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Autore: lullaby_89    18/10/2011    4 recensioni
Ebbene ci sono di nuovo, nuovo nome, nuovo titolo, ma i personaggi sono gli stessi!
Una storia d'amore e d'amicizia senza troppe pretese. Tra lacrime, sorrisi, incomprensioni, errori e scelte sbagliate Edoardo e Giulia cercheranno di capire qual'è il confine tra amore e amicizia!
“Sono libera di scegliere ciò che voglio senza che tu mi faccia da supervisore lo sai?”
Al contrario di Niccolò, con Edo non riuscii a mantenere un contatto visivo. I suoi occhi chiari mi schiacciavano a terra senza via di fuga.
“Io voglio solo vederti felice” accarezzò la mia spalla nuda portandomi più vicina “non raccattare il tuo cuore a pezzi” [...]
“Quando troverai un ragazzo mi lascerai da parte vedrai…” sorrise nervoso e mi posò una mano sulla mia "Un giorno ti dimenticherai di me"

- probabilmente scriverò dei capitoli extra per i missing moment a rating rosso -
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oggi sono puntuale ^^ Godetevi il momento, quando i capitoli conclusi finiranno non sarà più così e siete libere di maledirmi quanto volete! (ma tranquille, ne mancano ancora un bel po')

Oggi sono in vena di chiacchere! Quindi inizio con i ringraziamenti per chi ha lasciato un commento. Può sembrare banale, ma vi assicuro che aiutano molto nella scrittura e soprattutto aumentano la voglia di continuare a scrivere! Scrivo soprattutto perché mi piace, ma è bello sapere che ci sono alcune persone che ti seguono e che apprezzano ciò che fai.

Ovviamente grazie anche a chi mi ha inserita tra le seguite, ricordate o preferite! Grazie anche a voi silenziosi che leggete! Se avete un minuto fatemi sapere se vi piace o no ^^

Ora basta, altrimenti risulto noiosa!

          Volevo lasciarvi un link se volete vedere i volti dei personaggi: 

CLICCATE!

 

 


CAPITOLO OTTAVO "Conoscersi"

 

Non avevo nemmeno immaginato un saluto così. Lo avevo sperato, ma sicuramente non avrei mai pensato che avrebbe potuto avverarsi. 

Un solo giorno e quel ragazzo mi era mancato più del dovuto. Sarebbe stato bello se fossi stata certa di cosa provava lui nei miei confronti, ma così, all'oscuro di tutto, mi sembrava solo un grosso sbaglio. Insomma, chi mi diceva che non fossi la sua prossima preda? Mi stavo facendo influenzare troppo dalle parole di Edoardo forse.

"Ciao" sussurrai timidamente.

Non che non fossi contenta di vederlo e soprattutto entusiasta del caloroso saluto, semplicemente ne ero sorpresa.

"Come stai?" chiesi ancora immobile.

"Adesso meglio" 

Alzai gli occhi per guardare quel sorriso a metà, splendido e soprattutto intrigante.

Le donne erano proprio matte. Chi diceva che non amavano il rischio si sbagliava di grosso. Niccolò non aveva propriamente la faccia del bravo ragazzo, anzi era l'esatto contrario. Eppure quell'essere libero ed impossibile da catturare attraeva. I suoi occhi furbi ti incatenavano a sé senza via di fuga.

"Cosa vuoi fare? Stiamo qua oppure preferisci andare da qualche parte?" domandò gentilmente.

"Decidi tu"

Sinceramente non avevo proprio idee e certamente il suo sguardo dritto su di me non aiutava a connettere i pensieri e soprattutto ad averne di coerenti.

"Allora scelgo io, a meno che tu non abbia niente in contrario andrei a Firenze"

Con quella faccia era impossibile dirgli di no. Poi cosa c'era di meglio di quella magica città? Solo passeggiare nelle sue piccole vie rinascimentali mi metteva di buon umore e ammirare i suoi edifici antichi, con enormi pietre grigie, e pensare alla storia che avevano vissuto mi portava letteralmente indietro nel tempo.

