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Autore: Disorientated Writer    07/10/2011    9 recensioni
Nina Armstrong, figlia di Poseidone.
Dalla sua visita sull'Olimpo, tutto è cambiato.
La vita, le amicizie, l'amore.
Soprattutto quest'ultimo.
E sarà proprio il ragazzo più inaspettato a far battere il cuore di Nina.
[ Introduzione in continuo aggiornamento&cambiamento. Sappiatelo. ]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tutto può accadere. 





«Ninetta! Sveglia, zuccherino! È ora di alzarsi!»
Aprii gli occhi, assonnata.
Solo una persona poteva avere quella voce così fastidiosa. Sophie.
Sospirai, mettendomi lentamente a sedere e guardando l’ora: le 8 del mattino.
Lanciai un’occhiata assassina alla figlia di Afrodite.
«Sophie, perché mi hai svegliata a quest’ora? Sono solo le otto.» mugugnai, guardandola di sbieco.
Indossava un completo veramente ridicolo. Un top fucsia e dei pantaloncini corti, ma molto, corti, giallo evidenziatore.
Non che ci stesse male, ma quante persone indossano dei vestiti del genere alle otto di mattina?
Solo lei, appunto.
Mi stiracchiai, notando solo allora che indossavo una maglietta rosa che non ricordavo avere mai messo. Ed era anche rosa confetto, per di più.
«Sophie, per caso ieri mi hai prestato un tuo pigiama?» le chiesi, sbadigliando.
Lei mi guardò in modo strano.
«Certo che no. Ieri quando sono tornata nella casa stavi già dormendo alla grande! Beh, è anche vero che sono tornata un pochino tardi.» mi rispose, calcando leggermente sul “un pochino tardi”.
Non volevo sapere cosa avesse fatto con Jason per tutta la notte precedente.
Ripensai a quello che era successo la sera prima, senza riuscire a ricordare nulla che c’entrasse con una maglietta rosa confetto. Bah.
Mi alzai, certa che non sarei riuscita a riaddormentarmi.
Non con Sophie che faceva yoga in camera, in ogni caso.
La biondina era stesa sul pavimento, in non so quale complicatissima mossa, che cercava di trattenere dei gemiti di dolore. Ma chi glielo faceva fare.
Andai in bagno per vestirmi, e sotto il getto freddo della doccia sorrisi.
Devo assolutamente raccontare tutto a Earine! pensai, eccitata. Poi, aggrottai le sopracciglia. Raccontare cosa? Non è che la sera prima fosse successo nulla d’interessante. Semplicemente, Apollo mi aveva abbracciata. Ah, Apollo …
Okay, necessitavo di un intervento al manicomio.
Scossi la testa, allontanando qualsiasi possibile fantasticheria sul dio del Sole.
Uscii dalla doccia in fretta e furia, cercando di vestirmi il più in fretta possibile.
Dovevo assolutamente andare a parlare con Earine.
Corsi fuori dal bagno, quasi investendo Sophie. Peccato, avrei potuto farla secca.
Borbottai un “ciao” e mi diressi verso la casa di Earine.
Mentre camminavo, ripensai a come l’avevo vista la sera prima, triste e sola, e sentii un tuffo al cuore.
Era pur sempre la mia sorellina dalla faccia d’angelo adorata.
Quando arrivai, mi fermai davanti alla porta, spostando il peso da un piede all’altro.
Ero indecisa se bussare o no. Era da tanto che non parlavamo …
Mugugnai, bussando piano alla porta. Se non apriva entro tre minuti, avrei levato le tende.
Purtroppo per me, appena arrivai a ottanta, la porta si aprì, rivelando la mia sorellina con gli occhi arrossati dal pianto.
Mi sentii un mostro. Come potevo averla lasciata così, da sola?
«Ehi Rii.» dissi, incerta, abbozzando un sorriso.
Lei mi squadrò da capo a piedi, invitandomi ad entrare, senza smettere di lanciarmi occhiate di fuoco.
Passi il fatto che è un sacco di tempo che non ci vediamo, ma perché diamine mi fissa così? Mi chiesi, sentendomi a disagio.
Mi accomodai sul suo letto, senza smettere di sorridere.
Lei mi lanciò un’occhiata di fuoco,sedendosi su una sedia lì vicino.
«Quanto tempo, Nina.» disse, con il veleno che trapelava da ogni singola sillaba.
Mi sentii come se mi avessero appena trafitto il cuore con un coltello.
Perché mi parlava così?
«Ehm … hum … essì, tanto tempo. Come stai?» buttai lì, senza sapere cosa dire.
