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Autore: _Shantel    04/10/2011    16 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Video-trailer

C a p i t o l o 22

Temporale estiv
o
betato da nes_sie


Era strano svegliarsi in un letto che non fosse il mio, in una camera che non aveva le pareti rosa e in una casa che era il quadruplo della mia. Sbadigliai sonoramente e mi misi a sedere sul letto, stiracchiandomi come se fossi un gatto. La sera precedente, appena arrivati a Roma, era stata un disastro. Speravo solo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che le cose si sarebbero tranquillizzate e che Mauro si facesse una siringa di cavoli suoi. Non eravamo nemmeno arrivati che già aveva iniziato a rompere le scatole a Dario e ad insinuare in me dubbi che non sapevo se fossero reali o meno. Ma dovevo fidarmi di Dario, o almeno provarci. Perché avrebbe dovuto mentirmi se teneva veramente così tanto a me? Non aveva alcun senso! E poi mi ero ripromessa che avrei vissuto questa storia senza paranoie, per cui non dovevo pensare né alle parole di Mauro né a Sole.
Mi grattai in testa ancora assonnata e afferrai il cuscino di Dario, stringendolo forte e annusando il suo profumo di vaniglia. Appena sveglia avevo la necessità di inebriarmi con il suo profumo e poiché lui era andato a lavoro, molto probabilmente, mi sarei accontentata del suo cuscino. Anche se, in verità, mi sarebbe piaciuto sentire il suo calore sul mio corpo, come era successo quella notte che avevamo dormito stretti l'uno all'altra.
Mi alzai di malavoglia dal letto e mi soffermai a guardare la camera di Dario. La sera precedente non avevo nemmeno avuto il tempo e la mente di focalizzarla. Sembrava così lontana dal ragazzo che avevo conosciuto, con tutti quei poster di donne semi svestite appese ai muri. Era più la camera di un adolescente, di un Dario adolescente che aveva passato gran parte della sua giovane vita rinchiuso nella sua stanza, magari a piangere perché la sua famiglia non riusciva ad accettarlo.
Scossi la testa e mi avvicinai al primo poster, quello sopra alla scrivania. Mi davano fastidio quelle battone appese ai muri con le poppe rifatte al vento. E speravo proprio che Dario non volesse tenerli, tanto c'ero io e non aveva bisogno di auto soddisfarsi come faceva da giovane. Tolsi lo scotch dagli angoli e lo staccai, trovando nascosta dietro quel poster una foto. La afferrai, cercando di non rovinarla con uno strappo troppo violento e la osservai a lungo. Ritraeva una ragazza con dei buffi capelli a cespuglio, un paio di occhiali dietro i quali due occhi color perla guardavano spaesati l'obiettivo della macchina fotografica. Era paffuta e bellissima, nonostante non avesse nemmeno un filo di trucco o i capelli in ordine. La voltai e, in alto, c'era scritto qualcosa. La calligrafia era quella di Dario, ne ero più che certa.

Sole ♥
Una fotografia rubata alla ragazza che mi ha rubato il cuore.

Finalmente Sole ebbe un volto nei miei pensieri. Era bella, come immaginavo, ma la cosa che più mi feriva era leggere quelle parole dietro la foto. Strinsi i bordi di quella foto e mi venne voglia di strapparla in pezzettini minuscoli, ma per un qualche motivo mi trattenni e la riattaccai al muro, nascosta dietro al poster della tettona.
Serrai i pugni e mi voltai analizzando tutta la stanza. C'erano ancora un sacco di poster e di sicuro tutti celavano dietro di loro una foto di Sole. Mi avvicinai a quello accanto alla porta e lo sollevai. Come sospettavo c'era un'altra fotografia, ma questa volta erano stati ritratti entrambi. Sole aveva un braccio allungato per scattare la foto e Dario le stringeva una spalla. Quello che mi colpirono furono i suoi occhi neri completamente rapiti da Sole. La guardava come non aveva mai fatto con me, con così tanto amore che mi sentii mancare... sentii chiaramente il mio cuore lacerarsi. La voltai e anche lì Dario aveva scritto qualcosa.


Il compleanno di Sole.
La prima fotografia scattata con la Canon Reflex D500.
Sole+Dario ♥


Faceva tanto “ragazzina delle media stracotta del figo di turno” ed era anche abbastanza esilarante come cosa. Peccato che non avessi nessuna voglia di ridere, solo di piangere. La nascosi di nuovo dietro al poster e rimasi a fissare la parete. Dovevo solo ripetermi che quello era il passato, che Sole era il suo passato ed io il suo presente.
«Non sapevo che ti piacessero le ragazze» una voce maschile attirò la mia attenzione e mi voltai verso la porta dove il mio sguardo incontrò quello glaciale di Mauro. Era già vestito di tutto punto, con un completo grigio, una camicia azzurra e una cravatta scura. Era bello, era dannatamente sensuale, ma era uno stronzo. Un gran bastardo che aveva fatto soffrire il mio Dario. Solo per quel motivo lo odiavo dal profondo del cuore e solo la sua presenza mi infastidiva.
«Volevo solo toglierli» tagliai corto e distolsi lo sguardo da lui.
«Vuoi una mano?» domandò facendo qualche passo verso di me.
«No, grazie. Aspetterò Dario» risposi senza nemmeno fissarlo negli occhi.
«Come vuoi» disse lui alzando le mani «Ma non guardarti troppo in giro. Chissà, potresti scoprire che persona è realmente Dario».
Seppure quelle parole mi avessero colpita nel profondo, cercai di non darlo a vedere a Mauro. Alzai lo sguardo indignata verso di lui e scossi la testa.
«So perfettamente chi è Dario» dissi sicura.
«Lo conosco da più tempo di te. So di cosa parlo» ribatté lui, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Perché mi dici tutte queste cose? Non ti conosco nemmeno e non voglio avere nulla a che fare con te».
Mauro scrollò la spalle e sorrise sornione.
«Oh, beh, tanto lo scoprirai da sola»
«Che cosa dovrei scoprire?» domandai scocciata incrociando le braccia.
«Me lo dirai tu, appena la verità verrà a galla» disse solamente, poi sparì dalla stanza.
Con uno scatto che stupì anche la sottoscritta, mi precipitai fuori dalla stanza e mi attaccai alla ringhiera guardando Mauro al piano di sotto prendere la sua valigetta, salutare Consuelo e uscire di casa. Perché doveva mettermi a tutti i costi la pulce nell'orecchio? Perché doveva per forza rovinare la vita di suo fratello? Perché non riuscivo a farmi scivolare addosso le sue parole?
Rientrai in camera, richiudendo la porta e appoggiandomici sopra. Avevo il respiro corto, eppure avevo fatto solo qualche passo. Avevo sempre desiderato vedere Roma, ma tutta la sua magia si stava piano piano dissolvendo. Eravamo lì da nemmeno ventiquattro ore ed io sentivo la nostalgia di casa, nostalgia di noi due a Milano senza l'opprimente peso di Mauro e Sole che mi impedivano perfino di respirare
Mi vestii rapidamente, togliendomi il mio pigiama improvvisato, ossia un paio di calzoncini e la maglietta di Leonardo Sogno che mi aveva regalato mio fratello per il compleanno e scesi le scale lentamente, raggiungendo con la stessa andatura la cucina. Consuelo era indaffarata tra pentole e tazzine, mentre i signori Vitrano erano seduti ai capi opposti della tavola. Lui leggeva quella che sembrava una cartella clinica mentre la signora, con i capelli raccolti e una vestaglia di seta color lavanda, leggeva il giornale.
«Buongiorno» dissi intimidita.
«Hola» Consuelo fu la prima a salutarmi, nonostante fosse tutta presa a cucinare.
Il signor Vitrano, che mi ricordavo dovesse chiamarsi Salvatore, alzò i suoi occhi azzurri dal fascicolo e mi sorrise, facendo ricadere gli occhiali lungo il petto.
«Ma buongiorno anche a lei, signorina!» esclamò con un sorriso bonario stampato in viso.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò a me per abbracciarmi e darmi due baci sulle guance. Mi stupì quel suo atteggiamento ed ebbi la sensazione che non fosse una persona malvagia, anzi, era molto paterno, anche con me che ero una sconosciuta.
«Salvatore, semmai non ti ricordassi di me» disse.
«Mi... mi ricordavo di lei» risposi imbarazzata «Io sono Alice»
«Molto piacere. E dammi del tu, mi raccomando» mi puntò un dito contro e ridacchiò, tornando poi alla sua cartella clinica «Sei la ragazza di mio figlio. Ormai fai parte della famiglia Vitrano».
Sorrisi imbarazzata e mi strinsi nelle spalle. Rimasi immobile davanti al tavolo della cucina, senza sapere che fare o cosa dire, totalmente in soggezione sia perché mi trovavo in casa di estranei, ma, soprattutto, per lo sguardo della signora Vitrano che si alzava ripetutamente dal giornale per squadrarmi come se fossi venuta da Marte. Aveva lo stesso colore degli occhi di Dario, ma erano privi di quella luce che rendeva così particolari e belli quelli del mio ragazzo.
«Siediti pure» disse Salvatore indicando una sedia vuota «La colazione di Consuelo è davvero eccezionale».
Accettai il suo invito e mi accomodai, guardando in un punto fisso ed indefinito davanti a me.
«Buongiorno» si decise finalmente la donna, ripiegando il suo giornale e appoggiandolo accanto a lei.
Prese il manico della sua tazza e se la portò alle labbra, sorseggiando quello che sembrava caffè e latte. Intanto Consuelo mi servì la colazione: dei pancake ricoperti da nutella, un succo di frutta all'arancia e un tazza di cappuccino. Molto probabilmente aveva attuato il piano: fai diventare Alice obesa.