"Perfetto. Adoro Firenze" esclamai un po' più sciolta.

"Meno male, perché io ci vivo" rise con leggerezza.

"Davvero?" domandai stupita.

Constatai che sapevo veramente così poco di lui.

"Non in centro, sulle colline…" mi spiegò mentre ci incamminavamo. 

"Ma io non ho la macchina" dissi tra me e me a voce abbastanza alta da far sì che mi sentisse "cioè…non posso farti fare tutta questa strada, io abito…"

Non mi permise nemmeno di pronunciare un'altra parola.

"Non scherzare. Era ovvio che ti accompagnassi a casa" disse serio "ma tu qua come ci sei arrivata?"

"Bè…mi ha accompagnato una mia amica" risposi ingenuamente "non avevo pensato…sono una stupita, scusa"

"Scherzi vero?" mi guardò in tralice come se stessi dicendo una castroneria.

Non potetti non sorridere. 

"Grazie" 

Mi sorprese ancora una volta cingendomi per la vita mentre camminavamo nel parcheggio in una delle tante piazze della città. Imbarazzata lo affaiancavo a testa bassa guardando dove mettevo i piedi fino a quando non fui costretta a fermarmi dato che lui aveva fatto scivolare la mano sulla mia schiena e le luci della macchina ci avevano illuminato.

Rimasi a bocca aperta come un'ebete per qualche secondo di fronte a quella macchina. Sì, forse ero una delle poche ragazze che conosceva i modelli e capiva la differenza tra un motore diesel e uno a benzina, ma tutto era dovuto all'influenza di ben tre cugini maschi, di cui due cresciuti praticamente in simbiosi con me. Anche loro come me si sarebbero innamorati di quel gioiellino nero che mi stava di fronte. Una TTS Roardster.

"Prego" disse aprendo la portiera.

"Grazie"

Se fuori era bella dentro lo era di più. Alessio ed Enrico sarebbero impazziti per quell'auto.

Mentre allacciavo la cintura Nicco montava in macchina e mi guardò sorridendo quando io sfiorai con il dito le rifiniture in pelle del cruscotto e osservavo il navigatore posto al centro che ci dava il benvenuto.

Il traffico era quello di sempre, per fortuna era diluito dal fatto che molti erano già al mare e chi era rimasto in città non andava a giro con la macchina, ma preferiva di gran lunga passeggiare. Arrivammo nel centro e lo vidi percorrere il lungarno fino a quando non si fermò in prossimità del Ponte Vecchio, di fronte ad un cancello, che si aprì per immettersi in un giardino piccolo e carino. Scendemmo giù fino a giungere in un garage con tre portoni e come aveva aperto il cancello principale aprì anche quello con un pulsante rettangolare.

"Abiti qua?" domandai ingenuamente. 

Insomma erano pochi ad avere un parcheggio privato in quella città dove puntualmente era un bel problema trovare un posto per parcheggiare. E quello era certamente un posto privato di un'abitazione.

"No, questo appartamento lo usiamo io e mio fratello ogni tanto quando abbiamo bisogno di rimanere in centro" fece una pausa mentre spegneva la macchina "Prima dell'esame di maturità sono stato qua due settimane a studiare in santa pace"

"Capito" 

Se non avevo visto male quella era una di quelle case rinascimentali, rimesse a nuovo e divise in appartamenti. Ce ne dovevano essere tre dati i piani e i garage.

"Ma la nostra meta non era questa. Facciamo una passeggiata, ti va?" domandò richiudendo la portiera.

"Certo" 

Chiuse il bandone del garage e mi guardò sorridendo.

"Ti piace?"

Era ovvio che lo domandasse prima o poi, stavo praticamente analizzando la macchina da cima a fondo con gli occhi luccicanti.

"Sì, amo le macchine ed i motori stranamente" risposi.

"Perfetto" esclamò incamminandosi su per la strada  "allora magari potremmo anche fare un giro sulla mia moto più in qua"

Più in qua. Significava che ci sarebbe stato un futuro.

"Mi piacerebbe molto" gli confessai.

