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Autore: Sofi_Luthien    15/10/2011    2 recensioni
“Continuate a provare.” – suggerì, in risposta ai bronci delusi dei ragazzini, ancora convinti che maneggiare una bacchetta fosse un gioco divertente, e non una complessa disciplina.
Quando un coro di “Ooooohhh” si levò da un tavolo in mezzo alla stanza, Albus si avvicinò per ammirare l’opera di un piccolo serpeverde: il bicchiere era sparito, trasformato in una piuma soffice.
“Davvero ottimo lavoro, Tom!” – si complimentò Albus, sinceramente colpito.
Il ragazzino sorrise, trionfante, scambiando un’occhiata soddisfatta al Professore. La ferocia che brillava in quegli occhi minuti gli riportò alla mente un volto familiare, la lucentezza ambiziosa di Gellert.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'I giorni dei piccoli vecchi '
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“…è così, ne parlavano sul Profeta. Si chiama Gellert Grindelwald!”
 
Albus sbuffò sonoramente. Erano mesi che giungevano notizie su un certo mago molto potente, immerso nelle arti oscure e pericoloso. Ma nessuno in Inghilterra ne era rimasto colpito, e la Gazzetta del Profeta vi aveva dedicato poche righe saltuariamente, senza mai riportare notizie degne di nota.
Ovviamente Albus si era allarmato molto più di chiunque altro, avendo colto i primi segnali di quello che si sarebbe rivelato il piano di dominio di Gellert. Negli ultimi giorni, tuttavia, una serie di omicidi riconducibili al mago avevano destato la preoccupazione delle autorità, e la popolazione magica inglese leggeva avidamente qualsiasi notizia che riguardasse il misterioso Grindelwald.
 
Albus Silente uscì dai Tre Manici di Scopa un po’ irritato, stanco di sentire i clienti del pub discutere su quel nome. Per loro era uno sconosciuto, una figura ancora troppo lontana per averne paura davvero. Ma Albus sapeva che, se i piani di Gellert non erano cambiati in quegli anni, la paura sarebbe arrivata anche in Gran Bretagna.
Si avviò stancamente lungo il viale di Hogsmeade, cercando di concentrarsi sulla prossima lezione di trasfigurazione da esporre ai suoi studenti. Era mattina presto e molti negozi erano ancora chiusi, la gente per strada era poca, e il silenzio, presenza insolita in quel luogo sempre affollato, gli dava modo di riflettere sul ritorno imminente di un uomo che mai avrebbe voluto rivedere.
Come se non bastasse, Aberforth fece capolino in quel momento dalla porta del pub Testa di Porco, iniziando a spazzare con malavoglia il piccolo spiazzo davanti all’entrata del suo locale.
Il fatto che Aberforth pulisse qualcosa era di per sé un evento eccezionale. L’ulteriore fatto di camminare proprio nel momento in cui lui usciva era, né più né meno, autentica sfortuna.
Il fratello alzò lentamente la testa, scrutò Albus per un secondo o due, e senza dire una sola parola tornò a concentrarsi sulla sua scopa con un po’ troppa foga.
Le rare volte in cui si erano visti, in quegli ultimi anni, erano state sempre sgradevoli. Aberforth non gli parlava mai, e il massimo che avesse ottenuto da lui consisteva in qualche occhiataccia di rimprovero e rancore. Bene, proprio quello di cui aveva bisogno quella mattina.
Albus si era consolato, in tempi precedenti, del fatto che Aberforth non avesse toccato un libro o un giornale dai tempi della scuola, per cui sicuramente non poteva essere a conoscenza delle attività di Gellert. Ma ora il suo nome era sulla bocca di tutti, e gestire un pub losco come la Testa di Porco era l’attività più propizia per apprendere certe novità.
Con l’umore ulteriormente compromesso, Albus si allontanò ed entrò finalmente a Hogwarts, dove venne accolto da una marmaglia di studenti vocianti che uscivano per la colazione. Stranamente l’allegria giovanile che aleggiava nel castello non lo aiutò affatto, così cambiò direzione e andò a ripararsi in un corridoio vuoto.
In quell’ultimo periodo vedere gli studenti gli provocava un’inspiegabile irritazione. Quando li guardava crescere e fare progressi, o quando si accorgeva di avere davanti un particolare talento, non poteva fare a meno di pensare che qualcuno di loro sarebbe stato come Gellert. Avrebbe usato le sue capacità per distruggere, anziché per costruire. Quanti di loro avrebbero commesso il medesimo errore? Non vi era caduto lui stesso, dopo tutto?
La minaccia, Albus lo sapeva, era sempre più vicina. Ogni sua speranza, nel lungo periodo in cui di Gellert non aveva avuto notizie, che l’amico avesse abbandonato i suoi vecchi progetti, era svanita. Lui, più di ogni altro, sapeva quanta determinazione ci fosse nel cuore di quel ragazzo. Di quell’uomo. Aveva condiviso con lui più di quanto avesse fatto con qualsiasi altra persona. Si era aperto completamente, si era esposto, messo in evidenza senza timore ogni sua insicurezza.
Non aveva visto, nei pomeriggi trascorsi a progettare un futuro glorioso e folle, l’ombra malvagia dietro ai suoi occhi. Albus si era fermato prima, cogliendo una dolcezza che forse non era mai esistita.
Era stato facile ignorare gli incubi ricorrenti, chiudere la mente ai ricordi più terribili. Ma la distanza e il tempo giocano brutti scherzi, sono veloci a trascurare la rabbia e il risentimento. Ciò che resta è la malinconia. Lo sforzo di convincersi che Gellert era malvagio e terribile era stato sempre più doloroso.
Pensare a lui era come avere addosso i resti di un sogno bellissimo ma ormai dimenticato. E finto.
Albus si aprì in una smorfia amara guardando il suo riflesso in uno specchio.
La gente amava descriverlo come un uomo pacato e gentile, capace di infondere sicurezza e coraggio.
Se solo avessero saputo quale caos frastornato provava in quel momento!
Se avessero potuto vedere dentro la sua testa, cosa vagava dentro di lui in quei giorni, in quegli anni! C’erano stati attimi in cui pensava che sarebbe semplicemente esploso per il rammarico. Ma aveva saputo resistere, cambiare vita, fare cose per cui altri lo avrebbero elogiato.
Tanto ci pensava suo fratello a ricordargli, con i suoi mutismi, di quanto fosse stato sciocco.
Se avesse potuto lo avrebbe implorato di perdonarlo. Ma con Aberforth non ce n’era bisogno. Il perdono non avrebbe riportato indietro Ariana. E lei era l’unica che, con la sua morte, ricordava ad Albus a quale caro prezzo avesse comprato la sua saggezza.
 