«Come è andato il viaggio?» mi domandò Nicoletta, distaccata.
«Bene» risposi, tagliando un pezzo di pancake.
La signora annuì e si sistemò la vestaglia di seta. Poi tornò guardarmi, a squadrarmi con quelle iridi scure che avrebbero messo in soggezione perfino Chuck Norris.
«L'altra volta non abbiamo avuto il piacere di conoscerci» disse, senza però un reale interesse nei miei confronti, quasi se fosse stata obbligata a parlare con me «Che scuola frequenti, Alice? Dato che andrai ancora al liceo, suppongo. Se non alle medie» alzò entrambe le sopracciglia e mi guardò con sufficienza. Quella era una frecciatina, ne ero più che sicura, e non rivolta a me, ma a Dario.
«Quest'anno frequenterò l'ultimo anno di liceo scientifico» dissi fiera di me.
«E che media hai?» mi chiese a bruciapelo ed io rimasi per qualche attimo interdetta. Farfugliai qualcosa e mangiai un pezzo di pancake per posticipare il più possibile la mia risposta. Non ero una capra, ma non brillavo per intelligenza.
«Del sette e mezzo» dissi imbarazzata.
Nicoletta rimase imperturbabile. Si sistemò la crocchia e bevve un altro sorso di caffè-latte. Quella donna era inquietante e non ne capivo il motivo. Forse perché sembrava la signorina Rottermaier dieci volte più severa di quell'arpia.
«Beh, un po' bassa» commentò brusca «Ma sempre meglio di quella di Dario. Non che ci volesse molto».
Non capii il motivo per cui Nicoletta avesse messo in mezzo Dario che non c'entrava nulla nel nostro discorso. Mi sorprese il tono di disprezzo che usò per dire quelle parole e iniziai a capire come avesse potuto sentirsi Dario in un clima come quello. Spostai lo sguardo sul signor Vitrano e notai i suoi occhi pieni di disappunto posati sulla moglie, quasi si fosse offeso per le parole rivolte al figlio.
«E i tuoi genitori che lavoro fanno?» chiese spostando lo sguardo torvo dal marito a me.
«Mia mamma è avvocato e mio padre lavora in banca» risposi con timore.
«Almeno non sei una pezzente come Sole» commentò quasi disgustata, controllandosi le unghie «Era talmente sciatta quella ragazza. E non sapeva nemmeno nutrirsi. Sempre a strafogarsi di schifezze ipercaloriche, e i risultati si vedevano».
Capivo da chi avesse preso Mauro: era la copia sputata di sua madre. Ogni sfumatura del suo carattere la stavo ritrovando mano a mano anche in Nicoletta, e rabbrividii al solo pensiero che avremmo dovuto passare lì più di un mese. Mi chiesi cosa c'entrasse Dario in quella famiglia. Sembrava che lui fosse nato da un'altra donna, fosse cresciuto in un'altra casa perché un ragazzo splendido come lui non poteva appartenere ad un girone infernale colmo di dannati come lo era l'abitazione dei Vitrano.
«Non che tu abbia molta classe» continuò la sua critica soffermandosi sulla mia semplice canottiera con le spalline fini gialla «Ma comunque... cosa vorresti fare nella vita? Spero proprio che non prenderai esempio da quel nulla facente del tuo ragazzo»
«Dario non è un nulla facente» sbottai. Poteva criticare me, poteva anche offendermi, ma non poteva permettersi di mettere in mezzo il mio Dario «Ha un ottimo lavoro a Radio Deejay» le ricordai.
«Capirai» borbottò lei «Ha venduto il suo negozio per andare a fare uno stupido lavoro. Non ha mai avuto voglia di fare nulla quel ragazzo. È già tanto se non si è prostituito» la buttò lì con una certa disapprovazione e sgranai gli occhi. Quella ipotesi campata per aria che l'aveva fatta inorridire era la pura e semplice realtà. Lui era stato un gigolò e parte della colpa era loro. Non tutta, perché anche Dario ci aveva messo del suo per non costruirsi un futuro solido. Ma se solo gli fossero stati accanto, se solo fossero stati una famiglia molto probabilmente non sarebbe arrivato a vendere il suo corpo. Ridacchiai nervosamente per mascherare il mio disagio e tornai a mangiare i pancake, divorandoli nel giro di poco tempo, ingozzandomi quasi.
«Non hai risposto alla mia domanda, comunque» mi fece presente.
In realtà quella era la prima volta che pensavo a cosa volessi fare nella vita. Ero talmente presa dai miei problemi di cuore che avevo dimenticato persino di essere ad un passo dalla maturità e che l'università mi attendeva.
«Non lo so, sinceramente» risposi in imbarazzo «Ma di sicuro nulla che abbia a che fare con matematica, fisica e tutte le materie scientifiche. Non fanno per me»
«Ed hai scelto un liceo scientifico» sospirò e scosse la testa sconsolata.
Certo la mia non era stata una decisione saggia. Quando frequentavo le medie volevo diventare un medico, ma subito al primo liceo avevo cambiato idea. E vedendo la signora Vitrano e suo figlio la scartai, la cancellai dalla liste delle possibili facoltà. Non volevo diventare una donna insensibile e senza cuore.
«Està per iniciàr el programa del señorito» Consuelo interruppe quel colloquio non proprio piacevole la ringraziai mentalmente. La donna si spostò nell'ampio salone e andò ad accendere lo stereo. La voce di Dario riempì la casa, ma non fui in grado di gioire nel sentirlo. Tutta colpa di quelle foto che avevo visto e per le parole di Mauro. Andai anche io in salotto e, non appena abbandonai la cucina, sentii una sedia strisciare per cui mi fermai proprio vicino alla porta.
«Se tu non metti in mezzo tuo figlio non sei felice» disse Salvatore contrariato.
«Quel ragazzo è un fallito» rispose sprezzante la moglie.
«E parte della colpa è tua che non lo hai mai accettato» la rimproverò e mi sarebbe piaciuto agitare dei pon pon colorati per un po' di supporto.
«Lo sai il perché» sibilò Nicoletta alzandosi anch'essa dal tavolo.
«No, non lo so, in verità» ci fu una lunga pausa, poi il signor Vitrano ricominciò a parlare «Nemmeno io lo volevo, se è per questo. Ma è mio figlio e non lo abbandonerei mai come hai fatto tu»
«Ma sentilo!» esclamò la moglie «Tu sei il primo che lo ha lasciato a se stesso. È stato cinque anni lontano di casa e non ti è fregato nulla. Quando è successo quell'incidente alla nipote di Campanella tu sei stato il primo a voltargli le spalle» gli rinfacciò con rabbia «Quindi non fare il santarellino. Anche tu hai le tue colpe»
«Mi ha quasi rovinato la carriera. Solo per quello mi sono arrabbiato con lui. Ma mi sembra che chi lo abbia chiamato ogni sera fossi stato io»
«Che grande sforzo» ribatté Nicoletta alterata «A te avrà quasi rovinato la carriera, ma a me ha rovinato la vita».
Fu l'ultima cosa che sentii perché mi allontanai, sedendomi pesantemente sul divano. Non era stata affatto una buona idea quella di origliare. Suo padre sembrava l'unico che si interessasse a Dario, ma forse era solo apparenza dato che aveva anteposto la sua carriera a suo figlio. Mentre l'odio sella signora Nicoletta era palpabile e non riuscivo a capirne il motivo. Che tanto non avrei mai capito, perché nessuno mi avrebbe concesso l'onore di saperlo.
Mi abbandonai sbuffando allo schienale e chiusi gli occhi. Le tempie mi pulsavano e mi faceva male la testa. Troppi dubbi, troppe domande, troppe immagini, troppe parole.


Il pomeriggio trascorse tranquillo. Passai qualche ora al telefono con Claudia e Cristina che avevano voluto che raccontassi loro tutti i particolari della mia prima volta. Ed io le avevo accontentate, con un po' di imbarazzo. Poi uscii con Dario e andammo a mangiare un gelato insieme. Non gli dissi nulla, né delle foto che avevo trovato dietro i poster, né del dialogo che avevo avuto sia con Mauro che con sua madre. Era stata un'uscita strana. Entrambi fingevamo di essere felici, ma nessuno dei due in realtà lo era, per motivazioni diverse.
Cominciai a prepararmi per scendere a cena, anche se non riuscivo a distogliere lo sguardo dai poster appesi alle pareti. Sole era ovunque. Nei miei pensieri, in quella stanza, nel cuore di Dario, ed ero sicura che non sarei mai stata in grado di prendere il suo posto. E questo mi faceva male perché Dario non mi avrebbe mai amata completamente, perché lui avrebbe sempre avuto in mente lei e non me. Allacciai i pantaloni bianchi e afferrai una maglietta di raso elegante color rosa salmone. Non feci nemmeno in tempo ad indossarla che Dario mi arrivò alle spalle e mi abbracciò, baciandomi il collo con una dolcezza estrema. La sua pelle era ancora umida e il contatto della mia schiena con il suo petto mi fece rabbrividire. Chiusi gli occhi, ma non riuscii ad abbandonarmi a lui completamente come mi accadeva prima di mettere piede a Roma. Magari la causa del mio malumore era dovuta solo al mio pessimismo. Insomma, lui mi aveva chiaramente detto di aver chiuso con il suo passato, che Sole apparteneva alla sua vita precedente e che ora voleva solo me al suo fianco. Eppure non riuscivo a non pensare al fatto che avremmo potuto rincontrarla da un momento all'altro e che lui mi avrebbe mollato per Sole.
