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Autore: NiNieL82    19/10/2011    2 recensioni
Aredhel cercò di non pensare. Chiuse gli occhi e asciugò con una mano le lacrime che le bagnavano le guance e le scendevano lungo il collo. Il vento ululava sinistro fuori mentre la pioggia cominciava a spazzare le colline verdi.
Una tempesta era in arrivo. Aredhel odiava le tempeste. Aredhel odiava tutto quello che distruggeva le cose belle. Perché Aredhel era l'impersonificazione della bellezza. Aredhel era una Veela. [dal primo capitolo]

Diane è figlia di una Veela e di un mago. James è un ragazzino viziato, nato da due maghi avanti con l'età. Sirius è un ribelle. Remus ha qualche problema da risolvere. Lily è una Nata Babbana. Severus è un mago figlio di un Babbano e di una Strega.
Le loro storie si uniranno indissolubilmente e tessaranno le sorti del loro futuro.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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E questa è la mia prima fan fiction nata dallo sclero di me medesima che sono una fan di Harry Potter.

Non tratta proprio di Harry ma di quello che è successo prima che lui nascesse. Uno sguardo, in parole povere a quella che è stata la vita ad Hogwarts di Lily, James, Sirius, Remus, Peter, Severus & co.

Spero che siate clementi. E che non mi lanciate contro le uova. È la mia prima fic su Harry Potter... spero che vi piaccia...


ATTENZIONE: leggete Harry Potter e pensate al piccolo maghetto con gli occhiali che ha riempito le pagine dei sette libri della saga della Rowling. E avete ragione. Io ho solo preso in prestito i personaggi della saga fantasy e li ho introdotti in questa storia che altro non è che la versione personale del prequel mai scritto dalla scrittrice inglese.

Quindi, tutti i personaggi citati, tranne quelli inventati da me, non mi appartengono, ma sono della Rowling. La fan fiction non vuole offendere la sensibilità dei fans dei libri o le opere della scrittrice stessa, ma vuole solo rendere omaggio ad una delle opere fantasy più belle e meglio riuscite degli ultimi anni.


Finito questo pezzo che mi sembra d'obbligo se non mi voglio trovare qualcuno a casa che mi chiede i diritti...


Comincia la storia.... Buona lettura...



Erba fondente, crine di unicorno: come tutto ebbe inizio

(primo anno)





12 Luglio 1960




Tinworth, Cornovaglia, Gran Bretagna.


Aredhel sospirò passando una mano sulla pancia. Gli occhi erano pieni di lacrime che lente scendevano sulle mani giunte sul ventre come gocce di pioggia, come piccoli cristalli pianti da una roccia millenaria.

Era sola. Aveva paura. Paura che qualche cosa andasse storto, che nulla sarebbe stato come prima dopo che la piccola che portava nel grembo avrebbe visto la luce. E mancava davvero poco. Lo sentiva. Ogni minuto che passava era l'inesorabile e lento avvicinarsi del parto.

Cosmo si era Smaterializzato per chiedere aiuto ai suoi genitori. Sapeva di essere partito già troppo tardi e che il parto di sua moglie non sarebbe stato per niente facile, ma aveva pensato comunque che andare dai suoi per chiedere aiuto sarebbe stata la scelta migliore.

Aredhel sospirò affranta. Con gli occhi cercò per la stanza qualche cosa che la potesse far distrarre, che la distogliesse da quel dolore che sembrava spaccarla dentro. Si voltò e vide la foto di sua madre e di suo padre abbracciati. Belli e felici. Sua madre era vestita di bianco. Suo padre aveva il più bel vestito da cerimonia e mostrava il suo sorriso più smagliante. Lo sguardo di Aredhel indugiò sul ciondolo, il ciondolo a forma di triangolo con un cerchio e un'asta al centro che l'uomo portava al collo e un brivido di disgusto e di paura la percorse da capo a piedi. Il ciondolo che portava al collo suo padre era stato il motivo di rottura tra lei e la sua famiglia non meno di cinque anni prima, quando sia lei che Cosmo, appena diciottenni, contro il parere delle rispettive famiglie, scapparono e si sposarono.

