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Autore: Natalja_Aljona    05/10/2011    2 recensioni
E' la fine.
E' la fine di chi cerca la forza in se stesso e poi la trova nel cuore degli altri, nel cuore di pietra della periferia.
E lui è Feri Desztor, il paladino della vita di strada, la voce dei ragazzi di strada, il più coraggioso, il più illuso, forse.
Lui dice di no, non è la fine, questa.
Eppure sta morendo, la sua Rivoluzione.
La sua follia.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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E come ti potevo sorridere?

Erano stati tutti amici miei

A volte sento che bussano

Non è niente, niente, niente

Non sono loro che tornano

Solo vento, vento, vento

(Canzone per Sergio, Roberto Vecchioni)


Sogno di colei che è la mia follia

1 Ottobre 1848


Come fare un mondo

Dove non c'è più

L'escluso?

Come fare un mondo

Senza povertà

E frontiere?

(Condannati, Riccardo Cocciante)



Forradalom bruciava.

Come il Cremlino davanti ai Francesi, l'eterno quartiere dei ribelli si ribellava ai sogni di chi, con speranze feroci e cocenti, era morto per tenerlo in vita.

Come gli occhi ardenti dei Decabristi a Pietroburgo, la fiamma lenta della Rivoluzione moriva quel giorno.

Come l'ultimo sguardo di sua madre sulla neve di Omsk, brillava l'ultima pioggia di quella strada sconvolta, ferita e vissuta cent'anni, la sua strada.

La Rivoluzione tramontava piano, il cielo svaniva alla fine della strada, c'era ancora il suo nome, alla fine della strada.

Feri se lo mangiava con gli occhi, quel cielo.

Ci provassero, a strappargli quell'azzurro soffuso, fragile e tenace come il suo cuore di Rivoluzionario, gli Zaristi, i Signori di Pietroburgo.

Sparavano su Forradalom.

Lui sorrideva ancora e sfidava con gli occhi chi aspettava, impietoso, la morte del re.

E ci provava, quel re, a resistere.

Se non per la realtà che aveva rovesciato quella strada, per il ricordo.

E ci provava, quel re, a rivivere quegli anni, a far tornare quel tempo, a ritornare impiccato sul patibolo della libertà per il popolo, per la gente di Forradalom.

E no.

Feri non muore.

E impotente cercò di dipingere quel suo sorriso stanco, oltre gli occhi lucidi del sogno caduto, nell'aria tagliente del primo mattino di quella nuova stagione, dell'ultimo mattino di Forradalom.

Feri Desztor figlio della Rivoluzione.

Ma lui aveva una sfida da giocare come un asso alla fine di tutto, aveva il tempo di mantenere un'ultima promessa.

E sorrise.

Feri Desztor per la Rivoluzione.

Lo ammise piangendo, ma infine lo ammise, e in fondo al cuore viveva ancora la voglia di tornare a combattere, ma non ce la faceva più.

Doveva finire anche quell'illusione.

Ma lasciatela finire nelle mie mani.


Feri Desztor, condannato a morte.

Feri Desztor, il Terribile.

Feri Desztor, il capo dei Rivoluzionari.

Feri Desztor, ragazzo di Forradalom.


Io che mi

Ribellai

Rivoltai

Rifiutai

Mondo che

Mi umiliò

Mi piegò

Mi spezzò

Condannò

(Condannati, Riccardo Cocciante)




Note


Doveva essere una drabble, questa.

E come drabble fa tanto tanto ridere, me ne rendo conto.

Sono peggio di Feri, io.

I limiti non li so rispettare, mai.

E Feri, in fondo, i limiti di Forradalom non li ha mai saputi vedere.

Non doveva finire, Forradalom.

Logicamente, forse, sì.

Per me e per Feri no.

E non è finita, forse.

No.

1 Ottobre 1848.

Feri ha ventinove anni, in questa...chiamiamola missing moment, che a definirla “drabble” mi viene da mandarmi a quel paese da sola.

Feri ha ventinove anni, in questo missing moment.

La data...oh, è una storia troppo lunga e troppo assurdamente demenziale, il motivo per cui ho scelto il primo di Ottobre.

Ha un significato particolare, questo sì, ma è talmente poco pertinente che è meglio che non mi mandi a quel paese da sola per la seconda volta, spiegandola. ;)

Ma l'anno...oh, anche l'anno ha un significato particolare, dannatamente particolare.