«Scusami, piccola» mi sussurrò riempiendomi la guancia di baci.
«Per cosa?» domandai confusa e svogliata al tempo stesso. Quella sera non ero in vena di smancerie.
«Un po' per tutto» rispose ed appoggiò il mento sulla mia spalla «Per l'accoglienza, per mio fratello odioso e perché non ti sono di molta compagnia» sospirò.
«Ma figurati» lo tranquillizzai e mi voltai di lato schioccandogli un bacio sul naso.
«Oggi sono stato davvero una seccatura» sbuffò.
«Non devi preoccuparti, davvero. Capisco che non dev'essere facile per te tornare in una casa da dove sei scappato»
«No, non lo è affatto. Immaginavo che sarebbe stato traumatico, ma non così tanto. E ho avuto solo il piacere di parlare con mio fratello. Tu pensa stasera che rivedrò mia madre» la sua voce si abbassò, sfiorando i toni della malinconia.
Nonostante tutte le mie paure non potevo abbandonarlo, non dopo che avevo capito quanto fossero stronzi Mauro e Nicoletta. Non dopo aver sentito sua madre parlare con tanto disprezzo di lui. Mi voltai di scatto e trovai il suo viso a pochi millimetri dal mio. Appoggiai le mani sulle guance e annegai nel suo sguardo profondo quanto un abisso oceanico. I suoi occhi cercavano nei miei la sicurezza, la forza per affrontare quel covo di serpi, l'affetto che gli era venuto a mancare.
«Ci sono io con te. Non permetterò a nessuno di farti soffrire ancora»
«Grazie, Alice» il suo sorriso era disarmante, così dolce, così triste da allontanare dalla mia mente gli occhi di Sole che, dalle pareti, ci stava osservando «Sul serio. Sei la mia forza. Con te al mio fianco mi sento invincibile».
Come potevo dubitare di lui e dei suoi sentimenti quando mi diceva certe cose? Era chiaro che lui tenesse a me, che sentisse qualcosa per me ed avrei anche accettato, sopportato di essere solo la seconda nei suoi pensieri e nel suo cuore pur di stargli accanto.
«Sarò il tuo scudo, amore mio. Ti proteggerò sempre e comunque perché tu meriti di essere felice» gli dissi e quelle parole scaturirono dal mio cuore con tanta, troppa naturalezza.
«Anche tu lo meriti. E farò di tutto perché tu lo sia» mi confessò e mi baciò lentamente succhiandomi il labbro inferiore. Il suo sapore solleticò le mie papille gustative e sembrava ancora più dolce delle volte precedenti «Per cui, niente musi lunghi» ridacchiò «Mi farò scivolare addosso tutto quello che diranno perché questo è il nostro momento, è la nostra vacanza e non voglio che venga rovinato né da me né da chiunque altro»
«Ben detto» affermai fingendomi seria, poi scoppiammo a ridere. Finalmente un momento di tranquillità tra noi due, un attimo che era solo nostro, senza la famiglia Vitrano e senza Sole. Solo Alice e Dario.
Mi appropriai delle sue labbra e lo baciai con tutto l'amore che avevo, con tutta la passione che mi scorreva nelle vene, con la voglia di Dario che inebriava i miei sensi. Le sue mani si muovevano lente sulla mia schiena e le sue dita provocarono intensi fremiti che scossero la mia spina dorsale. Percorsi i suoi fianchi, soffermandomi sui suoi muscoli appena accennati, e scivolai verso le anche alle quali era stato annodato un asciugamano. Di troppo, avrei aggiunto. Cercai comunque di darmi un contegno e risalii lungo le sue spalle forti dove mi fermai.
Un tossicchiare appena accennato ci fece sobbalzare e ci ritrovammo abbracciati a guardare la porta della camera di Dario dove c'era immobile e sorridente Mauro.
«Tu bussare mai, eh?» disse brusco il mio ragazzo.
«Mi dispiace interrompervi piccioncini, ma la cena està lista» ci avvisò con un tono di voce talmente bonario che spiazzò entrambi «Non vorrete perdervi la sorpresa»
«Quale sorpresa?» domandò dubbioso Dario.
«Vedrai, fratellino mio» gli rispose dolcemente.
Ci sorrise e sparì dalla camera da letto. Io e Dario ci guardammo sorpresi e ridacchiammo increduli entrambi. Non lo conoscevo da molto tempo, ma credevo di aver inquadrato Mauro e la sua stronzaggine. Invece era stata una sorpresa vederlo così tranquillo e vedere quel sorriso sincero sulle sue labbra. Perfino Dario non poteva credere ai suoi occhi.
«Mio fratello è ubriaco» fu il suo commento divertito.
Lo allontanai da me con estrema delicatezza e indossai finalmente la maglia mentre lui fece cadere l'asciugamano per terra rimanendo completamente nudo. Rimasi a fissarlo imbarazzata, rossa più di un peperone ed annaspai in cerca di quell'aria che sembrava fosse sparita.
«Che, che stai facendo?» domandai intimidita, rigida quanto un tocco di legno.
«Mi vesto» rispose con fare ovvio e tirò fuori dal cassetto un paio di boxer puliti.
«Ti sei denudato davanti a me!» esclamai indignata.
«Mi sembra che non ci sia niente qui che tu non abbia mai visto» replicò divertito guardando a sud dell'equatore.
In effetti aveva ragione, ma quando avevamo fatto l'amore era stato tutto diverso, era stato naturale e non avevo provato il minimo imbarazzo. Trovandomelo, però, nudo di fronte agli occhi così di sorpresa mi spiazzò e destabilizzò. Scrollai la testa e mi diressi svelta alla porta, cercando di mantenere lo sguardo sul pavimento.
«Ti aspetto giù» dissi e mi precipitai lungo la rampa di scale.
La grande sala da pranzo si trovava accanto alla cucina ed era di una raffinata eleganza. Molto probabilmente quel mobilio così bello era stato scelto dal buon gusto della signora Vitrano. Un lungo tavolo era posizionato al centro della sala e attorno c'erano diverse sedie, mentre un lampadario di cristallo sovrastava il tutto. Un'enorme finestra sul lato sinistro si affacciava direttamente sulla piscina in giardino illuminata da alcuni faretti. Ogni volta mi sentivo come “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Quella casa era qualcosa di magnifico e tutto quel lusso mi faceva sentire sempre di più la protagonista di una favola.
«Buonasera» mi salutò Mauro, alzando un calice contenente un goccio di vino.
«Buonasera» dissi imbarazzata e rivolsi un sorriso ad ogni commensale.
Mauro e il signor Salvatore ricambiarono, mentre Nicoletta mi ignorò completamente. Mi strinsi nelle spalle e guardai a lungo le sedie attorno al tavolo senza sapere dove accomodarmi. Finché Mauro non picchiettò su quella accanto a sé, invitandomi a sedere vicino a lui. Da stupida qual ero accettai anche se quel ragazzo era più urticante del peperoncino o di Davide Saronno. Ma non potevo declinare il suo invito perché sarei apparsa come una maleducata e già non ero nelle simpatie delle padrone di casa.
«Com'è andato il turno, figliuolo?» domandò Salvatore rivolto a suo figlio.
«Molto bene, grazie»
«La signora Girolamo ti ha ancora fatto la corte?» entrambi ridacchiarono e la risata di Mauro mi sembrò così cristallina che mi era impossibile credere che appartenesse ad una persona cattiva come si era mostrato. Magari anche lui mostrava solo una parte di sé come faceva Dario e magari era anche piacevole passare del tempo con lui. Senza che me ne rendessi conto appoggiai la guancia la palmo della mano e lo fissai quasi adorante. Era di una rara bellezza, anche più bello di Dario e i suoi occhi azzurri non mi sembrarono poi così tanto glaciali, ma solo caldi ed avvolgenti.
«Sì. Mi ha chiesto se voglio sposarla» rispose divertito Mauro «Le ho detto di sì e adesso aspetta l'anello. Spero che domani si sia dimenticata di questa promessa di matrimonio, anche perché non voglio nemmeno immaginare la prima notte di nozze con una signora di ottantatré anni» scoppiammo a ridere tutti, compresa Nicoletta e per la prima volta da quando ero in quella casa mi sentii a mio agio.
Proprio in quel momento, mentre ci stavamo divertendo con gli aneddoti amorosi tra Mauro e la signora Girolamo, Dario entrò in sala da pranzo tutto sorridente e le risate cessarono di colpo.
«'sera, family» disse e si sedette davanti a me, lanciandomi un bacio.
L'allegria generale era stata sostituita da una certa tensione. Tranne da parte mia, ovviamente, che sembravo l'unica ad essere felice che Dario fosse arrivato. Nicoletta si sistemò il tovagliolo sulle ginocchia, Mauro prese il suo bicchiere e bevve un altro sorso di vino mentre Salvatore si mise a fissare l'orologio. Il mio ragazzo capì che la ragione per cui era piombato il silenzio era il suo arrivo e il suo sguardo s'incupì.
«Continuate pure a ridere» disse con un filo di voce «Anche se stavate parlando di me»
«Raccontavo solo della signora Girolamo» disse Mauro e un sorriso si dipinse sul suo volto «Te ne ho mai parlato, fratellino?».
Dario corrugò lo fronte ed afferrò una fetta di pane dal tagliere. Oramai ero in grado di decifrare ogni sfumatura di quelle bellissime iridi color carbone. E in quel momento, nei suoi immensi occhi neri potevo leggere stupore dettato dallo strano atteggiamento di suo fratello. Scosse la testa impercettibilmente ed addentò il pane.