Aredhel ricordava poco di quel giorno, quasi nulla. Ricordava solo che un colpo di bacchetta aveva aperto il suo baule e aveva cominciato a riempirlo, mentre sua madre le gridava contro ogni tipo di insulto, sputandole contro il suo livore e le sue peggiori maledizioni. Ma non servì a nulla. Una volta svuotato l'armadio, Aredhel lasciò la casa materna, mentre la madre, sulla porta, le gridava contro che una volta lasciata la sua proprietà non avrebbe dovuto metterci mai più piede. Non si voltò una sola volta. Per la prima volta, Aredhel era davvero sicura di quello che stava facendo. I suoi occhi erano puntati su Cosmo che le tendeva la mano. Dietro di lui una moto. Cosmo amava gli oggetti meccanici Babbani e si divertiva a inserirci quale magia ogni tanto rendendoli quasi completamente magici. In quel caso aveva messo su una moto niente male, che aveva vinto con una buona mano al poker nel pub vicino alla chiesa di Godric's Hollow. Poco importava ai due fidanzatini quanto fosse strano da vedere, almeno per dei semplici Babbani, una moto con caricati sopra due vecchi e pesanti bauli. Quello che sapevano era che dentro quei bauli che per sette anni avevano contenuto divise e pergamene e libri della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts stava rinchiusa la chiave della loro nuova vita e della loro libertà. Quello che interessava ai due innamorati era solo di vivere il loro amore senza essere più contrastati da nessuno.

E così fu. Almeno fino a che Aredhel non si rese conto, dopo cinque anni, di essere rimasta incinta. E fu in quel momento che con orrore, la giovane si rese conto che quella era la sua punizione, il risultato che almeno una delle maledizioni gridate da sua madre avesse colpito il segno. La gravidanza non si dimostrò per niente facile e sin dai primi mesi la giovane ebbe grossi problemi di salute. Ben presto Aredhel si rese conto che mettere al mondo quella bambina le sarebbe costato davvero caro, molto più di quanto avrebbe mai immaginato. E la prova lampante era quel più che probabile tragico epilogo.

Sollevò gli occhi celesti verso la finestra. Cosmo non si vedeva. Possibile che ci mettesse tutto quel tempo?

Il cielo cupo sovrastava Tinworth e un forte vento spazzava le colline altrimenti ordinate. Un lampo squarciò il cielo e subito il tuono risuonò cupo tra i vasti spazi aperti e sconfinati della pianura inglese. Aredhel gridò forte e si contorse. Il dolore la stava spegnendo lentamente e lei si sentiva allo strenuo delle sue forze.

Fu allora che un liquido caldo scivolò lungo la gamba della giovane.

La pelle candida come la neve venne macchiata da un rivolo rosso che scivolò lungo la gamba liscia e senza rumore si ruppe sul pavimento. Per quanto la giovane non sapesse come nascevano i bambini, era sicura che non era normale perdere tutto quel sangue.

Rovesciò la testa sullo schienale della poltrona e portò una mano sugli occhi e si rese conto che stava tremando. Aveva paura. Paura per lei, per la sua bambina. Paura che Cosmo non arrivasse in tempo.

-Perché non ho seguito il consiglio di Cosmo? Perché non sono andata al San Mungo?-

L'ennesimo grido disperato di Aredhel riempì la stanza, lacerando il silenzio, senza che nessun rombo di tuono lo celasse.

Ma perché Cosmo tardava tanto? Possibile che fosse accaduto qualche cosa.

Aredhel cercò di non pensare. Chiuse gli occhi e asciugò con una mano le lacrime che le bagnavano le guance e le scendevano lungo il collo. Il vento ululava sinistro fuori mentre la pioggia cominciava a spazzare le colline verdi.

Una tempesta era in arrivo. Aredhel odiava le tempeste. Aredhel odiava tutto quello che distruggeva le cose belle. Perché Aredhel era l'impersonificazione della bellezza. Aredhel era una Veela.


Cosmo arrivò sulla soglia delle casa di famiglia. Nonostante si fosse appena Materializzato, la pioggia batteva talmente forte che bastarono quei pochi secondi di attesa che qualcuno aprisse affinché lui si bagnasse completamente.

Dietro il grande portone di legno vecchio e consunto, Cosmo vide apparire la faccia altrettanto consumata dal tempo e da vari duelli di un uomo anziano con i capelli bianchi e arruffati e gli occhi piccoli di uno stupefacente azzurro.

Cosmo?” disse in un sussurro, allargando la sorpresa dalla voce a tutto il volto che parve stirarsi da tutte le rughe e tutte le cicatrici. “Non pensavo che ti avremo rivisto. Da quando sei scappato con quella Veela non ci hai dato più tue notizie e...”

Nonno... Non ho tempo di stare a parlare... Dov'è la mamma?” chiese Cosmo entrando senza nemmeno chiedere il permesso.

