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Autore: Lily White Matricide    02/10/2011    19 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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15.

La Suggestion Diabolique

 

“Do you really think it is weakness that yields to temptation? I tell you that there are terrible temptations which it requires strength, strength and courage to yield to”. 

Oscar Wilde

 

C’era un solo uomo, in quella notte di fine primavera, che potesse smorzare la bellezza del cielo terso e pieno di stelle.

Solo un uomo poteva battere l’eleganza delle costellazioni e la loro accecante compostezza. Solo quell’uomo era in grado di essere più luminoso della Luna in cielo. Il suo pallore affascinante, le sue sembianze non più propriamente umane, gli occhi di un azzurro vivissimo, ma carichi di freddezza, lo facevano sembrare una creatura proveniente da un altro mondo.

Tom Orvoloson Riddle guardava quel trionfo di blu notte, di argento e di chiome di alberi centenari e dormienti dalla raffinata finestra del maniero di Lucius Malfoy. I gemelli brillavano dai polsini del suo elegante completo scuro e la cravatta era annodata alla Windsor in maniera impeccabile. Il suo mantello nero prezioso era stato riposto in uno degli innumerevoli armadi del maniero da uno degli elfi domestici.

C’era solo qualche piccola lanterna dai vetri bluastri e verdastri ad illuminare debolmente quella stanza ricca di legni pregiati e di oggetti in argento. Le teche in cristallo proteggevano i calici pregiati, di qualsiasi foggia e dimensione, adatti ai più svariati tipi di vino. La famiglia Malfoy non si era mai negata nessun piacere ed aveva sempre cercato di coltivare qualsiasi vizio od abitudine con la massima eleganza. 

I passi felpati di Lucius Malfoy fecero voltare l’uomo elegante, dal fascino serpentino. Le tende ispessite dagli strati di tessuti tutti diversi tra loro offuscarono il riflesso del satellite sul pavimento. 

“Mio Signore” esordì, con voce vellutata, ma carica di timore reverenziale. Il bel Lucius, sempre riccamente abbigliato, chinò la testa, nascondendo il volto tra la chioma bionda e liscia. Si stava inchinando ossequiosamente.

Lord Voldemort avanzò verso di lui, con uno sguardo piuttosto mite. Non amava particolarmente gli inchini e l’eccessiva ossequiosità. A volte non c’era proprio motivo per cui i suoi Mangiamorte si sperticassero in inutili inchini e riverenze.

Il più delle volte, si ritrovava ad apprezzare l’umorismo macabro del padre di Avery, la follia impertinente ma estremamente leale di Bellatrix Black, perennemente assetata di sangue. Lucius era una persona così elegante e pura, ed il Signore Oscuro si ritrovava a pensare che quell’uomo, a volte, fosse un po’ viscido con tutta quell’affettazione.

“Lucius, ti prego, lo sai che a casa tua non ti devi inchinare di fronte a nessuno” gli disse, osservando con una certa intensità il biondo Mangiamorte.

L’uomo risollevò la testa e si diresse verso il tavolo, evitando lo sguardo penetrante dell’altro ed invitò il proprio Signore, con un cenno del braccio, ad accomodarsi. Il padrone del maniero estrasse la propria bacchetta magica dal pregiato bastone da cammino che possedeva ed aumentò l’intensità della luce delle lanterne.

Lo poteva vedere molto più chiaramente. La fabbricazione e la creazione dei sei Horcrux lo stavano trasformando, poiché si prendevano parte di lui, inesorabilmente, artefatto dopo artefatto.

Era estremamente pallido, alla luce tremolante pareva di carnagione grigiastra od azzurrina. Il viso stava mutando aspetto, la pelle rimaneva comunque molto liscia, pur presentando qualche cambiamento nella fisionomia. Gli occhi erano fessure gelide pronte ad ipnotizzarti, per poi paralizzarti, incutendoti timore. Le dita lunghe ed affusolate si distesero sul tavolo, con un meraviglioso anello in oro bianco, la cui forma dava vita ad un serpente che si morde la coda.

“Mio Signore, gradisce del vino rosso?” gli chiese con riverenza Lucius.

L’uomo dall’affascinante aspetto era in contemplazione di una fiamma danzante in una lanterna alle spalle del proprio fedele servitore.

