Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses
Segui la storia  |       
Autore: Jaded_Mars    06/10/2011    3 recensioni
"I may have built for you a dreamhouse but never thought you were alone.I filled the party up with company but never made our house a home. All I got is my guitar these chords and the truth. All I got is my guitar ... but all I want is you" Izzy per un attimo trattenne il fiato. Era lì! Era lei, finalmente. La speranza gli scoppiò dentro al cuore assieme alla gioia. Dopo tre anni, lunghi come una vita intera, era tornata, era lì per lui e questa volta no, non avrebbe permesso che andasse via.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Buongiorno signorina Gates.”

“Buon giorno.”

“Vedo che c’è un errore di battitura nel suo nome, potrebbe dirmelo giusto?”

“Certo. Eleanor Gates, E-L-E-A-N-O-R, con la E.” precisò. ‘Eleanor Isbell’ pensò invece, toccandosi istintivamente l’anello all’anulare destro. Si guardò intorno. L’ufficio era a uno dei piani più alti di quei bei grattacieli che spiccavano nella Downtown di Los Angeles. Completamente arredato in un bianco immacolato che sfidava ogni genere di polvere o invecchiamento, era illuminato dalla luce che irrompeva da ampie vetrate senza tende. Al contrario di quello che si poteva pensare, pur essendo un ambiente minimalista ed estremamente curato, non era per niente asettico,trasudava buon gusto. Delle calle bianche davano un piccolo tocco di colore alla camera monocromatica. Era strano per essere l’ufficio di un uomo, sembrava non appartenergli per niente, l’unico bianco tra tutte le stanze del Delacour Events. O forse rispecchiava esattamente il suo essere, pulito, preciso, essenziale. Ellie non poteva ancora dirlo, non conosceva abbastanza chi aveva di fronte per potere dare un giudizio.

“Perfetto ora è corretto.” Il giovane manager fece un sorriso compiaciuto guardando l’inchiostro della sua costosa stilografica che si asciugava sulla carta. “Mi sembrava un po’ strano che si scrivesse Elanor … sembrava quella della canzone.”

“Oh sì, a tanti capita spesso di confondersi …” rispose la ragazza con un sorriso cortese. ‘Sa, me la cantava sempre il mio ragazzo quando era di buon umore’ avrebbe voluto aggiungere. Un momento, il mio ragazzo? No, ma che diceva, non lo era più da un pezzo e da altrettanto non pensava più a lui in quei termini. Ah ah certo, che grossa bugia. Sapeva  mentire a sé stessa così bene che riusciva anche a credere ai suoi inganni talvolta, ma non sempre. Quello era uno di quei casi. Era un pensiero agrodolce che riportava alla luce momenti felici di un periodo che era finito. Eppure non riusciva a crederci, mentre viveva quegli attimi, le sembrava che si potessero prolungare all’infinito e inconsciamente sperava che presto il tempo avrebbe cessato di esistere, per cristallizzarsi in una vita fatta solo di magia. All’inizio era stato così, era stato così molto a lungo, un lungo lasso spazio-temporale in cui non poteva trovare un solo difetto alla sua relazione, alla sua vita, anche se non viveva in un letto di rose. ‘Quando eravamo bellissimi’. E poi? Poi qualcosa era cambiato. Già forse troppe cose erano cambiate,una dopo l’altra, repentinamente e senza preavviso. Così tante che erano riuscite a  spezzare la magia, facendo riprendere la corsa disperata del tempo, facendo trasformare la loro relazione, loro. ‘Cosa sei per me? Un amico? Un conoscente? Una star? Un ex? Un ricordo?’ Se l’era posta ogni giorno quella domanda nei primi tempi della separazione, spesso se la ripeteva ancora, anche se con meno frequenza. Col passare dei mesi si era esercitata e aveva imparato a non pensare a qualcosa di così doloroso, aveva relegato tutti quei pensieri in un angolo ben custodito della sua mente. In ogni caso la risposta che si riusciva a dare era una e solo una, anche a distanza di tempo, sempre la stessa: sei l’amore. Izzy per lei era solo quello e non sarebbe mai potuto essere altro. ‘E io ti ho lasciato.’

“Bene ora che abbiamo sbrigato queste piccole questioni di forma possiamo cominciare. Parliamo un po’ di lei, dal suo curriculum ho letto che dopo avere studiato arte qui a Los Angeles si è trasferita a New York  dove si è laureata con successo alla Parsons in comunicazione e ha lavorato per tre anni a Vogue come addetto stampa. Stava avendo piuttosto successo, cosa l’ha spinta a lasciare il suo posto di lavoro e tornare sulla West Coast dopo tutto questo tempo?”