La vecchia casa di Cosmo Prewett non era affatto cambiata da quando l'aveva vista l'ultima volta.

Il salotto era sempre troppo ingombro e nel caminetto stava un calderone in peltro molto grande dove Demetra Prewett, madre di Cosmo, faceva bollire nuove pozioni e nuovi intrugli per arricchire le sue scorte. Loto Prewett, il vecchio nonno di Cosmo stava sempre seduto in una vecchia e tarmata poltrona vicino al fuoco per -come era solito dire- asciugare le ossa dall'umido accumulato in un intera vita.

Lana, la gatta bianca che quando Cosmo lasciò la casa di famiglia era poco più di un cucciolo, talmente piccola da stare tutta in una mano, guardò il nuovo arrivato con i suoi occhi ambrati e miagolò debolmente per poi, con passò svelto, scappare verso il divano, dietro il quale sparì accoccolandosi tra i cuscini.

Cosmo non si curò di Lana, entrò a grandi passi nella casa e disperato gridò:

Mamma! Mamma ti prego. Ho bisogno del tuo aiuto!”

Demetra Prewett scese lentamente i pioli della scala in legno che si trovava di fronte all'ingresso. Nel suo viso c'era dipinto lo stupore di trovare in casa suo figlio e allo stesso tempo preoccupazione nel vedere lo stesso ragazzo che aveva lasciato la sua famiglia per seguire una Veela e che per cinque anni non si era degnato di mandare un gufo alla sua famiglia per dir loro che stava bene e di non preoccuparsi. Ma non era quello che faceva ribollire il sangue a Demetra. Fosse stato il fatto che Cosmo aveva perso la testa per una donna bellissima, con parte di sangue di Veela nelle vene, le cose non sarebbero state così complicate. Quello che Demetra non sopportava era che suo figlio avesse perso la testa per la figlia del più fidato seguace di Gellert Grindelwald, il più grande Mago Oscuro che la storia avesse mai conosciuto e che solo Albus Silente, quindici anni prima, era riuscito a sconfiggere e mettere in catene nella stessa prigione di Nurmengard, dove Grindelwald rinchiudeva i suoi oppositori quando era al massimo del potere.

Era stato questo il motivo di dissidio tra le due famiglie. Aredhel era la figlia di un Mago Oscuro e di una Veela incline anche lei al male. A nulla valsero le ragioni di Cosmo quando cercò di spiegare che Aredhel era differente. Che anche lei era una Grifondoro come lui, che anche lei odiava la Arti Oscure e che appena maggiorenne avrebbe lasciato sua madre per andarsene via. Demetra Prewett aveva conosciuto la guerra e il dolore provocato da Grindelwald e non aveva nessuna intenzione di far entrare in casa sua una giovane che avesse nelle vene lo stesso sangue di un traditore.

Ma in quel momento, cinque anni di silenzi si cancellarono davanti agli occhi azzurro scuro del figlio che con i capelli biondi completamente bagnati tremava per il freddo e per la paura.

Rimasero a guardarsi per qualche secondo poi, rispondendo ad un impulso interiore, Demetra abbracciò il figlio e scoppiando a piangere disse accarezzandogli una guancia:

Sei tornato a casa. Finalmente... Sei tornato a casa!”

Dopo un primo attimo di sorpresa, Cosmo accolse l'abbraccio della madre e stringendola in lacrime le mormorò:

Mamma... Solo tu mi puoi aiutare...”

Demetra sollevò lo sguardo e guardò Cosmo negli occhi. Era terrorizzata e non capiva il motivo per cui suo figlio le potesse chiedere aiuto. Cosmo prese un respiro profondo e disse:

Mamma... Aredhel sta per partorire. Ma io non posso aiutarla. Non so cosa fare e...”

Il viso di Demetra si indurì e in un solo attimo cinque anni di silenzio si trasformarono in un muro invisibile che lei eresse tra di sé e suo figlio. E dura rispose:

Portale i miei auguri...” e stava per allontanarsi quando Cosmo cercando di convincerla esclamò:

Stiamo parlando di tua nipote accidenti! Come puoi mettere la tua rabbia e il tuo rancore prima di tua nipote...” e prendendo un po' di fiato con la voce incrinata, Cosmo aggiunse: “... come puoi permettere che sia mia figlia a pagare gli errori miei e di mia moglie...”

