Video-trailer
C a p i t o l o 22
Temporale estiv o
betato da nes_sie
Era strano svegliarsi
in un
letto che non
fosse il mio, in una camera che non aveva le pareti rosa e in una
casa che era il quadruplo della mia. Sbadigliai sonoramente e mi misi
a sedere sul letto, stiracchiandomi come se fossi un gatto. La sera
precedente, appena arrivati a Roma, era stata un disastro. Speravo
solo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che le cose si
sarebbero tranquillizzate e che Mauro si facesse una siringa di
cavoli suoi. Non eravamo nemmeno arrivati che già aveva
iniziato a
rompere le scatole a Dario e ad insinuare in me dubbi che non sapevo
se fossero reali o meno. Ma dovevo fidarmi di Dario, o almeno
provarci. Perché avrebbe dovuto mentirmi se teneva veramente
così
tanto a me? Non aveva alcun senso! E poi mi ero ripromessa che avrei
vissuto questa storia senza paranoie, per cui non dovevo pensare
né
alle parole di Mauro né a Sole.
Mi grattai in testa ancora assonnata e
afferrai il cuscino di Dario, stringendolo forte e annusando il suo
profumo di vaniglia. Appena sveglia avevo la necessità di
inebriarmi
con il suo profumo e poiché lui era andato a lavoro, molto
probabilmente, mi sarei accontentata del suo cuscino. Anche se, in
verità, mi sarebbe piaciuto sentire il suo calore sul mio
corpo,
come era successo quella notte che avevamo dormito stretti l'uno
all'altra.
Mi alzai di malavoglia dal letto e mi
soffermai a guardare la camera di Dario. La sera precedente non avevo
nemmeno avuto il tempo e la mente di focalizzarla. Sembrava
così
lontana dal ragazzo che avevo conosciuto, con tutti quei poster di
donne semi svestite appese ai muri. Era più la camera di un
adolescente, di un Dario adolescente che aveva passato gran parte
della sua giovane vita rinchiuso nella sua stanza, magari a piangere
perché la sua famiglia non riusciva ad accettarlo.
Scossi la testa e mi avvicinai al primo
poster, quello sopra alla scrivania. Mi davano fastidio quelle
battone appese ai muri con le poppe rifatte al vento. E speravo
proprio che Dario non volesse tenerli, tanto c'ero io e non aveva
bisogno di auto soddisfarsi come faceva da giovane. Tolsi lo scotch
dagli angoli e lo staccai, trovando nascosta dietro quel poster una
foto. La afferrai, cercando di non rovinarla con uno strappo troppo
violento e la osservai a lungo. Ritraeva una ragazza con dei buffi
capelli a cespuglio, un paio di occhiali dietro i quali due occhi
color perla guardavano spaesati l'obiettivo della macchina
fotografica. Era paffuta e bellissima, nonostante non avesse nemmeno
un filo di trucco o i capelli in ordine. La voltai e, in alto, c'era
scritto qualcosa. La calligrafia era quella di Dario, ne ero
più che
certa.
Sole ♥
Una fotografia rubata alla ragazza che
mi ha rubato il cuore.
Finalmente Sole ebbe un volto
nei miei
pensieri. Era bella, come immaginavo, ma la cosa che più mi
feriva
era leggere quelle parole dietro la foto. Strinsi i bordi di quella
foto e mi venne voglia di strapparla in pezzettini minuscoli, ma per
un qualche motivo mi trattenni e la riattaccai al muro, nascosta
dietro al poster della tettona.
Serrai i pugni e mi voltai analizzando
tutta la stanza. C'erano ancora un sacco di poster e di sicuro tutti
celavano dietro di loro una foto di Sole. Mi avvicinai a quello
accanto alla porta e lo sollevai. Come sospettavo c'era un'altra
fotografia, ma questa volta erano stati ritratti entrambi. Sole aveva
un braccio allungato per scattare la foto e Dario le stringeva una
spalla. Quello che mi colpirono furono i suoi occhi neri
completamente rapiti da Sole. La guardava come non aveva mai fatto
con me, con così tanto amore che mi sentii mancare... sentii
chiaramente il mio cuore lacerarsi. La voltai e anche lì
Dario aveva
scritto qualcosa.
Il compleanno di Sole.
La prima fotografia scattata con la
Canon Reflex D500.
Sole+Dario ♥
Faceva tanto “ragazzina
delle media
stracotta del figo di turno” ed era anche abbastanza
esilarante
come cosa. Peccato che non avessi nessuna voglia di ridere, solo di
piangere. La nascosi di nuovo dietro al poster e rimasi a fissare la
parete. Dovevo solo ripetermi che quello era il passato, che Sole era
il suo passato ed io il suo presente.
«Non sapevo che ti piacessero le
ragazze» una voce maschile attirò la mia
attenzione e mi voltai
verso la porta dove il mio sguardo incontrò quello glaciale
di
Mauro. Era già vestito di tutto punto, con un completo
grigio, una
camicia azzurra e una cravatta scura. Era bello, era dannatamente
sensuale, ma era uno stronzo. Un gran bastardo che aveva fatto
soffrire il mio Dario. Solo per quel motivo lo odiavo dal profondo
del cuore e solo la sua presenza mi infastidiva.
«Volevo solo toglierli» tagliai corto e
distolsi lo sguardo da lui.
«Vuoi una mano?» domandò facendo
qualche passo verso di me.
«No, grazie. Aspetterò Dario» risposi
senza nemmeno fissarlo negli occhi.
«Come vuoi» disse lui alzando le mani
«Ma non guardarti troppo in giro. Chissà, potresti
scoprire che
persona è realmente Dario».
Seppure quelle parole mi avessero colpita
nel profondo, cercai di non darlo a vedere a Mauro. Alzai lo sguardo
indignata verso di lui e scossi la testa.
«So perfettamente chi è Dario» dissi
sicura.
«Lo conosco da più tempo di te. So di
cosa parlo» ribatté lui, affondando le mani nelle
tasche dei
pantaloni.
«Perché mi dici tutte queste cose? Non
ti conosco nemmeno e non voglio avere nulla a che fare con
te».
Mauro scrollò la spalle e sorrise
sornione.
«Oh, beh, tanto lo scoprirai da sola»
«Che cosa dovrei scoprire?» domandai
scocciata incrociando le braccia.
«Me lo dirai tu, appena la verità verrà
a galla» disse solamente, poi sparì dalla stanza.
Con uno scatto che stupì anche la
sottoscritta, mi precipitai fuori dalla stanza e mi attaccai alla
ringhiera guardando Mauro al piano di sotto prendere la sua
valigetta, salutare Consuelo e uscire di casa. Perché doveva
mettermi a tutti i costi la pulce nell'orecchio? Perché
doveva per
forza rovinare la vita di suo fratello? Perché non riuscivo
a farmi
scivolare addosso le sue parole?
Rientrai in camera, richiudendo la porta
e appoggiandomici sopra. Avevo il respiro corto, eppure avevo fatto
solo qualche passo. Avevo sempre desiderato vedere Roma, ma tutta la
sua magia si stava piano piano dissolvendo. Eravamo lì da
nemmeno
ventiquattro ore ed io sentivo la nostalgia di casa, nostalgia di noi
due a Milano senza l'opprimente peso di Mauro e Sole che mi
impedivano perfino di respirare
Mi vestii rapidamente, togliendomi il mio
pigiama improvvisato, ossia un paio di calzoncini e la maglietta di
Leonardo Sogno che mi aveva regalato mio fratello per il compleanno e
scesi le scale lentamente, raggiungendo con la stessa andatura la
cucina. Consuelo era indaffarata tra pentole e tazzine, mentre i
signori Vitrano erano seduti ai capi opposti della tavola. Lui
leggeva quella che sembrava una cartella clinica mentre la signora,
con i capelli raccolti e una vestaglia di seta color lavanda, leggeva
il giornale.
«Buongiorno» dissi intimidita.
«Hola» Consuelo fu la prima a
salutarmi, nonostante fosse tutta presa a cucinare.
Il signor Vitrano, che mi ricordavo
dovesse chiamarsi Salvatore, alzò i suoi occhi azzurri dal
fascicolo
e mi sorrise, facendo ricadere gli occhiali lungo il petto.
«Ma buongiorno anche a lei, signorina!»
esclamò con un sorriso bonario stampato in viso.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò a me
per abbracciarmi e darmi due baci sulle guance. Mi stupì
quel suo
atteggiamento ed ebbi la sensazione che non fosse una persona
malvagia, anzi, era molto paterno, anche con me che
ero una
sconosciuta.
«Salvatore, semmai non ti ricordassi di
me» disse.
«Mi... mi ricordavo di lei» risposi
imbarazzata «Io sono Alice»
«Molto piacere. E dammi del tu, mi
raccomando» mi puntò un dito contro e
ridacchiò, tornando poi alla
sua cartella clinica «Sei la ragazza di mio figlio. Ormai fai
parte
della famiglia Vitrano».
Sorrisi imbarazzata e mi strinsi nelle
spalle. Rimasi immobile davanti al tavolo della cucina, senza sapere
che fare o cosa dire, totalmente in soggezione sia perché mi
trovavo
in casa di estranei, ma, soprattutto, per lo sguardo della signora
Vitrano che si alzava ripetutamente dal giornale per squadrarmi come
se fossi venuta da Marte. Aveva lo stesso colore degli occhi di
Dario, ma erano privi di quella luce che rendeva così
particolari e
belli quelli del mio ragazzo.
«Siediti pure» disse Salvatore
indicando una sedia vuota «La colazione di Consuelo
è davvero
eccezionale».
Accettai il suo invito e mi accomodai,
guardando in un punto fisso ed indefinito davanti a me.
«Buongiorno» si decise finalmente la
donna, ripiegando il suo giornale e appoggiandolo accanto a lei.
Prese il manico della sua tazza e se la
portò alle labbra, sorseggiando quello che sembrava
caffè e latte.
Intanto Consuelo mi servì la colazione: dei pancake
ricoperti da
nutella, un succo di frutta all'arancia e un tazza di cappuccino.
Molto probabilmente aveva attuato il piano: fai diventare
Alice
obesa.