“Si, gradirei del buon vino. Un brindisi alle nostre due nuove stelle nascenti, futuri Mangiamorte, è d’obbligo. Scegli tu, Lucius: sei tu l’esperto”.

Malfoy fece un breve inchino ed una parete di legno intarsiato si aprì al comando del padrone di casa. Magicamente, una scaffalatura si fece avanti, dando alla luce tante bottiglie scure, ricche di pregiati liquidi color rubino. Lucius passò in rassegna ogni etichetta, ogni nome, alla ricerca del vino più adatto da servire a Lord Voldemort. Quelle bottiglie pregiate erano il vanto del nobile mago: ciascuna di loro veniva amorevolmente custodita in quella cantina, con un’attenzione maniacale per le temperature e per il posizionamento stesso di quegli oggetti, cercando l’angolazione giusta. Solo con quella cura ossessiva, quel liquido poteva scaldarti le corde vocali e scendere giù la giusta delicatezza.

In quella bottiglia, da poco arrivatagli da Pauillac, erano riposte tutte le sue speranze di compiacere il proprio illustre ospite. Era il vino più costoso ed ambito del momento e non era per palati qualunque, richiedeva una certa preparazione ed una certa raffinatezza.

Château Mouton Rothschild, mio Signore” disse l’uomo, mostrando all’Oscuro Signore il pregiatissimo vino. Voldemort allungò una mano verso l’etichetta deliziato.

“Eccellente” disse, con sguardo avido, intanto che apparivano due calici in cristallo piuttosto grossi, fatti per evitare la decantazione di quel vino dall’aroma complesso ed intenso, in modo che, sorso dopo sorso, andasse subito ad accarezzare e stuzzicare la parte posteriore del palato e della bocca.

Quel liquido di un rubino cupo si riversò nel cristallo perfetto, pulito con cura solamente con acqua calda e limone, per non rovinarne la purezza e fare in modo che non intaccasse quei gloriosi e delicati sapori.

I due uomini attesero qualche istante, e poi presero in mano i calici, sollevandoli delicatamente verso l’alto.

“A Mulciber ed Avery ed alla loro orgogliosa ed ostentata passione per la Magia Oscura” disse con voce flautata il mago più temuto del mondo magico. Posò le proprie labbra sottili sul millimetro di cristallo e lasciò che le note legnose si facessero strada nella propria bocca. Seguì la delicata asprezza dei frutti rossi, per poi lasciare spazio a quell’appena accennata nota di tabacco.

“E’ delizioso questo Château Mouton Rothschild. Non sbagli mai”.

L’interpellato si limitò a sorridere compiaciuto. 

“Mio fedele Lucius, sono molto soddisfatto di come tu abbia lavorato su Mulciber ed Avery. Le famiglie sono a dir poco entusiaste del loro brillante avvenire”. Lord Voldemort parlò con voce chiara, soppesando ogni parola, come se l’alcool le stesse plasmando con cura, dando un sapore, una sfumatura precisa ad ogni lettera. Trasudavano soddisfazione e compiacimento.

Ma c’era qualcosa in quel tono di voce, un certo margine di insoddisfazione.

“Tuttavia, mio prediletto, due nuovi futuri Mangiamorte non mi bastano” continuò con un certo dispiacere. La voce si fece poi più decisa, ed in quel momento le lanterne si fecero molto più luminose, le fiamme più vive e dorate che mai. 

“Per conquistare il mondo me ne occorrono di più”.

Un sibilo seducente su quelle ultime parole, un lampo di bramosia nei suoi occhi, e le fiamme tornarono delle loro modeste dimensioni. In quell’attimo di luce in più, Lord Voldemort pareva un serpente che attende di attorcigliare nelle proprie gelide spire la propria vittima. Il mondo intero. Aveva un sorriso così luminoso ed ingannevole: quell’espressione da bambino avrebbe fatto andare in brodo di giuggiole qualsiasi adulto. Ora, con i suoi quarantanove anni sulle spalle, con tutta la malvagità che aveva maturato in quelle lunghe decadi di solitudine e di odio, quel sorriso era pieno di luce diabolica.