«È una signora tanto dolce. Si è innamorata di me e vuole diventare la signora Vitrano» ridacchiò e Dario con lui.
«Lo sai, Alice, che Mauro ha fatto parte di Medici senza frontiere e che adesso è uno dei migliori cardiologi del Gemelli?»
E rieccola a venerare il suo adorato figlio. Proprio quando era arrivato Dario. Cercava di metterlo in cattiva luce, ma alla sottoscritta non importava nulla di un pezzo di carta chiamata laurea.
«Buon per lui» dissi con un sorriso.
«E inoltre...» riprese, ma Mauro la interruppe subito.
«Basta mamma. Ad Alice non importa nulla del mio lavoro» e mi rivolse un sorriso «Preferisce parlare del suo Dario»
Mauro puntò i suoi occhi in quelli del fratello. Chiaro e scuro, azzurro nel nero. Rimase in silenzio quel tanto che bastò a Consuelo per servirci un invitante spezzatino, poi, finalmente parlò.
«Come mai hai deciso di fare il Deejay?» gli chiese «Avevi un'attività, perché chiuderla».
Dario cercò il mio sguardo e deglutì a fatica un po' di patate. Era in soggezione, soprattutto per gli occhi giudicatori della sua famiglia puntati addosso. Sorrise nervosamente e si sistemò sulla sedia come se fosse fatta di carboni ardenti.
«Ho... ho vinto un concorso» disse atono «E il negozio non andava poi così bene»
«Ah, capisco» esclamò Mauro che sembrò sorpreso. Mangiò un pezzo di carne e lo innaffiò con del vino, poi tornò a guardare suo fratello e lo indicò con la forchetta. Ogni movimento di Mauro mi metteva ansia, così come a Dario. Era come se lui cercasse di scoprire la verità ed entrambi eravamo sicuri che era in grado di tendergli un tranello per smascherare la sua bugia.
«È un bel lavoro quello del Deejay» disse, invece e tirai un sospiro di sollievo «Particolare. Insomma, non se ne trovano molti in giro. E sei anche parecchio bravo. Ti ascolto sempre la mattina».
Possibile che quello fosse lo stesso Mauro che avevo conosciuto la sera prima? L'odio che provava nei confronti del fratello sembrava sparito magicamente, sostituito da uno strano amore fraterno che stupì me, ma soprattutto il mio ragazzo. Alternava degli sguardi dubbiosi verso di me e altri più sereni a Mauro. Era come vedere due veri fratelli e forse Dario aveva sempre sperato che accadesse, un giorno o l'altro, che Mauro lo accettasse e lo amasse per come era. Mi sentii felice nel vederlo così sorridente, così in armonia con la sua famiglia – esclusa Nicoletta che si ostinava ad ignorarlo – e, tutte le parole che Mauro mi aveva detto, tutti i dubbi che mi aveva insinuato, tutte le immagini di Sole mi sembrarono solo un lontano ricordo. Se lui era felice, io ero felice. Era quello l'importante per me: vederlo tranquillo e sorridente.
«Ma di quale sorpresa parlavi prima?» domandai, inserendomi finalmente nel discorso.
«Quale sorpresa?» disse curioso il signor Vitrano.
Mauro si tamponò le labbra con il tovagliolo, poi sorrise sornione.
«Ve la mostrerò dopo cena, quando Consuelo servirà il dolce in salotto»
«Non puoi darci un indizio?» indagò la madre, cercando però di non mostrare troppa curiosità.
Lui scosse la testa e ridacchiò. Sembrava di buon umore quella sera e non sapevo proprio cosa aspettarmi da lui. Magari anche lui aveva trovato una ragazza oppure era qualcosa legato al suo lavoro. Fortunatamente la cena trascorse in tranquillità ed in armonia, a parte per le frecciatine che di tanto in tanto Nicoletta scagliava a Dario. Ma lui, come aveva detto in camera, si fece scivolare tutto addosso, non le diede ascolto e sembrava più felice quando non stava ascoltare le sue critiche. Era parte della famiglia Vitrano, dopo tanto tempo e solo Nicoletta pareva essere stata esclusa da quel quadretto familiare. I tre uomini parlavano tra di loro di sport e altri discorsi poco interessanti per me. Erano in armonia, come se con Dario non ci fossero mai stati dissapori.
Erano le dieci quando ci spostammo in salotto dove Consuelo portò un vassoio con del caffè nero bollente e delle fette di torta al limone. Io e Dario ci accomodammo sul divano, mentre i due coniugi sulle poltrone posizionate una di fronte all'altra. Mauro invece era rimasto in piedi e sorseggiava il suo caffè, lanciando occhiate ad ognuno di noi come se stesse sondando la nostra curiosità.
«Allora?» domandò impaziente Dario.
«Vi ho incuriositi, eh?» disse con sguardo furbo.
Bevve l'ultimo goccio di caffè e appoggiò la tazzina nel vassoio. Poi prese due piattini con le fette di torta e li diede ai suoi genitori, lo stesso lo fece con noi. Dario mi guardò perplesso ed io scrollai le spalle. Nessuno di noi riusciva a capire che cosa avesse in mente Mauro, per cui cominciammo a mangiare la torta attendendo con trepidante attesa.
«Diciamo che è da un po' che avevo in mente di farvi questa sorpresa. Ma volevo aspettare che il figliol prodigo tornasse a casa» e puntò i suoi occhi su Dario che ingoiò il suo boccone a fatica e mi strinse una mano, impedendomi di mangiare quella favolosa torta.
Mauro estrasse dalla tasca della giacca elegante un foglio spiegazzato e lo sventolò davanti ai nostri occhi.
«Ecco la vostra sorpresa. L'ho trovato grazie ad una mia collega. Volevo farle un regalo per un addio al nubilato e ora eccola qui tra le mie mani, questa sorpresa».
Più i secondi passavano e più gli occhi di Mauro perdevano quel dolce fascino che aveva durante la cena, ritornando ad essere glaciali. Quell'innocuo foglio cominciò ad incutermi un certo timore, anche se non ne sapevo il motivo. E Dario era del mio stesso avviso, dato che strinse maggiormente la mia mano. Mauro spiegò il foglio e si schiarì la voce.
«Età: 23 anni. Capelli: castani. Occhi: neri. Uno gigolò non è solo un ottimo amante, ma soprattutto un uomo in grado di ascoltare la propria donna, di farla sentire unica anche con un sorriso, con un tocco, con un semplice bacio...».
Piano piano capii che cosa fosse quel foglio. Era il profilo di Dario, quello che avevo trovato su quel sito di accompagnatori. La stretta del mio ragazzo si fece sempre più intensa, man mano che Mauro leggeva quella sua presentazione. Mi sembrava strano che Mauro fosse cambiato così da un momento all'altro. Era solo la quiete che preannunciava una tempesta catastrofica, che avrebbe gettato quella famiglia ancora più nello scompiglio. Prima che Mauro finisse di leggere, il mio ragazzo si alzò di scatto dal divano con il viso contratto in un'espressione delusa e arrabbiata al tempo stesso. Suo fratello gli aveva fatto credere di aver dimenticato i loro dissapori durante la cena, ma solo per rendere più dolorosa la stoccata finale. Gli afferrò il foglio dalle mani, strappandolo e lasciandone un piccolo pezzo tra le grinfie di Mauro. Ma non ebbe il tempo né di accartocciarlo, né di dire nulla a suo fratello che Nicoletta glielo strappò di mano furtiva e lesse con i suoi stessi occhi, soffermandosi sulla foto di suo figlio in cima a sinistra, mentre suo marito si alzava dalla poltrona la raggiungeva alle spalle per sbirciare anche lui.
«Ecco il negozio di cui parlava» disse sprezzante Mauro, affondando le mani nelle tasche della giacca «Vendeva sesso» e soffocò una risata con un mano.
Vidi Dario serrare i pugni e tremare, abbassare lo sguardo per non incontrare quello della sua famiglia. Ero più che sicura che si stesse vergognando in quel momento, che avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra piuttosto che dare un'altra delusione ai suoi genitori.
«Ti prostituivi» disse solamente sua madre in un soffio.
«È vero, Dario?» domandò suo padre e nel suo tono c'era qualcosa di dolce.
Decisi di alzarmi anche io dal divano e raggiunsi il mio ragazzo, abbracciandolo, stringendolo forte a me per fargli capire che io ero lì, ero lì per proteggerlo, così come gli avevo promesso. Lui si appoggiò al mio petto, nascondendosi da loro e dai loro giudizi.
«È vero, Dario?» ripose la stessa domanda.
Tremava tra le mie braccia e mi faceva male vederlo così ferito, così mortificato dagli sguardi inorriditi della sua famiglia. Annuì, in risposta a sua padre, senza però alzare il viso per guardarlo.
«Non mi sembri molto sconvolta, Alice» constatò con disappunto Mauro, mentre i suoi genitori si struggevano davanti a quel foglio, ma non per il loro figlio, bensì per il cognome che portavano.
«No, per nulla» risposi acida, affondando una mano nei capelli di Dario e aumentando la stretta su di lui «Lo sapevo anche senza che me lo rivelassi tu».
Mauro mi guardò dubbioso e con un gesto fluido della mano mi esortò a continuare. I suoi occhi, quei due pezzi di ghiaccio che mi scrutavano con freddezza mi mettevano in soggezione, sentivo perfino il cuore battere all'impazzata. Ma non potevo ammutolirmi davanti a lui, davanti alla famiglia Vitrano. Dovevo tirare fuori le palle e difendere il mio Dario.