Sin da quando mio cugino aveva comprato la moto, di qualsiasi tipo essa fosse, io avevo sempre preteso di farci un giro, ovviamente come passeggero, perché per gli uomini erano più importanti della loro fidanzate e quindi mai me l'avrebbe ceduta, nemmeno per un minuto. 

"E così ti piacciono le moto?" domandò.

"Sì, soprattutto quelle da strada" specificai.

"Finalmente una ragazza che non mi urlerà di schiodarmi dal divano la domenica quando c'è il Moto GP!" esclamò solare.

"Io urlerò solo se non me lo fari vedere!" 

Niccolò rise allegramente e per la prima volta potei affermare che la sua risata era bellissima, come una melodia, per niente fastidiosa. Era ancora più bello quando faceva cadere quella maschera da cattivo ragazzo che ti inchiodava con un solo sguardo. Non che i suoi occhi neri non fossero bellissimi e magnetici, ma quando rideva si illuminavano di luce propria.

"Deduco che sei una sportiva" ipotizzò.

"Non esattamente, sappi che il calcio lo tollero poco. Al massimo i mondiali quando c'è l'Italia" ammisi.

Niente poteva farmi amare ventidue persone che correvano dietro ad una palla per novanta minuti. Insomma che c'era di così interessante?

"Per fortuna allora ho smesso di giocare" 

"Davvero? Non giochi più con Edo?" domandai curiosa.

Insomma Edo mi aveva detto di conoscerlo bene e pensavo che fossero compagni di squadra da molto.

"No, da due anni ormai. Ho iniziato a lavorare e ho dovuto smettere, anche se mi è dispiaciuto" confessò amareggiato.

"Pensavo studiassi ancora, insomma…a diciannove anni…" feci due più due "non hai diciannove anni vero?" chiesi imbarazzata.

Camminavamo lungo il marciapiede che costeggiava il fiume, illuminato da lampioni alti a tre braccia ed in quel momento abbassai gli occhi sapendo di aver fatto una figuraccia. Insomma per un uomo non era molto confortante sembrare più piccolo no?

"Ne compio ventidue a settembre" mi disse tranquillamente.

"Ops..be', scusami"

"E di che? fa piacere sembrare più giovani." 

Bene almeno non se l'era presa.

"Tu quanti anni hai?"

"Diciotto" 

"Piccolina la mia Giulietta" scherzò.

Si fermò sotto le arcate e mi strinse a sé. Il cuore iniziò a battermi come un orologio impazzito mentre Niccolò intrecciava le braccia dietro la mia schiena e lentamente avvicinava il volto al mio.

"Non so se te l'ho già detto, ma stasera sei veramente splendida" mi sussurrò sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro.

"No…" mormorai chiudendo gli occhi.

Volevo assaporare ancora una volta quel sapore dolce che aveva la sua bocca, godermi la sua morbidezza e volare di nuovo in un mondo completamente mio dove c'eravamo solo io e lui. Dovetti attendere solo un secondo e le nostre labbra iniziarono a sfiorarsi lentamente fino ad allontanarsi lasciando il desiderio di qualcosa di più.

Sciolse il nodo che aveva fatto dietro di me con le braccia e tenendomi sempre stretta a lui ci accostammo al muretto sotto l'arco a sesto di quel portico splendido, rivolgendo lo sguardo al fiume e soprattutto alle numerose costruzioni sopra quel ponte magnifico e unico nel suo genere.

Il panorama era splendido, ma ancor più bello era colui che mi stava accanto. Io continuavo ad essere troppo timida e soprattutto taciturna, così decisi di fargli qualche domanda. Ero pur sempre curiosa.

"Che lavoro fai?"

"Geometra, lavoro in uno studio a Sesto."

"Bello, avrei voluto farlo anche io, poi invece ho frequentato lo scientifico, ma sarebbe stato più utile per ciò che voglio studiare" dissi un po' più sciolta.

"Che vorresti fare?" chiese lasciando scivolare la mano lungo la mia schiena per poi poggiare i gomiti sulla pietra del muro.