Malfoy rimase li per lì interdetto e stizzito: non era di certo diventato il talent scout dei futuri Mangiamorte ad Hogwarts. Non poteva essere solo quello.

“Mio Signore, troveremo tutti i Mangiamorte necessari allo scopo” lo rassicurò il proprio servitore, con quella risposta alquanto banale e sterile, bevendo lentamente un sorso di vino.

Il potente mago fece oscillare il calice tra le mani, con quello che era rimasto di quel primo estatico assaggio.

Il suo viso si contrasse in un’espressione amareggiata. 

“Non mi basteranno mai, capisci, Lucius?” disse di punto in bianco. Si alzò in piedi, improvvisamente preoccupato, camminando attorno al lungo tavolo, alla ricerca di parole convincenti.
“Tu, i Lestrange, Bellatrix Black, Mulciber Senior ed Avery Senior, non mi bastate. Un giorno perirete anche voi, in battaglia, questo è certo. Solo io non morirò. E se voi non ci foste più, io come faccio a proseguire nel mio disegno di gloria?”.

Lucius si ritrovò per un attimo a considerare quell’estrema possibilità, la sua morte. Per la prima volta dacché era diventato un seguace del Signore Oscuro, si era trovato di fronte a quella possibilità.

Non ci sarebbero stati ossequi e riverenze a salvarlo. Dopotutto, lui serviva Lord Voldemort e la sua immensa conoscenza della Magia Oscura. Tom Orvoloson Riddle non cercava la soluzione ultima alla morte dell’umanità. Lui cercava solamente la propria via per l’immortalità.

Si sentì improvvisamente terrorizzato di fronte all’idea di perdere la sua Narcissa, la splendida moglie che amava teneramente e con ardore. Provò un vuoto incredibile di fronte al pensiero della morte. Davvero il Signore Oscuro non avrebbe mai e poi mai condiviso l’immortalità con qualcun altro dei suoi fedelissimi? Possibile che non ci fosse una via per poter arrivare a vivere per sempre con lui e come lui?

Non lo trovava giusto: doveva fare in modo che lui fosse un privilegiato, il migliore tra tutti, per poter ottenere un lusso simile. Avrebbe fatto per Lord Voldemort qualsiasi cosa. Anche a costo di umiliarsi e cercare in quella marmaglia di ragazzini Serpeverde i migliori Mangiamorte, i migliori assassini e torturatori di Babbani, di SangueMarcio e di feccia non degna di sventolare la bacchetta magica in aria.

“Signore” cercò di obiettare Lucius, deglutendo a fatica “Farò tutto quello che mi è possibile per poter rendere l’esercito dei Mangiamorte ... L’esercito più temuto di tutta la nostra storia della magia”.

Il mago si voltò a guardare estasiato il proprio fedele, sfoderando sempre quel sorriso diabolicamente fanciullesco.

Molto bene, Lucius, sapevo di poter contare su di te. Tu non mi deluderai mai” tacque un secondo, chiamando a sé, con un gesto della mano, la bottiglia di vino. Versò nel calice, con un gesto lento e preciso, un’abbondante quantità di vino rosso.

Sospirò, sorso dopo sorso, esattamente come quando dopo una lunga corsa si trova refrigerio con dell’acqua di fonte. Con un dito, sfiorò l’apertura del calice, seguendone il largo diametro.

“Non mi bastano degli assassini. Ho bisogno di uno ed uno soltanto che vada oltre la pura e comprensibile sete di sangue. Necessito una mente brillante, sveglia e che soprattutto sappia giocare con le menti altrui”.

Continuò ad osservare in maniera soddisfatta i piccoli cerchi che andava disegnando sul bordo del bicchiere pregiato. Lucius non rispose e si limitò a guardarlo, in attesa che continuasse con il suo discorso.

“Dubito che sia già tra di noi, questo fedele e scaltro servitore. Mi dispiace per voi, ma non vedo quel guizzo di intelligenza, quella furbizia e maestria nel manipolare le menti altrui in voi. Per ora sei tu la mia speranza, caro Lucius”.

