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Autore: Disorientated Writer    05/10/2011    8 recensioni
Nina Armstrong, figlia di Poseidone.
Dalla sua visita sull'Olimpo, tutto è cambiato.
La vita, le amicizie, l'amore.
Soprattutto quest'ultimo.
E sarà proprio il ragazzo più inaspettato a far battere il cuore di Nina.
[ Introduzione in continuo aggiornamento&cambiamento. Sappiatelo. ]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Fuoco che divide, Fuoco che unisce.






Mi appoggiai all’asse di legno accanto a me, sfinita.
Erano tre ore che pulivo le stalle in compagnia di Sophie, e non ne potevo più.
Sbuffai, mentre la biondina ricominciava a tessere le lodi del suo Jason.
«Ma è belliiiissiiimo, Ninetta! Come fai a non accorgertene?!»
Me ne accorgevo benissimo da sola, grazie.
«Non chiamarmi Ninetta, bionda ossigenata.» borbottai, abbassando gli occhi sulla balla di fieno accanto a me, che mi aspettava da mezz’ora per essere portata ai pegasi.
Sbuffai, prendendola con le mani e lanciandone un po’ in testa ad un pegaso.
Ho sempre avuto una pessima mira.
Continuai con il mio ‘giro di viveri’, mentre Sophie continuava a urlarmi nell’orecchio quanto fosse bello il SUO Jason. Fortunatamente per lei avevo le mani occupate, o non avrei risposto delle mie possibili azioni.
«Ninetta, ma la smetti di avere quella faccina da cimitero? Su con la vita, zuccherino!»
Respira profondamente, respira profondamente.
«Ninetta, ma perché non ti metti un po’ di smalto? Sembra che le tue unghie siano state mangiate da Scilla!»
«Ninetta,» continuò imperterrita Sophie, senza immaginare che stava per premere il pulsante per l’esplosione «Ma lo sai che Apollo è un gran bel pezzo di figo? Ovvio, lui non è niente in confronto al mio superfavolossissimo Jesse, ma ci si può sempre accontentare, no?» 
«Lockwood, chiudi quella boccaccia, che ti conviene.» dissi, lanciandole un’occhiata degna di Era quando scopre l’ennesimo tradimento del suo maritino.
Quanto odiavo quella ragazza, lo sapeva solo Eris.
Stavo per urlarle addosso qualche altro epiteto poco carino, quando fummo interrotte da una voce inconfondibile.
La voce di un odiosissimo figlio di Ade.
«Sophie, tesoro! Ciao Ninetta!»
La figlia di Afrodite si girò e lanciò un vomitevole urletto stile ragazzina di cinque anni. Io sbuffai, borbottando qualcosa che assomigliava vagamente ad un “non mi chiamo Ninetta”.
Mentre si sbaciucchiavano allegramente davanti a me, feci di tutto per trattenere un conato di vomito. E soprattutto, per trattenere le lacrime.
«Vi dispiace andare a fare le vostre cosette da qualche altra parte? Devo pulire una stalla io.» dissi, velenosa.
Sophie si voltò e mi fece una linguaccia, mentre Jason mi osservò impassibile.
«Beh, non era chiaro il messaggio? Fuori.» sibilai, vedendoli ancora lì. Non avevano idea di quanto mi desse fastidio la cosa. Oppure sì?
Jason sorrise, chiedendomi cosa avessi mangiato quella mattina.
Ahah, che battuta divertente e originale, Darren. Davvero.
Lo fulminai con gli occhi e mi voltai, andando a riprendere il mio zaino.
Se non se ne volevano andare loro, me ne andavo io.
Tanto ormai le stalle erano praticamente finite.
Sophie poteva tranquillamente sporcarsi le unghie finte per mettere a posto la carriola. 
Borbottai un saluto e gli passai accanto, senza smettere di maledirli con gli occhi.
Se uno sguardo potesse uccidere, Sophie sarebbe già spirata da tempo.
 