"Architettura"

"Sai che tra geometri ed architetti non c'è un bel rapporto?" disse sorridente.

"Magari potremmo essere l'eccezione che conferma la regola" mormorai fissando l'acqua verde sotto di noi.

I lampioni si riflettevano nell'acqua allungandosi e mescolandosi alle strutture sul ponte e oltrarno e nonostante quel panorama non mi fosse nuovo, in quel momento mi pareva tutto più bello.

"Senza eccezione non c'è regola dopotutto" scherzò.

Per una volta desideravo veramente essere quell'eccezione. Ci voltammo allo stesso momento e i nostri sguardi si incrociarono per un istante, ma non resistetti e dovetti abbassarlo.

"Hai voglia di un Yogurt? Qua vicino lo fanno buonissimo" propose.

Il tono gentile con cui lo disse mi indusse a rispondere di sì e poi amavo lo yogurt. Annuii e riprendemmo a camminare. Attraversammo il Ponte Vecchio, dove a quell'ora non aveva aperto i soliti negozi d'oreficeria, dalle cui vetrine riluceva l'oro giallo degli artigiani fiorentini, ma c'erano solo poche persone che vi passeggiavano ed i lampioni accesi. Parlavamo del più e del meno, di ciò che ci piaceva e ciò che invece non amavamo ed io mi sorprendevo di quante cose avessimo in comune. Più che lo conoscevo e più il mio muro di timidezza scendeva e lasciava spazio alla vera me, facendomi ridere senza pensieri, arrossire ad ogni complimento, ma soprattutto mi permetteva di parlare liberamente e dire tutto ciò che mi passava per la testa.

Prendemmo lo yogurt, che non mi permise di pagare, e tornammo sul ponte per sederci ai piedi del monumento al Cellini, in modo da avere una visuale completa del fiume, che però non guardai nemmeno un attimo.

"Non si vedono le stelle" mormorai mangiando un altro cucchiaino. 

"In città è difficile vederle, ma da casa mia si vedono molto bene. Chissà…magari un giorno puoi venire a vederle se ti va" 

"Grazie" 

Ogni volta che ipotizzava ad un possibile futuro inevitabilmente arrossivo e mi imbarazzavo. Era sbagliato sperare, ma come potevo farne a meno?

Le mie amiche erano sempre state fidanzate, la prima fu Valentina, e in quei due anni fu terribile vederla allontanarsi da noi ogni giorno di più. Non che lo facesse di proposito, era ovvio che volesse passare del tempo con il suo ragazzo, ma noi comunque ne sentivamo la mancanza. Poi era toccato a Gemma e lì le cose si complicarono ancora, si può dire che migliorarono solo quando Vale si lasciò. E' brutto dirlo, ma tra Vittoria, che occupata come sempre, usciva sempre meno e lei fidanzata io ero costretta a stare con Gemma ed Edo. L'eterna terzo in comodo. Erano miei amici, ma erano lo stesso una coppia e io ero quella sola. Sempre.

Che c'era di male a sognare di poter essere io quella con un ragazzo?

"Abiti lontano da qua?" domandai curiosa.

"Non molto" prese un altro cucchiaio e continuò "presente Piazzale Michelangelo?"

Annuii.

"Ecco, praticamente abito lì vicino, solo che casa mia non si vede molto bene dalla strada"

Ero una delle persone più curiose che il pianeta poteva presentare e lui mi incuriosiva più di qualsiasi altra persona in quel momento lui era ciò che mi interessava maggiormente. Avrei voluto chiedere di più, ma decisi di contenermi per non passare da quella che ficca il naso ovunque.

"Bello…" mormorai.

Giravo senza accorgermene il cucchiaino nella vaschetta rosa pastello, ormai vuota, dove il cioccolato rimasto si mischiava con il bianco candido dello yogurt. Il silenzio durò ben poco però.

"Direi che è finito" scherzò togliendomela dalle mani e alzandosi per gettarla insieme alla sua nel cestino.