«L'ho conosciuto proprio grazie a quel sito» spiegai con un pizzico di imbarazzo, dettato perlopiù dalla situazione «E non mi è mai importato nulla del suo lavoro», deglutii e mi sentii perforare da tre paia di occhi che attendevano che io andassi avanti a parlare, anche se non avevo la benché minima idea di cosa dire. Presi un respiro profondo e mi feci trasportare dal mio cuore, dalle mie emozioni, dal mio amore per Dario «Mi sono innamorata di lui pur sapendo quello che faceva nella sua vita. E non l'ho mai giudicato per questo perché l'unica cosa che mi importava era lui, era Dario, la persona fragile che si nascondeva dietro quello stupido pseudonimo» un discorso un po' prevedibile, forse, ma che sperai potesse toccare il cuore di quelle persone.
«Perché lo hai fatto?» chiese Salvatore, senza nemmeno aver ascoltato quello che aveva detto.
Dario sollevò finalmente lo sguardo dal mio petto e guardò suo padre con due occhi talmente tristi da frantumarmi il cuore.
«Avevo sperperato tutti i soldi del conto corrente per l'Università» ammise con imbarazzo.
Nicoletta si portò una mano sul cuore e per poco non le venne un infarto, ma solo perché quei soldi non erano stati usati per diventare un medico o un qualsiasi laureato.
«E perché non ci hai chiesto aiuto?» domandò con tono quasi disperato.
«Perché tanto ve ne sareste fregati, come al solito. Mi avreste voltato le spalle per l'ennesima volta solo perché non ho voluto seguire le vostre orme. Era l'unica cosa che potessi fare per vivere» la sua voce si abbassò ad ogni parola, diventando quasi un flebile soffio.
«Se tu ti fossi impegnato» lo rimbeccò Nicoletta «Tu immagina solo se la gente venisse a scoprirlo. Che vergogna sarebbe per noi, eh?»
«Il primo che si vergogna, qui, sono io» replicò serio Dario.
«Io non capisco come facciate a non interessarvi a vostro figlio! Cazzarola, quello che vi importa è solo il vostro dannatissimo cognome! Siete solo degli egoisti!» sputai con disprezzo e mi ero trattenuta perché senno sarei saltata loro alla gola.
«Io mi sono sempre interessato a lui!» sbraitò Salvatore «E non intrometterti nella nostra vita. Tu non sai nulla»
«Già, non so nulla di voi. Ma so che lei è stato il primo a voltare le spalle a suo figlio per la storia di Campanella» gli rinfacciai soddisfatta. Ogni tanto origliare portava a dei frutti.
Salvatore sgranò gli occhi e si ammutolì, mentre Dario tra le mie braccia si irrigidì. Dovevo ammettere che ero curiosa di sapere cosa fosse successo con tale Campanella, ma quello non era il momento di curiosare. Lo avrei saputo solo se fosse stato lui a dirmelo, senza che fossi io a chiederlo. Feci scivolare la mia mano lungo il suo braccio fino ad incontrare le sue dita. Era meglio uscire da quella casa, prendere una boccata d'aria e magari non tornarci mai più. Lo trascinai per tutto il salotto verso la porta di ingresso.
«Sei una delusione, Dario» disse Mauro «E anche tu, Alice, che ti accontenti di un fallito come lui».
E fu in quel momento che Dario lasciò la mia presa e si avvicinò minaccioso a suo fratello, con il pugno caricato pronto a colpire un Mauro impassibile e per nulla spaventato.
«Dario, no!» urlai. Non volevo che si arrivasse addirittura alle mani. Il clima era già abbastanza teso senza scazzotate.
Il suo pugno serrato si fermò a mezz'aria e la sua mano tremò. Rimase fermo in quella posizione e si voltò a guardare nei miei occhi spaventati, nei miei occhi che lo pregavano di non spingersi troppo oltre. Abbassò il braccio e si limitò a guardare con rabbia suo fratello. Poi mi raggiunse, mi prese per un polso e mi trascinò fuori da lì, percorrendo a grandi falcate il viottolo di ghiaia ed uscendo dal giardino di quell'immensa villa. Fuori dal cancello in ferro battuto era ancora parcheggiata la Mito e per una frazione di secondo ebbi voglia di salirci sopra insieme a Dario, tornarcene a Milano e lasciarci alle spalle la famiglia Vitrano, chiudere per sempre con loro e dimenticare che esistessero. Ma quell'idea fu scacciata da un forte rumore metallico che mi fece sobbalzare. Era stato Dario che aveva preso a calci il cerchione dell'auto e non sembrava voler smettere. Si stava sfogando con rabbia e frustrazione su quel pezzo di metallo, emettendo dei suoi simili a dei lamenti.
«Amore, amore, amore» cercai di richiamarlo prendendogli il braccio «Stai tranquillo amore»
«Come cazzo faccio a stare tranquillo?» sbraitò dando un pugno alla carrozzeria metallica.
«Non ne vale la pena prendersela. Loro non ti hanno mai accettato in qualsiasi caso, che tu fossi stato un gigolò oppure un commerciante» gli dissi con tono dolce, avvinghiandomi al suo braccio teso.
Mi faceva male vederlo così, era più doloroso di un coltello conficcato in profondità nel petto. Nonostante i miei sforzi di farlo calmare, lui continuò a sfogarsi con rabbia contro la sua auto, sballottandomi senza ritegno, quasi se io non fossi lì con lui.
«È sempre la mia famiglia, cazzo!» urlò.
«Come puoi chiamarla famiglia?» dissi indignata, allontanandomi da lui. «Non vedi come ti trattano? Non vedi come ti disprezzano? Tu porti solo il loro cognome ma non gli appartieni. Avevi detto che ti saresti fatto scivolare addosso tutto, che non gli avresti dato ascolto». Lo accarezzai su una guancia, scivolando sotto il mento e alzandogli il viso per potermi specchiare in quelle distese di mare nero.
«Ma a quanto pare non è facile come sembra» sibilò, serrando i pugni.
«Davvero, Dario. Non badare a loro. Non meritano la tua rabbia, la tua frustrazione e non meritano te» mormorai con un sorriso «Tu sei uno spirito libero, non hai bisogno di loro. Te la sei sempre cavata da solo»
«No, non è vero. Io non sono uno spirito libero» soffiò, più tranquillo «E non me la sono cavata per nulla. Ho scelto la strada più semplice e ho fatto il gigolò. Purtroppo io non so badare a me stesso»
«È invece è così. Hai trovato la forza e sei riuscito a dare una svolta alla tua vita. E questo ti fa tantissimo onore» tutte quelle cose che stavo dicendo scaturivano dal cuore. Era lui che parlava in quel momento, non il mio cervello.
«È solo grazie a te se ci sono riuscito» disse in un soffio e finalmente sorrise. Era solo accennato, ma era già un passo avanti «Sei tu che mi hai salvato Alice».
Mi morsi il labbro e sfiorai le sue in un dolce e breve contatto. Avevo bisogno di sentire il suo sapore anche per un solo secondo e lui aveva bisogno di sapere che io non lo avrei abbandonato mai e poi mai. E non lo avrei fatto perché stando con lui mi sentivo viva, mi sentivo finalmente completa e una vita senza Dario non poteva chiamarsi vita.
«Siamo noi l'importante, non loro. Solo noi e nient'altro, capito?» mormorai senza perdere il contatto visivo con lui «E sai perfettamente che a me non importa se eri un gigolò. Non ti ho mai giudicato e non lo farò mai. Io ti amo così come sei».
Dario respirò profondamente, poi mi attirò verso di lui e mi abbracciò forte, affondando il viso nell'incavo del collo e insinuando una mano tra i miei capelli. Ricambiai la stretta, accarezzandogli la schiena. Entrambi avevamo bisogno di quel contatto fisico, avevamo bisogno del calore dell'altro. Soprattutto lui che in quel momento era più fragile di un cristallo e il minimo urto avrebbe rischiato di farlo andare in mille pezzi.
«Che ne dici se andiamo a fare un giro?» gli proposi «E stiamo un po' lontani dalla villa degli orrori?».
Dario ridacchiò e sciolse l'abbraccio, assaporando per un attimo le mie labbra.
«Andiamo» disse con un sorriso e mi strinse la mano, accompagnandomi per le vie della sua città, per quelle vie che racchiudevano tutti quei ricordi che non mi era permesso conoscere. Ma poco mi importava. Volevo stare con lui, sentirlo accanto a me e di tutto ciò che riguardava io suoi amori passati non mi interessava più. O almeno cercavo di non farmelo interessare. Mi appoggiai alla sua spalla e chiusi gli occhi per sentire il suo profumo.
Camminammo a lungo, anche se non saprei dire per quanto tempo o quanti metri. Lo spazio e il tempo quando ero insieme a lui erano praticamente insignificanti, erano il nulla confrontati con Dario. Potevano passare dei secondi oppure addirittura secoli che io non me ne sarei accorta. Raggiungemmo un'enorme piazza, sovraffollata di gente e rimasi affascinata da quella visione. Da quella fontana leggermente illuminata, da quelle eleganti sculture che la sovrastavano, dall'enorme palazzo che c'era alle sue spalle. L'avevo vista parecchie volte in tv e avevo sempre desiderato vederla con i miei occhi. Era magnifica e Dario rendeva quella visione ancora più meravigliosa.
«È la fontana di Trevi» dissi estasiata.
«Vedo che hai studiato, Livraghi» replicò fingendosi serio.
«Certo professore. Mi sono preparata su tutta la storia di Roma prima di venire qui» risposi ironica.
«Oh ma che brava alunna» esclamò divertito «E in anatomia come è messa?» aggiunse malizioso, sussurrandomelo all'orecchio.