Erano passati solo sei giorni da quando li avevo beccati ad amoreggiare nel bosco, e la cosa faceva ancora male.
Solo, faceva male in modo strano.
Sbuffai, dirigendomi verso il lago. Almeno lì potevo riflettere con calma.
Arrivata a destinazione, mi lasciai cadere sulla ghiaia, lasciando lo zaino accanto a me.
Sospirai, iniziando a giocherellare con dei sassolini.
Alzai gli occhi al cielo, osservando le nuvole che giocavano tra loro nell’immensità dell’azzurro. Loro non avevano questo genere di problemi.
Mi stesi di schiena, sentendo le lacrime bagnarmi le guancie.
Ah no, Nina, non piangere. Non ne vale la pena.
Avevo pianto solo tre volte in tutta la mia vita.
Quella sera di dicembre, quando Earine era stata mandata sull’Olimpo e quando avevo visto Jason e Sophie. Non volevo che ci fosse nessuna quarta volta. Non per quell’idiota di Jason, in ogni caso.
Mi alzai in piedi, andando a raccogliere una margherita che era sbocciata poco più in là.
Quando mi risedetti, un’idea malsana si fece largo nella mia mente.
Oh, insomma, che avevo da perdere a fare m’ama non m’ama?
Jason, Apollo, Jason, Apollo, Jason, Apollo …
A metà, lanciai via il fiore, infastidita. Tanto quello stupido fiore non mi avrebbe certo aiutata a scegliere.
Che poi, scegliere chi? A nessuno dei due interessava di me. Era questa la cosa più triste.
«Ninetta! Ancora qui?»
Mi voltai di scatto, udendo quella voce.
Oh, ma cos’era, una persecuzione?
Apollo sorrise, mettendosi a sedere accanto a me.
«Uh, sì, è il mio posto preferito. Ci vengo tutte le volte che sono triste.» dissi, mordendomi la lingua all’ultima frase. Su, Nina, vai a sbandierare ai quattro venti che hai il cuore spaccato in due!
Lui sorrise, comprensivo.
«Ti capisco, Ninetta. Anche io ci vengo spesso quando mi sento giù.»
Sorrisi, non sapendo bene cosa dire.
Mi guardai le scarpe, imbarazzata. In quel momento desideravo solo sparire.
Accidenti a me quando avevo espresso il desiderio di andare sull’Olimpo!
Lui continuò a sorridere, sdraiandosi sulla schiena, e lasciando che i raggi di sole facessero risplendere i suoi lineamenti come circondati da un leggero alone dorato.
Distolsi lo sguardo, prima che la bava potesse uscirmi da sola.
Non era proprio il caso, diciamocelo.
«E tu, non hai nulla da fare durante il giorno? Voglio dire, gli Déi non dovrebbero andare a controllare questo e quell’altro, invece di girovagare per l’Olimpo?» dissi, giusto per tirare in ballo qualche argomento. Il silenzio tra noi stava diventando decisamente imbarazzante.
«Hum, no, Ninetta, direi che durante il giorno non ho proprio niente da fare. È la notte che richiede tutto il mio impegno.» disse, ghignando.
Gli tirai uno schiaffo sul braccio, borbottando un “scemo”.
Lui si tirò su a sedere, guardandomi negli occhi.
Abbassai gli occhi, certa che se lo avessi guardato un secondo in più sarei svenuta. O, più probabilmente, gli sarei saltata addosso.
«Ninetta, ora devo andare. Ci vediamo dopo.» disse, facendomi l’occhiolino e sparendo in un lampo dorato.
Dopo? Mi sono persa qualcosa?  Mi chiesi, confusa.
Scrollai le spalle, cercando di non pensarci. Probabilmente voleva dire un giorno molto lontano in un’epoca ancora più lontana.
Mi alzai in piedi, stanca di stare lì seduta.
Magari a casa avrei trovato qualcosa di più produttivo da fare.
Prendere a freccette la gigantografia di Sophie, per esempio.
Mi incamminai lentamente, canticchiando Wish You Were Here.
 