«Come è andato il viaggio?» mi
domandò Nicoletta, distaccata.
«Bene» risposi, tagliando un pezzo di
pancake.
La signora annuì e si sistemò la
vestaglia di seta. Poi tornò guardarmi, a squadrarmi con
quelle
iridi scure che avrebbero messo in soggezione perfino Chuck Norris.
«L'altra volta non abbiamo avuto il
piacere di conoscerci» disse, senza però un reale
interesse nei
miei confronti, quasi se fosse stata obbligata a parlare con me
«Che
scuola frequenti, Alice? Dato che andrai ancora al liceo, suppongo.
Se non alle medie» alzò entrambe le sopracciglia e
mi guardò con
sufficienza. Quella era una frecciatina, ne ero più che
sicura, e
non rivolta a me, ma a Dario.
«Quest'anno frequenterò l'ultimo anno
di liceo scientifico» dissi fiera di me.
«E che media hai?» mi chiese a
bruciapelo ed io rimasi per qualche attimo interdetta. Farfugliai
qualcosa e mangiai un pezzo di pancake per posticipare il
più
possibile la mia risposta. Non ero una capra, ma non brillavo per
intelligenza.
«Del sette e mezzo» dissi imbarazzata.
Nicoletta rimase imperturbabile. Si
sistemò la crocchia e bevve un altro sorso di
caffè-latte. Quella
donna era inquietante e non ne capivo il motivo. Forse
perché
sembrava la signorina Rottermaier dieci volte più severa di
quell'arpia.
«Beh, un po' bassa» commentò brusca
«Ma sempre meglio di quella di Dario. Non che ci volesse
molto».
Non capii il motivo per cui Nicoletta
avesse messo in mezzo Dario che non c'entrava nulla nel nostro
discorso. Mi sorprese il tono di disprezzo che usò per dire
quelle
parole e iniziai a capire come avesse potuto sentirsi Dario in un
clima come quello. Spostai lo sguardo sul signor Vitrano e notai i
suoi occhi pieni di disappunto posati sulla moglie, quasi si fosse
offeso per le parole rivolte al figlio.
«E i tuoi genitori che lavoro fanno?»
chiese spostando lo sguardo torvo dal marito a me.
«Mia mamma è avvocato e mio padre
lavora in banca» risposi con timore.
«Almeno non sei una pezzente come Sole»
commentò quasi disgustata, controllandosi le unghie
«Era talmente
sciatta quella ragazza. E non sapeva nemmeno nutrirsi. Sempre a
strafogarsi di schifezze ipercaloriche, e i risultati si
vedevano».
Capivo da chi avesse preso Mauro: era la
copia sputata di sua madre. Ogni sfumatura del suo carattere la stavo
ritrovando mano a mano anche in Nicoletta, e rabbrividii al solo
pensiero che avremmo dovuto passare lì più di un
mese. Mi chiesi
cosa c'entrasse Dario in quella famiglia. Sembrava che lui fosse nato
da un'altra donna, fosse cresciuto in un'altra casa perché
un
ragazzo splendido come lui non poteva appartenere ad un girone
infernale colmo di dannati come lo era l'abitazione dei Vitrano.
«Non che tu abbia molta classe»
continuò la sua critica soffermandosi sulla mia semplice
canottiera
con le spalline fini gialla «Ma comunque... cosa vorresti
fare nella
vita? Spero proprio che non prenderai esempio da quel nulla facente
del tuo ragazzo»
«Dario non è un nulla facente»
sbottai. Poteva criticare me, poteva anche offendermi, ma non poteva
permettersi di mettere in mezzo il mio Dario
«Ha un ottimo
lavoro a Radio Deejay» le ricordai.
«Capirai» borbottò lei «Ha
venduto il
suo negozio per andare a fare uno stupido lavoro. Non ha mai avuto
voglia di fare nulla quel ragazzo. È già tanto se
non si è
prostituito» la buttò lì con una certa
disapprovazione e sgranai
gli occhi. Quella ipotesi campata per aria che l'aveva fatta
inorridire era la pura e semplice realtà. Lui era stato un
gigolò e
parte della colpa era loro. Non tutta, perché anche Dario ci
aveva
messo del suo per non costruirsi un futuro solido. Ma se solo gli
fossero stati accanto, se solo fossero stati una famiglia molto
probabilmente non sarebbe arrivato a vendere il suo corpo. Ridacchiai
nervosamente per mascherare il mio disagio e tornai a mangiare i
pancake, divorandoli nel giro di poco tempo, ingozzandomi quasi.
«Non hai risposto alla mia domanda,
comunque» mi fece presente.
In realtà quella era la prima volta che
pensavo a cosa volessi fare nella vita. Ero talmente presa dai miei
problemi di cuore che avevo dimenticato persino di essere ad un passo
dalla maturità e che l'università mi attendeva.
«Non lo so, sinceramente» risposi in
imbarazzo «Ma di sicuro nulla che abbia a che fare con
matematica,
fisica e tutte le materie scientifiche. Non fanno per me»
«Ed hai scelto un liceo scientifico»
sospirò e scosse la testa sconsolata.
Certo la mia non era stata una decisione
saggia. Quando frequentavo le medie volevo diventare un medico, ma
subito al primo liceo avevo cambiato idea. E vedendo la signora
Vitrano e suo figlio la scartai, la cancellai dalla liste delle
possibili facoltà. Non volevo diventare una donna
insensibile e
senza cuore.
«Està per iniciàr el programa del
señorito»
Consuelo interruppe
quel colloquio non proprio piacevole la ringraziai mentalmente. La
donna si spostò nell'ampio salone e andò ad
accendere lo stereo. La
voce di Dario riempì la casa, ma non fui in grado di gioire
nel
sentirlo. Tutta colpa di quelle foto che avevo visto e per le parole
di Mauro. Andai anche io in salotto e, non appena abbandonai la
cucina, sentii una sedia strisciare per cui mi fermai proprio vicino
alla porta.
«Se
tu non metti in mezzo tuo figlio non sei felice» disse
Salvatore
contrariato.
«Quel
ragazzo è un fallito» rispose sprezzante la moglie.
«E
parte della colpa è tua che non lo hai mai
accettato» la rimproverò
e mi sarebbe piaciuto agitare dei pon pon colorati per un po' di
supporto.
«Lo
sai il perché» sibilò Nicoletta
alzandosi anch'essa dal tavolo.
«No,
non lo so, in verità» ci fu una lunga pausa, poi
il signor Vitrano
ricominciò a parlare «Nemmeno io lo volevo, se
è per questo. Ma è
mio figlio e non lo abbandonerei mai come hai fatto tu»
«Ma
sentilo!» esclamò la moglie «Tu sei il
primo che lo ha lasciato a
se stesso. È stato cinque anni lontano di casa e non ti
è fregato
nulla. Quando è successo quell'incidente alla nipote di
Campanella
tu sei stato il primo a voltargli le spalle» gli
rinfacciò con
rabbia «Quindi non fare il santarellino. Anche tu hai le tue
colpe»
«Mi
ha quasi rovinato la carriera. Solo per quello mi sono arrabbiato con
lui. Ma mi sembra che chi lo abbia chiamato ogni sera fossi stato
io»
«Che
grande sforzo» ribatté Nicoletta alterata
«A te avrà quasi
rovinato la carriera, ma a me ha rovinato la vita».
Fu
l'ultima cosa che sentii perché mi allontanai, sedendomi
pesantemente sul divano. Non era stata affatto una buona idea quella
di origliare. Suo padre sembrava l'unico che si interessasse a Dario,
ma forse era solo apparenza dato che aveva anteposto la sua carriera
a suo figlio. Mentre l'odio sella signora Nicoletta era palpabile e
non riuscivo a capirne il motivo. Che tanto non avrei mai capito,
perché nessuno mi avrebbe concesso l'onore di saperlo.
Mi
abbandonai sbuffando allo schienale e chiusi gli occhi. Le tempie mi
pulsavano e mi faceva male la testa. Troppi dubbi, troppe domande,
troppe immagini, troppe parole.
Il
pomeriggio trascorse tranquillo. Passai qualche ora al telefono con
Claudia e Cristina che avevano voluto che raccontassi loro tutti i
particolari della mia prima volta. Ed io le avevo accontentate, con
un po' di imbarazzo. Poi uscii con Dario e andammo a mangiare un
gelato insieme. Non gli dissi nulla, né delle foto che avevo
trovato
dietro i poster, né del dialogo che avevo avuto sia con
Mauro che
con sua madre. Era stata un'uscita strana. Entrambi fingevamo di
essere felici, ma nessuno dei due in realtà lo era, per
motivazioni
diverse.
Cominciai
a prepararmi per scendere a cena, anche se non riuscivo a distogliere
lo sguardo dai poster appesi alle pareti. Sole era ovunque. Nei miei
pensieri, in quella stanza, nel cuore di Dario, ed ero sicura che non
sarei mai stata in grado di prendere il suo posto. E questo mi faceva
male perché Dario non mi avrebbe mai amata completamente,
perché
lui avrebbe sempre avuto in mente lei e non me. Allacciai i pantaloni
bianchi e afferrai una maglietta di raso elegante color rosa salmone.
Non feci nemmeno in tempo ad indossarla che Dario mi arrivò
alle
spalle e mi abbracciò, baciandomi il collo con una dolcezza
estrema.
La sua pelle era ancora umida e il contatto della mia schiena con il
suo petto mi fece rabbrividire. Chiusi gli occhi, ma non riuscii ad
abbandonarmi a lui completamente come mi accadeva prima di mettere
piede a Roma. Magari la causa del mio malumore era dovuta solo al
mio pessimismo. Insomma, lui mi aveva chiaramente detto di aver
chiuso con il suo passato, che Sole apparteneva alla sua vita
precedente e che ora voleva solo me al suo fianco. Eppure non
riuscivo a non pensare al fatto che avremmo potuto rincontrarla da un
momento all'altro e che lui mi avrebbe mollato per Sole.
«Scusami,
piccola» mi sussurrò riempiendomi la guancia di
baci.
«Per
cosa?» domandai confusa e svogliata al tempo stesso. Quella
sera non
ero in vena di smancerie.
