Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Laleith    04/10/2011    1 recensioni
La risata arrivò alle orecchie di Deia come se fosse stata immersa nell’acqua. E in quel momento voleva esserlo. Voleva andare affondo in una pozza d’acqua cristallina, in grado di lavare quella sensazione di sporco e sbagliato che avvertiva, di cancellare ogni traccia della violenza e, perché no, di lei.
Storia sospesa.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La via più facile

Non piangere, stupida!
Smettila!

 Chiuse gli occhi, tentando di scacciare le lacrime che minacciavano di uscire. Ancora.
Era umiliata. Piangere non era il suo modo di sfogarsi preferito. Preferiva prendere a martellate una spada ancora rovente, o urlare. E invece, vergogna delle vergogne, era inchiodata davanti al ragazzo, con le braccia avvolte attorno al busto, scosso dai singhiozzi, e con le guance rigate.
Stentava a riconoscersi.
Se avesse assistito ad una scena del genere, avrebbe preso a schiaffi la ragazza piangente senza pensarci due volte. Mostrarsi debole non portava mai nulla di buono, specialmente ad una donna sola. Come era lei.
Quando riaprì gli occhi, finalmente erano asciutti, nonostante i singhiozzi ancora la scuotessero.

Gabor, dal canto suo, continuava a tremare e per la prima volta lo vide abbassare lo sguardo.

Forse sei davvero diventato insensibile. Non avresti mai detto una cosa del genere, idiota.
Non ho bisogno di sentirmi peggio di come mi sento già.
Nemmeno lei…

 Il ragazzo portò una mano a coprirsi il volto, sperando che quel gesto rendesse meno evidente il suo tremito interiore.
Da quando il suo corpo e la sua mente avevano deciso di agire seguendo vie diverse? Il primo sembrava convinto a seguire i suoi istinti animaleschi, alzando le mani e lasciandosi andare a gesti di debolezza. La seconda, invece, sembrava intenzionata a farlo sentire ancora peggio, rimproverandogli il poco tatto dimostrato.
Doveva calmarsi, assolutamente. Non poteva permettersi altre scene come quella appena vissuta.
Aprì leggermente le labbra, lasciando entrare una gran quantità di ossigeno, e per poi espirare lentamente.
Sentì chiaramente i suoi battiti rallentare. Dietro la sua stessa mano ricostruì la maschera di compostezza ormai troppo radicata in lui.
Nello scoprire nuovamente il volto, incrociò lo sguardo non più lacrimoso della ragazza.

 -La verità è chiedere troppo?-

 Rispose alla domanda che Deia gli aveva precedentemente rivolto, sperando di non forzare troppo la mano.
Deia sospirò impercettibilmente, puntando lo sguardo sul petto del ragazzo, proprio dove sapeva essere la sua immancabile croce. Avrebbe riso. Lo aveva sempre biasimato per quella sua fede cieca in quella religione che a suo avviso non aveva fatto altro che male. A partire da sua madre.

Eppure in quel momento, lo invidiava.
Scosse la testa, abbassando la manica che il ragazzo aveva poco prima sollevato.

 -Non sono pronta a dirla ad alta voce. -

 Era stato poco più di un sussurro, sebbene dovesse apparire come una frase sprezzante.

 -Ho bisogno di dimenticare. Per favore.-

 Aggiunse, tornando a guardarlo negli occhi.
Un brivido attraversò la schiena martoriata del ragazzo.
Ricordò il primo giorno in cui l’aveva vista. Aveva pensato che non avrebbe mai chiesto pietà, né implorato, eppure era stato lui a costringerla a farlo.
Gabor abbassò – per la seconda volta- lo sguardo, chiudendo gli occhi.
E capì cosa fare
Si schiarì la voce, tentando di scacciare quel groppo che gli impediva di respirare e parlare liberamente.

 -Allora credo che dovresti concentrarti su altro. Domani torni a lavorare. Una delle domestiche della signora sta male, devi sostituirla.-

 Per un attimo le era sembrata sospirare dal sollievo, ma alla parola signora e sostituirla, si era nuovamente irrigidita.

 - Ma… l’armeria? Da solo non puoi farcela e io so…-

 - Frid mi sta aiutando. E per quanto capace tu possa essere, con quella mano non puoi fare proprio nulla. Ma se si tratta di rifare un letto e portare cibo, non dovresti avere problemi.-

E proprio mentre terminava la frase, si rese conto che la ragazza avrebbe dovuto indossare abiti prettamente femminili. Di problemi ne avrebbe avuti, eccome!
Il silenzio scese di nuovo ad opprimerli in quel buco di stanza, costringendoli a fissarsi di nuovo, in una tensione sempre più densa. Gli avvenimenti di poco prima ancora ad echeggiare nelle pareti.

 Dillo! Sono solo due parole!

 Gabor aprì leggermente la bocca, pronto a parlare, ma guardando quegli occhi feriti, si ritrovò a boccheggiare alla ricerca di aria.
Come poteva scusarsi con una sola, banalissima, frase?
Ma sarebbe stato meglio di niente, no? Almeno, nell’osservare quel segno rosso che le avvolgeva il polso, semicoperto dalla stoffa della manica, si sarebbe sentito meno…pessimo.
Decise di rivolgerle un cenno del capo, per congedarsi, ma una volta pronto a chiudere la porta, si fermò. La sensazione di malessere che gli aveva afferrato lo stomaco non voleva sparire, anzi.