Ignatius Prewett entrò dalla porta sul retro, dove stava il grande giardino della casa. Doveva aver raccolto pus di Bubotubero visto che una volta dentro portò dietro di sé un forte odore di benzina.

Che succede!” disse poggiando la bacchetta su di un ripiano.

Cosmo sentì il cuore stringersi. Se avesse cominciato a litigare anche con suo padre, per Aredhel non ci sarebbero state speranze.

A quanto pare tu e tua moglie state per diventare nonni, figliolo caro!” si intromise il vecchio Loto.

Ignatius si irrigidì e guardò il volto del figlio ancora bagnato dalla pioggia e dalle lacrime. Non riuscì a dire una sola parola. Dopo anni di silenzi, Cosmo, il suo unico figlio, era tornato a casa piangendo come un bambino per dir loro che stavano per diventare nonni. Ignatius non capiva perché ma trovava il tempismo del figlio inaudito. Curvò la schiena e poggiò i guanti di pelle di drago sporchi dentro il lavabo e mormorò:

Sono felice per te!” e sollevando la testa chiese: “È un maschio o una femmina?”

Demetra continuò a guardare il figlio e rispose con un sibilo:

Non è ancora nata... Ma a quanto pare è una femmina!” e dopo aver deglutito, con la voce che cominciava pericolosamente ad incrinarsi disse: “Il parto è l'unica cosa che noi maghi non possiamo risolvere con la magia. Deve essere la natura a fare il suo corso...” e si stava allontanando quando Cosmo disperato replicò:

Non è la maga che sto cercando. Sto cercando mia madre, una donna che ha messo al mondo un bambino e che può aiutare mia moglie a partorire mia figlia...” e piangendo concluse: “Mamma... Ti prego... Dopo potrai chiedermi tutto quello che vuoi. Ma vieni ad aiutarmi, ti prego!”

Demetra si voltò lentamente e guardò il figlio. Due sentimenti si fecero largo in lei: il primo di rivalsa sulla ragazza, che le diceva di stare ferma dov'era e di lasciare che la natura facesse da sola; il secondo era l'amore per un figlio che disperato chiedeva il suo aiuto.

Sospirò e voltandosi verso il marito disse:

Ho bisogno anche del tuo aiuto, caro... Nonno... È meglio che tu rimanga a casa...” e guardando il figlio aggiunse: “Mi Smaterializzerò con te... Non so dove abiti...”

Cosmo annuì e poi sorrise.

Forse aveva ancora qualche speranza.


Grimmauld Place numero 12, Londra. Gran Bretagna.


Kreacher seguiva la vecchia madre per la casa, attento a stare un passo dietro a lei per rispetto, ascoltando con attenzione tutto quello che gli diceva:

Figlio caro, ormai io sono una vecchia elfa. Tra poco avrò il giusto premio per tutti i miei servigi... La padrona mi taglierà la testa e l'appenderà vicino a quella di mia madre...”

La vecchia elfa disse quella frase come se quello che la padrona stava per fare non fosse un omicidio ma un atto dovuto, un regalo che tutti, un giorno all'altro, avrebbero ricevuto. Kreacher deglutì e guardò verso le scale dove altre due malinconiche teste appartenute a sua nonna e al suo bisnonno pendevano sinistre nel muro, come trofei di caccia. Un giorno anche quello sarebbe stato il suo destino. Un giorno anche lui avrebbe aspettato con gioia il momento in cui la padrona avrebbe messo fine ai suoi giorni tagliandogli la testa. Ma per il giovane Kreacher quel momento era ancora lontano.

La signora Walburga Black ha avuto un bambino, tu lo sai Kreacher. Io non posso più curarmi di lui. Sono sorda e non sentirei quando piange. E le mie ossa stanno marcendo...” sorrise rivolgendo uno sguardo amaro al figlio che non colse il vero significato dello sguardo e continuò a guardare stolidamente sua madre. L'elfa riprese fiato con difficoltà e continuò: “Devi farlo tu al posto mio, so che puoi farlo...” prese un grosso respiro per l'ennesima volta e questo risuonò sinistramente nella cucina. Per Kreacher fu come sentire quando qualcuno toglie la testa fuori dall'acqua dopo essere stato per molto tempo in apnea. Kreacher continuava a stare in silenzio e permise alla donna di aggiungere: “Ormai hai raggiunto l'età per poter servire il padrone da solo, senza il mio aiuto. E il padrone Orion si fida di te...” e voltando gli occhi rossi verso il figlio aggiunse: “... Tu sarai la sua spalla, la sua ombra... Il suo servo più fedele. Amerai ciò che ama lui. Odierai ciò che odia lui... E servirai i Black e le loro idee fino alla morte...”