Il richiamo degli studenti diretti nelle aule lo risvegliò, ricordandogli che aveva ancora molto da fare. Lezioni da preparare, una relazione per il Ministero ancora appoggiata sulla sua scrivania che avrebbe dovuto spedire giorni prima.
Entrò in classe, gli studenti smisero di chiacchierare attendendo istruzioni. L’eccitazione di quei bambini, così ovvia nei loro occhioni speranzosi, lo fece sorridere per la prima volta da quando si era svegliato. Il suo primo anno a Hogwarts era stato uno dei più belli della sua vita. Lì, per la prima volta, aveva potuto mettere in pratica le sue capacità, esplorarle, accrescerle.
Non si era stupito nel vedere che i suoi studenti del primo anno non erano riusciti a trasfigurare il bicchiere che aveva fatto comparire sui loro banchi. Lui, molti anni prima, in quella stessa aula, l’aveva fatto senza troppa fatica. Ma era stato l’unico.
“Continuate a provare.” – suggerì, in risposta ai bronci delusi dei ragazzini, ancora convinti che maneggiare una bacchetta fosse un gioco divertente, e non una complessa disciplina.
Quando un coro di “Ooooohhh” si levò da un tavolo in mezzo alla stanza, Albus si avvicinò per ammirare l’opera di un piccolo serpeverde: il bicchiere era sparito, trasformato in una piuma soffice.
“Davvero ottimo lavoro, Tom!” – si complimentò Albus, sinceramente colpito.
Il ragazzino sorrise, trionfante, scambiando un’occhiata soddisfatta al Professore. La ferocia che brillava in quegli occhi minuti gli riportò alla mente un volto familiare, la lucentezza ambiziosa di Gellert.
Non c’era alcuna dolcezza, né grazia. Ogni parvenza di bontà era malcelata da un profondo amore per il potere.
Il sorriso di Albus si spense con lentezza, soppiantato, non senza qualche protesta, da una prepotente determinazione.
 
Non commetterò due volte lo stesso errore.
 
Gli disse l’istinto, mentre Tom mostrava la sua piuma ai compagni, compiaciuto.
 

  
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