Eccola la domanda più naturale del mondo. Perché aveva mollato tutto ed era tornata? Eleanor si sistemò più comodamente sulla sedia di tessuto imbottita e si preparò a cominciare. Diede uno sguardo alla scrivania ben ordinata che aveva di fronte a sé per poi focalizzarsi sul suo interlocutore. Parlò guardandolo negli occhi, come era abituata a fare quando interloquiva con qualcuno, le piaceva stabilire un contatto, per potere determinare le reazioni della persona che aveva di fronte, se c’era traccia di interesse o di noia, per potere capire in anticipo le mosse da fare o le parole da usare. Forse semplicemente ostentava una sicurezza che non aveva e guardare negli occhi una persona era un modo per evitare di essere ignorata. Odiava essere ignorata. Un tempo soleva distogliere lo sguardo, non si sentiva quasi mai all’altezza della situazione. Ma aveva imparato a dimostrare quanto valesse, soprattutto grazie agli anni a New York che l’avevano rafforzata, fatta crescere. Quella ragazza timida e insicura che era cresciuta a Los Angeles non era scomparsa ma apparteneva a un periodo della sua vita che era oramai concluso. Ingenua, non sapeva. Forse lo era ancora anche se ora diffidava del prossimo e della vita più di quanto non facesse prima. Sicura, certo che era sicura, solo in certi campi però. Non c’era nulla di sicuro nella vita, l’aveva imparato a sue spese purtroppo ed ora… ora era pronta a ricominciare da un’altra parte, di nuovo. Solo che questa volta era tornata all’origine.

“Ciò  che mi ha spinto a tornare qui sono la mia ambizione e voglia di cambiamento. Certo stavo avendo un discreto successo a Vogue, ma purtroppo un lavoro come quello non prometteva grandi prospettive di crescita e in più non rispecchiava ciò per cui avevo studiato a lungo e soprattutto la mia passione primaria. Ho sempre avuto un grande amore per organizzare eventi e feste, mi da una grande soddisfazione vedere la felicità negli occhi degli altri e il successo di un evento non è altro che il risultato di giorni di preparazione in cui incanalo tutte le mie energie e dedizione. Ogni festa ben riuscita non è altro che  un incentivo per fare sempre meglio per la prossima. Sono aperta a nuove sfide e riesco ad essere anche molto flessibile. Credo che lavorando qui, con persone così competenti come voi, potrei imparare moltissimo, fare tesoro dei vostri insegnamenti e contribuire in parte alla crescita del prestigio dell’azienda. Sono determinata a raggiungere gli obiettivi che mi prefisso e i fallimenti solitamente non vengono contemplati. Fossi al vostro posto spererei di non avermi nella concorrenza.”

Un bel discorso, non sapeva nemmeno lei cosa aveva detto esattamente aveva solo parlato a ruota libera, ma sperava di essere stata chiara abbastanza da risultare diretta, sicura, precisa. Forse l’ultima frase poteva pure risparmiarsela, ostentare così la sua risolutezza poteva essere una lama a doppio taglio, c’era il cinquanta percento di possibilità che venisse mandata al diavolo, ma anche altrettanta percentuale di successo. In certi casi funzionava, le persone erano facilmente impressionabili, così come facilmente suscettibili di fronte a certi atteggiamenti che rasentavano l’arroganza.

Eleanor aveva smesso di parlare ed ora stava aspettando una reazione dal capo del personale che la guardava in silenzio. ‘Maledizione adesso mi manda a casa filata.’ pensò, già pentita di non avere fatto la modesta.  ‘Le faremo sapere’ era la frase che temeva di più, desiderava tantissimo quel lavoro, nell’azienda di organizzazione eventi migliore di tutta la costa, era qualcosa che voleva ancora da quando era solo una studentessa del liceo. Organizzava feste sin da quando era bambina, i tea party per le sue bambole erano il suo passatempo preferito di ogni pomeriggio della settimana. Crescendo, gli eventi divennero progressivamente reali, meno bambole e più bambini, partendo dalle feste per i ragazzini a cui faceva da baby sitter fino ai compleanni preparati per i suoi amici.

Finalmente l’uomo ebbe una reazione, posò seccamente la penna che fino a quel momento aveva tenuto in mano e incrociò le dita delle mani assumendo un’aria seria.