C’erano delle note di disappunto ed erano evidenti. Apprezzava l’aggressività dei suoi servitori e fedeli amici, ma ancora non bastava. Non era sufficiente la violenza per la violenza, il Signore Oscuro non si accontentava di avere dei beccai e basta. Esigeva maghi con un minimo di intelligenza e di lungimiranza, necessitava di qualcuno di machiavellico e che innescasse nei restanti un desiderio di migliorarsi.

I suoi fedeli erano rimasti adagiati a sufficienza sugli allori: era giunto il momento di introdurre una sana competizione tra loro, senza esclusione di mezzi. Anche a costo di eliminarsi a vicenda. Nell’esistenza vi dovevano essere dei duri momenti di selezione: chi avrebbe perso la sfida, evidentemente non sarebbe stato adatto a seguire Voldemort fino in fondo. La gloria non era per tutti, era un piacere ed un lusso riservato solo a pochissimi eletti. Il Signore Oscuro non si vedeva affatto fuori da quella cerchia ristretta, anzi. Se avesse potuto, avrebbe fatto in modo di eliminare anche quelli rimasti al suo fianco. Però non ora, non ora, si disse: per arrivare in cima, aveva bisogno di loro. Tuttavia, non vedeva l’ora di godersi la vista dall’alto in completa solitudine ed onnipotenza.

Nel frattempo, Lucius Malfoy non sapeva se sentirsi felice della fiducia che Lord Voldemort riponeva in lui, o se sentirsi enormemente triste e deluso di sapere che la sua gloria, come quella dei suoi compari, era destinata ad essere transitoria. 

Malgrado tutto, avrebbe provato a ribaltare la situazione, anche a costo di eliminare personalmente tutti i suoi avversari.

L’ultimo sorso di quel secondo calice di Château Mouton Rothschild sciolse la calma composta di Lord Voldemort. Le pupille dilatate cancellavano il colore ceruleo delle iridi, le lanterne esaltavano quella luce rossastra e sinistra che si rifletteva nei suoi occhi.

“Vai, Lucius, trovalo in mezzo a tutti quei ragazzini. Sii le mie mani, i miei occhi, la mia voce! Trova il mio prediletto, spargendo il terrore in quel castello! In quella scuola devono temermi! I Serpeverde devono iniziare a capire che tutti, un giorno cadranno ai miei piedi e saranno tutti miei servitori, perché io sono l’erede di Salazar Serpeverde!” tuonò, alzando la voce sempre di più, facendola diventare stentorea. Gli mancava il fiato.

Era un oratore affascinante ed irresistibile. A volte però, si lasciava prendere la mano.

Dentro di sé, Lucius convenne che forse sarebbe stato meglio trovare quel Mangiamorte prediletto, per calmare i deliri di onnipotenza del suo padrone. Lottava dentro di sé, tra la consapevolezza di non essere il prescelto, ma di essere solo il mezzo che avrebbe portato al mago oscuro il suo alleato e servo impeccabile e fedele. Provò un’invidia immensa, che iniziò a roderlo lentamente nell’animo. Perché non poteva essere lui il braccio destro di Voldemort? Perché si sarebbe dovuto accontentare di essere sempre un gradino sotto?

“Lo troverò” fu tutto quello che riuscì a dire di sensato, scartando mentalmente i giovani Mulciber ed Avery. Non erano di certo delle cime. Tuttavia, erano piuttosto obbedienti e presentavano una certa rapidità e meticolosità nel mettere in pratica gli insegnamenti del Signore Oscuro. Non sarebbe stato difficile per loro trovare un nuovo prezioso adepto.

 

Severus si rigirava nel suo letto, non riuscendo a chiudere occhio. Non si trattava sfortunatamente delle notti sempre più calde e delle coperte troppo pesanti per la calda stagione in arrivo.

Aveva un piccolo sogno, una visione, che infestava il suo sonno per qualche secondo, da qualche giorno. Eppure, quei pochi istanti erano sufficienti a turbarlo enormemente. 

Vedeva quegli occhi di ghiaccio che lo fissavano. Erano degli occhi di rettile, le cui pupille nere dalla cupa sfumatura rossastra inghiottivano quell’azzurro stupefacente. 