«Un
po' per tutto» rispose ed appoggiò il mento sulla
mia spalla «Per
l'accoglienza, per mio fratello odioso e perché non ti sono
di molta
compagnia» sospirò.
«Ma
figurati» lo tranquillizzai e mi voltai di lato
schioccandogli un
bacio sul naso.
«Oggi
sono stato davvero una seccatura» sbuffò.
«Non
devi preoccuparti, davvero. Capisco che non dev'essere facile per te
tornare in una casa da dove sei scappato»
«No,
non lo è affatto. Immaginavo che sarebbe stato traumatico,
ma non
così tanto. E ho avuto solo il piacere di parlare con mio
fratello.
Tu pensa stasera che rivedrò mia madre» la sua
voce si abbassò,
sfiorando i toni della malinconia.
Nonostante
tutte le mie paure non potevo abbandonarlo, non dopo che avevo capito
quanto fossero stronzi Mauro e Nicoletta. Non dopo aver sentito sua
madre parlare con tanto disprezzo di lui. Mi voltai di scatto e
trovai il suo viso a pochi millimetri dal mio. Appoggiai le mani
sulle guance e annegai nel suo sguardo profondo quanto un abisso
oceanico. I suoi occhi cercavano nei miei la sicurezza, la forza per
affrontare quel covo di serpi, l'affetto che gli era venuto a
mancare.
«Ci
sono io con te. Non permetterò a nessuno di farti soffrire
ancora»
«Grazie,
Alice» il suo sorriso era disarmante, così dolce,
così triste da
allontanare dalla mia mente gli occhi di Sole che, dalle pareti, ci
stava osservando «Sul serio. Sei la mia forza. Con te al mio
fianco
mi sento invincibile».
Come
potevo dubitare di lui e dei suoi sentimenti quando mi diceva certe
cose? Era chiaro che lui tenesse a me, che sentisse qualcosa per me
ed avrei anche accettato, sopportato di essere solo la seconda nei
suoi pensieri e nel suo cuore pur di stargli accanto.
«Sarò
il tuo scudo, amore mio. Ti proteggerò sempre e comunque
perché tu
meriti di essere felice» gli dissi e quelle parole
scaturirono dal
mio cuore con tanta, troppa naturalezza.
«Anche
tu lo meriti. E farò di tutto perché tu lo
sia» mi confessò e mi
baciò lentamente succhiandomi il labbro inferiore. Il suo
sapore
solleticò le mie papille gustative e sembrava ancora
più dolce
delle volte precedenti «Per cui, niente musi
lunghi» ridacchiò «Mi
farò scivolare addosso tutto quello che diranno
perché questo è il
nostro momento, è la nostra vacanza e non voglio che venga
rovinato
né da me né da chiunque altro»
«Ben
detto» affermai fingendomi seria, poi scoppiammo a ridere.
Finalmente un momento di tranquillità tra noi due, un attimo
che era
solo nostro, senza la famiglia Vitrano e senza Sole. Solo Alice e
Dario.
Mi
appropriai delle sue labbra e lo baciai con tutto l'amore che avevo,
con tutta la passione che mi scorreva nelle vene, con la voglia di
Dario che inebriava i miei sensi. Le sue mani si muovevano lente
sulla mia schiena e le sue dita provocarono intensi fremiti che
scossero la mia spina dorsale. Percorsi i suoi fianchi,
soffermandomi sui suoi muscoli appena accennati, e scivolai verso le
anche alle quali era stato annodato un asciugamano. Di troppo, avrei
aggiunto. Cercai comunque di darmi un contegno e risalii lungo le sue
spalle forti dove mi fermai.
Un
tossicchiare appena accennato ci fece sobbalzare e ci ritrovammo
abbracciati a guardare la porta della camera di Dario dove c'era
immobile e sorridente Mauro.
«Tu
bussare mai, eh?» disse brusco il mio ragazzo.
«Mi
dispiace interrompervi piccioncini, ma la cena està
lista»
ci avvisò con un tono di voce talmente bonario che
spiazzò
entrambi «Non vorrete perdervi la sorpresa»
«Quale
sorpresa?» domandò dubbioso Dario.
«Vedrai,
fratellino mio» gli rispose dolcemente.
Ci
sorrise e sparì dalla camera da letto. Io e Dario ci
guardammo
sorpresi e ridacchiammo increduli entrambi. Non lo conoscevo da molto
tempo, ma credevo di aver inquadrato Mauro e la sua stronzaggine.
Invece era stata una sorpresa vederlo così tranquillo e
vedere quel
sorriso sincero sulle sue labbra. Perfino Dario non poteva credere ai
suoi occhi.
«Mio
fratello è ubriaco» fu il suo commento divertito.
Lo
allontanai da me con estrema delicatezza e indossai finalmente la
maglia mentre lui fece cadere l'asciugamano per terra rimanendo
completamente nudo. Rimasi a fissarlo imbarazzata, rossa più
di un
peperone ed annaspai in cerca di quell'aria che sembrava fosse
sparita.
«Che,
che stai facendo?» domandai intimidita, rigida quanto un
tocco di
legno.
«Mi
vesto» rispose con fare ovvio e tirò fuori dal
cassetto un paio di
boxer puliti.
«Ti
sei denudato davanti a me!» esclamai indignata.
«Mi
sembra che non ci sia niente qui che tu non abbia mai visto»
replicò
divertito guardando a sud dell'equatore.
In
effetti aveva ragione, ma quando avevamo fatto l'amore era stato
tutto diverso, era stato naturale e non avevo provato il minimo
imbarazzo. Trovandomelo, però, nudo di fronte agli occhi
così di
sorpresa mi spiazzò e destabilizzò. Scrollai la
testa e mi diressi
svelta alla porta, cercando di mantenere lo sguardo sul pavimento.
«Ti
aspetto giù» dissi e mi precipitai lungo la rampa
di scale.
La
grande sala da pranzo si trovava accanto alla cucina ed era di una
raffinata eleganza. Molto probabilmente quel mobilio così
bello era
stato scelto dal buon gusto della signora Vitrano. Un lungo tavolo
era posizionato al centro della sala e attorno c'erano diverse sedie,
mentre un lampadario di cristallo sovrastava il tutto. Un'enorme
finestra sul lato sinistro si affacciava direttamente sulla piscina
in giardino illuminata da alcuni faretti. Ogni volta mi sentivo come
“Alice nel Paese delle Meraviglie”. Quella casa era
qualcosa di
magnifico e tutto quel lusso mi faceva sentire sempre di più
la
protagonista di una favola.
«Buonasera»
mi salutò Mauro, alzando un calice contenente un goccio di
vino.
«Buonasera»
dissi imbarazzata e rivolsi un sorriso ad ogni commensale.
Mauro
e il signor Salvatore ricambiarono, mentre Nicoletta mi
ignorò
completamente. Mi strinsi nelle spalle e guardai a lungo le sedie
attorno al tavolo senza sapere dove accomodarmi. Finché
Mauro non
picchiettò su quella accanto a sé, invitandomi a
sedere vicino a
lui. Da stupida qual ero accettai anche se quel ragazzo era
più
urticante del peperoncino o di Davide Saronno. Ma non potevo
declinare il suo invito perché sarei apparsa come una
maleducata e
già non ero nelle simpatie delle padrone di casa.
«Com'è
andato il turno, figliuolo?» domandò Salvatore
rivolto a suo
figlio.
«Molto
bene, grazie»
«La
signora Girolamo ti ha ancora fatto la corte?» entrambi
ridacchiarono e la risata di Mauro mi sembrò così
cristallina che
mi era impossibile credere che appartenesse ad una persona cattiva
come si era mostrato. Magari anche lui mostrava solo una parte di
sé
come faceva Dario e magari era anche piacevole passare del tempo con
lui. Senza che me ne rendessi conto appoggiai la guancia la palmo
della mano e lo fissai quasi adorante. Era di una rara bellezza,
anche più bello di Dario e i suoi occhi azzurri non mi
sembrarono
poi così tanto glaciali, ma solo caldi ed avvolgenti.
«Sì.
Mi ha chiesto se voglio sposarla» rispose divertito Mauro
«Le ho
detto di sì e adesso aspetta l'anello. Spero che domani si
sia
dimenticata di questa promessa di matrimonio, anche perché
non
voglio nemmeno immaginare la prima notte di nozze con una signora di
ottantatré anni» scoppiammo a ridere tutti,
compresa Nicoletta e
per la prima volta da quando ero in quella casa mi sentii a mio agio.
Proprio
in quel momento, mentre ci stavamo divertendo con gli aneddoti
amorosi tra Mauro e la signora Girolamo, Dario entrò in sala
da
pranzo tutto sorridente e le risate cessarono di colpo.
«'sera,
family» disse e si sedette davanti a me,
lanciandomi un
bacio.
L'allegria
generale era stata sostituita da una certa tensione. Tranne da parte
mia, ovviamente, che sembravo l'unica ad essere felice che Dario
fosse arrivato. Nicoletta si sistemò il tovagliolo sulle
ginocchia,
Mauro prese il suo bicchiere e bevve un altro sorso di vino mentre
Salvatore si mise a fissare l'orologio. Il mio ragazzo capì
che la
ragione per cui era piombato il silenzio era il suo arrivo e il suo
sguardo s'incupì.
«Continuate
pure a ridere» disse con un filo di voce «Anche se
stavate parlando
di me»
«Raccontavo
solo della signora Girolamo» disse Mauro e un sorriso si
dipinse sul
suo volto «Te ne ho mai parlato, fratellino?».
Dario
corrugò lo fronte ed afferrò una fetta di pane
dal tagliere. Oramai
ero in grado di decifrare ogni sfumatura di quelle bellissime iridi
color carbone. E in quel momento, nei suoi immensi occhi neri potevo
leggere stupore dettato dallo strano atteggiamento di suo fratello.
Scosse la testa impercettibilmente ed addentò il pane.
«È
una signora tanto dolce. Si è innamorata di me e vuole
diventare la
signora Vitrano» ridacchiò e Dario con lui.
«Lo
sai, Alice, che Mauro ha fatto parte di Medici senza frontiere e che
adesso è uno dei migliori cardiologi del Gemelli?»