Purtroppo.

Io non lo so, perché combino queste cose, ma stavolta era quasi inevitabile, la coincidenza, la maledetta coincidenza di questa data bellissima e terribile.

E' il 1848, Dio, è il 1848.

Il 1848, l'anno della Rivoluzione Ungherese.

La Rivoluzione Ungherese che, forse, sarà la rivincita di Feri, anche se in questa storia e per adesso neanche in Sic Volvere Parcas non se ne parla.

Perché Feri...Feri Desztor, il rivoluzionario ungherese, è un rivoluzionario anche senza Rivoluzione.

Lo è indipendentemente dalla Rivoluzione, lo è per se stesso, lo è per vivere, lo è nel suo tenace, ardente credere, sperare e cercare di più.

Ma Feri ha ventinove anni, in questa storia, e in Sic Volvere Parcas ne ha diciannove, in Qualis in Eurotae ripis ne ha ventitré.

E' cresciuto, o meglio dovrebbe essere cresciuto.

Ma il titolo di questa storia, citazione di Cuore di Aliante di Claudio Baglioni, dice tutto, forse.

E' cresciuto con i suoi sogni, i suoi sogni sono cresciuti.

Mai abbandonati, mai persi, mai allentati, mai sfioriti.

Lui ci vive ancora di quei sogni.

La pubblico in Romantico, questa storia, perché è d'amore che parla.

E' amore, quello di Feri.

E se ripenso al mio Feri, al primo Feri, al Feri del Capitolo Quarantadue di Sic Volvere Parcas, non ci credo nemmeno io, alla fine di Forradalom.

E figuriamoci se ci credo, figuriamoci.
Sono peggio di Feri, io, dannatamente peggio, lo ripeto.

In Sic Volvere Parcas vive ancora, Forradalom.

Nel cuore di Feri, nei cuori dei ragazzi del quartiere, nel mio, di cuore, vive ancora, anche in quello di chi legge e un poco gli ci si è affezionato, forse.

E Feri Desztor, questo mio Feri Desztor, questo mio diabolico ungherese, questo mio ingenuo, illuso, coraggioso, avventato, spregiudicato e mai rassegnato, mai, mai, mai, è uno dei tanti miei frammenti d'anima, uno dei tanti personaggi di questa Sic Volvere Parcas che lo sa soltanto il cielo, quanto ci tengo, uno dei tanti personaggi a cui mi sono affezionata più di quanto avrei potuto permettermi, e chi lo dice, questo, poi?

Somiglia un po' al grande, fin troppo grande Clopin Trouillefou del mio amato Notre-Dame de Paris, questo mio Feri Desztor.

Ma a chi somiglia veramente, poi?

Al Clopin Trouillefou del meraviglioso Victor Hugo, allo straordinario e dannatamente affascinante -forse solo per me- Feri Áts dei Ragazzi della via Paal -e sono davvero pochi i libri che ho amato quanto questo-, da cui prende il nome?

Feri Desztor somiglia a me.

Poco, forse, ma quel poco è maledettamente abbastanza.

E non solo, no, non solo.

Feri Desztor è quanto più si avvicina alla mia idea dello spirito stesso della Rivoluzione, e io l'ho sempre amata, come idea, concetto, ideale (e, come diceva Victor nei Miserabili, “O tu, ideale, tu solo sei vero!”), come passione patriottica e sogno di libertà assoluta e forse irraggiungibile, come illusione, anche, ma io l'ho sempre amata, questa benedetta Rivoluzione, in tutto quello che rappresenta, in tutto quello che può rappresentare, che è tanto, che è troppo, che è tanto e troppo difficile da spiegare, forse.

E basta, basta così.

Io ne avrei, di cose da dire, ne avrei ancora, ma bisogna ascoltare Feri, adesso, ed io sono terribile, quando mi ci metto, con queste note che non riesco mai a smettere di scrivere, e che ormai hanno superato la lunghezza della storia, ma amen.

Tanto lo sapevamo, che non era una drabble, no? ;)


Ditemelo, se volete, quello che ne pensate.

Io parlo sempre troppo, o meglio, scrivo troppo, ma ascoltare voi mi fa sempre piacere, tanto.

A voi la parola, dunque! ;)


A presto,

Marty

  
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