Mi schioccò un lungo bacio sulla guancia carico di passione quasi volesse farmi intendere che volesse più di un semplice contatto con la mia gota. Se non ci fosse stata tutta quella gente molto probabilmente avremmo finito con il fare l'amore perché anche io sentivo la voglia di Dario sotto la mia pelle espandersi in ogni vena, ogni arteria, mescolarsi con il mio sangue raggiungendo tutti gli anfratti del mio corpo.
«Il minimo indispensabile» risposi con il suo stesso tono e feci combaciare le nostre labbra in un bacio lento, in un lungo e profondo assaporarsi. La discussione in casa Vitrano era solo un lontano ricordo per me e, speravo, anche per lui. C'eravamo solo noi due, il resto non contava niente. Mauro, Nicoletta, Salvatore, Sole. Nessuno di loro era importante in quel momento, eravamo noi i soli protagonisti di quella storia ed eravamo sempre noi che avevano in pugno la penna. L'avremmo scritta io e Dario quella favola, senza l'intromissione di nessuno.
«Era un'allusione ad un determinato apparato?» chiese con una voce tremendamente sensuale che mi fece rabbrividire.
«Vedila come preferisci» replicai ed ammiccai.
Dario mi strinse maggiormente a sé e mi sollevò da terra, affondando il viso nel mio seno. Mi lasciai sfuggire un urlo che attirò l'attenzione di tutti e mi imbarazzai nel vedere tutte quelle persone che ci guardavano come se fossimo appena scesi da una navicella spaziale.
«Dio, quando ti voglio!» esclamò baciandomi nella scollatura «Peccato che ci siano tutti questi guardoni» borbottò guardando di sbieco alcuni ragazzi che ci passavano accanto.
«Già, è un vero peccato» concordai e gli morsi la punta del naso «E dato che non possiamo fare nulla, mettimi giù e continuiamo la passeggiata»
«Non possiamo appartarci da qualche parte?» mi supplicò con tono infantile.
«No, Dario!» ero stupida, lo sapevo. Avrei dovuto accettare quell'invito al volo, ma preferii una serata tranquilla tra quattro chiacchiere piuttosto che tra “quattro ansimi”. Dario annuì mestamente e mi fece toccare finalmente l'asfalto. Mi strinse le mani e andammo a sederci sul bordo della fontana, di fianco ad un paio di ragazze infoiate che si erano mangiate con gli occhi il mio ragazzoAvrei voluto alzarmi e far loro il gesto dell'ombrello, vantandomi del fatto che lui fosse con me e non con una di loro 'bimbeminchia'. Ma il braccio di Dario che mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui me lo impedì. Appoggiai la testa al suo petto e non mi importò più di nulla. Mi accarezzò i capelli e mi baciò la fronte, dolcemente. Gli sbalzi di umore in Dario erano una costante. Prima era tutto eccitato, poi si trasformava d'un tratto in una zolletta di zucchero.
«Ero talmente preso dal ritorno a Roma e dalla mia insulsa famiglia da non interessarmi a te» disse quasi affranto. Non capivo che cosa intendesse, ma non ebbi il tempo di domandare che lui mi precedette «I tuoi sono separati. Non ti ho nemmeno chiesto come vivi questa situazione».
Rimasi spiazzata da quella frase. Non avevo mai parlato a nessuno della separazione de i miei, solo a Benedetta. Mi faceva male ricordare il giorno in cui mio padre se n'era andato via di casa sbattendo la porta. Ancora avevo impressa in mente la mia immagine riflessa nello specchio mentre piangevo per quello che credevo fosse un abbandono. In realtà mio padre era sempre stato un genitore presente, non mi aveva mai fatto mancare nulla e con il tempo quella ferita si era rimarginata.
«È successo quando avevo dodici anni» sospirai «Era da un po' che tra i miei genitori non andava affatto bene. Litigavano sempre anche per le cose più futili e la causa di tutto era l'opprimente gelosia di mio padre. Un pomeriggio è successo il finimondo. Una litigata furibonda, si sono rinfacciati di tutto e mia madre gli ha detto Se non sono felice è per colpa tua. Così lui ha preso la sua valigia e se n'è andato» scrollai le spalle ed abbassai lo sguardo. Non credevo che parlarne di nuovo potesse farmi così male. Ormai erano passati sei anni, eravamo tutti contenti nonostante la lontananza.
«Ci sei stata parecchio male?» mi chiese apprensivo, schioccandomi un bacio sulla fronte.
«Sì, tanto. Anche perché ero legatissima a mio padre e pensavo che, una volta uscito di casa, si sarebbe dimenticato di noi. Invece è sempre stato presente, ma non era la stessa cosa, ovviamente» sospirai affranta. «Ormai è tutto passato. Siamo felici così, più o meno», alzai il viso verso di lui e gli sorrisi.
«Non deve essere stato per nulla facile accettare quella situazione» disse flebilmente accarezzandomi la spalla.
Mi faceva piacere che lui si interessasse alla mia vita, era come se cercasse di capire la famiglia Livraghi, come se volesse entrare a far parte della mia esistenza. Quello che non sapeva era che lui ne era già parte integrante, che lui era la mia vita.
«Già» soffiai «Ma almeno io ho avuto una famiglia, nonostante tutto, tu nemmeno quella. Non riesco a capire perché ce l'abbiano così tanto con te»
«Non lo so nemmeno io. Continuavano a ripetermi che ero un errore, ma non ho mai capito il motivo per il quale mi trattassero che se avessi rovinato loro la vita» rispose malinconico.
«Se solo la smettessero di guardarti come se fossi solo un dannato incidente, capirebbero che persona splendida sei» dissi guardandolo dritto negli occhi e vedendo qualche scintilla lucente illuminargli lo sguardo.
«Tu dici così perché sono il tuo ragazzo» scosse la testa e sfuggì ai miei occhi. «Insomma, loro non mi hanno mai calcolato più di tanto ma io non ho mai fatto nulla per farmi accettare. Anzi, ho sempre creato un sacco di guai. Per cui mi viene da pensare di essere davvero uno stupido errore».
Si morse il labbro inferiore e si passò una mano tra i capelli. Ecco! Eravamo riusciti a ritrovare il sorriso ed io come una stupida avevo tirato fuori di nuovo l'argomento famiglia. Ero una cretina patentata che non riusciva a tenersi la bocca cucita!
«Ehi, no!» lo richiamai e gli presi il viso tra le mani «Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu non sei un errore, sei un dono. Il mio dono più bello».
Dario accennò un sorriso ed arrossì teneramente.
«Sei esagerata» borbottò imbarazzato.
«No. Sono innamorata, è diverso» lo corressi soddisfatta.
Dario si morse il labbro e mi afferrò la mano costringendomi ad alzarmi. Confusa lo seguii sopra il bordo della fontana e rimanemmo uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue. Confusa lo seguii verso la fontana davanti alla quale ci fermammo, uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue.
«Ti va di esprimere un desiderio?» mi chiese con un sorriso meraviglioso indicando con il mento l'acqua azzurrognola.
«Non dirmi che crederai a queste cavolate!» lo ripresi ridacchiando.
«Dai, provaci! Magari si avvera»
Senza aspettare una mia risposta, estrasse dalla tasca dei jeans due monete da venti centesimi e me ne porse una. Si voltò di spalle ed io lo imitai.
«Al mio tre chiudiamo gli occhi ed esprimiamo un desiderio» disse ed io sospirai «Uno, due, tre».
Entrambi chiudemmo gli occhi e, seppur non avevo mai creduto alla storia della monetina, la strinsi forte nel palmo e desiderai che mi dichiarasse il suo amore, semmai lo provasse per me. Ma tanto sapevo che non si sarebbe mai avverato un bel nulla. Lanciai la moneta nella fontana e riaprii gli occhi, ritrovandomi quelli di Dario sorridenti poggiati su di me.
«Che hai desiderato?» domandai curiosa.
«Non si può dire, sennò non si avvera» mi fece un occhiolino e poi mi strinse di nuovo una mano «Ho da dirti una cosa, Alice» disse ed era tremendamente serio. Mi preoccupai per quel tono di voce e per quello sguardo che mi perforò l'anima «Da sempre ho cercato qualcuno che mi capisse, che mi amasse così come sono, con i miei pregi e i miei difetti e che non badasse solo al mio aspetto, ma che andasse in profondità. Credevo che solo Sole fosse in grado di farlo, ma poi ho conosciuto te e mi sono ricreduto. Da quando sono con te mi sento immensamente bene, importante ed amato» fece una lunga pausa durante la quale il mio cuore si fermò per un attimo e si umettò le labbra «Sai, Alice, credo di amarti».
Il tempo si fermò in quell'esatto momento, quando Dario proferì quelle parole che mi penetrarono dritto nel cuore. Rimasi spiazzata, non mi aspettavo quella dichiarazione, nonostante la stessi sognando da tanto, troppo tempo. Niente e nessuno, da quel momento in poi, avrebbe potuto rovinarci, soprattutto non il lontano ricordo di Sole. Non avrei ai dimenticato quel giorno, sarebbe per sempre rimasto inciso nel mio cuore.
29 giugno, quando finalmente quello che c'era tra di noi poteva definirsi amore.
Mi avvinghiai al suo collo e mi alzai sulle punte per baciarlo. L'ennesimo bacio ma che aveva un sapore più dolce rispetto a tutti gli altri, aveva una carica passionale ancora più travolgente dei precedenti e che sapeva di noi, di Alice e Dario al cento per cento. Quella che sembrava una stupidata come lanciare una monetina in una fontana esprimendo un desiderio non era poi una cavolata. Quello che avevo espresso si era avverato, anche se sospettavo che avesse fatto quella sceneggiata perché sapeva bene che cosa avrei desiderato.