Kreacher annuì chinando la testa.

Kreacher...”

La voce di Walburga Black, la padrona di Kreacher, risuonò nella stanza imperiosa e ostile. Kreacher senza nemmeno degnare di un solo sguardo la madre uscì dalla stanza e con passo strascicato si avvicinò alla sala dove stava la padrona. Fece un inchino sull'uscio e si piegò talmente tanto che la fronte stava quasi per toccare il terreno. E senza alzarsi chiese:

La padrona desidera? La padrona vuole che Kreacher faccia qualche cosa per lei?”

Walburga guardò Kreacher per un attimo, poi tornando a sistemare la coperta nella carrozzina del figlio, con disgusto disse:

Certo che mi servi, piccolo idiota... Stai con Sirius! Io devo fare una cosa. Ci metterò un po'!” e alzandosi lasciò il piccolo nella carrozzina.

Kreacher si fece da parte lasciando l'uscio libero alla padrona e chinandosi di nuovo aspettò che la donna si fosse allontanata del tutto prima di entrare nella sala.

Con il solito passo lento e strascicato si avvicinò al carrozzino del bambino e arrampicatosi sulla sedia occupata precedentemente dalla padrona con qualche difficoltà, guardò dentro. Vide un bellissimo bambino, che dormiva beato, con i pugni stretti e la piccola bocca appena socchiusa. Il naso era piccolo, quasi impercettibile nell'ovale e le orecchie erano perfette. I capelli neri e lisci erano piuttosto folti e nonostante Kreacher non se ne intendesse di bambini umani, per quanto avesse pochi mesi il piccolo Black sembrava leggermente più lungo di quello che normalmente erano i bambini degli umani.

Il padroncino deve dormire o la padrona si arrabbierà con Kreacher se lui si sveglia...” mormorò Kreacher con un ringhio basso e vagamente minaccioso con lo scopo di tenere calmo il bambino. Sirius rimase addormentato, senza nemmeno curarsi di chi gli stava vicino e Kreacher, lentamente, si mise seduto guardando la punta degli orribili piedi che faceva dondolare annoiato seduto sulla sedia.

Fu allora che, nel silenzio della casa, talmente spesso che quasi si poteva distinguere il respiro leggere del piccolo Sirius, che Kreacher sentì il mormorio concitato di Walburga e di Orion. Il piccolo elfo domestico tese le enormi orecchie in ascolto. Non riuscì a comprendere nulla ma il rumore di una lama che fendeva l'aria e il sinistro tonfo che riempirono il silenzio della casa svuotandolo di qualsiasi altro suono esterno per quella che sembrò un eternità, fece rabbrividire l'elfo che, stupito, si accorse che la sua vista si stava annebbiando e le guance erano bagnate da calde lacrime.

Kreacher! Kreacher vieni qua immediatamente! Devi pulire tutto questo schifo!” gridò Orion con lo stesso tono usato dalla moglie poco prima.

Kreacher, quasi per un secondo ebbe come l'istinto di trattenersi. Non voleva andare in cucina. Sapeva cosa avrebbe trovato. E sapeva che non gli sarebbe piaciuto. Ma lentamente, seguendo quel maledetto istinto di elfo domestico, i piedi si mossero e, un passo dopo l'altro, arrivò alla cucina con ancora gli occhi annebbiati dalle lacrime. Aprì la porta e quasi svenne. Nel pavimento si era allargata una grande macchia scura rossa. Sangue. Vicino, steso per terra, c'era quello che poteva sembrare un mucchio di stracci ma che, dopo una seconda occhiata più attenta, Kreacher si accorse, era un corpo. Decapitato... Il corpo di sua madre.

Trattenne un singhiozzo mentre Orion, mettendo il mantello disse a Walburga:

Tu stai con Sirius... Porto io ad impagliare la testa... E ordina a quell'elfo di pulire bene. Non ho intenzione di mangiare sopra un pavimento ancora lordo di sangue sporco di elfo domestico...”e uscì dalla cucina, percorse il lungo corridoio buio e aprì la porta e con un piccolo pop, udibile nonostante l'uscio chiuso, si Smaterializzò davanti all'ingresso della casa.

Walburga sorrise per un attimo, pulendo le mani in un vecchio canovaccio. Poi, voltandosi verso l'elfo disse severa:

Hai sentito cosa ha detto Orion? Pulisci tutto quel sangue, lurido elfo!” e senza aggiungere altro andò verso il figlio che aveva cominciato a piangere disperato.

