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Autore: frannn    05/10/2011    0 recensioni
"Però tutto questo non cambiava il fatto che ero lì, avevo il mio posto insieme a tutte le altre persone che tenevi fuori, che sistemavi come più preferivi per non sentirti impegnato con nessuno, soffocato o in dovere".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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hurt.
Ancora non capisco se mi ha fatto più male perderti o averti.

Quanto tempo impiegato per lasciarti andare. Pensarci ora lo fa sembrare anche un po’ ridicolo, tutto quell’attaccamento che provavo, tutto quel bisogno di darti un’altra possibilità, senza che tu la chiedessi, senza che tu ti rendessi conto d’aver fallito nella precedente. Ricordo che avevi sempre quell’aria sospesa tra le nuvole, come se non ti accorgessi dei problemi che ci allontanavano pian piano: eppure il tuo sguardo non era leggero ed ingenuo. No, i tuoi occhi erano pieni di orgoglio, di rabbia, di risentimento e di dolore. Forse ho sbagliato a dire che eri tra le nuvole, forse sarebbe più azzeccato immaginarti tra mille insormontabili e pesanti macigni, in grado di oscurare il Sole, sottraendo la luce alla tua vita. D’altra parte, io non sono mai stata abbastanza dura con te e probabilmente avrei dovuto: ci voleva più pugno di ferro, più forza, perché da solo non potevi spostare quei massi e avevi bisogno che qualcuno lo facesse al posto tuo. Il problema di fondo, però, quello che mi impediva di aiutarti e di starti vicino, era non sapere. Mi tenevi così all’oscuro di tutto che potevo soltanto vagamente immaginare i tuoi problemi, disegnarli nella mia mente come ovvi e comprensibili, perché non mi fossero tanto sconosciuti. Ma chissà, forse tu soffrivi per questo e io immaginavo quello; A ti feriva, mentre io mi scervellavo su B, C, D e tutto il resto, soltanto perché ogni passo avanti verso di te, per toccarti, per abbracciarti, per non lasciarti andare via, era uno sforzo vano. Non sono riuscita a fare breccia nella tua cortina di fumo, non sono riuscita a capire. Comprendevo solo in parte, una parte minima ed insufficiente perché potessimo davvero considerarci amici, perché ci sentissimo, per un istante, vicini.

* * *

Non so individuare con precisione il momento in cui tutto è cambiato, non solo per te, intendo. Tu eri almeno dieci passi avanti rispetto a me: mentre ti lasciavi inconsapevolmente alle spalle il nostro rapporto, non cercandomi più, non rispondendomi più, non guardandomi più, io ancora tentavo di venire a capo. A quel tempo lavoravi al bar di Ezio, caro, vecchio e tirchio Ezio. Eri incastrato da parecchio in quell’impiego, sin dall’ultimo anno di liceo. Tu stesso ammettevi che ti sottraeva più tempo di quanto avessi a disposizione, eppure qualcosa ti spingeva a non licenziarti. All’università avanzavi spedito, voti altissimi, esami impeccabili, tutto ti era comprensibile, immagazzinavi informazioni come un automa. Ero esterrefatta dalla tua intelligenza, ma il tuo era un sapere avido: non ti piaceva scoprire, non eri curioso, ciò a cui avevi sempre mirato era essere il migliore. Rispetto a chi, non l’ho mai saputo, e per chi... tantomeno. Trascorrevo spesso e volentieri del tempo al bar, mentre tu lavoravi: mi sedevo al solito tavolino vicino alla vetrata, quella che dava sul parco, e portavo con me un libro o un giornale. Ero capace di trascorrere ore lì, aspettandoti. In effetti, è sempre stato questo, ti ho atteso seduta nell’anticamera della tua confusione: ogni tanto ho gridato domande o frasi colme d’affetto, ogni tanto mi sono alzata per cullarti quando avevi paura, ogni tanto ho pestato i piedi arrabbiata per il tuo comportamento. Però tutto questo non cambiava il fatto che ero lì, avevo il mio posto insieme a tutte le altre persone che tenevi fuori, che sistemavi come più preferivi per non sentirti impegnato con nessuno, soffocato o in dovere. La nostra amicizia è nata in un’esplosione di meraviglia, sembrava promettere un futuro splendente, pieno di fiducia...
Tanta armonia e tanta bellezza avrebbero dovuto mettermi in guardia. Tutto filava troppo liscio: non dico che avremmo dovuto litigare, non dico che per essere uniti sarebbe bastato scontrarsi una volta, non è questo. L’assenza di dossi, però, era pericolosa. Potevano anche non esserci attriti tra di noi, ma di certo nella vita dell’uno e in quella dell’altro c’erano delle gioie, delle sorprese, delle sofferenze e delle delusioni, eppure di questo non sentivo nemmeno l’eco. Io mi raccontavo, mi spogliavo di ogni protezione perché tu entrassi nella mia vita, ti parlavo di problemi e paure che nemmeno a me stessa volevo confessare, ma nel rispetto del bene che ti volevo e della fiducia che riponevo in te, facevo un grandissimo sacrificio e mi abbandonavo alla sincerità. Era spaventoso il modo in cui tu reagivi e soprattutto come mi facevi sentire: quando l’ultima delle mie parole si spegneva, tu rispondevi “Eli, lascia stare, non ci pensare, non è importante”, come se fosse così riduttivo e banale. Che ti parlassi di un’esperienza felice o di un dubbio che mi perseguitava, che l’argomento fosse positivo e meno, tutto ciò che eri in grado di fare era lavartene alla svelta le mani, arrogandoti il diritto di farmi sentire sciocca. Questo, però, non è stato un tuo sbaglio, bensì mio, che ti ho lasciato giocare con le mie convinzioni, con i miei pensieri, con le emozioni e con la positività che non mi vergognavo di mostrarti. L’ho sempre pensato e ne sarò convinta finché vivrò: mai permettere a nessuno di farti dubitare di te stessa. Sì, gli amici o l’amore o i parenti o anche uno sconosciuto possono spingerti a riflettere sulla persona che sei e sui tuoi difetti, possono aiutarti a migliorare, a risolvere un problema, ad aprire gli occhi sulla verità o sugli errori commessi; ma nessuno, amandoti davvero, ti farà mai pensare di non essere all’altezza.
Ora, quale poteva essere l’amara conclusione, secondo te? Se tu, con i tuoi gesti e le tue parole, mi facevi sentire inetta, illusa, piccola ed ingenua? Se sparivi quando cadevo, se non c’eri quando ti cercavo, se non avevi spazio, né tempo, né pensieri per me, come pensavi che potesse terminare il nostro spicchio di esistenza comune?