Non diceva nulla, era come se si limitassero ad osservarlo nel sonno, attendendo il momento in cui ogni barriera si faceva debole od inesistente. Aveva avuto incubi peggiori e ben più truculenti nelle notti in cui si trovava a dormire a Spinner’s End o quando i suoi genitori litigavano furiosamente.

Si rigirò tra le lenzuola, togliendo la pesante coperta color verde e buttandola a terra e si mise su un fianco, brontolando e cercando di chiudere occhio. Non appena le palpebre si chiusero e la mente cercò di scivolare verso il sonno, ecco che apparvero nuovamente quegli occhi. Non appena Severus recuperava il controllo di sé, gli occhi di quel misterioso visitatore notturno si richiudevano. Era un tira e molla tra sonno e veglia senza posa. Pensò anche che si stava facendo suggestionare da quegli occhi e più ci pensava più gli sarebbero comparsi nel sonno molto più facilmente.

Alla quarta volta che quegli occhi gli sconvolsero il ciclo del sonno, decise di alzarsi. Magari leggendo un libro in Sala Comune, si sarebbe addormentato molto più in fretta sul comodo divano e non avrebbe pensato più a quella visione ricorrente.

Aprì lentamente il proprio baule, cercando tra i libri da leggere. Ne aveva presi un po’ dalla libreria di casa durante le vacanze di Natale, prima di ripartire alla volta di Hogwarts. Aveva scelto qualche libro appartenente a sua madre, riguardante materie piuttosto avanzate. Scartabellando tra i volumi, ne trovò uno dedicato all’Occlumanzia.

La sua mente ed il suo approccio razionale verso i problemi si misero subito a vagliare alcune ipotesi: e se l’Occlumanzia gli fosse tornata utile a tenere lontano quel sogno da sé? Chiudere la mente e la propria coscienza durante il sonno gli pareva un’idea bizzarra, probabilmente una soluzione necessaria. Credeva che, offrendo a quello spettatore indesiderato il buio totale, un sipario chiuso, senza attori o pensieri, trame o ricordi sul palcoscenico della sua mente, magari si sarebbe ritirato. Avrebbe desistito e non gli avrebbe più turbato i suoi scampoli preziosi di riposo.

Convinto e soddisfatto delle sue congetture, afferrò il libro prescelto e si avviò con passo felpato verso la Sala Comune. Si assicurò di non svegliare i suoi compagni di stanza, degli innocui e normali Serpeverde: una volta appurato che il loro respiro fosse bello pesante e profondo, lasciò il dormitorio.

Mentre si trovava nel piccolo corridoio di pietra, che separava la Sala Comune dalle stanze dei Serpeverde, gli parve di sentire delle voci. Agitato, si fermò a metà e si mosse con maggiore cautela. Potevano essere degli studenti del settimo anno intenti a studiare le ultime materie prima dell’inizio della sessione d’esami dedicate al conseguimento dei M.A.G.O. D’altronde, erano esami molto intensi ed impegnativi ed erano fondamentali per accedere alla propria professione dopo il percorso di studi ad Hogwarts. Negli anni passati, gli era capitato di trovarsi di notte a seguire la preparazione di alcuni studenti, soprattutto di Pozioni. A volte, si era ritrovato ad imparare molto di più da qualche studente molto appassionato e portato per la materia, che durante le lezioni del competente, ma a volte poco stimolante, professor Lumacorno.

Man mano che si faceva strada nel corridoio buio e dalle pietre fredde, si rese rapidamente conto che quelle voci gli erano ben note. Fin troppo. Erano Mulciber ed Avery.

A quanto pare, era finito il loro periodo di ostentata santità. Avevano ripreso a stare svegli la notte, a sparire nel nulla durante le ore di sonno e era già scemato il loro interesse nei confronti delle materie diverse da Difesa Contro le Arti Oscure. 

Decise di rimanere appoggiato alla parete di pietra. Doveva sapere di cosa stessero parlando, prima di farsi vedere. Sperava che non fossero intenti a progettare qualche altro misfatto. In ogni caso, era un’occasione troppo ghiotta per capire perché fossero ancora in piedi. Magari, erano appena tornati da uno di quegli incontri clandestini e Severus avrebbe potuto smascherarli con facilità.