«Potrebbe andare meglio.» rispose, squadrandomi.
Mi feci piccola piccola. Ed ora che avevo fatto?
«Perché dici così? Che è successo?»
Lei scosse la testa, incredula.
«Mi chiedi anche cosa è successo, Nina? Lo sai quanto io ami Jason!» urlò, alzandosi in piedi e guardandomi con gli occhi che lanciavano lampi.
Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Jason? Lei era arrabbiata con me … per Jason? Non avrebbe dovuto scannare Sophie?
«E che c’entra lui?» le chiesi, stupita.
«Che c’entra? Sei proprio stupida tu, eh? Gli vai dietro come un cagnolino!»
Earine aveva completamente perso la testa.
«Io vado dietro a chi? Ma si può sapere cosa stai dicendo, Earine? Sei matta o cosa?»
Iniziai ad alzare la voce, stringendo la presa sulle lenzuola del letto della mia sorellina, frustrata.
Lei scosse la testa, continuando a guardarmi con astio.
Lo so, era una cosa stupida per cui litigare, ma era proprio questo il motivo.
Non potevo credere che mi stesse giudicando in questo modo, per una cavolata del genere, per un ragazzo! E quel ragazzo era quel figlio di una vacca di Jason.
«Earine, a me Jason non piace! È solamente un mio amico! Se te la vuoi prendere con qualcuno, perché non vai a prendere Sophie a calci nel fondoschiena, visto che è con lei che si vede, ora. Che c’entro io?» urlai, alzandomi in piedi.
Non sopportavo quando la gente se la prendeva con me per cose idiote.
Ero andata da lei con tutta l’intenzione di riallacciare i rapporti e raccontarle di Apollo, ma evidentemente Earine non aveva intenzione di giocare alle sorelline-che-si-vogliono-tanto-bene.
«Tu c’entri, Nina, certo che c’entri! Credi che non vi abbia visti? L’altra volta, quando sei caduta davanti alla mia finestra e Jason ti ha dato un bacio sul gomito!»
«Non dirmi che hai pensato che io sono caduta apposta!» dissi, leggendo questa affermazione nei suoi occhi.
Scossi la testa, incredula. Era una cosa semplicemente ridicola!
Ma lei evidentemente non la pensava così.
Continuò a urlarmi contro per un tempo indefinito, quando alla fine non ressi più.
«Earine, sai che ti dico? Mi sono rotta. Ero venuta qui per riallacciare i rapporti, per raccontarti di quello che era successo ieri sera con Apollo, ma a quanto pare tu non ne vuoi sapere. Beh, sai che ti dico? Vai al tartaro, e rimanici!» urlai, in preda alla collera.
Detto questo, girai i tacchi e uscii dalla casa. Non ne potevo più.
Sapevo di essere sull’orlo delle lacrime, ma non permisi loro di uscire.
Non volevo che qualcuno mi vedesse così.
Attraversai il campo d’allenamento in fretta e furia, senza staccare gli occhi da un punto indefinito davanti a me. Non mi voltai nemmeno una volta.
Camminai a grandi falcate fino alla mia casa. Davanti alla porta, cambiai direzione, avviandomi verso il lago.
Con un po’ di fortuna, Apollo avrebbe fatto una delle sue entrate di scena.
Insomma, non era nemmeno ora di pranzo, e già avevo litigato con la mia sorella preferita!
Sbuffai, mentre lanciavo un sassolino nell’acqua.
Ad un tratto, sentii dei passi dietro di me.
Ma non era Apollo, e nemmeno Jason.
Era mio padre Poseidone.
Lo fissai imbambolata, per una manciata di secondi.
E lui che ci fa qui? Pensai, mente lo guardavo sedersi accanto a me.
Sorrise, guardandomi con i suoi occhi del colore del mare.
«Ciao, Nina. Come stai? Ultimamente, non abbiamo avuto modo di vederci.»
Disse, sorridendo.
Ultimamente? Era dalla mia visita sull’Olimpo che non lo vedevo. E la visita risaliva a un paio di mesi fa, se non di più.
«Oh, beh, sto bene, a parte il fatto che ho litigato con Earine.» dissi, sbuffando.
Non sapevo nemmeno il perché di tanta confidenza. Insomma, l’avevo visto una volta in tutta la mia vita, praticamente.
«Mi dispiace. Non è bene che litighiate tra voi. E dimmi, perché mai è successo?»
Disse, stringendomi in un qualcosa che sarebbe dovuto assomigliare ad un abbraccio.