E
rieccola a venerare il suo adorato figlio. Proprio quando era
arrivato Dario. Cercava di metterlo in cattiva luce, ma alla
sottoscritta non importava nulla di un pezzo di carta chiamata
laurea.
«Buon
per lui» dissi con un sorriso.
«E
inoltre...» riprese, ma Mauro la interruppe subito.
«Basta
mamma. Ad Alice non importa nulla del mio lavoro» e mi
rivolse un
sorriso «Preferisce parlare del suo Dario»
Mauro
puntò i suoi occhi in quelli del fratello. Chiaro e scuro,
azzurro
nel nero. Rimase in silenzio quel tanto che bastò a Consuelo
per
servirci un invitante spezzatino, poi, finalmente parlò.
«Come
mai hai deciso di fare il Deejay?» gli chiese
«Avevi un'attività,
perché chiuderla».
Dario
cercò il mio sguardo e deglutì a fatica un po' di
patate. Era in
soggezione, soprattutto per gli occhi giudicatori della sua famiglia
puntati addosso. Sorrise nervosamente e si sistemò sulla
sedia come
se fosse fatta di carboni ardenti.
«Ho...
ho vinto un concorso» disse atono «E il negozio non
andava poi così
bene»
«Ah,
capisco» esclamò Mauro che sembrò
sorpreso. Mangiò un pezzo di
carne e lo innaffiò con del vino, poi tornò a
guardare suo fratello
e lo indicò con la forchetta. Ogni movimento di Mauro mi
metteva
ansia, così come a Dario. Era come se lui cercasse di
scoprire la
verità ed entrambi eravamo sicuri che era in grado di
tendergli un
tranello per smascherare la sua bugia.
«È
un bel lavoro quello del Deejay» disse, invece e tirai un
sospiro di
sollievo «Particolare. Insomma, non se ne trovano molti in
giro. E
sei anche parecchio bravo. Ti ascolto sempre la mattina».
Possibile
che quello fosse lo stesso Mauro che avevo conosciuto la sera prima?
L'odio che provava nei confronti del fratello sembrava sparito
magicamente, sostituito da uno strano amore fraterno che
stupì me,
ma soprattutto il mio ragazzo. Alternava degli sguardi dubbiosi verso
di me e altri più sereni a Mauro. Era come vedere due veri
fratelli
e forse Dario aveva sempre sperato che accadesse, un giorno o
l'altro, che Mauro lo accettasse e lo amasse per come era. Mi sentii
felice nel vederlo così sorridente, così in
armonia con la sua
famiglia – esclusa Nicoletta che si ostinava ad ignorarlo
– e,
tutte le parole che Mauro mi aveva detto, tutti i dubbi che mi aveva
insinuato, tutte le immagini di Sole mi sembrarono solo un lontano
ricordo. Se lui era felice, io ero felice. Era quello l'importante
per me: vederlo tranquillo e sorridente.
«Ma
di quale sorpresa parlavi prima?» domandai, inserendomi
finalmente
nel discorso.
«Quale
sorpresa?» disse curioso il signor Vitrano.
Mauro
si tamponò le labbra con il tovagliolo, poi sorrise sornione.
«Ve
la mostrerò dopo cena, quando Consuelo servirà il
dolce in salotto»
«Non
puoi darci un indizio?» indagò la madre, cercando
però di non
mostrare troppa curiosità.
Lui
scosse la testa e ridacchiò. Sembrava di buon umore quella
sera e
non sapevo proprio cosa aspettarmi da lui. Magari anche lui aveva
trovato una ragazza oppure era qualcosa legato al suo lavoro.
Fortunatamente la cena trascorse in tranquillità ed in
armonia, a
parte per le frecciatine che di tanto in tanto Nicoletta scagliava a
Dario. Ma lui, come aveva detto in camera, si fece scivolare tutto
addosso, non le diede ascolto e sembrava più felice quando
non stava
ascoltare le sue critiche. Era parte della famiglia Vitrano, dopo
tanto tempo e solo Nicoletta pareva essere stata esclusa da quel
quadretto familiare. I tre uomini parlavano tra di loro di sport e
altri discorsi poco interessanti per me. Erano in armonia, come se
con Dario non ci fossero mai stati dissapori.
Erano
le dieci quando ci spostammo in salotto dove Consuelo portò
un
vassoio con del caffè nero bollente e delle fette di torta
al
limone. Io e Dario ci accomodammo sul divano, mentre i due coniugi
sulle poltrone posizionate una di fronte all'altra. Mauro invece era
rimasto in piedi e sorseggiava il suo caffè, lanciando
occhiate ad
ognuno di noi come se stesse sondando la nostra curiosità.
«Allora?»
domandò impaziente Dario.
«Vi
ho incuriositi, eh?» disse con sguardo furbo.
Bevve
l'ultimo goccio di caffè e appoggiò la tazzina
nel vassoio. Poi
prese due piattini con le fette di torta e li diede ai suoi genitori,
lo stesso lo fece con noi. Dario mi guardò perplesso ed io
scrollai
le spalle. Nessuno di noi riusciva a capire che cosa avesse in mente
Mauro, per cui cominciammo a mangiare la torta attendendo con
trepidante attesa.
«Diciamo
che è da un po' che avevo in mente di farvi questa sorpresa.
Ma
volevo aspettare che il figliol prodigo tornasse a casa» e
puntò i
suoi occhi su Dario che ingoiò il suo boccone a fatica e mi
strinse
una mano, impedendomi di mangiare quella favolosa torta.
Mauro
estrasse dalla tasca della giacca elegante un foglio spiegazzato e lo
sventolò davanti ai nostri occhi.
«Ecco
la vostra sorpresa. L'ho trovato grazie ad una mia collega. Volevo
farle un regalo per un addio al nubilato e ora eccola qui tra le mie
mani, questa sorpresa».
Più i
secondi passavano e più gli occhi di Mauro perdevano quel
dolce
fascino che aveva durante la cena, ritornando ad essere glaciali.
Quell'innocuo foglio cominciò ad incutermi un certo timore,
anche se
non ne sapevo il motivo. E Dario era del mio stesso avviso, dato che
strinse maggiormente la mia mano. Mauro spiegò il foglio e
si
schiarì la voce.
«Età:
23 anni. Capelli: castani. Occhi: neri. Uno gigolò non
è solo un
ottimo amante, ma soprattutto un uomo in grado di ascoltare la
propria donna, di farla sentire unica anche con un sorriso, con un
tocco, con un semplice bacio...».
Piano
piano capii che cosa fosse quel foglio. Era il profilo di Dario,
quello che avevo trovato su quel sito di accompagnatori. La stretta
del mio ragazzo si fece sempre più intensa, man mano che
Mauro
leggeva quella sua presentazione. Mi sembrava strano che Mauro fosse
cambiato così da un momento all'altro. Era solo la quiete
che
preannunciava una tempesta catastrofica, che avrebbe gettato quella
famiglia ancora più nello scompiglio. Prima che Mauro
finisse di
leggere, il mio ragazzo si alzò di scatto dal divano con il
viso
contratto in un'espressione delusa e arrabbiata al tempo stesso. Suo
fratello gli aveva fatto credere di aver dimenticato i loro dissapori
durante la cena, ma solo per rendere più dolorosa la
stoccata
finale. Gli afferrò il foglio dalle mani, strappandolo e
lasciandone
un piccolo pezzo tra le grinfie di Mauro. Ma non ebbe il tempo
né di
accartocciarlo, né di dire nulla a suo fratello che
Nicoletta glielo
strappò di mano furtiva e lesse con i suoi stessi occhi,
soffermandosi sulla foto di suo figlio in cima a sinistra, mentre suo
marito si alzava dalla poltrona la raggiungeva alle spalle per
sbirciare anche lui.
«Ecco
il negozio di cui parlava» disse sprezzante Mauro, affondando
le
mani nelle tasche della giacca «Vendeva sesso» e
soffocò una
risata con un mano.
Vidi
Dario serrare i pugni e tremare, abbassare lo sguardo per non
incontrare quello della sua famiglia. Ero più che sicura che
si
stesse vergognando in quel momento, che avrebbe voluto sparire dalla
faccia della terra piuttosto che dare un'altra delusione ai suoi
genitori.
«Ti
prostituivi» disse solamente sua madre in un soffio.
«È
vero, Dario?» domandò suo padre e nel suo tono
c'era qualcosa di
dolce.
Decisi
di alzarmi anche io dal divano e raggiunsi il mio ragazzo,
abbracciandolo, stringendolo forte a me per fargli capire che io ero
lì, ero lì per proteggerlo, così come
gli avevo promesso. Lui si
appoggiò al mio petto, nascondendosi da loro e dai loro
giudizi.
«È
vero, Dario?» ripose la stessa domanda.
Tremava
tra le mie braccia e mi faceva male vederlo così ferito,
così
mortificato dagli sguardi inorriditi della sua famiglia.
Annuì, in
risposta a sua padre, senza però alzare il viso per
guardarlo.
«Non
mi sembri molto sconvolta, Alice» constatò con
disappunto Mauro,
mentre i suoi genitori si struggevano davanti a quel foglio, ma non
per il loro figlio, bensì per il cognome che portavano.
«No,
per nulla» risposi acida, affondando una mano nei capelli di
Dario e
aumentando la stretta su di lui «Lo sapevo anche senza che me
lo
rivelassi tu».
Mauro
mi guardò dubbioso e con un gesto fluido della mano mi
esortò a
continuare. I suoi occhi, quei due pezzi di ghiaccio che mi
scrutavano con freddezza mi mettevano in soggezione, sentivo perfino
il cuore battere all'impazzata. Ma non potevo ammutolirmi davanti a
lui, davanti alla famiglia Vitrano. Dovevo tirare fuori le palle e
difendere il mio Dario.