Con il cuore lievemente agitato, Sev cercò di affinare l’udito. Tentò di sporgersi un minimo per visualizzare la scena, ma rischiò di capitombolare per terra. Si aggrappò alla parete e si mise solamente in ascolto.

“Metti giù quella Strillettera!” sibilò Mulciber ad Avery, estremamente preoccupato. Mulciber era in piedi, di fronte al divano dove si trovava l’altro compare. Le braci del fuoco del camino emanavano  un minimo di lucore rossastro. 

Avery stringeva tra le mani quella pergamena rossa e sigillata. Si contorceva, era pronta ad esplodere se non l’avessero letta subito.

“Mulciber, dobbiamo leggerla! Altrimenti esplode!” fece preoccupato l’altro.

L’amico strappò di mano ad Avery la Strillettera, cercando di farla in mille pezzi, ma ogni tentativo si rivelò vano.

“Non m’interessa! Lascia che esploda! Non voglio sentirne il contenuto!”. La buttò sul divano, esasperato.

Rimasero in silenzio, con Mulciber che camminava nervosamente su e giù per la stanza.

“Chi potrebbe avercela spedita?” chiese dopo un po’ Avery.

L’interpellato scosse la testa con decisione.

“Non ne ho proprio idea. Maledizione, sono sicuro che non si tratta dei miei genitori. Mio padre si congratulerebbe con me per l’impresa. E anche il tuo, Avery, lo sai”. Si buttò sul divano accanto al compagno, riprendendo in mano quel pezzo di pergamena.

“Magari, è solo una Strillettera di facciata. I nostri genitori comunque non si possono esporre troppo ... Hanno una parte da recitare” suggerì l’altro, meditabondo.

Severus ascoltava dannatamente incuriosito. Avrebbe donato tutto quello che aveva per possedere un Mantello dell’Invisibilità e poter prendere quella pergamena indisturbato.

Il ragazzo pensò con un certo sarcasmo che tanta arguzia ed intelligenza da parte di Avery non se la sarebbe mai aspettata. Adesso attendeva con ansia il momento di una loro leggerezza od ingenuità. Decise che li avrebbe colti in contropiede, non poteva permettersi di farseli scappare. Non un’altra volta.

Rimasero in silenzio, seduti sul divano a guardarsi attorno. Era il momento di entrare in scena e solo Merlino sapeva se sarebbe stato in grado di essere convincente nella sua recita. Non era un buon attore nel senso stretto del termine. Ma aveva sempre la magia come sua alleata: in caso di fiasco, un efficace incantesimo di memoria avrebbe salvato la situazione.

Lentamente, fece il suo ingresso nella sala, reggendo il suo libro tra le mani. 

“Buonasera” disse con la voce più sicura possibile. I due sobbalzarono. Come previsto, Mulciber armeggiò con la pergamena, cercando di ficcarsela rapidamente nella tasca dei pantaloni. Riuscì ad infilarla solo per metà, con la metà restante in bella vista. Era ancora vestito da giorno, come poté constatare Sev. La possibilità che fossero andati al di fuori del castello si fece più concreta nelle sue congetture.

“Ciao, Severus. Che ci fai in piedi?” fece un po’ teso Avery.

Potrei chiedervi la stessa cosa, delinquenti” pensò l’interpellato, che si limitò a rispondere un secco: “Quando inizia a fare più caldo inizio a soffrire d’insonnia”. Si accomodò su una poltrona di fronte a loro ed aprì il libro di Occlumanzia, fingendo di leggerlo con enorme interesse. In realtà, tutto ciò che riguardava la magia era importante e degno di nota, ma in quel preciso istante voleva capire che cosa passasse nella testa di quei due.

“Sempre a studiare, tu, eh?” fece sarcastico Mulciber, che si sentiva evidentemente a disagio. Era seduto sull’orlo del divano, come se fosse diventato all’improvviso tremendamente scomodo, una graticola.

Severus annuì. 

“Perché sprecare queste preziose ore d’insonnia? Potreste farlo anche voi: vi assicuro che quest’interessante attività mentale porta i suoi frutti” disse con fare canzonatorio, volutamente.

“Piuttosto, ce ne andiamo a dormire, vero Avery? Non vorremmo apparire cadaverici come te, Severus”. Si alzò di scatto e la Strillettera scivolò a terra, infilandosi appena sotto il divano, fcon leggero e debole fruscio.