Senza sapere nemmeno perché, gli raccontai tutta la storia. Con lui, mi sentivo libera di dire qualsiasi cosa. Okay, era mio padre, e avevamo iniziato a parlare da, che so, cinque minuti scarsi, ma sentivo che era la persona giusta con cui parlarne.
Anche perché, di confidarmi con Apollo, ancora non me la sentivo.
Lui mi ascoltò assorto, poi, sorrise.
«Tranquillizzati, Nina. È solo una cosa temporanea. Earine non è veramente arrabbiata con te. Solo, sta cercando qualcuno su cui addossare tutte le sue paure e le sue ansie. E per chi sa quale motivo, ha scelto te come capro espiatorio.»
Sbuffai, per nulla tranquillizzata. E perché avrebbe dovuto scegliere proprio me? La cosa mi fece rimanere molto male.
Io non l’avrei mai utilizzata come pupazzetto antistress. E non mi sembrava giusto che lei lo facesse con me.
Dovevo aver assunto un’espressione veramente triste, perché mio padre sorrise, dandomi un bacio sulla fronte.
«Porta pazienza, Ninetta. Vedrai che tutto si sistemerà. Il legame che c’è tra di voi è più profondo di qualsiasi cotta lei possa essersi presa per il figlio di Ade.» disse.
Sorrisi, cercando di credere in quelle parole.
Lui sciolse il nostro semi-abbraccio, scusandosi.
«Ora devo andare, Ninetta. Porta pazienza, e vedrai, tutto andrà per il verso giusto.»
E sparì.
Ero di nuovo sola.
Alzai gli occhi al cielo nuvoloso. Non prometteva niente di buono.
Lentamente, mi alzai dalla mia solita postazione e mi diressi con calma verso casa.
A circa metà del tragitto, venne giù il diluvio universale.
Arrancavo, cercando di coprirmi il più possibile, ma indossavo solo una maglietta a maniche corte, e sopra un giacchetto leggero, senza cappuccio.
Mi strinsi nelle spalle, cercando di avvelocizzare, ma era un’operazione completamente inutile. La pioggia era talmente fitta che non riuscivo a vedere nemmeno cosa c’era a distanza di due metri.
Sbuffai, iniziando a tremare dal freddo. Probabilmente mi sarei presa un’influenza, come minimo.
Continuai a vagabondare, pregando Zeus che non avessi sbagliato strada.
Ci mancava solo quello.
Ad un tratto, inciampai su un sasso, e caddi rovinosamente in avanti, graffiandomi tutta.
Quella era decisamente una giornata da dimenticare.
Mi rialzai lentamente, guardando inorridita la maglietta (già zuppa di suo) completamente distrutta.
Imprecai a più non posso, buttando giù tutti gli abitanti dell’antica Grecia di cui mi veniva in mente il nome.
Quando finalmente riconobbi in lontananza la sagoma della casa, sospirai di sollievo.
Accellerai il passo, rischiando di scivolare per un numero infinito di volte.
Quando finalmente aprii la porta ed entrai, mi sentii felice come non l’ero mai stata in vita mia.
La casa era vuota, il che voleva dire che probabilmente Sophie era andata da Jason e c’era rimasta, per via del temporale.
Rabbrividii, calciando via le converse zuppe e andando alla ricerca di qualcosa di caldo e comodo. Pescai i pantaloni di una tuta e un felpone, e corsi in bagno, senza smettere di starnutire e tremare dal freddo.
Dopo una doccia calda, mi sembrò di stare già molto meglio.
Indossai gli abiti asciutti e buttai nel cesto quelli bagnati, senza degnarli di un’occhiata.
Ancora tremante, andai ad accoccolarmi sotto le coperte, alla ricerca di un po’ di calore.
Appena mi coprii, sprofondai in un sogno senza sogni.
A svegliarmi, fu il rumore terribile di un fulmine che cadeva lì vicino.
Pregai Ecate che la casa fosse provvista di parafulmini.
Quando un altro fulmine si abbatté vicino alla casa, mi nascosi sotto le coperte.
Avevo paura dei fulmini quasi quanto avevo paura del fuoco.
Restai lì per un tempo indefinito, aspettando con ansia che il temporale finisse.
Dopo un bel po’, mi stufai, e iniziai a camminare per la casa, sobbalzando ogni volta che sentivo il rumore di un tuono.
 
La mattina dopo, pioveva ancora.
Sophie era tornata, anche lei fradicia dalla testa ai piedi, e per tutto il tempo non ci eravamo rivolte parola.
Evidentemente, neanche lei gradiva i temporali.
La mattinata passò lentamente, intrisa dalla noia.