«L'ho
conosciuto proprio grazie a quel sito» spiegai con un pizzico
di
imbarazzo, dettato perlopiù dalla situazione «E
non mi è mai
importato nulla del suo lavoro», deglutii e mi sentii
perforare da
tre paia di occhi che attendevano che io andassi avanti a parlare,
anche se non avevo la benché minima idea di cosa dire. Presi
un
respiro profondo e mi feci trasportare dal mio cuore, dalle mie
emozioni, dal mio amore per Dario «Mi sono innamorata di lui
pur
sapendo quello che faceva nella sua vita. E non l'ho mai giudicato
per questo perché l'unica cosa che mi importava era lui, era
Dario,
la persona fragile che si nascondeva dietro quello stupido
pseudonimo» un discorso un po' prevedibile, forse, ma che
sperai
potesse toccare il cuore di quelle persone.
«Perché
lo hai fatto?» chiese Salvatore, senza nemmeno aver ascoltato
quello
che aveva detto.
Dario
sollevò finalmente lo sguardo dal mio petto e
guardò suo padre con
due occhi talmente tristi da frantumarmi il cuore.
«Avevo
sperperato tutti i soldi del conto corrente per
l'Università»
ammise con imbarazzo.
Nicoletta
si portò una mano sul cuore e per poco non le venne un
infarto, ma
solo perché quei soldi non erano stati usati per diventare
un medico
o un qualsiasi laureato.
«E
perché non ci hai chiesto aiuto?»
domandò con tono quasi
disperato.
«Perché
tanto ve ne sareste fregati, come al solito. Mi avreste voltato le
spalle per l'ennesima volta solo perché non ho voluto
seguire le
vostre orme. Era l'unica cosa che potessi fare per vivere» la
sua
voce si abbassò ad ogni parola, diventando quasi un flebile
soffio.
«Se
tu ti fossi impegnato» lo rimbeccò Nicoletta
«Tu immagina solo se
la gente venisse a scoprirlo. Che vergogna sarebbe per noi,
eh?»
«Il
primo che si vergogna, qui, sono io» replicò serio
Dario.
«Io
non capisco come facciate a non interessarvi a vostro figlio!
Cazzarola, quello che vi importa è solo
il vostro
dannatissimo cognome! Siete solo degli egoisti!» sputai con
disprezzo e mi ero trattenuta perché senno sarei saltata
loro alla
gola.
«Io
mi sono sempre interessato a lui!» sbraitò
Salvatore «E non
intrometterti nella nostra vita. Tu non sai nulla»
«Già,
non so nulla di voi. Ma so che lei è stato il primo a
voltare le
spalle a suo figlio per la storia di Campanella» gli
rinfacciai
soddisfatta. Ogni tanto origliare portava a dei frutti.
Salvatore
sgranò gli occhi e si ammutolì, mentre Dario tra
le mie braccia si
irrigidì. Dovevo ammettere che ero curiosa di sapere cosa
fosse
successo con tale Campanella, ma quello non era il momento di
curiosare. Lo avrei saputo solo se fosse stato lui a dirmelo, senza
che fossi io a chiederlo. Feci scivolare la mia mano lungo il suo
braccio fino ad incontrare le sue dita. Era meglio uscire da quella
casa, prendere una boccata d'aria e magari non tornarci mai
più. Lo
trascinai per tutto il salotto verso la porta di ingresso.
«Sei
una delusione, Dario» disse Mauro «E anche tu,
Alice, che ti
accontenti di un fallito come lui».
E fu
in quel momento che Dario lasciò la mia presa e si
avvicinò
minaccioso a suo fratello, con il pugno caricato pronto a colpire un
Mauro impassibile e per nulla spaventato.
«Dario,
no!» urlai. Non volevo che si arrivasse addirittura alle
mani. Il
clima era già abbastanza teso senza scazzotate.
Il suo
pugno serrato si fermò a mezz'aria e la sua mano
tremò. Rimase
fermo in quella posizione e si voltò a guardare nei miei
occhi
spaventati, nei miei occhi che lo pregavano di non spingersi troppo
oltre. Abbassò il braccio e si limitò a guardare
con rabbia suo
fratello. Poi mi raggiunse, mi prese per un polso e mi
trascinò
fuori da lì, percorrendo a grandi falcate il viottolo di
ghiaia ed
uscendo dal giardino di quell'immensa villa. Fuori dal cancello in
ferro battuto era ancora parcheggiata la Mito e per una frazione di
secondo ebbi voglia di salirci sopra insieme a Dario, tornarcene a
Milano e lasciarci alle spalle la famiglia Vitrano, chiudere per
sempre con loro e dimenticare che esistessero. Ma quell'idea fu
scacciata da un forte rumore metallico che mi fece sobbalzare. Era
stato Dario che aveva preso a calci il cerchione dell'auto e non
sembrava voler smettere. Si stava sfogando con rabbia e frustrazione
su quel pezzo di metallo, emettendo dei suoi simili a dei lamenti.
«Amore,
amore, amore» cercai di richiamarlo prendendogli il braccio
«Stai
tranquillo amore»
«Come
cazzo faccio a stare tranquillo?» sbraitò dando un
pugno alla
carrozzeria metallica.
«Non
ne vale la pena prendersela. Loro non ti hanno mai accettato in
qualsiasi caso, che tu fossi stato un gigolò oppure un
commerciante»
gli dissi con tono dolce, avvinghiandomi al suo braccio teso.
Mi
faceva male vederlo così, era più doloroso di un
coltello
conficcato in profondità nel petto. Nonostante i miei sforzi
di
farlo calmare, lui continuò a sfogarsi con rabbia contro la
sua
auto, sballottandomi senza ritegno, quasi se io non fossi lì
con
lui.
«È
sempre la mia famiglia, cazzo!» urlò.
«Come
puoi chiamarla famiglia?» dissi indignata, allontanandomi da
lui.
«Non vedi come ti trattano? Non vedi come ti disprezzano? Tu
porti
solo il loro cognome ma non gli appartieni. Avevi detto che ti
saresti fatto scivolare addosso tutto, che non gli avresti dato
ascolto». Lo accarezzai su una guancia, scivolando sotto il
mento e
alzandogli il viso per potermi specchiare in quelle distese di mare
nero.
«Ma a
quanto pare non è facile come sembra»
sibilò, serrando i pugni.
«Davvero,
Dario. Non badare a loro. Non meritano la tua rabbia, la tua
frustrazione e non meritano te» mormorai con un sorriso
«Tu sei
uno spirito libero, non hai bisogno di loro. Te la sei sempre cavata
da solo»
«No,
non è vero. Io non sono uno spirito libero»
soffiò, più
tranquillo «E non me la sono cavata per nulla. Ho scelto la
strada
più semplice e ho fatto il gigolò. Purtroppo io
non so badare a me
stesso»
«È
invece è così. Hai trovato la forza e sei
riuscito a dare una
svolta alla tua vita. E questo ti fa tantissimo onore» tutte
quelle
cose che stavo dicendo scaturivano dal cuore. Era lui che parlava in
quel momento, non il mio cervello.
«È
solo grazie a te se ci sono riuscito» disse in un soffio e
finalmente sorrise. Era solo accennato, ma era già un passo
avanti
«Sei tu che mi hai salvato Alice».
Mi
morsi il labbro e sfiorai le sue in un dolce e breve contatto. Avevo
bisogno di sentire il suo sapore anche per un solo secondo e lui
aveva bisogno di sapere che io non lo avrei abbandonato mai e poi
mai. E non lo avrei fatto perché stando con lui mi sentivo
viva, mi
sentivo finalmente completa e una vita senza Dario non poteva
chiamarsi vita.
«Siamo
noi l'importante, non loro. Solo noi e nient'altro,
capito?»
mormorai senza perdere il contatto visivo con lui «E sai
perfettamente che a me non importa se eri un gigolò. Non ti
ho mai
giudicato e non lo farò mai. Io ti amo così come
sei».
Dario
respirò profondamente, poi mi attirò verso di lui
e mi abbracciò
forte, affondando il viso nell'incavo del collo e insinuando una mano
tra i miei capelli. Ricambiai la stretta, accarezzandogli la schiena.
Entrambi avevamo bisogno di quel contatto fisico, avevamo bisogno del
calore dell'altro. Soprattutto lui che in quel momento era
più
fragile di un cristallo e il minimo urto avrebbe rischiato di farlo
andare in mille pezzi.
«Che
ne dici se andiamo a fare un giro?» gli proposi «E
stiamo un po'
lontani dalla villa degli orrori?».
Dario
ridacchiò e sciolse l'abbraccio, assaporando per un attimo
le mie
labbra.
«Andiamo»
disse con un sorriso e mi strinse la mano, accompagnandomi per le vie
della sua città, per quelle vie che racchiudevano tutti quei
ricordi
che non mi era permesso conoscere. Ma poco mi importava. Volevo stare
con lui, sentirlo accanto a me e di tutto ciò che riguardava
io suoi
amori passati non mi interessava più. O almeno cercavo di
non
farmelo interessare. Mi appoggiai alla sua spalla e chiusi gli occhi
per sentire il suo profumo.
Camminammo
a lungo, anche se non saprei dire per quanto tempo o quanti metri. Lo
spazio e il tempo quando ero insieme a lui erano praticamente
insignificanti, erano il nulla confrontati con Dario. Potevano
passare dei secondi oppure addirittura secoli che io non me ne sarei
accorta. Raggiungemmo un'enorme piazza, sovraffollata di gente e
rimasi affascinata da quella visione. Da quella fontana leggermente illuminata, da quelle eleganti sculture che la sovrastavano, dall'enorme palazzo che c'era alle sue spalle. L'avevo vista parecchie volte in tv e avevo sempre desiderato vederla con i miei occhi. Era magnifica e Dario rendeva quella visione ancora più meravigliosa.
«È la fontana di Trevi» dissi estasiata.
«Vedo
che hai studiato, Livraghi» replicò fingendosi
serio.
«Certo
professore. Mi sono preparata su tutta la storia di Roma prima di
venire qui» risposi ironica.
«Oh
ma che brava alunna» esclamò divertito
«E in anatomia come è
messa?» aggiunse malizioso, sussurrandomelo all'orecchio.