Il Serpeverde sorrise deliziato, mentre augurò la buonanotte ai due manigoldi, che si affrettarono a raggiungere i propri giacigli.

Aspettò che l’eco dei passi di Mulciber ed Avery si fece sempre più flebile e quando svanì del tutto, saltò in piedi e raggiunse la missiva che si agitava sotto il divano.

La esaminò per qualche istante e rifletté sulla forma tutto sommato bizzarra per essere una Strillettera. Era un po’ più grossa del normale, sembrava per lo più una pergamena piegata che sembrava una Strillettera.

Si sedette pensieroso sulla poltrona, tenendosi quel quadrato di pergamena sulle gambe. Si sentiva indeciso. Avrebbe dovuto rischiare ed aprirla, anche a costo di svegliare mezzo dormitorio e di farsi spaccare la faccia da Mulciber ed Avery? Oppure avrebbe fatto meglio a lasciarla lì dov’era?

In ogni caso, se l’avesse aperta e se si fosse messa a strillare, magari avrebbe avuto una conferma dei suoi sospetti circa i contatti loschi dei due. Anche a costo di farsi pestare o schiantare.

Se l’avesse lasciata lì, si sarebbe pentito di non aver potuto sapere di più.

Al diavolo” mormorò Severus, prendendola in mano con decisione. In un attimo strappò il sigillo e chiuse gli occhi, pronto a sentire le strilla e gli strepiti della lettera. S’immaginava già i pugni ed i calci di quei due, ma non gliene importava nulla. La sua curiosità prevaleva su qualsiasi altra cosa, botte comprese.

Ma così non avvenne. Non fiatò.

Sev riaprì gli occhi sorpreso e vide che la pergamena si era elegantemente dispiegata di fronte a lui. Che fosse stato un espediente per disincentivare i curiosi a leggerla? Chiunque avesse ideato quell’espediente, aveva certamente sopravvalutato l’acume dei due delinquenti.

La scrittura contenuta nella missiva era molto elegante e raffinata. Severus si mise a leggere attento e curioso.

 

Fedeli Mulciber ed Avery,

 

il Signore Oscuro è stato informato del vostro nobile tentativo di mostrare con forza i principi che spingono noi Mangiamorte a seguire ed a realizzare il disegno del nostro Oscuro Signore.

Per quanto possa essere stata una mossa aggressiva e plateale, vi posso dire con certezza che n’è rimasto deliziato ed estasiato. Non aspettava altro che voi, tra le sue fila.

 

Compiacendo il Signore Oscuro, sono lieto di affidarvi una missione delicata ed importante.

Il nostro potente padrone è alla ricerca di nuovi aspiranti Mangiamorte, dato che arriverà presto il momento di lottare contro chi ostacola le Arti Oscure.

Abbiamo bisogno di combattenti e ... Di un Mangiamorte speciale.

Che non ami solo il sangue babbano scorrere a terra, come la nostra prode Bellatrix.

Che non siano amanti della pura forza bruta come i vostri rispettabili padri, da cui avete preso.

Quello che il Signore Oscuro desidera è una persona scaltra, intelligente, in grado di manipolare menti. Un abile attore, un fine stratega.

 

Non ci basta più la violenza per la violenza, dobbiamo ingannare i nostri nemici. Dobbiamo mostrare tutta la nostra intelligenza e la nostra astuzia nel tessere e tendere le nostre trappole.

 

Prima o poi, ciascun Serpeverde dovrà compiere una scelta. 

Il giorno in cui il nostro potente Signore comanderà il mondo magico, essi dovranno scegliere.

O fare come voi, dimostrando coerenza con la propria appartenenza alla casa di Salazar Serpeverde.

Oppure passare per traditori, ed essere puniti come i traditori meritano.

 

Andate e plasmate menti.

Andate e chiamate a voi i maghi più potenti di Serpeverde.

Andate e mostrate loro la via verso la gloria promessa da Lord Voldemort: lasciate che rimangano abbagliati dalla potenza della Magia Oscura.

 

Non deludetemi, attendo vostre notizie al più presto.