“Signorina lei ostenta molta sicurezza per avere pressoché nessuna esperienza nel settore. Un atteggiamento del genere me lo aspetterei più da un navigato PR che da una ragazza quasi fresca di laurea.”

‘Ecco mi ha cassato alla grande, dovevo essere meno boriosa… addio sogni miei.’

“Però le devo confessare che mi ha preso contropiede e mi ha impressionato. Dimostra molto fegato a parlare in questo modo, probabilmente è la persona adatta per relazionarsi con star viziate che le chiederanno l’impossibile per le loro pretenziose feste di compleanno o di nozze. Sono sicuro che saprà come tenerle a bada e soddisfare i loro desideri.”

Eleanor lo fissò e una consapevolezza prese forma nella sua testa ma non era sicura che fosse quella giusta, perciò provò a domandare: “E questo significa…?”

“ Significa che la posizione è sua.”

“Fantastico!” la ragazza tenne a bada le sua gioia ed entusiasmo celando le sue emozioni dietro un sorriso sicuro.

“Benvenuta a bordo Miss Gates. L’istinto mi dice che sto facendo la scelta giusta, e di solito i fatti mi danno ragione. Non mi faccia pentire della fiducia che sto riponendo in lei, mi raccomando.”

Ellie strinse professionalmente la mano dell’uomo per suggellare il loro accordo “Non se ne pentirà, glielo posso assicurare.”

Salutò il direttore, uscì dall’ufficio tranquillamente e sempre tranquillamente si diresse al desk della segretaria che le avrebbe dato le indicazioni necessarie sull’inizio del lavoro ed altre faccende burocratiche. Avrebbe iniziato lunedì alle 9, aveva tre giorni di tempo per abituarsi all’idea che stava per fare il lavoro che aveva sempre voluto. Aspettò di essere fuori le porte scorrevoli dell’ingresso dell’edificio per lanciare un gridolino di soddisfazione. Da quando aveva lasciato la California aveva imparato suo malgrado a reprimere molto bene le sue emozioni, tanto che spesso nemmeno più si riconosceva, dov’era finita quella ragazza di un tempo? Anche quella parte di sé apparteneva al passato.

Un passante vestito in modo ingessato l’aveva colta in flagrante mentre esultava, ma era più incuriosito che altro, certo era diverso da New York dove la gente ti guardava male se eri troppo trasgressivo, sarà pure stata la città che non dorme mai, ma solo a Los Angeles potevi essere libero di comportarti come volevi, tutto era tollerato e l’eccesso era di casa, non c’era pericolo di essere troppo giudicato, tranne che all’interno in certi ambienti elitari, certo. La ragazza si ricompose e iniziò a camminare sul marciapiede in mezzo ai grattacieli di Downtown. Erano così alti e imponenti che lei a confronto sembrava solo un piccolo gnomo in mezzo ai giganti. File di auto e taxi gialli sfrecciavano per strada. Sapeva esattamente dove andare. Si diresse verso la prima fermata degli autobus, ‘chissà se il numero 40 passa ancora da qui.’  In quel momento vide proprio quel bus color stagnola arrivarle incontro. Salì, pagò il biglietto da un dollaro al grasso conducente e si sedette in un posto qualsiasi di fianco al finestrino, lasciandosi trasportare dal veicolo verso la sua destinazione. Sentiva un senso di familiarità in tutti quei gesti, un’abitudine abbandonata riaffiorava lentamente. Il viaggio fu breve, il Getty Museum non era poi tanto distante da dove si trovava. Attraversò la grande piazza di cemento davanti all’edificio moderno ed entrò diretta verso l’ascensore, su fino all’ultimo piano.

Appena uscì sul terrazzo fu investita da una ventata di calda brezza losangelina. La inspirò profondamente, era così diversa rispetto a quella di New York. Un panorama mozzafiato la circondava. Guardò la città che si stendeva nella sua disordinata sconfinatezza sotto i suoi occhi. Spontaneamente sorrise. Sentiva la felicità scorrerle nelle vene come un brivido. ‘Finalmente vecchia mia. Mi sei mancata.’

E lì, in cima alla collina, in mezzo ai visitatori estasiati del museo, immersa in quel mare di luce, sotto quel cielo azzurro intenso che non si trova da nessun’altra parte al mondo, lì dove si ricongiungevano tutti i ricordi più belli e più brutti della sua vita, lo sentì fin nelle viscere, era di nuovo  a casa. 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses / Vai alla pagina dell'autore: Jaded_Mars