Kreacher guardò l'enorme pozza rossa in silenzio, con gli occhi sbarrati, dal quale scendevano copiose lacrime. Poi, voltandosi lentamente verso il lavabo, prese uno straccio si inginocchiò sul pavimento di pietra, passò il dorso della mano dalle lunghe dita sotto il naso per asciugare le lacrime che scivolavano impietose e in silenzio cominciò a pulire il sangue. Fregò con forza, senza badare all'odore nauseante di ferro che gli perforava le narici e lo stomaco fino a che anche le sue mani e le sue braccia ne furono piene. Poi con passo strascicato, piangendo si avvicinò al lavabo, roteò la manopola del rubinetto e lasciò che il gettito freddo lavasse via le impurità. Non pensava a nulla, se non al corpo di sua madre gettato via come se fosse la più comune immondizia e guardando il sangue che riempiva il fondo bianco del lavandino cominciò a ripetere:

Ora lei è felice. Ora lei è felice. Ha avuto quello che voleva”

Ripeté quel mantra per un'ora. Poi, uscendo dalla cucina, pulì il naso sulla federe sporca che usava come vestito e andò nel salotto. La padrona stava leggendo un libro, il piccolo dormiva e dei ferri da calza lavoravano a qualche cosa che all'elfo sembrò una tuta per neonato.

La padrona desidera?”

Walburga sollevò lo sguardo su Kreacher e tornando a leggere chiese sgarbata:

Hai finito?”

Certo padrona! Posso aiutarla in qualche modo?” chiese Kreacher inchinandosi e tornando a toccare il pavimento con il naso.

Walburga si voltò e guardando l'ora nel suo orologio disse:

Tra poco mio marito tornerà a casa. Voglio che tutto sia pronto. E smettila di stare lì chinato come uno stupido. Muoviti che ho fame!”

Kreacher annuì e sorrise. Ora era lui che si prendeva completamente cura dei suoi padroni e del loro figlio. Ora era lui l'unico di cui la famiglia Black non poteva far a meno.


Godric's Hollow, West Country. Gran Bretagna.


Un cane latrava forte nel giardino di una grande e bella casa nei pressi di Godric's Hollow.

Charlus Potter aprì un occhio e sollevò la testa dal cuscino. Sua moglie Dorea si mosse nel sonno e sorridendo mormorò:

Te lo avevo detto io che prendere un Crup ti avrebbe impegnato, ma tu hai voluto fare di testa tua!”

Charlus guardò la moglie con rimprovero e sollevandosi dal letto mise la vestaglia e disse:

Adesso abbiamo qualche cosa da difendere, non trovi?” e sorridendo uscì fuori.

Guardò con un sorriso verso la camera del loro figlio di appena due mesi e poi scese le scale per raggiungere l'ingresso che lo avrebbe introdotto nel bellissimo giardino posto nel retro della casa. Rabbrividendo un po', Charlus Potter si strinse nella sua veste da camera e uscì in pantofole nel giardino bagnato da una pioggerellina fitta. Il piccolo Crup, simile ai Jack Russell Terrier, si avvicinò al padrone, chinando la testa e scodinzolando.

Truffle! Che diavolo ti prende? Ti fa male la coda, eh?”

Qualche giorno prima infatti, aiutato da un vecchio amico che amava curare le Creature Magiche, decise di far tagliare la coda, altrimenti biforcuta del giovane Crup, per attirare meno l'attenzione dei Babbani.

Charlus aveva pensato che fosse carino comperare un animale domestico in concomitanza con la nascita del suo primo -e molto probabilmente unico- figlio. Ma ben presto dovette fare i conti con l'età che cominciava ad avanzare. Non aveva più le forze di un ragazzino e curare sia un cane che un bambino di appena due mesi si stava dimostrando un'impresa molto più dura di quanto avesse immaginato.

Caro Truffle ho aspettato troppo per diventare papà, vero?” chiese malinconico il mago.

Il piccolo Crup gli leccò il viso e scodinzolò felice, correndo poi nella sua cuccia di legno che Charlus aveva costruito sotto una grande e secolare betulla al centro del giardino. Il suo padrone sorrise e prima di allontanarsi si raccomandò:

E non abbaiare più, Truffle. Finirai per svegliare tutto il vicinato, se continui!” e dando un rapido sguardo ai rami ancora carichi di fiori di centinodia, al biancospino, agli agrifogli che cominciavano a fiorire, rientrò in casa.

