è meglio se vado”.
Nda – ecco un nuovo capitolo! È uno di quelli a cui tengo di più, perché mi è servito per delineare meglio il rapporto di amicizia tra Narcissa e Severus.
Se non si fosse capito bene, quando Narcissa dice: “Ci sarebbe un solo modo per tornare… come prima… come fino a qualche anno fa…” intende dire che l’unico modo sarebbe che Voldemort se ne andasse di nuovo; Severus capisce cosa vuole dire e, anche se lui per primo vorrebbe che tutto quello finisse e che Voldemort fosse sconfitto, non può naturalmente dirle la verità e le consiglia di non farsi sentire da altri. L’ho descritto un po’ combattuto, perché nel mio immaginario Narcissa è una delle poche persone che lui considera amiche e vorrebbe tanto potersi confidare, ma il suo buon senso alla fine prevale.
Spero che questo incontro tra i due risulti abbastanza realistico!
Ah! Se per caso trovate delle “E” maiuscole che mancano di accento, ma hanno invece l’apostrofo, non è perché sono sgrammaticata; purtroppo, nei forum, nei blog e nella maggior parte dei siti che frequento non c’è modo di fare la “e” maiuscola accentata, perciò mi tocca metterla con l’apostrofo e purtroppo ormai mi viene automatico anche quando scrivo con i normali programmi di scrittura con cui invece sarebbe possibile; quando correggo, uso la funzione “trova e sostituisci” e le modifico, ma qualcuna potrebbe scappare (oppure potrei proprio dimenticarmi di cambiarle!:P)! Pardon!
Un ringraziamento a tutti coloro che recensiscono o leggono senza recensire!;D
Un bacio a tutti!