Lo osservai attentamente. Mi piaceva il suo stile, quei pantaloni scuri gli fasciavano il fondoschiena alla perfezione e le spalle, non troppo larghe erano coperte da una camicia di lino bianco. Quando si voltò vidi che i primi bottoni erano aperti. In effetti faceva caldo, ma forse era la sua presenza. Gli stavo facendo una radiografia completa. Per fortuna non se ne accorse o fece finta di niente per non mettermi in imbarazzo.

"Che programmi hai per questa prima estate di libertà?" domandò sedendosi sul gradino vicino a me.

"Ancora niente…dovevamo andare in agenzia a vedere se c'era qualche occasione, ma chissà. Non troviamo un compromesso per la meta."

Sorrisi un po' amaramente pensando ai miei compagni di classe che se ne andavano ad Ibiza, Mykonos o Barcellona a divertirsi lasciandosi alle spalle intere giornate chini sui libri che hanno lasciato dietro un gran mal di schiena e tanto stress. Ed io? A casa. Sì, la casa al mare, tra divertimenti di ogni genere, ma era diverso.

"Tu? Cosa hai fatto l'estate della maturità?"

"Mykonos con altri quattro amici. Sono tornato a casa con un'influenza tremenda e un gran mal di testa che mi ha accompagnato per giorni interi"

La sua faccia mise su un sorrisetto che sembrava rimandare ad un ricordo piacevole e divertente. Ne fui gelosa, era come se dentro di me mi desse fastidio che lui avesse avuto un passato in cui io non ero compresa.

"Ma nonostante gli effetti collaterali è stata una vacanza fantastica" si voltò verso di me e la sua faccia si fece seria "Non è fra le vostre scelte vero?"

Alzai un sopracciglio sorpresa. Cos'era quella? La stessa strana sensazione che avevo provato io quando mi aveva detto di esserci stato e di essersi divertito. Quello che non aveva aggiunto era ovvio: tante donne.

"A dire il vero sì, o meglio, di Vale. Io proponevo Ibiza" 

A quelle parole alzò lui un sopracciglio.

"Non ti facevo una persona che frequenta quei posti" confessò "mi sembri così pacata e…"

Risi. Una risata spontanea. 

Io pacata era veramente una cosa incomprensibile. Avevo i miei momenti di pace, ma mi piaceva uscire, divertirmi con le amiche e anche se non ero una di quelle ragazze sfrenate e senza giudizio le mie piccole follie le avevo fatte, soprattutto con una spinta di Vale, che era la regina delle pazze.

"Che mi nascondi?" 

Rideva anche lui, ma il suo era più un mezzo sorriso curioso e bello da mozzare il fiato.

"Magari lo scoprirai conoscendomi" scherzai avvicinandomi a quel sorriso.

"Voglio proprio scoprirlo sai?" sussurrò sulle mie labbra.

Le nostre espressioni erano l'una lo specchio dell'altra, con una sola differenza: le mie guance bruciavano come due fuochi ed erano leggermente colorate di rosso. La somiglianza stava nella bocca. Labbra che si cercavano e si bramavano. Petali di rosa che si ricongiunsero per creare una rosa rossa e vellutata.

 

"Grazie del passaggio" 

"Dovere" rispose togliendo le sicure e spegnendo il motore.

"Tornerai tardi a casa…" mormorai sentendomi una stupida.

Certo non potevo sapere che stava così lontano da me. Anche se a quell'ora non avrebbe trovato il minimo traffico ci avrebbe messo trenta minuti buoni.

"Sono abituato"

"Domani però lavori" 

Mi sentivo tremendamente in colpa.

"Giulia…" scosse la testa e scese di macchina.

Lo vidi passare davanti al cofano e poi venire ad aprire la mia portiera facendomi scendere.

"Non preoccuparti va bene? ti ho chiesto io di vederci" 

Richiuse la portiera dietro di me e io mi appoggiai ad essa sentendomi ridicola stavolta. Mi facevo troppi problemi. A volte avrei preferito staccare la spina al cervello, scacciare via ogni ragionamento logico e illogico e ragionare un po' di più con l'istinto.