* * *

Ricordo di una mattina in cui non riuscisti a nascondermi il tuo sguardo triste. In realtà, non sei mai stato bravo come credevi: le tue bugie sotto i miei occhi erano lampanti. Quando dicevi di star bene e non era vero lo capivo, ma non potevo continuare ad insistere perché mi schivavi abilmente. Però quel giorno le tue difese calarono un po’, non abbastanza perché un altro se ne accorgesse, ma per me era tanto, una svolta notevole che, come dovetti costatare, ebbe breve durata. Mi hai chiesto di abbracciarti e siamo rimasti in silenzio per una decina di minuti. Poi il tuo cellulare ha squillato e ti sei allontanato, cioè sei tornato al tuo posto distante, con indosso la tua aria spavalda e intoccabile. In quel breve lasso di tempo, ho visto il mio amico e poi l’ho osservato sbiadire sotto i miei occhi, per la prima volta. Non sembravi nemmeno più tu ed ho cominciato a rendermi conto che stavi creando una persona diversa, una tua nuova e fredda personalità che sopprimesse ciò che sei sempre stato nel profondo: ferito.

* * *

C’è stato un periodo di buio totale, con te, durante il quale ti mandai un paio di messaggi e ti chiamai, senza nessun risultato soddisfacente. Ho incontrato persino tua madre, dopo due settimane di nulla, rimasta sconcertata nel sapere che non ci vedevamo da così tanto tempo. “Sei la sua amica più cara!”, commentò. Non sapevo se ridere o piangere, infatti scrollai semplicemente le spalle: non ero la tua amica più cara, perché altrimenti non mi avresti posto nel dimenticatoio. Spesso ho pensato di essere egoista, di non giustificarti abbastanza. Spesso mi sono detta “sono i problemi che lo fanno agire così”. Mi sentivo cattiva e sbagliata, pur di non ammettere che la responsabilità poteva essere anche tua. Ci siamo ritrovati giorni dopo al bar di Ezio e come se niente fosse tu mi hai portato del caffè ed una ciambella e mi hai chiesto come stavo. Ti ho guardato allibita e senza parole, comprendendo al volo un atteggiamento che per anni non avevo messo a fuoco: eri certo di me, eri sicuro, avresti scommesso tutti i tuoi soldi, tutti i tuoi averi, forse persino te stesso, se ti avessero chiesto “lei ci sarà?”. Non avevi il benché minimo dubbio che ti avrei accolto a braccia aperte per l’ennesima volta, figliol prodigo, sapevi che avrei ripreso a parlare di me, dei miei studi, degli amici, della situazione a casa. Pensavi bene di poter mettere in pausa la nostra amicizia quando più ti faceva comodo e tornare a riprenderla se ne avevi l’occasione. In quel momento mi chiesi cosa sarebbe successo se non ci fossimo incontrati al bar, quanto tempo sarebbe passato prima di sentirti o vederti e compresi che non ero disposta ad essere un part-time, per te. Ti ho risposto in modo naturale, ma conoscendomi sapevo che quel tono celava un cambiamento: mancava la più profonda nota di affetto. Voleva dire che, pur soffrendo, stavo pensando di lasciarti andare.

* * *

Non ti incolpo per come è andata tra di noi. Non mi interessa scovare i perché, ciò che è accaduto è irreversibile e noi lo sappiamo bene. Le persone possono deluderti e ne siamo consapevoli. Infatti non serbo rancore e il pensiero di te mi fa sorridere, perché, a prescindere da tutto, ti ho voluto bene come a nessun altro prima. Per me questo è tanto, per me questo basta e la speranza è tornata, dopo la tristezza.
L’unica nota dolente nel mio pensiero è che non riuscirai a vederla allo stesso modo. So che per te una delusione è una macchia indelebile e che la tua fede si spegne giorno dopo giorno. Ho sempre pensato a te come ad una persona forte, in grado di agire sostenendo le conseguenze delle sue scelte e di sopportare le inaspettate sregolatezze della vita, ma ho dovuto ricredermi. Un dolore ti sfianca, non ti permette più di credere in nulla, gli lasci portar via la magia e non ti stupisci più. Una volta mi è stato detto e dimostrato che quando tutto va male, si può tornare a sorridere e a sperare. Questo grazie alla meravigliosa abilità di chi ci ama o di chi incontriamo improvvisamente di ricondurci in un mondo incantato, anche solo per un istante. Ecco, so che tu non daresti mai peso a queste parole, so che abbasseresti il capo, scrolleresti la testa e ridendo borbotteresti “Bah, non ne sono sicuro”.
   
 
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