 

Lucius Malfoy

 

Severus rimase impietrito di fronte a quella lettera.

Stavano preparando una vera e propria guerra senza confini. E loro, degli adolescenti, dovevano essere pronti a combattere?

Contro chi? Contro cosa?

I Mangiamorte erano solo questo? Dei macellai? 

Era chiaro che Lord Voldemort volesse di più di un mero assassino, cercasse un prediletto a cui passare tutta la sua sapienza e la sua abilità. Ma chi poteva essere tra i Serpeverde? Come avrebbe fatto a scoprirlo? Non poteva tenere sotto torchio Mulciber ed Avery tutto il giorno, avrebbero scoperto tutto. Non erano stupidi del tutto.

O l’avrebbero preso per uno degli studenti da portare al Signore Oscuro. 

Lo stomaco di Severus si contorse con dolore. Non gli piaceva per nulla quello che aveva letto, ma c’era una parte di sé che bramava di sapere di più. Di capire cosa avessero intenzione di fare. Oramai sapeva troppe cose che non avrebbe dovuto sapere. E quello era stato l’inizio di tutto

Il cuore gli batteva forte ed una coda nera e squamata aspettava nell’ombra del suo petto il momento per ghermirlo. E gli occhi di quel drago avevano lo stesso colore del ghiaccio dei suoi sogni. Ora poteva vederli anche da sveglio, fissi davanti a sé. Non poteva più evitarli.

Cercò di ripiegare la lettera in qualche modo, con le mani tremanti, temendo di non poterla più rimettere a posto come prima. Alla prima piega, la pergamena riprese l’aspetto della Strillettera rossa. 

Con un certo sollievo, Severus la ributtò con decisione sotto il divano.

Si sentiva estremamente debole e stanco e camminò con incertezza verso il proprio letto, dimenticandosi il libro di Occlumanzia sul divano della Sala Comune.

I suoi pensieri andarono a Lily: come avrebbe fatto a dirle tutto questo? Aveva un bisogno disperato del suo aiuto e della sua saggezza ed intelligenza. Sperava che non sarebbe fuggita lontana da lui.

Cosa avrebbe dovuto farsene di quelle informazioni? 

Erano troppo scottanti, troppo grosse per reggerle tutte in solitudine. Avrebbe dovuto avvisare il Preside? Avrebbe fatto qualcosa per proteggere i suoi ragazzi?

Era confuso e stanco. Voleva maledire la sua curiosità, che l’aveva fatto entrare nella scacchiera di quel gioco infernale dal quale probabilmente avrebbe dovuto starsene alla larga. Era diventato una pedina e ora doveva giocare.

Si rese conto in quel momento che sapere tutto questo avrebbe portato a delle conseguenze pesanti ed inimmaginabili, per un quindicenne. Ma dall’altro lato, non appena vide il diario suo e di Lily posato sul comodino, un barlume di speranza si fece largo nel suo cuore. Sarebbe stato in grado di proteggerla nel momento più critico e difficile. Sarebbe stato in grado di essere al suo fianco e di metterla in salvo da quella follia.

Si buttò esausto e madido di sudore tra le lenzuola. Era combattuto, avrebbe dovuto combattere prima di tutto con il drago dentro di sé che stava riassumendo una forma ben precisa. Avrebbe dovuto combattere su uno dei due fronti che si stavano aprendo davanti a sé.

Ma non avrebbe mai lasciato Lily, la sua Lily, alla mercé dei Mangiamorte. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di proteggerla. Qualsiasi cosa.

Addormentandosi, i due occhi di ghiaccio presero il colore di un meraviglioso e familiare verde smeraldo. E non lo guardavano con odio.

***

PUFF. PANT.

Mamma mia, sto capitolo non so perché ma mi piace.

Al solito, ero partita con il timore che Voldemort non mi desse soddisfazione, ma il mio adorato Quentin Tarantino è giunto in mio soccorso dandomi qualche suggerimento. <3

 

Un sentito ringraziamento va anche a Prokofiev, il cui brano meraviglioso dà il titolo al capitolo.

 

Preparatevi, perché ci saranno parecchi colpi di scena.

 

Grazie ancora per tutto il vostro affetto che mostrate per Irish Rain!

Alessandra :D

   
 
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