"Ok…" mormorai.

Una sua mano arrivò dolcemente a sfiorarmi una spalla e la trovai così calda e morbida. Risalì lenta sul mio collo e io lo inclinai di lato per assaporare meglio la dolcezza di quel gesto.

"Non mi lamenterò mai di fare chilometri per stare con te" il mio cuore perse un battito "e tu non ti devi preoccupare per me" posò lievemente le labbra sulle mie "mai…" un'altro bacio casto.

Mai. Mi concedetti a quel bacio spegnendo il pensiero.

"Ora vai…geometra" 

Ridacchiai poggiata a lui e mi resi conto che arrivavo più o meno al suo mento, mi alzai sulle punte e gli schioccai un bacio sonoro sulla guancia.

"Vado…buona notte Giulietta"

"Buona notte"

Quando le sue mani mi lasciarono provai un leggero senso di fastidio, che scomparve non appena il suo sorriso raggiunse il mio cuore.  Inconsciamente quel muscolo aveva già deciso per me, facendo le capriole al solo pensiero di lui. Il mio proposito di andarci con i piedi di piombo era stato accantonato in meno di un secondo. Ci ero caduta con tutte le scarpe.

Entrai in giardino e non badai nemmeno al fatto che Damon non mi fosse corso in contro come il suo solito. Ma in fondo era l'una passata e probabilmente lui dormiva già come un ghiro nella sua cuccetta. Visto che tutti probabilmente erano sotto le lenzuola cercai di fare il più silenziosamente possibile. Risi quando in punta di piedi passai di fronte alla camera dei miei e sentii distintamente mio padre russare come suo solito. 

Niente sarebbe riuscito a rovinarmi quella serata. Ero felice e nulla mi impediva di esserlo.

Mi lasciai cadere sul letto sospirando leggermente. Come se quel semplice sospiro avesse avuto la capacità di scacciare via da me il passato, quei giorni occupati da sogni ad occhi aperti, da baci fantasma che non c'erano mai stati, da amiche sempre entusiaste delle loro esperienze e dai discorsi ai quali puntualmente ero esclusa.

Quel senso di benessere che provavo era forse un'effimera illusione,  ma tanto valeva starci in quella bambagia, almeno fino a quando fosse durata.

 

Era ufficiale: non riuscivo a restare entro le mura di casa mia per più di un'ora.

Mi ero svegliata tardi e dopo pranzo Vale era venuta a prelevarmi con un'entusiasta e impaziente Gemma, per poi passare a prendere Vittoria. Essendo lunedì era tutto chiuso, ma a noi importava ben poco, bastava stare insieme e quindi ci accontentammo di una panchina in un giardino di periferia. Tranquillo e silenzioso, il posto giusto per le nostre chiacchiere confusionarie.

Sedute su quelle strutture in legno, con corde, scale e scivoli ridevamo come delle stupide alle battutine di Vale e soprattutto io sorridevo per l'interrogatorio delle tre vipere che chiamavo amiche.

"Quindi solo qualche bacio?" domandò delusa Vale.

"Che pretendevi? Che le saltasse a dosso dopo cinque minuti e che stamani si sarebbe svegliata nuda nel letto?" scherzò Gemma.

Sembrarono tutte immaginarsi la scena, compresa me e poi scoppiammo a ridere.

"Non è decisamente nel mio genere!" dissi ridendo "Mi piace, e non voglio che pensi a me come una da farsi e basta! Sbaglio ad andarci piano?" chiesi ingenuamente.

"No" risposero in coro "Ti conosciamo così bene…tu vuoi un ragazzo, non uno con cui sfogare i tuoi stimoli" all'ultima parola Vale fece il segno delle virgolette con le dita.

"Esatto, quella sei tu" esclamò Gemma.

Vale le diede una spinta e mentre noi ridevamo tanto da farci far male alla pancia lei fece la finta imbronciata. Ma se noi facevamo quelle battute era perché oramai ci conoscevamo così bene da sapere che non erano dette con cattiveria. 

"Dai, ma siete proprio sceme!" 