Mi
schioccò un lungo bacio sulla guancia carico di passione
quasi
volesse farmi intendere che volesse più di un semplice
contatto con
la mia gota. Se non ci fosse stata tutta quella gente molto
probabilmente avremmo finito con il fare l'amore perché
anche io
sentivo la voglia di Dario sotto la mia pelle espandersi in ogni
vena, ogni arteria, mescolarsi con il mio sangue raggiungendo tutti
gli anfratti del mio corpo.
«Il
minimo indispensabile» risposi con il suo stesso tono e feci
combaciare le nostre labbra in un bacio lento, in un lungo e profondo
assaporarsi. La discussione in casa Vitrano era solo un lontano
ricordo per me e, speravo, anche per lui. C'eravamo solo noi due, il
resto non contava niente. Mauro, Nicoletta, Salvatore, Sole. Nessuno
di loro era importante in quel momento, eravamo noi i soli
protagonisti di quella storia ed eravamo sempre noi che avevano in
pugno la penna. L'avremmo scritta io e Dario quella favola, senza
l'intromissione di nessuno.
«Era
un'allusione ad un determinato apparato?» chiese con una voce
tremendamente sensuale che mi fece rabbrividire.
«Vedila
come preferisci» replicai ed ammiccai.
Dario
mi strinse maggiormente a sé e mi sollevò da
terra, affondando il
viso nel mio seno. Mi lasciai sfuggire un urlo che attirò
l'attenzione di tutti e mi imbarazzai nel vedere tutte quelle persone
che ci guardavano come se fossimo appena scesi da una navicella
spaziale.
«Dio,
quando ti voglio!» esclamò baciandomi nella
scollatura «Peccato
che ci siano tutti questi guardoni» borbottò
guardando di sbieco
alcuni ragazzi che ci passavano accanto.
«Già,
è un vero peccato» concordai e gli morsi la punta
del naso «E dato
che non possiamo fare nulla, mettimi giù e continuiamo la
passeggiata»
«Non
possiamo appartarci da qualche parte?» mi supplicò
con tono
infantile.
«No,
Dario!» ero stupida, lo sapevo. Avrei dovuto accettare
quell'invito
al volo, ma preferii una serata tranquilla tra quattro chiacchiere
piuttosto che tra “quattro ansimi”. Dario
annuì mestamente e mi
fece toccare finalmente l'asfalto. Mi strinse le mani e andammo a sederci sul bordo della fontana, di fianco ad un paio di ragazze infoiate che si erano mangiate con gli occhi il mio ragazzoAvrei voluto alzarmi e
far loro il gesto dell'ombrello, vantandomi del fatto che lui fosse
con me e non con una di loro 'bimbeminchia'. Ma il braccio di Dario
che mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui me lo
impedì. Appoggiai
la testa al suo petto e non mi importò più di
nulla. Mi accarezzò
i capelli e mi baciò la fronte, dolcemente. Gli sbalzi di
umore in
Dario erano una costante. Prima era tutto eccitato, poi si
trasformava d'un tratto in una zolletta di zucchero.
«Ero
talmente preso dal ritorno a Roma e dalla mia insulsa famiglia da non
interessarmi a te» disse quasi affranto. Non capivo che cosa
intendesse, ma non ebbi il tempo di domandare che lui mi precedette
«I tuoi sono separati. Non ti ho nemmeno chiesto come vivi
questa
situazione».
Rimasi
spiazzata da quella frase. Non avevo mai parlato a nessuno della
separazione de i miei, solo a Benedetta. Mi faceva male ricordare il
giorno in cui mio padre se n'era andato via di casa sbattendo la
porta. Ancora avevo impressa in mente la mia immagine riflessa nello
specchio mentre piangevo per quello che credevo fosse un abbandono.
In realtà mio padre era sempre stato un genitore presente,
non mi
aveva mai fatto mancare nulla e con il tempo quella ferita si era
rimarginata.
«È
successo quando avevo dodici anni» sospirai «Era da
un po' che tra
i miei genitori non andava affatto bene. Litigavano sempre anche per
le cose più futili e la causa di tutto era l'opprimente
gelosia di
mio padre. Un pomeriggio è successo il finimondo. Una
litigata
furibonda, si sono rinfacciati di tutto e mia madre gli ha detto
Se non sono felice è per colpa tua. Così
lui ha preso la sua
valigia e se n'è andato» scrollai le spalle ed
abbassai lo sguardo.
Non credevo che parlarne di nuovo potesse farmi così male.
Ormai
erano passati sei anni, eravamo tutti contenti nonostante la
lontananza.
«Ci
sei stata parecchio male?» mi chiese apprensivo,
schioccandomi un
bacio sulla fronte.
«Sì,
tanto. Anche perché ero legatissima a mio padre e pensavo
che, una
volta uscito di casa, si sarebbe dimenticato di noi. Invece
è sempre
stato presente, ma non era la stessa cosa, ovviamente»
sospirai
affranta. «Ormai è tutto passato. Siamo felici
così, più o meno»,
alzai il viso verso di lui e gli sorrisi.
«Non
deve essere stato per nulla facile accettare quella
situazione»
disse flebilmente accarezzandomi la spalla.
Mi
faceva piacere che lui si interessasse alla mia vita, era come se
cercasse di capire la famiglia Livraghi, come se volesse entrare a
far parte della mia esistenza. Quello che non sapeva era che lui ne
era già parte integrante, che lui era la
mia vita.
«Già»
soffiai «Ma almeno io ho avuto una famiglia, nonostante
tutto, tu
nemmeno quella. Non riesco a capire perché ce l'abbiano
così tanto
con te»
«Non
lo so nemmeno io. Continuavano a ripetermi che ero un errore, ma non
ho mai capito il motivo per il quale mi trattassero che se avessi
rovinato loro la vita» rispose malinconico.
«Se
solo la smettessero di guardarti come se fossi solo un dannato
incidente, capirebbero che persona splendida sei» dissi
guardandolo
dritto negli occhi e vedendo qualche scintilla lucente illuminargli
lo sguardo.
«Tu
dici così perché sono il tuo ragazzo»
scosse la testa e sfuggì ai
miei occhi. «Insomma, loro non mi hanno mai calcolato
più di tanto
ma io non ho mai fatto nulla per farmi accettare. Anzi, ho sempre
creato un sacco di guai. Per cui mi viene da pensare di essere
davvero uno stupido errore».
Si
morse il labbro inferiore e si passò una mano tra i capelli.
Ecco!
Eravamo riusciti a ritrovare il sorriso ed io come una stupida avevo
tirato fuori di nuovo l'argomento famiglia. Ero una cretina patentata
che non riusciva a tenersi la bocca cucita!
«Ehi,
no!» lo richiamai e gli presi il viso tra le mani
«Non dirlo
nemmeno per scherzo. Tu non sei un errore, sei un dono. Il mio dono
più bello».
Dario
accennò un sorriso ed arrossì teneramente.
«Sei
esagerata» borbottò imbarazzato.
«No.
Sono innamorata, è diverso» lo corressi
soddisfatta.
Dario si morse il labbro e mi afferrò la mano costringendomi ad alzarmi. Confusa lo seguii sopra il bordo della fontana e rimanemmo uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue.
Confusa lo seguii verso la fontana davanti alla quale ci fermammo,
uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue.
«Ti
va di esprimere un desiderio?» mi chiese con un sorriso
meraviglioso
indicando con il mento l'acqua azzurrognola.
«Non
dirmi che crederai a queste cavolate!» lo ripresi
ridacchiando.
«Dai,
provaci! Magari si avvera»
Senza
aspettare una mia risposta, estrasse dalla tasca dei jeans due monete
da venti centesimi e me ne porse una. Si voltò di spalle ed
io lo
imitai.
«Al
mio tre chiudiamo gli occhi ed esprimiamo un desiderio» disse
ed io
sospirai «Uno, due, tre».
Entrambi
chiudemmo gli occhi e, seppur non avevo mai creduto alla storia della
monetina, la strinsi forte nel palmo e desiderai che mi dichiarasse
il suo amore, semmai lo provasse per me. Ma tanto sapevo che non si
sarebbe mai avverato un bel nulla. Lanciai la moneta nella fontana e
riaprii gli occhi, ritrovandomi quelli di Dario sorridenti poggiati
su di me.
«Che
hai desiderato?» domandai curiosa.
«Non
si può dire, sennò non si avvera» mi
fece un occhiolino e poi mi
strinse di nuovo una mano «Ho da dirti una cosa,
Alice» disse ed
era tremendamente serio. Mi preoccupai per quel tono di voce e per
quello sguardo che mi perforò l'anima «Da sempre
ho cercato
qualcuno che mi capisse, che mi amasse così come sono, con i
miei
pregi e i miei difetti e che non badasse solo al mio aspetto, ma che
andasse in profondità. Credevo che solo Sole fosse in grado
di
farlo, ma poi ho conosciuto te e mi sono ricreduto. Da quando sono
con te mi sento immensamente bene, importante ed amato» fece
una
lunga pausa durante la quale il mio cuore si fermò per un
attimo e
si umettò le labbra «Sai, Alice, credo di
amarti».
Il
tempo si fermò in quell'esatto momento, quando Dario
proferì quelle
parole che mi penetrarono dritto nel cuore. Rimasi spiazzata, non mi
aspettavo quella dichiarazione, nonostante la stessi sognando da
tanto, troppo tempo. Niente e nessuno, da quel momento in poi,
avrebbe potuto rovinarci, soprattutto non il lontano ricordo di Sole.
Non avrei ai dimenticato quel giorno, sarebbe per sempre rimasto
inciso nel mio cuore.
29
giugno, quando finalmente quello che c'era tra di noi poteva
definirsi amore.
Mi
avvinghiai al suo collo e mi alzai sulle punte per baciarlo.
L'ennesimo bacio ma che aveva un sapore più dolce rispetto a
tutti
gli altri, aveva una carica passionale ancora più
travolgente dei
precedenti e che sapeva di noi, di Alice e Dario al cento per cento.
Quella che sembrava una stupidata come lanciare una monetina in una
fontana esprimendo un desiderio non era poi una cavolata. Quello che
avevo espresso si era avverato, anche se sospettavo che avesse fatto
quella sceneggiata perché sapeva bene che cosa avrei
desiderato.
«Ti
amo» gli dissi, appoggiando la fronte sulla sua.