Il salotto era quasi del tutto simile ad un comune salotto babbano. Niente faceva presagire, a prima vista, che in quella casa abitasse una coppia di maghi. Ma se si osservava bene, se si guardavano le foto nelle cornici e i quadri antichi alle pareti, allora si notava che i soggetti che vi erano raffigurati, più o meno composti, dormivano e russavano dentro le loro cornici. Sul tavolino c'era la bacchetta di Charlus -frassino, tredici pollici, anima di crine di unicorno- poggiata su di una copia della Gazzetta del Profeta, che raffigurava la foto di un giovane mago, tale Lord Voldemort -mai sentito nome pi strampalato per un mago- che era stato nominato per qualche proposta contro i Babbani e che, a quanto pareva, stava riscontrando l'appoggio di molti purosangue.

-Ci manca solo un'altra guerra e siamo apposto!- pensò Charlus sistemando la piantina di malva che stava sul davanzale della finestra tonda vicino alle scale e con passo stanco, un gradino per volta, cominciò a salire.

Una volta al piano superiore sospirò e guardò la camera di suo figlio.

James Potter era nato in marzo e sia Charlus che Dorea lo avevano atteso a lungo. Era arrivato quando meno se lo aspettavano, quando non ci speravano ormai più.

E da quando era nato, Charlus Potter aveva sperimentato un nuovo amore, molto più grande di quello che aveva provato per Dorea, quando l'aveva conosciuta. Charlus Potter si rese presto conto che sapere di avere un essere così piccolo tra le braccia era una sensazione nuova, che non aveva provato nemmeno quando si era sposato, quando aveva cavalcato per la prima volta una scopa, quando aveva evocato per la prima volta un Patronus corporeo.

James era suo figlio. Il regalo più grande che la vita gli potesse fare.

Con il passo lento di un uomo che comincia ad invecchiare, con tutte le ossa che cominciavano a fare male, si avvicinò alla culla e sporgendosi sorrise guardando il piccolo, girato di fianco, che dormiva tranquillo. Allungò la mano e dolcemente lo accarezzò mormorando:

Tu sei mio figlio. E io ti proteggerò da tutto il male che i maghi e i babbani possono fare...”

Charlus!” si intromise la voce di Dorea.

L'uomo si voltò e guardò la moglie che con le braccia incrociate stava sulla porta e gli sorrideva. Anche per lei il tempo era passato. Non era più una ragazzina e delle rughe le solcavano il viso. Ma dopo la gravidanza, per Charlus, era diventata ancora più bella.

Sorrise di rimando alla moglie e avvicinandosi a lei sussurrò per non svegliare il bambino:

Hai ragione... Non posso stare in piedi tutta la notte a guardare nostro figlio... Ogni tanto devo dormire oppure mi licenzieranno a lavoro!” e ridendo baciò dolcemente la moglie e tornò a dormire.


In un normalissimo quartiere di Londra. Gran Bretagna.


Petunia guardava Lily in cagnesco. Da quando era arrivata la neonata, la primogenita della famiglia Evans aveva avuto la vita stravolta. La cameretta nel quale giocava tranquilla era stata riempita con la culla e il fasciatoio e spesso la mamma diceva di stare in silenzio per non svegliare la sorellina che dormiva.

Quella mattina, però, la piccola Lily aveva superato se stessa. Seduta sul pavimento assieme alla sorella, la piccola gridava e lanciava lontano i giochi, sempre contro la piccola Petunia che disperata gridava per il dolore e per la rabbia.

In quel momento di calma apparente, nella piccola stanza al primo piano della casa, mentre fuori pioveva a dirotto e papà Evans si godeva il primo giorno di meritate vacanze, Petunia, ormai stanca, guardando in tralice la sorellina, le lanciò contro il modellino di un cavallino di legno con cui stava giocando.

Lily guardò la traiettoria del cavallino sorpresa da quelle evoluzioni per aria, poi, con un grido indignato scoppio a piangere. Subito dopo Petunia scoppio a piangere a sua volta.

La differenza era che se la prima piangeva di rabbia, la prima piangeva per lo spavento.

La signora Evans, preoccupata, corse al piano di sopra ed entrò nella camera delle bambine. Ed entrando lanciò un urlo. Per un infinitesimo di secondo aveva creduto che quello che camminava tra le bambine fosse un topo, ma dovette ricredersi. Trottando tranquillo, stava tra le bambine il cavallino di legno di Petunia.