Quando arrivai alla casa (che poi, non so nemmeno perché mi ostini a chiamarla casa, dato che non è altro che uno stanzone più un bagno) lanciai lo zaino sul letto e mi andai a fare una doccia. Le docce hanno sempre un effetto calmante su di me.
Sotto il getto caldo dell’acqua, cercai di fare chiarezza sul mio cuore.
Insomma, Jason poteva anche piacermi, ma probabilmente quella che provavo per lui non era altro che attrazione fisica. Solo che non riuscivo a spiegare le mie lacrime.
E, beh, Apollo era Apollo. Avevo bisogno di dire altro? Probabilmente sì, perché altrimenti non si capiva la mia indecisione.
Sbuffai, consapevole che per quella volta non sarei riuscita a fare chiarezza nemmeno sul tema ‘Cioccolato o Crema’, figuriamoci quello ‘Jason o Apollo’.
Quando uscii dal bagno, fui avvolta da un forte odore di fragola. Sophie era tornata.
Ignorandola completamente, andai di corsa verso il mio armadio, per prendere dei vestiti. Di andare in giro in accappatoio non era proprio il caso.
Mentre prendevo una maglietta viola pescata a caso dal mucchio, lanciai un’occhiata indagatrice a Sophie, che continuava a fissarmi.
«Beh, che hai da guardare?» sbottai, indispettita.
Lei scosse la testa, lanciandosi in uno dei suoi zuccherosissimi sorrisi.
«Non penserai mica di venire al falò con un maglioncino viola di seconda mano, vero?»
La fissai a bocca aperta.
«Falò? Di cosa stai parlando, Sophie? Io non vengo a nessun falò.» rabbrividii al solo pensiero.
«Il falò di stasera, sciocchina. Sai, quello che abbiamo organizzato noi de Campo … una specie di … hum, come potrei dire … rimpatriata!» concluse, orgogliosa.
Falò. Fiamme. Fuoco. Incendio.
«Sophie, forse è il caso che io salti questa festa … sul serio, non ci tengo a venire.»
Purtroppo, Sophie non aveva nessuna intenzione di mollare.
A niente servirono i miei poco gentili “Vai al Tartaro, Sophie”.
Mi costrinse a mettermi seduta, per sottostare alle sue “operazioni di bellezza”, come le aveva chiamate.
Alla fine, cedetti, pensando che tanto era inutile discutere.
Mi imbrattò il viso, mi spazzolò e sistemò i capelli e mi costrinse a indossare un suo vestito.
Non ero mai stata così vicina all’esaurimento nervoso come in quel momento.
«Sophie, basta! Tanto io non ci vengo a quel dannatissimo falò!» esclamai, dopo che la biondina mi ebbe passato per l’ottava volta la matita sugli occhi.
«Smettila di fare così, Ninetta, e guardati allo specchio, va’.» mi disse, sorridendo.
Sbuffai, avvicinandomi alla lastra di vetro vicino al letto della figlia d Afrodite.
Okay, lo devo ammettere.  Sophie aveva fatto un ottimo lavoro.
I capelli erano raccolti in una treccia morbida, con qualche perlina qua e là.
I miei occhi nocciola erano cerchiati da un tratto leggero di matita nera, e il lucidalabbra rosa aveva un suo perché.
Sophie mi aveva fatto indossare un miniabito nero, attillato, con le spalline ricamate in oro. Sotto, avevo i leggins e degli anfibi neri.
Non mi ero mai sentita così bella.
Per una volta Sophie ha fatto qualcosa di utile, pensai sorridendo al mio riflesso.
Sentitasi chiamata in causa, la bionda mi si avvicinò, con un sorriso zuccheroso sulle labbra. Zuccheroso ma vero.
Oh no. Stavo pensando che Miss Perfezione alla fine non era male! Svegliati Nina, svegliati!
Ricambiai il suo sorriso e mi voltai, per guardare l’ora all’enorme orologio d’ottone attaccato alla parete.
«Sophie, a che ora è l’appuntamento?»
Si voltò anche lei, per guardare l’orologio, e impallidì.
«Mancano solo tre ore! Come faccio a prepararmi in solo tre ore?!» mi urlò, in preda al panico.
Sorrisi tra me e me. Tutte uguali le figlie di Afrodite.
Per il tempo restante, mi misi a leggere un libro, mentre Sophie correva all’impazzata su e giù per la stanza, alla ricerca ora del suo rossetto color pompelmo, ora degli orecchini a forma di cuore.
Abbassai gli occhi sul libro che avevo preso a caso dalla libreria, Starcrossed.
Ero arrivata quasi a metà del libro, quando Sophie mi urlò che era pronta.
Sospirai, andando a rimetterlo a posto.
Mi stampai in faccia il mio miglior sorriso e la seguii fuori dalla porta.
Già a metà strada, tornò la smorfiosa e odiosa Sophie di sempre.
Alzai gli occhi al cielo, mentre lei continuava con la sua lamentela su quanto costassero ora gli smalti dalla Kiko. Aveva sbagliato persona con cui parlarne.
Per me gli smalti erano come Sophie. C’era, ma non serviva a niente.
 