Vale persisteva con la sua faccia falsamente imbronciata ed ecco che di nuovo echeggiò nel parchetto la nostra risata spensierata.

Le osservai sorridere. I capelli biondo grano di Gemma le ricadevano sul volto e svolazzavano in qua e là come fili dorati da quanto erano sottili e lisci, le incorniciavano il viso ovale dai lineamenti dolci. Gli occhi chiari, del colore de ghiaccio brillavano sotto la luce di quel caldo pomeriggi di luglio ed il sorriso era uno splendido ornamento. Valentina teneva il labbro inferiore sporgente, nella tipica espressione imbronciata dei bambini, ma si vedeva benissimo che stava per scoppiare a ridere, la tradiva il suo sguardo allegro. Vittoria rideva a crepapelle, si reggeva ad una parete della piccola casettina in legno. Eravamo insieme, spensierate e allegre come non capitava da molto tempo. Per un motivo che riguardava l'una o l'altra c'era sempre qualcuna che aveva il morale a terra o semplicemente una giornata storta. Sempre insieme e pronte a darci una mano. Però era bello sentire le nostre risate fondersi in una sola.

"Giuggi ti squilla il cel" 

La voce di Vale mi riscosse dai miei pensieri e finalmente sentii la suoneria del mio cellulare e soprattutto vidi il nome sul display.

"Scusate rispondo e torno" 

Sorridevo tra me e me, era la prima volta che mi chiamava. Tra noi c'erano sempre stati solo messaggi. Scivolai giù da uno scivolo troppo piccolo e troppo breve per una della mia età e risposi non appena i miei piedi toccarono terra.

"Ciao" 

Perché la mia voce con lui sembrava diversa? Sembrava trasformarsi, era più bassa, quasi un sussurro.

"Hei disturbo?"

La sua voce era così tranquilla e serena. Così bella da farmi semplicemente sentire al settimo cielo.

"Certo che no" erano uscite così spontanee dalla mia bocca che non avevo fatto in tempo a frenarle, ma in fondo era la verità "ma tu…non sei a lavoro?" domandai.

"Sì, ma visto che sono in una vecchia cascina a prendere delle misure, mi sono preso cinque minuti di pausa per chiamarti" sorrisi "cosa fai?"

"Sono con le mie amiche in un giardino pubblico…"

Mi interruppe subito e sentii una risatina sotto i baffi.

"Chiacchere tra donne? Devo preoccuparmi?"

"Ma no, sono ragazze tranquille" mentii.

"Ti ricordo che ho conosciuto Valentina" mi ammonì.

"Ok, hai ragione…preoccupati" scherzai.

Chissà per quale ragione, ma passati pochi secondi già mi sentivo più a mio agio.

"Dunque parlavate di me?" 

Mi sembrò quasi contento.

"Ti lascio il beneficio del dubbio" risi.

Voltai un attimo la testa per vedere quelle tre affacciate alla finestrella come vecchiette appollaiate sui balconi a guardarsi in giro a farsi gli affari altrui. Feci la linguaccia a quel arpie ficcanaso e mi allontanai un altro po'.

"Il capo mi chiama" sbuffò infastidito "ti prego non diventare come questo architetto" questa volta rise.

"Su, geometra a lavoro!" 

"Che fai? ti alleni per il futuro?"

"Più o meno" 

"Ti chiamo quando esco. Un bacio piccola"

"Va bene. Ciao"

Lasciai che fosse lui ad agganciare e io rimasi lì, con il cellulare in mano e con quello stupido e piatto ciao che gli avevo detto. Io e la mia stramaledetta timidezza.

"Giulietta ha finito di parlare con il suo Romeo?" urlò Vale venendo verso di me.

"Sì"

"Bene, allora si va alla ricerca di una gelateria!" esclamò Vittoria sbucando saltellando dietro di lei.

"E andiamo…" 

Ci prendemmo tutte e quattro a braccetto e ci dirigemmo chissà dove con l'intento di trovare qualcosa aperto di lunedì pomeriggio.

  
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