Sophie per disperazione iniziò a mettere apposto il suo armadio ed a ordinare i suoi trucchi per colore, operazione che le richiese due ore abbondanti, ma non erano comunque abbastanza.
Quando finalmente il cielo si schiarì, a metà pomeriggio, la biondina lanciò un grido di felicità, correndo fuori dalla porta, rischiando di travolgermi.
Per me, invece, il sole che era uscito non voleva dire niente.
Il tempo minacciava ancora pioggia, e dopo l’esperienza di ieri non me la sentivo di riuscire.
A quanto pare Zeus era piuttosto arrabbiato, quel giorno.
Ero immersa nella lettura di un libro, quando qualcuno bussò alla porta.
Andando ad aprire, mi ritrovai davanti un Apollo tutto sorridente.
Ricambiai il sorriso, invitandolo ad entrare.
«Hai freddo?» mi disse, indicando la felpa.
Annuii, andando a sedermi sul letto. Lui si mise accanto a me.
Non so esattamente quand’era apparsa tutta questa confidenza, ma mi andava più che bene, pensai, mentre mi accoccolavo vicino a lui.
«Come stai, Ninetta? Poseidone mi ha detto che tra te e tua sorella non scorre buon sangue, ultimamente.»
Sussultai. Da quando ero diventata il centro dei pettegolezzi tra gli Déi?
Borbottai, cercando di non pensare alla litigata del giorno prima. Quando stavo insieme ad Apollo, mi sentivo felice. Non volevo rovinare tutto ricordando il giorno prima.
Lui mise un braccio intorno alle mie spalle.
Sorrisi, contenta. Quant’era dolce, il mio Apollo. Un momento, da quando in qua l’aggettivo mio andava a pari passo con il nome Apollo? Pensai, sgomentata.
Abbassai gli occhi, cercando inutilmente qualcosa da dire per spezzare il silenzio che era sceso tra noi.
«Quindi, riguardo al discorso di prima … chi è questo Jason?» mi chiese, prima che io potessi iniziare a blaterare sul tempo.
Lo fissai sbigottita. E Jason che c’entrava ora?
Mi strinsi nelle spalle.
«E’ un figlio di Ade.» dissi, tenendomi sul vago, incerta su cosa rispondere.
Lui abbozzò un sorriso, anche se non mi sembrò uno dei suoi soliti sorrisi.
Più che altro, non mi sembrò un vero sorriso, punto.
«E’ il figlio di Ade con cui si vede Sophie. Sai, la figlia di Afrodite con cui vivo.» dissi, lanciando un’occhiata eloquente alle pile di riviste di moda sparsi sul letto della biondina. «E, beh, è anche il figlio di Ade dietro al quale sbava Earine. Ma io non ti ho detto niente, chiaro?» dissi, cercando di buttarla sul ridere, anche se lui non sembrava gradire molto l’argomento. Chissà perché.
Gli lanciai un’occhiata di traverso, accoccolandomi ancora di più accanto a lui.
Rabbrividii. La febbre era vicina, probabilmente.
«Ninetta, posso farti una domanda? E mi prometti di rispondere con sincerità?»
Mi chiese.
Io annuii, pentendomene subito.
«Quel Jason, piace anche a te?»
Lo fissai confusa, prima di sbottare in un “certo che no” altamente indignato.
Prima forse mi piaceva, poi, dopo aver capito che razza di sterco di minotauro fosse, avevo completamente cambiato idea.
Lui sorrise, avvicinando il suo volto al mio.
«Ottimo.» disse.
Dopo, non so come, mi ritrovai a baciarlo con tutta la forza di cui ero capace. 






Angolo Autrice:
Okay, in questo momento ho gli occhi che mi si chiudono, un mal di testa pazzesco e una crisi di nervi nei confronti dei miei genitori, ma dettagli u.u
E Ninetta e Apollo finalmente si sono baciati. Checoshacarina :')
Uh, immagino avrete notato che Poseidone praticamente non c'entra un'emerito fungo, ma dovevo pur farlo apparire, per dopo.
Oh sì, per dopo ;)
No, non ho intenzione di spoilerare (?)
Comunque, questo capitolo in un certo senso è stato scritto a quattro mani {Ovvero, le mie, e quelle della meravigliosa Earine/Valeria/Cassie :'D}.
La maggior parte delle idee malefiche che leggerete in futuro sono opera sua :D 
Ringrazio la mia adorata JarJar, che nonostante deve ancora leggersi tutti i capitoli, già ha iniziato a programmarmi il prossimo ♥
Spero che questo capitolo vi piaccia!
Baci,
Ninetta.
   
 
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