Quando arrivammo al padiglione dove si sarebbe tenuta la “festa”, mi bloccai di colpo.
Il fuoco era alto, e percepivo il calore delle fiamme sulla mia pelle.
Rabbrividii,cercando di non pensarci, ma tenendomi ben lontana dal falò.
Erano tutti ragazzi del Campo che non conoscevo.
Tranne Sophie, Jason e … Earine.
La mia sorellina preferita era seduta in un angolo del padiglione, con i capelli biondi legati in una crocchia mezza sfatta, e guardava con occhi pieni di tristezza e rancore  Jason e Sophie che si abbracciavano. Abbassai gli occhi, vergognandomi di me stessa.
Possibile che non avessi pensato anche a lei? Possibile che non mi fosse venuto in mente prima che a lei piaceva Jason? Ma forse piacere non era la parola giusta, visto con quanto dolore e desiderio lo guardava …
Scossi la testa, appiattendomi il più possibile contro una colonna di marmo.
Il calore de fuoco era insopportabile.
Così come i ricordi che emanava.
Scivolai lentamente per terra, appoggiando la testa alla colonna, facendo di tutto per non guardare il maledetto falò.
Eppure era così vicino, così vero … e i ricordi che faceva tornare a galla erano così dolorosi …
Scossi la testa, bloccando sul nascere ogni possibile crisi di pianto.
Mentre cercavo di allontanarmi il più possibile da quelle fiamme maledette, mi accorsi di una presenza accanto a me.
Apollo.
Che ci faceva lì?
Alzai lo sguardo, incontrando i suoi meravigliosi occhi.
Era appoggiato alla colonna, con le braccia conserte e un ghigno divertito stampato sul bel volto.
Mi alzai in piedi, ostentando indifferenza.
«Come mai qui, Apollo?» chiesi, con un tono apparentemente noncurante.
«Cosa c’è, non posso? L’Olimpo è di tutti … beh, quasi.» mi rispose, senza smettere di ghignare.
Lo guardai di traverso, ma con un’alzata si spalle lasciai perdere. Non era il momento.
Ad un tratto, una folata di vento improvvisa alzò le fiamme, terrorizzandomi.
Se fino a quel momento ero convinta di poter tenere a bada la mia paura del fuoco, in quel momento capii che era impossibile. Le lacrime erano vicine.
Il dio del Sole mi guardò preoccupato, corrugando le sopracciglia.
«Tutto bene?» mi chiese, preoccupato.
Scossi la testa, abbassando gli occhi per non fargli capire che erano umidi di lacrime.
Lui sorrise, e mi prese per mano, facendomi allontanare dal padiglione.
Mentre mi trascinava, lanciai un’occhiata a Sophie e Jason, ma erano troppo occupati a dividere una pannocchia per accorgersi di me. Earine era sparita, invece.
Poverina, se io c’ero rimasta male, figuriamoci lei …
Apollo mi trascinò verso la collina, continuando a sorridere.
Quando arrivammo in cima, si sedette, tirandomi la mano per farmi mettere accanto a lui.
Quel posto era bellissimo. Da dove eravamo noi, si vedevano tutte le stelle, e si notava appena il chiarore del fuoco, seminascosto dalla boscaglia che circondava il padiglione.
«Hai qualche problema con il fuoco, Ninetta?» mi chiese lui.
Evidentemente era uno che andava dritto al punto, senza girarci intorno.
Abbassai gli occhi, triste.
Lui mi prese la mano, e in quel momento iniziai a parlare.
«Sì, ho qualche problema con il fuoco, ma non è sempre stato così. Da piccola mi piaceva. Passavo ore e ore a guardare le fiamme nel camino di casa, mi piaceva vederle danzare in quel loro modo strano, invitante.» sospirai, persa nei ricordi. Lui strinse ancora di più la mia mano. «Poi, un giorno, è cambiato tutto. Lo ricordo perfettamente. All’epoca abitavamo in una casetta nei pressi di Long Island. Io e mia madre cambiavamo spesso città, a volte perfino continente. Avevo undici anni. Lei era appena tornata dal lavoro, e stavamo parlando in cucina … ad un tratto, si è sentito uno scoppio, poi un altro. Io e mia madre non abbiamo mai avuto tanti soldi, e non potevamo permetterci di riparare niente.» continuai, con voce rotta. «Lo scoppio proveniva dai fornelli. Non riesco a ricordare la dinamica dell’accaduto, forse semplicemente non l’ho mai capito, fatto sta che in pochi minuti tutta la cucina prese fuoco. La nostra era una casetta principalmente costruita in legno. Ricordo che urlai, e che mia madre mi trascinò, fuori dalla porta. Quando arrivammo all’ingresso, ormai il fuoco era ovunque. Lei spalancò la porta e mi spinse fuori, ma lei non riuscì a seguirmi … un’asse di legno le piombò addosso, separandola da me per sempre.» ormai le lacrime scendevano copiose lungo la mia guancia. Sentii Apollo che mi accarezzava la guancia, e iniziai a singhiozzare ancora più forte.
In preda a quei tristi ricordi, poggiai la testa sul suo petto, continuando a piangere senza sosta.
Lui mi abbracciò, ma quasi non me ne resi conto.
Per la prima volta dopo cinque anni, piansi di un vero pianto liberatorio.
E restammo così, abbracciati, a guardare le stelle e a pensare a quanto a volte la vita fosse crudele. 






Angolo Autrice:
Toh, già il decimo capitolo ho pubblicato! Wow, ho superato me stessa *^*
Allora, intanto il tiolo del capitolo non ha molto senso, ma è il migliore che mi è venuto in questo momento.
Ringazio come sempre Earine, Lils, Amby, Thalia, Court, Dylan/Emily e chi più ne ha più ne metta! 
Poi, ringrazio la mia amica Claudia perché ... beh, perché lei è speciale, ed è ... Lei u.u 
Ditemi che ne pensate, ci ho messo quattro ore per scriverlo. 
Spero ne sia valsa la pena '-' 
Un bacio, 
Ninetta. {D'ora in poi mi firmerò sempre così C:}


   
 
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