«Anche
io, piccola» mi sorrise «Non sai quant
«Più
della mia vita» gli confidai con il fiato corto per tutte le
emozioni che stavo provando in quel momento.
«Più
della mia vita» ripeté lui.
Ancora
una volta le nostre labbra si incontrarono, le nostre lingue si
rincorsero, si cercarono e si trovarono poco dopo, sfiorandosi in una
maniera estremamente sensuale e dolce.
«Il
mio desiderio si è avverato» ammisi con un sospiro
«E tu che cosa
hai espresso?» tentai di nuovo, curiosa.
«Ti
ho già detto che non posso dirtelo, sennò non si
avvera!» esclamò
lui scompigliandomi i capelli.
Stavo
per ribattere, quando però una goccia di acqua gelata si
infranse
sul mio naso. Alzai lo sguardo al cielo e fu un attimo che altre
gocce si scagliarono dal cielo sulla città. Aveva cominciato
a
piovere e sembrava che volesse venire giù il diluvio
universale. Un
lampo squarciò il cielo e un suono sordo lo seguì
subito dopo. Era
un tipico temporale estivo, un temporale in netto contrasto con la
quiete che c'era tra me e Dario.
Nel
giro di pochi secondi eravamo già fradici per via di tutta
l'acqua
che scendeva rabbiosa dal cielo. Dario mi afferrò una mano e
cominciò a correre, così come tutti gli altri che
cercavano riparo.
Ma invece di seguire la folla e rifugiarsi sotto dei balconi o dei
portici, lui mi trascinò per le vie della capitale. Se fosse
stato
un qualsiasi altro momento avrei urlato come una pazza, obbligandolo
a fermarsi in un luogo che ci avrebbe protetti dal diluvio. Ma quello
era senz'altro un istante magico, reso ancora più intenso
dalla
pioggia battente.
«Dove
stiamo andando?» gli domandai, quasi urlando, per sovrastare
il
picchiettio.
«Non
lo so!» mi rispose lui voltandosi e sorridendo.
Svoltò
in una piccola via poco illuminata e proseguì a passo
svelto. A
stento riuscivo a stargli dietro e rischiai di cadere più
volte, ma
per fortuna non accadde. Nonostante tutto mi stavo divertendo a
correre sotto la pioggia, con il fiatone e il cuore che martellava
nelle tempie. Raggiungemmo un piccolo parco giochi, anch'esso
abbandonato a causa del diluvio e mi appoggiò contro il
tronco di un
albero, intrappolandomi tra il suo petto e il fusto. Aveva i capelli
completamente bagnati ed appiccicati alla fronte, i vestiti fradici
che gli aderivano perfettamente al corpo disegnando ogni suo singolo
muscolo. Era bello, e l'acqua lo rendeva ancora più
affascinante. Mi
tolse una ciocca di capelli bagnata dalla guancia e mi sorrise.
«Piove»
constatò solo in quel momento «Come quella sera,
ricordi?»
«Il
nostro primo bacio» rimembrai e mi sembrò di
rivedere quelle
immagini riflesse nelle iridi nere di Dario.
«Ma
questa volta non ci sarà un addio»
replicò lui sfiorandomi le
labbra con le sue.
«No»
scossi la testa e gli sorrisi «Questa volta nessuno ci
dividerà»
«Nemmeno
un temporale estivo» soffiò, riferendosi con
quella metafora agli
ostacoli che il destino ci avrebbe messo di fronte.
«Perché
il sole tornerà a risplendere subito dopo con più
intensità»
completai la frase e ci baciammo per l'ennesima volta. Non mi sarei
mai stancata di quelle labbra, anzi più passava il tempo e
più
sentivo la necessità di assaporarle fino a riempirmi al
bocca del
suo splendido sapore. Era come una droga, che inebriava i miei sensi
e offuscava i miei pensieri. Se quello era cominciato come quello che
sembrava il mio giorno peggiore, si stava concludendo in un modo
inaspettato, nel modo migliore che potessi sperare. Le sue mani
scivolarono al di sotto della mia maglietta, accarezzandomi il ventre
e risalendo su verso il mio seno dove le sue dita indugiarono sopra
la stoffa del reggiseno. Seppur ci fosse quell'ostacolo i suoi
polpastrelli riuscirono a mandarmi in estasi in qualsiasi caso. A
nessuno dei due importava che pioveva a dirotto, anzi l'acqua che ci
scorreva sul corpo alimentava solo la nostra passione. Avevo
l'irrefrenabile bisogno di sentirlo dentro di me, di diventare una
cosa solo con lui. Avevo bisogno di lui come se fosse acqua, come se
fosse aria, la mia aria, l'unica in grado di riempirmi i polmoni e di
farmi respirare. Le sue mani scivolarono al di sotto del mio
reggiseno e sentii la sua pelle ruvida e bollente a contatto con la
mia, le sue dita che si muovevano sinuose sui miei seni facendomi
gemere nella sua bocca ed eccitare ancora di più. Purtroppo
però la
pioggia cessò a poco a poco di abbattersi su Roma e la
città, in
men che non si dica, venne di nuovo invasa dalla gente che si era
nascosta per non beccarsi l'acquazzone.
Dario
si staccò dalle mie labbra ed appoggiò la fronte
sulla mia, ,
accarezzandomi il viso con entrambe le mani.
«Sarebbe
stato bello fare l'amore sotto la pioggia» disse con un
sorriso
tirato.
«Un
luogo vale l'altro» scrollai le spalle e gli assaporai il
labbro
inferiore «L'importante è che ci sia tu»
«Oggi
sei più smielata del solito» ridacchiò,
cingendomi i fianchi e
baciandomi di nuovo.
«E
non sei felice di sapere quanto tu sia speciale per me?»
domandai
maliziosa.
«Anche
troppo» ammise perforandomi con il suo profondo sguardo color
carbone.
Ma lo
distolse immediatamente dal mio per puntarlo sul terreno bagnato ed
interruppe il nostro abbraccio. Rimasi a fissarlo perplessa mentre la
pioggia continuava ad abbattersi su di noi senza sosta. Poco dopo
sorrise vittorioso e raccolse da terra una pietra appuntita,
avvicinandosi al tronco. Cominciò ad incidere con
facilità il legno
reso morbido dall'acqua e a poco a poco nacque una scritta irregolare
tremante.
29/06/2010
Alice
+ Dario.
«Così
tutti sapranno del nostro amore»
Fissammo
quella scritta a lungo, mano nella mano mentre la pioggia cominciava
a scemare. Quell'intaglio era una prova di quello che c'era tra di
noi, una sorta di promessa d'amore destinato a non finire mai.
Speravo perlomeno che fosse così, come speravo che
quell'albero in
cui erano racchiuse tutte le nostre emozioni e la nostra passione non
morisse mai.
«Andiamo
a casa?» mi domandò «Siamo
fradici»
«Sei
sicuro di voler ritornare lì? Non preferiresti magari stare
in
albergo?»
Dopo
tutto quello che era successo in casa Vitrano, il clima lì
dentro
non poteva essere di certo dei migliori e non ero sicura che Dario
sarebbe stato in grado di sopportare anche un'ora lì dentro.
Eravamo
finalmente felici e non volevo che quelli distruggessero quel muro di
gioia. Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Non
lo so» e mi strinse la mano ancora di più
«Tanto non cambierebbe
nulla. A casa, in albergo mi odierebbero comunque»
«Sicuro
che riuscirai a sopportare le loro cattiverie?» chiesi
sinceramente
preoccupata.
«Con
te al mio fianco posso superare qualsiasi
avversità» mi disse con
un sorriso dolcissimo, un sorriso felice e non malinconico.
Mi
strinsi a lui talmente forte che sembrava volessi inglobarlo dentro
di me. Era bagnato, i vestiti erano fradici ma non mi importava.
Ciò
che mi interessava era solo stare tra le sue braccia e godere del suo
incantevole calore, bearmi del suo dolce odore di vaniglia.
Ci
vollero pochi minuti perché arrivassimo davanti alla villa
Vitrano e
non appena vedemmo il cancello di ferro battuto rabbrividimmo
entrambi. Mi abbracciò ancora più forte e prede
un respiro
profondo, cercando il coraggio dentro di lui di varcare quella
soglia. Avevo paura, paura di quello che avrebbero detto, paura di
vederlo nuovamente triste.
«C'è
sempre l'albergo» gli ricordai, ma lui scrollò la
testa.
Citofonò
e dopo alcuni secondi sentimmo scattare il cancello. Percorremmo il
sentiero di ghiaia a passi piccoli e lenti, stringendoci l'uno
all'altro mano a mano che la distanza dalla porta bianca diminuiva.
Purtroppo l'uscio arrivò troppo presto e dietro di lei
trovammo il
signor Salvatore con un bicchiere di cognac in mano.
«Avete
fatto una passeggiata?» domandò chiudendo la porta
alla nostre
spalle.
Dario
annuì e cercò di fuggire subito su per le scale,
ma suo padre lo
bloccò per un polso trattenendolo al piano inferiore.
«Ho
bisogno di parlarti Dario» disse con tono serio.
Il mio
ragazzo cercò i miei occhi. Era smarrito e non sapeva cosa
fare. In
realtà nemmeno io sapevo cos'era meglio per lui, ma il
signor
Vitrano mi sembrava l'unico che si interessasse a suo figlio, almeno
un minimo. Annuii, lui seguì il padre sul divano.
«Ti
aspetto su» gli dissi «Buonanotte»
aggiunsi rivolgendomi ad
entrambi che mi risposero con un cenno della mano.
Salii
le scale di corsa, ma invece di raggiungere il secondo piano mi
fermai a metà rampa, accovacciandomi dietro la ringhiera per
origliare. Non era eticamente né moralmente corretto, ma non
volevo
abbandonarlo e dovevo stargli accanto.
«Devi
farmi il cazziatone?» domandò subito Dario con
tono brusco.
«No,
figliolo» sospirò suo padre «Volevo solo
parlare un po' con te»
«Di
quel maledetto foglio, immagino» borbottò
scocciato il mio ragazzo.
Ci fu
una piccola pausa ed immaginai che Salvatore avesse annuito dato il
discorso che ne seguì subito dopo.