 - Spero mi perdonerai.-

 Deia ebbe appena il tempo di recepire la frase, che era già scomparso dietro la porta.

Ripercorse velocemente i corridoi, continuando a passarsi le mani tra i capelli cortissimi e maledicendosi per la sua scenata.
Forse era davvero troppo tempo che viveva in quel castello. Forse doveva andarsene. Forse poteva ritirarsi in un monastero. Forse avrebbe smesso di sopportare cattiverie.

 - Gabor? GABOR!-

 Il ragazzo sussultò, voltandosi di scatto verso il corridoio che aveva appena percorso.
Una signora dai capelli tendenti al grigio, con il volto dolce ma atteggiato a severo e le mani sporche di cenere, lo fissava tra il contrariato e il divertito.

 - Temevo fossi diventato sordo!-

 Gli si avvicinò scuotendo la testa. Il giovane mosse istintivamente qualche passo verso di lei, finché non le si ritrovò a pochi centimetri di distanza. Preso com’era dalle sue elucubrazioni, non si era accorto della sua presenza.

 - Ero sovrappensiero, perdonatemi.-

 Un lampo di preoccupazione e di affetto incondizionato attraversò gli occhi azzurri della donna.
Portò una mano ad accarezzare il volto serio del ragazzo, come aveva fatto per quasi vent’anni.

 -Qual è il problema?-

 Il ragazzo andò incontro alla mano, quasi abbandonandovisi contro. A volte il tocco di una madre valeva più di mille incoraggiamenti.
Chiuse gli occhi, assaporando appieno l’aroma di lavanda che emanava la levatrice. A volte una seconda madre può fare molto più della vera.

 -Continua ad urlare, non è vero?-

 Rispondere con una domanda era decisamente più semplice.
La donna strinse le labbra, lasciandogli un buffetto sulla guancia, per poi ritrarre la mano.

 - Mi chiedo come non abbia fatto a perdere la voce… Povera ragazza.-

 -Se ti sentisse…-

 A Gabor scappò un sorrisetto mentre, infastidito dall’improvvisa mancanza di contatto, appoggiava la fronte sulla spalla della donna, notevolmente più bassa di lui.
La donna si irrigidì leggermente. Erano rari i momenti in cui si lasciava andare e gli ultimi che riusciva a ricordare erano quelli in cui non raggiungeva i sei anni di vita. Gli circondò le spalle con le braccia, accarezzandole lentamente, come quando le si stringeva addosso chiedendole perché non potesse andare dalla sua vera mamma.

 

- Perché? –
-Mi dispiace, tesoro. Non lo so.-
Mentirgli era più facile, di fronte a quegli occhioni scuri e bagnati dalle lacrime.
- Ma io voglio stare con lei… Anche tu sei la mia mamma, ma io voglio
lei!-
Faceva male vederlo soffrire così. In cinque anni non le aveva mai causato problemi. L’unico capriccio che si era riconosciuto, lei non poteva concederglielo.

 Il suo ricordo venne interrotto dalle mani del ragazzo che, delicate, sciolsero le sue intrecciate.
Gli riservò un’ultima carezza, a cui rispose con uno dei sorrisi più dolci e rari che concedeva.

 -Non colpevolizzarti, non potevi saperlo.-

 Gabor la osservò aggrottando leggermente le sopracciglia. Non illuderti, sai che è colpa tua.
La sua coscienza non voleva lasciarlo stare.
Sarebbe stato decisamente meno faticoso darle contro, se avesse avuto la certezza che si sbagliava. Perché lui aveva avvertito che qualcosa non quadrava. L’aveva anche avvertita, lasciandola però sola.

 -Da domani sostituirà la ragazza che sta male, ditele quali saranno i suoi compiti, per favore.

Le fece un cenno col capo per poi voltarsi e continuare per la sua strada. Per sua fortuna nessuno si era mai messo in testa di seguirlo quando spariva. Si sarebbe rivelato troppo sconvolgente per chiunque.
Mentre la donna eseguiva quello che le era stato chiesto, il ragazzo raggiungeva una porta di legno scuro, finemente intagliata con rami argentati che partivano dalla maniglia e si allargavano su tutta la tavola. Era chiaramente molto antica. Il legno sembrava schiarito ad altezza d’uomo, come se colpito più e più volte da una mano, mentre alcuni rami erano sbiaditi alle estremità.
Il ragazzo non si fermò a bussare o a chiedere il permesso, ma si premurò di fare quanto più rumore possibile nell’avvicinarsi all’uscio.
Dall’interno della stanza non arrivò alcuno rumore, segno che chiunque si trovasse all’interno, dava il permesso al ragazzo di entrare.
L’interno non era molto illuminato, solo una candela su uno scrittoio rischiarava l’ambiente, colorato dal rosso scuro e dall’argento.
Una figura femminile era seduta su una bergere, rivolta verso lo stesso scrittoio su cui erano accatastati libri e fogli vari.

 -Ti sei ricordato di me, allora.

 -A quanto pare…

 Rispose lui atono. Dalla postura rigida e dal volto indifferente era chiaro come il sole che non era affatto una visita di piacere.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Laleith