«Ti amo» gli dissi, appoggiando la fronte sulla sua.
«Anche io, piccola» mi sorrise «Non sai quant
«Più della mia vita» gli confidai con il fiato corto per tutte le emozioni che stavo provando in quel momento.
«Più della mia vita» ripeté lui.
Ancora una volta le nostre labbra si incontrarono, le nostre lingue si rincorsero, si cercarono e si trovarono poco dopo, sfiorandosi in una maniera estremamente sensuale e dolce.
«Il mio desiderio si è avverato» ammisi con un sospiro «E tu che cosa hai espresso?» tentai di nuovo, curiosa.
«Ti ho già detto che non posso dirtelo, sennò non si avvera!» esclamò lui scompigliandomi i capelli.
Stavo per ribattere, quando però una goccia di acqua gelata si infranse sul mio naso. Alzai lo sguardo al cielo e fu un attimo che altre gocce si scagliarono dal cielo sulla città. Aveva cominciato a piovere e sembrava che volesse venire giù il diluvio universale. Un lampo squarciò il cielo e un suono sordo lo seguì subito dopo. Era un tipico temporale estivo, un temporale in netto contrasto con la quiete che c'era tra me e Dario.
Nel giro di pochi secondi eravamo già fradici per via di tutta l'acqua che scendeva rabbiosa dal cielo. Dario mi afferrò una mano e cominciò a correre, così come tutti gli altri che cercavano riparo. Ma invece di seguire la folla e rifugiarsi sotto dei balconi o dei portici, lui mi trascinò per le vie della capitale. Se fosse stato un qualsiasi altro momento avrei urlato come una pazza, obbligandolo a fermarsi in un luogo che ci avrebbe protetti dal diluvio. Ma quello era senz'altro un istante magico, reso ancora più intenso dalla pioggia battente.
«Dove stiamo andando?» gli domandai, quasi urlando, per sovrastare il picchiettio.
«Non lo so!» mi rispose lui voltandosi e sorridendo.
Svoltò in una piccola via poco illuminata e proseguì a passo svelto. A stento riuscivo a stargli dietro e rischiai di cadere più volte, ma per fortuna non accadde. Nonostante tutto mi stavo divertendo a correre sotto la pioggia, con il fiatone e il cuore che martellava nelle tempie. Raggiungemmo un piccolo parco giochi, anch'esso abbandonato a causa del diluvio e mi appoggiò contro il tronco di un albero, intrappolandomi tra il suo petto e il fusto. Aveva i capelli completamente bagnati ed appiccicati alla fronte, i vestiti fradici che gli aderivano perfettamente al corpo disegnando ogni suo singolo muscolo. Era bello, e l'acqua lo rendeva ancora più affascinante. Mi tolse una ciocca di capelli bagnata dalla guancia e mi sorrise.
«Piove» constatò solo in quel momento «Come quella sera, ricordi?»
«Il nostro primo bacio» rimembrai e mi sembrò di rivedere quelle immagini riflesse nelle iridi nere di Dario.
«Ma questa volta non ci sarà un addio» replicò lui sfiorandomi le labbra con le sue.
«No» scossi la testa e gli sorrisi «Questa volta nessuno ci dividerà»
«Nemmeno un temporale estivo» soffiò, riferendosi con quella metafora agli ostacoli che il destino ci avrebbe messo di fronte.
«Perché il sole tornerà a risplendere subito dopo con più intensità» completai la frase e ci baciammo per l'ennesima volta. Non mi sarei mai stancata di quelle labbra, anzi più passava il tempo e più sentivo la necessità di assaporarle fino a riempirmi al bocca del suo splendido sapore. Era come una droga, che inebriava i miei sensi e offuscava i miei pensieri. Se quello era cominciato come quello che sembrava il mio giorno peggiore, si stava concludendo in un modo inaspettato, nel modo migliore che potessi sperare. Le sue mani scivolarono al di sotto della mia maglietta, accarezzandomi il ventre e risalendo su verso il mio seno dove le sue dita indugiarono sopra la stoffa del reggiseno. Seppur ci fosse quell'ostacolo i suoi polpastrelli riuscirono a mandarmi in estasi in qualsiasi caso. A nessuno dei due importava che pioveva a dirotto, anzi l'acqua che ci scorreva sul corpo alimentava solo la nostra passione. Avevo l'irrefrenabile bisogno di sentirlo dentro di me, di diventare una cosa solo con lui. Avevo bisogno di lui come se fosse acqua, come se fosse aria, la mia aria, l'unica in grado di riempirmi i polmoni e di farmi respirare. Le sue mani scivolarono al di sotto del mio reggiseno e sentii la sua pelle ruvida e bollente a contatto con la mia, le sue dita che si muovevano sinuose sui miei seni facendomi gemere nella sua bocca ed eccitare ancora di più. Purtroppo però la pioggia cessò a poco a poco di abbattersi su Roma e la città, in men che non si dica, venne di nuovo invasa dalla gente che si era nascosta per non beccarsi l'acquazzone.
Dario si staccò dalle mie labbra ed appoggiò la fronte sulla mia, , accarezzandomi il viso con entrambe le mani.
«Sarebbe stato bello fare l'amore sotto la pioggia» disse con un sorriso tirato.
«Un luogo vale l'altro» scrollai le spalle e gli assaporai il labbro inferiore «L'importante è che ci sia tu»
«Oggi sei più smielata del solito» ridacchiò, cingendomi i fianchi e baciandomi di nuovo.
«E non sei felice di sapere quanto tu sia speciale per me?» domandai maliziosa.
«Anche troppo» ammise perforandomi con il suo profondo sguardo color carbone.
Ma lo distolse immediatamente dal mio per puntarlo sul terreno bagnato ed interruppe il nostro abbraccio. Rimasi a fissarlo perplessa mentre la pioggia continuava ad abbattersi su di noi senza sosta. Poco dopo sorrise vittorioso e raccolse da terra una pietra appuntita, avvicinandosi al tronco. Cominciò ad incidere con facilità il legno reso morbido dall'acqua e a poco a poco nacque una scritta irregolare tremante.


29/06/2010
Alice + Dario.


«Così tutti sapranno del nostro amore»
Fissammo quella scritta a lungo, mano nella mano mentre la pioggia cominciava a scemare. Quell'intaglio era una prova di quello che c'era tra di noi, una sorta di promessa d'amore destinato a non finire mai. Speravo perlomeno che fosse così, come speravo che quell'albero in cui erano racchiuse tutte le nostre emozioni e la nostra passione non morisse mai.
«Andiamo a casa?» mi domandò «Siamo fradici»
«Sei sicuro di voler ritornare lì? Non preferiresti magari stare in albergo?»
Dopo tutto quello che era successo in casa Vitrano, il clima lì dentro non poteva essere di certo dei migliori e non ero sicura che Dario sarebbe stato in grado di sopportare anche un'ora lì dentro. Eravamo finalmente felici e non volevo che quelli distruggessero quel muro di gioia. Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Non lo so» e mi strinse la mano ancora di più «Tanto non cambierebbe nulla. A casa, in albergo mi odierebbero comunque»
«Sicuro che riuscirai a sopportare le loro cattiverie?» chiesi sinceramente preoccupata.
«Con te al mio fianco posso superare qualsiasi avversità» mi disse con un sorriso dolcissimo, un sorriso felice e non malinconico.
Mi strinsi a lui talmente forte che sembrava volessi inglobarlo dentro di me. Era bagnato, i vestiti erano fradici ma non mi importava. Ciò che mi interessava era solo stare tra le sue braccia e godere del suo incantevole calore, bearmi del suo dolce odore di vaniglia.
Ci vollero pochi minuti perché arrivassimo davanti alla villa Vitrano e non appena vedemmo il cancello di ferro battuto rabbrividimmo entrambi. Mi abbracciò ancora più forte e prede un respiro profondo, cercando il coraggio dentro di lui di varcare quella soglia. Avevo paura, paura di quello che avrebbero detto, paura di vederlo nuovamente triste.
«C'è sempre l'albergo» gli ricordai, ma lui scrollò la testa.
Citofonò e dopo alcuni secondi sentimmo scattare il cancello. Percorremmo il sentiero di ghiaia a passi piccoli e lenti, stringendoci l'uno all'altro mano a mano che la distanza dalla porta bianca diminuiva. Purtroppo l'uscio arrivò troppo presto e dietro di lei trovammo il signor Salvatore con un bicchiere di cognac in mano.
«Avete fatto una passeggiata?» domandò chiudendo la porta alla nostre spalle.
Dario annuì e cercò di fuggire subito su per le scale, ma suo padre lo bloccò per un polso trattenendolo al piano inferiore.
«Ho bisogno di parlarti Dario» disse con tono serio.
Il mio ragazzo cercò i miei occhi. Era smarrito e non sapeva cosa fare. In realtà nemmeno io sapevo cos'era meglio per lui, ma il signor Vitrano mi sembrava l'unico che si interessasse a suo figlio, almeno un minimo. Annuii, lui seguì il padre sul divano.
«Ti aspetto su» gli dissi «Buonanotte» aggiunsi rivolgendomi ad entrambi che mi risposero con un cenno della mano.
Salii le scale di corsa, ma invece di raggiungere il secondo piano mi fermai a metà rampa, accovacciandomi dietro la ringhiera per origliare. Non era eticamente né moralmente corretto, ma non volevo abbandonarlo e dovevo stargli accanto.
«Devi farmi il cazziatone?» domandò subito Dario con tono brusco.
«No, figliolo» sospirò suo padre «Volevo solo parlare un po' con te»
«Di quel maledetto foglio, immagino» borbottò scocciato il mio ragazzo.