«La
notizia ci ha davvero spiazzati. Insomma non è mai piacevole
scoprire che il proprio figlio per mantenersi si prostituisce»
«Chissà
che putiferio si sarebbe creato semmai qualcuno lo avesse scoperto.
Il cognome dei Vitrano sarebbe stato infangato per l'ennesima volta,
non è così?» rispose tagliente Dario.
«In
verità, quando ho visto quel foglio non mi sono nemmeno
preoccupato
per il cognome che portiamo, ma mi sono sentito una vera
merda» gli
confidò il padre con un filo di voce «E mi sono
sentito in colpa
perché io sono tuo padre e nonostante questo ti ho voltato
le
spalle, ho preferito la mia carriera a te. Così non mi sono
accorto
di quanto tu soffrissi e di cosa sei stato costretto a fare»
«Oh!
Dopo cinque anni arrivano i sensi di colpa. Magari avresti dovuto
pensarci prima» replicò aspro il mio ragazzo.
«Credevo
che te la saresti cavata!» alzò il tono Salvatore,
per poi
abbassarlo nuovamente ed addolcirlo «Mai, mai avrei pensato
che
saresti arrivato ad una cosa del genere»
«Scopare
è l'unica cosa che so fare nella mia vita»
sospirò Dario affranto
e avrei voluto essere lì per abbracciarlo in quel momento
«Tu non
sai come è stato degradante vendermi così. Ogni
giorno mi sentivo
una merda ed ogni istante ho immaginato questo momento, quando avete
saputo la verità. È stato umiliante,
papà! Non avrei mai voluto
che voi sapeste una cosa del genere!».
Un'altra
pausa, questa volta più lunga, così mi sporsi
dalla ringhiera e
vidi il signor Salvatore stringere forte suo figlio, accarezzandogli
la nuca.
«Immagino,
figliolo. Ma io sono fiero di te comunque. Lo sono sempre stato e non
smetterò mai di esserlo» disse con tono dolce
«Perché tu sei
davvero un ragazzo d'oro. Certo, hai fatto un sacco di marachelle, un
sacco di casini e sei malato di sesso» ed entrambi
ridacchiarono «ma
ciò non toglie che sei una persona splendida. E che sei mio
figlio e
ti voglio bene incondizionatamente»
Dario
si strinse di più al petto di suo padre e mi
sembrò di vedere un
bambino bisognoso d'affetto in quel momento. Che, fortunatamente,
trovò tra le braccia di Salvatore che sembrava l'unico,
insieme a
Consuelo, a tenere davvero a lui.
«Scusami,
papà, se ti ho deluso» mormorò Dario.
«Non
mi hai deluso, anzi! Il fatto che tu abbia trovato il coraggio di
voltare pagina, di abbandonare quel lavoro e dare una svolta alla tua
vita dimostra quanta forza di volontà tu abbia»
«Il
merito è solo di Alice» ammise e sentii il mio
cuore esplodere di
gioia «Senza di lei non sarei riuscito a combinare nulla di
buono»
«La
ami?» gli domandò a bruciapelo.
E
senza esitazione, con molta decisione e una dolcezza spiazzante,
Dario rispose «Sì».
Era
sufficiente quello che avevo sentito. Il signor Vitrano si era
dimostrata una persona splendida, così come suo figlio e le
parole
che entrambi avevano detto mi avevano toccato il cuore. Feci gli
ultimi gradini con un sorriso ebete stampato in volto. Che,
però, si
spense non appena vidi Mauro appoggiato alla porta della stanza di
Dario.
«Ha
pianto il fratellino?» domandò con un sorriso
sornione.
«Mi
dispiace per te ma, no, non ha pianto. Anzi, non gliene frega nulla
di quello che pensate voi» sputai acida.
«Wow!
Che caratterino! Dove le nascondi le unghie, eh?» disse
sarcastico
facendo qualche passo verso di me.
Indietreggiai
di conseguenza trovandomi al bordo del gradino. Rischiai di ruzzolare
giù per le scale e rompermi l'osso del collo, ma
fortunatamente mi
fermai prima di tirare le cuoia. Mauro mi sorrise ed allungò
una
mano verso di me, sapendo bene che non potevo andare più
indietro di
così se non volevo precipitare. Mi afferrò un
braccio e mi spinse
verso di lui, verso un abbraccio da parte sua poco gradito.
«Sei
tutta bagnata» disse e c'era un che di sensuale nella sua
voce
«Rischi di ammalarti, così» e
cominciò a strofinare con estrema
delicatezza le sue mani contro la pelle delle mie braccia.
Incontrollato e soprattutto inaspettato un brivido mi percorse la
spina dorsale e non per il freddo ma per il suo tocco
destabilizzante. Lo odiavo con tutto il mio cuore, lo disprezzavo per
quello che aveva fatto a Dario, eppure era tremendamente bello stare
a contatto con il suo calore, sentire le sue mani su di me, vedere le
pupille di quegli occhi azzurri dilatarsi quando mi guardava. Tentai
di divincolarmi, di liberarmi dalla sua presa ma tutti gli stimoli
cerebrali non arrivavano alle terminazioni nervose, per cui rimasi
rigida tra le sue braccia, senza sapere cosa fare.
«Non
pensare che io ce l'abbia con te. Anzi l'ultima cosa che voglio
è
vederti piangere» mormorò con un tono di voce che
sembrava
smarrito «Soprattutto per mio fratello. Non devi
perdere tempo
con uno come lui. È solo un pezzente».
E il
fatto che avesse tirato in mezzo Dario, mi fece scattare come una
molla, risvegliò i miei nervi e fui in grado di allontanarlo
da me
con una spinta.
«Smettila,
smettila di parlare male di Dario!» quasi sbraitai e lui
rimase
spiazzato dalla mia reazione «Puoi dirmi tutto ciò
che vorrai, ma
tanto io continuerò ad amarlo»
«Sei
caduta anche tu nella sua trappola» ribatté con
tono basso «Ma
come si fa a resistere a quegli occhi dolci, no? A quello sguardo
meraviglioso».
Rimasi
silenziosa ad ascoltarlo parlare e non sapevo se dubitare davvero di
Dario oppure ignorare completamente le parole di Mauro. Sapevo di
dovermi fidare del mio ragazzo, ma la voce di suo fratello era
talmente convincente, quasi affranta che mi ritrovai sospesa in un
limbo di domande senza risposta.
«Lui
mi ama» dissi con voce tremante ed insicura.
Mauro
sorrise di sbieco e affondò le mani nei pantaloni della
tuta,
voltandosi per raggiungere la sua camera.
«Non
illuderti» mi avvertì «Sarai solo
l'ennesima ragazza che uscirà
da questa casa piangendo».
_________________________________________________
Hello
to everybody!
Eccomi qui come avevo promesso con il nuovo capitolo. C'è
davvero tanto da dire qui e spero di non dilungarmi troppo ^^"
Diciamo che il capitolo non si apre proprio nel migliore dei modi dato
che Alice scopre le foto di Sole dietro ai poster. È gelosa
di lei, ovviamente e crede che Dario sia ancora innamorato di lei. Poi
a complicare le cose arrivano anche i genitori del suo ragazzo.
Salvatore non è cattivo, in fondo...diciamo che è
il male minore lì dentro anche se non è uno
stinco di Santo nemmeno lui. Infatti glielo dice anche la moglie che ha
preferito la carriera al figlio. E la signora Nicoletta è
simpatica come un cactus infilato nel di dietro ^^" è una
donna con la puzza sotto il naso e la odio xD non c'è
nient'altro da aggiungere.
Parliamo invece di Mauro. All'inizio fa tutto l'affettuoso, il carino
anche con Dario, insomma un'altra persona da quella che avevam0 avuto
modo di vedere nello scorso capitolo. Ma in realtà era solo
un modo per rendere più amaro il boccone che ha dovuto
mandare giù Dario. La sorpresa si è rivelata
essere una bastardata. Mauro ha rivelato a tutti la sua scoperta e,
come c'era da aspettarselo, la family non ha affatto gradito. E non per
il figlio ma per il cognome che portano. Ma Alice si è fatta
valere e ha difeso il suo ragazzo con tutte le sue forze.
Dulcis in fundo l'uscita alla fontana di Trevi. Questa è la
prima volta che Alice parla della separazione dei suoi genitori e non
è che l'abbia vissuta benissimo. È stato molto
tenero Dario a preoccuparsi della sua situazione famigliare e ancor
più tenero quando le ha fatto lanciare la monetina nella
fontana. La cosa più importante di questo capitolo la avrete
intuita...Dario, finalmente, si è dichiarato e le ha detto
Ti amo ♥.♥ sono in brodo di giuggiole
>.< E non solo! Ha inciso anche le loro iniziali sul
tronco di un albero. Secondo me la scena in cui corrono sotto la
pioggia è le migliore >.< è
così romantica! Ma resta comunque da scoprire che cosa ha
desiderato Dario e se si avvererà soprattutto :) Mi
piacerebbe sentire le vostre ipotesi a riguardo!
E infine, dopo il riavvicinamento da parte di Salvatore e Dario, spunta
di nuovo Mauro. LA maggior parte di voi lo odia ed è
comprensibile. Non è certo un ragazzo simpatico e fa di
tutto per fasri odiare. Ma è più odioso di
Saronno? Io amo entrambi, a dir la verità xD
Vabbè...avrà ragione Mauro a dubitare e far
dubitare anche Alice? O lo fa solo per veder soffrire suo fratello?
(oggi sono in vena di domande xD)
Come al solito ringrazio le splendide persone che seguono la mia
storia, che la preferiscono e la ricordano. Quelle che leggono soltanto
e quelle che hanno recensito lo scorso capitolo, oltre a quelle che mi
sostengono su Facebook.
Come
in un Sogno - con Ionarrante.
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know that - pagina in cui potrete trovare
curiosità sui personaggi delle mie storie e di quelle di Ionarrante
Le
999 cose che la gente non sa degli scrittori
Crudelia
Graphic
Ci becchiamo su FB e al prossimo capitolo. Vi dico solo di preparare i fazzoletti ç___ç