Caro! Caro corri ti prego!” esclamò terrorizzata la signora Evans.

Che succede adesso?” chiese il signor Evans dal piano di sotto.

Devi assolutamente venire!” rispose la moglie.

L'uomo salì le scale e si sporse a guardare dentro la camera, poggiandosi sullo stipite.

Quello che vide lo fece sbiancare. Guardò la moglie, poi le figlie e poi di nuovo la moglie.

Prese il piccolo cavallino di legno che nitrì indignato lo osservò con attenzione e chiese:

Hai visto come è successo?”

La moglie scosse il capo in segno di diniego. Il signor Evans tornò a guardare il cavallino che cercava di liberarsi dalla sua mano e tornando a guardare la moglie, con una lieve nota di panico nella voce, chiese:

Non è mai successo prima, vero?”

La moglie scosse di nuovo la testa e rispose:

Non lo so... Penso che questa sia la prima volta! Almeno non ho mai visto niente di simile prima d'ora”

Il signor Evans guardo Lily e Petunia e scosse la testa. E sollevando la mano che teneva il cavallino di legno mormorò:

Vado... Vado a ro... Vado a ucc... Lo tolgo di mezzo, ok?”

La moglie annuì e guardò Lily che tranquilla mise un dito in bocca puntando gli occhi verdi sulla mamma. Sembrava quasi divertita. Naturalmente non si rendeva conto che tutti attorno a lei erano terrorizzati da quello che aveva fatto.


Ignatius sospirò. Cosmo teneva in braccio la bambina più bella che avesse mai visto.

Piangevano tutti. La bambina, Cosmo, lui. Solo poche ore prima avevano seppellito Aredhel nel piccolo cimitero di Godric's Hollow, nella tomba di famiglia.

Demetra stava preparando un tè e Loto, serio accarezzava Lana seduto nella sua poltrona vicino al fuoco.

Nella casa regnava un silenzio cupo. Nessuno aveva osato proferire una sola parola. Eppure quello doveva essere un giorno felice. Tutti dovevano ridere e scherzare, non piangere.

-Non si deve mai mischiare la morte con una nuova nascita. È cattivo presagio- pensò Ignatius guardando Cosmo perso ad osservare il piccolo fagottino che teneva tra le braccia.

Qualcuno bussò alla porta. Ignatius sollevò la testa come svegliandosi dal torpore e andò ad aprire. Dietro apparve un uomo con la lunga barba bianca e dei penetranti occhi azzurri cerchiati da occhialetti a mezzaluna. Tutti si voltarono verso la porta e quando Demetra vide il nuovo arrivato non resse più e scoppiò in lacrime.

Albus... Oh! Non sai quanto è stata dura...”

L'uomo le batté dolcemente una mano sulla spalla e serio rispose:

Appena ho ricevuto il gufo con la lettera di Loto sono corso qua...” e con lo sguardo cercò Cosmo che, davanti al suo vecchio Preside, si sciolse in lacrime e disse:

Aredhel... Non ce l'ha fatta. È morta...”

Silente sospirò e mormorò contrito:

So tutto, Cosmo... So tutto... Ma niente è perduto. Aredhel è morta per dare la vita, mio caro Cosmo e la vostra bambina è il primo mattone per costruirne una nuova...”

Loto annuì. Conosceva Silente da tanto, da quando lui abitava a Godric's Hollow ed era un ragazzo imberbe. Era sempre stato al fianco della famiglia Prewett e si era sempre dimostrato un amico leale e fidato. Ed era l'unico che aveva sempre creduto che non bisognasse giudicare Aredhel per quello che erano i suoi genitori.

Loto lo aveva chiamato perché era l'unico mago che stimava veramente. E non aveva sbagliato visto che, come sempre, Silente trovava le parole giuste da dire.

... Tua figlia è il tuo nuovo inizio. E sono certo che Demetra e Ignatius ti aiuteranno in questo difficile compito!” e sorridendo conciliante aggiunse: “La posso prendere in braccio?”

Cosmo porse il piccolo fagottino al Preside che sorridendo notò:

Aredhel ha fatto un buon lavoro. Questa bambina è davvero bellissima...”

Demetra annuì e Silente chiese di nuovo:

Come si chiama?”

Diane...” rispose torpido Cosmo.

Silente annuì e aggiunse:

Credo che avrai una bellissima vita Diane Aredhel Prewett.. La migliore che un giovane mago può aspettarsi. Benvenuta tra noi!”


   
 
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