Ci fu una piccola pausa ed immaginai che Salvatore avesse annuito dato il discorso che ne seguì subito dopo.
«La notizia ci ha davvero spiazzati. Insomma non è mai piacevole scoprire che il proprio figlio per mantenersi si prostituisce»
«Chissà che putiferio si sarebbe creato semmai qualcuno lo avesse scoperto. Il cognome dei Vitrano sarebbe stato infangato per l'ennesima volta, non è così?» rispose tagliente Dario.
«In verità, quando ho visto quel foglio non mi sono nemmeno preoccupato per il cognome che portiamo, ma mi sono sentito una vera merda» gli confidò il padre con un filo di voce «E mi sono sentito in colpa perché io sono tuo padre e nonostante questo ti ho voltato le spalle, ho preferito la mia carriera a te. Così non mi sono accorto di quanto tu soffrissi e di cosa sei stato costretto a fare»
«Oh! Dopo cinque anni arrivano i sensi di colpa. Magari avresti dovuto pensarci prima» replicò aspro il mio ragazzo.
«Credevo che te la saresti cavata!» alzò il tono Salvatore, per poi abbassarlo nuovamente ed addolcirlo «Mai, mai avrei pensato che saresti arrivato ad una cosa del genere»
«Scopare è l'unica cosa che so fare nella mia vita» sospirò Dario affranto e avrei voluto essere lì per abbracciarlo in quel momento «Tu non sai come è stato degradante vendermi così. Ogni giorno mi sentivo una merda ed ogni istante ho immaginato questo momento, quando avete saputo la verità. È stato umiliante, papà! Non avrei mai voluto che voi sapeste una cosa del genere!».
Un'altra pausa, questa volta più lunga, così mi sporsi dalla ringhiera e vidi il signor Salvatore stringere forte suo figlio, accarezzandogli la nuca.
«Immagino, figliolo. Ma io sono fiero di te comunque. Lo sono sempre stato e non smetterò mai di esserlo» disse con tono dolce «Perché tu sei davvero un ragazzo d'oro. Certo, hai fatto un sacco di marachelle, un sacco di casini e sei malato di sesso» ed entrambi ridacchiarono «ma ciò non toglie che sei una persona splendida. E che sei mio figlio e ti voglio bene incondizionatamente»
Dario si strinse di più al petto di suo padre e mi sembrò di vedere un bambino bisognoso d'affetto in quel momento. Che, fortunatamente, trovò tra le braccia di Salvatore che sembrava l'unico, insieme a Consuelo, a tenere davvero a lui.
«Scusami, papà, se ti ho deluso» mormorò Dario.
«Non mi hai deluso, anzi! Il fatto che tu abbia trovato il coraggio di voltare pagina, di abbandonare quel lavoro e dare una svolta alla tua vita dimostra quanta forza di volontà tu abbia»
«Il merito è solo di Alice» ammise e sentii il mio cuore esplodere di gioia «Senza di lei non sarei riuscito a combinare nulla di buono»
«La ami?» gli domandò a bruciapelo.
E senza esitazione, con molta decisione e una dolcezza spiazzante, Dario rispose «Sì».
Era sufficiente quello che avevo sentito. Il signor Vitrano si era dimostrata una persona splendida, così come suo figlio e le parole che entrambi avevano detto mi avevano toccato il cuore. Feci gli ultimi gradini con un sorriso ebete stampato in volto. Che, però, si spense non appena vidi Mauro appoggiato alla porta della stanza di Dario.
«Ha pianto il fratellino?» domandò con un sorriso sornione.
«Mi dispiace per te ma, no, non ha pianto. Anzi, non gliene frega nulla di quello che pensate voi» sputai acida.
«Wow! Che caratterino! Dove le nascondi le unghie, eh?» disse sarcastico facendo qualche passo verso di me.
Indietreggiai di conseguenza trovandomi al bordo del gradino. Rischiai di ruzzolare giù per le scale e rompermi l'osso del collo, ma fortunatamente mi fermai prima di tirare le cuoia. Mauro mi sorrise ed allungò una mano verso di me, sapendo bene che non potevo andare più indietro di così se non volevo precipitare. Mi afferrò un braccio e mi spinse verso di lui, verso un abbraccio da parte sua poco gradito.
«Sei tutta bagnata» disse e c'era un che di sensuale nella sua voce «Rischi di ammalarti, così» e cominciò a strofinare con estrema delicatezza le sue mani contro la pelle delle mie braccia. Incontrollato e soprattutto inaspettato un brivido mi percorse la spina dorsale e non per il freddo ma per il suo tocco destabilizzante. Lo odiavo con tutto il mio cuore, lo disprezzavo per quello che aveva fatto a Dario, eppure era tremendamente bello stare a contatto con il suo calore, sentire le sue mani su di me, vedere le pupille di quegli occhi azzurri dilatarsi quando mi guardava. Tentai di divincolarmi, di liberarmi dalla sua presa ma tutti gli stimoli cerebrali non arrivavano alle terminazioni nervose, per cui rimasi rigida tra le sue braccia, senza sapere cosa fare.
«Non pensare che io ce l'abbia con te. Anzi l'ultima cosa che voglio è vederti piangere» mormorò con un tono di voce che sembrava smarrito «Soprattutto per mio fratello. Non devi perdere tempo con uno come lui. È solo un pezzente».
E il fatto che avesse tirato in mezzo Dario, mi fece scattare come una molla, risvegliò i miei nervi e fui in grado di allontanarlo da me con una spinta.
«Smettila, smettila di parlare male di Dario!» quasi sbraitai e lui rimase spiazzato dalla mia reazione «Puoi dirmi tutto ciò che vorrai, ma tanto io continuerò ad amarlo»
«Sei caduta anche tu nella sua trappola» ribatté con tono basso «Ma come si fa a resistere a quegli occhi dolci, no? A quello sguardo meraviglioso».
Rimasi silenziosa ad ascoltarlo parlare e non sapevo se dubitare davvero di Dario oppure ignorare completamente le parole di Mauro. Sapevo di dovermi fidare del mio ragazzo, ma la voce di suo fratello era talmente convincente, quasi affranta che mi ritrovai sospesa in un limbo di domande senza risposta.
«Lui mi ama» dissi con voce tremante ed insicura.
Mauro sorrise di sbieco e affondò le mani nei pantaloni della tuta, voltandosi per raggiungere la sua camera.
«Non illuderti» mi avvertì «Sarai solo l'ennesima ragazza che uscirà da questa casa piangendo».








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Hello to everybody!
Eccomi qui come avevo promesso con il nuovo capitolo. C'è davvero tanto da dire qui e spero di non dilungarmi troppo ^^"
Diciamo che il capitolo non si apre proprio nel migliore dei modi dato che Alice scopre le foto di Sole dietro ai poster. È gelosa di lei, ovviamente e crede che Dario sia ancora innamorato di lei. Poi a complicare le cose arrivano anche i genitori del suo ragazzo. Salvatore non è cattivo, in fondo...diciamo che è il male minore lì dentro anche se non è uno stinco di Santo nemmeno lui. Infatti glielo dice anche la moglie che ha preferito la carriera al figlio. E la signora Nicoletta è simpatica come un cactus infilato nel di dietro ^^" è una donna con la puzza sotto il naso e la odio xD non c'è nient'altro da aggiungere.
Parliamo invece di Mauro. All'inizio fa tutto l'affettuoso, il carino anche con Dario, insomma un'altra persona da quella che avevam0 avuto modo di vedere nello scorso capitolo. Ma in realtà era solo un modo per rendere più amaro il boccone che ha dovuto mandare giù Dario. La sorpresa si è rivelata essere una bastardata. Mauro ha rivelato a tutti la sua scoperta e, come c'era da aspettarselo, la family non ha affatto gradito. E non per il figlio ma per il cognome che portano. Ma Alice si è fatta valere e ha difeso il suo ragazzo con tutte le sue forze. 
Dulcis in fundo l'uscita alla fontana di Trevi. Questa è la prima volta che Alice parla della separazione dei suoi genitori e non è che l'abbia vissuta benissimo. È stato molto tenero Dario a preoccuparsi della sua situazione famigliare e ancor più tenero quando le ha fatto lanciare la monetina nella fontana. La cosa più importante di questo capitolo la avrete intuita...Dario, finalmente, si è dichiarato e le ha detto Ti amo ♥.♥ sono in brodo di giuggiole >.< E non solo! Ha inciso anche le loro iniziali sul tronco di un albero. Secondo me la scena in cui corrono sotto la pioggia è le migliore >.< è così romantica! Ma resta comunque da scoprire che cosa ha desiderato Dario e se si avvererà soprattutto :) Mi piacerebbe sentire le vostre ipotesi a riguardo!
E infine, dopo il riavvicinamento da parte di Salvatore e Dario, spunta di nuovo Mauro. LA maggior parte di voi lo odia ed è comprensibile. Non è certo un ragazzo simpatico e fa di tutto per fasri odiare. Ma è più odioso di Saronno? Io amo entrambi, a dir la verità xD
Vabbè...avrà ragione Mauro a dubitare e far dubitare anche Alice? O lo fa solo per veder soffrire suo fratello? (oggi sono in vena di domande xD)
Come al solito ringrazio le splendide persone che seguono la mia storia, che la preferiscono e la ricordano. Quelle che leggono soltanto e quelle che hanno recensito lo scorso capitolo, oltre a quelle che mi sostengono su Facebook.

Come in un Sogno - con Ionarrante.
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Ci becchiamo su FB e al prossimo capitolo. Vi dico solo di preparare i fazzoletti ç___ç

   
 
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