Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: francy13R    19/10/2011    2 recensioni
La vita, chissà come, ti sorprende sempre quando meno te l'aspetti. Pensi che non ci sia via di scampo, pensi di rimanere quella emarginata per sempre e un giorno succede l'impensabile. Sei lì, sei importante per qualcuno, anzi essenziale e ti senti nuova. Lavinia è così e non sa cosa aspettarsi dalla vita e dalle persone che la circondano, ma sa che il suo posto non è dove è nata, sa di valere più di coloro che non la capiscono, di coloro che la ostacolano e ne ha la certezza in questo viaggio. Una giovane donna che cerca di scoprire se stessa, che sogna e spera sempre, perchè la speranza è l'ultima a morire.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

2.Cause these things will change


La vita è troppo breve per stare in un angolo a pensare a tutto quello che si potrebbe fare, pensare o dire. La vita è troppo breve per rimpiangere.
La vita è troppo breve per cercare la perfezione, o meglio,
cercare qualcosa che non arriverà mai.
F. 






Non bevevo mai roba forte semplicemente perchè non ne sentivo il bisogno, ma quando ero giù di morale l'alcol diventava un modo per fuggire dal dolore. Ed eccomi lì, alla festa dei diciotto anni di Laura, una semplice conoscenza, che mi aveva invitato per fare numero a ballare con completi sconosciuti e qualche amico. Erano circa le due e a quell'ora avrei già dovuto essere a casa sotto le coperte, ma le serate in discoteca non erano programmate per finire alle due e questo lo sapevo bene. All'inizio non ci volevo neanche andare, tutto quel casino e tutte quelle persone che saltavano uno attaccato all'altro non facevano per me, ma Alice mi aveva costretta. Avevo visto Marco tra la folla ballare con alcuni suoi amici e, come se sapesse di essere osservato, puntò gli occhi di un azzurro sorprendentemente dolce nei miei, li sgranò leggermente e mi si avvicinò.
Ricordo di essermi bloccata sulla pista ed essere rimasta lì come un ebete ad ammirarlo mentre con tutta la sua eleganza e tranquillità mi raggiungeva, ricordo anche le sue mani sulla mia vita che mi spingevano lontano dalla folla e il suo sorriso gentile.


-Sei bellissima!-, disse ad alta voce per farsi sentire sopra la musica. Non sapevo se lo ero davvero, ma ero certa di essere diversa dalla noiosa Lavinia che incontrava tutti i giorni a scuola. Quel giorno avevo lasciato che Alice si occupasse delle scarpe, del vestito e del trucco. Ed eccomi lì con un vestito corto e nero che aderiva alla perfezione sul mio corpo esile, un paio di scarpe con il tacco argentate e un rossetto rosso fuoco che evidenziava le mie labbra carnose. Mi sfiorò i capelli che ricadevano ondulati dietro la schiena.

-Grazie!-. Fu tutto quello che riuscii a dire. In quell'istante avrebbe potuto fare qualsiasi cosa di me, ero incondizionatamente sua e di nessun altro. Mi strinse forse i fianchi e inaspettatamente si avvicinò al mio volto pietrificato, mi fissò le labbra per quelli che parvero minuti e poi mi baciò.

Sapeva di alcool e di fumo, ma era un sapore quasi dolce e invitante. Feci salire le mie mani fino a sfiorare i suoi capelli, glieli strinsi e lo avvicinai a me, mentre Marco mi spingeva delicatamente contro il muro della discoteca. Sapevo che non avrei dovuto farlo e sapevo anche cosa sarebbe accaduto dopo, lui non mi voleva, forse non mi aveva mai voluto. Ma quella sera ero ubriaca e probabilmente anche lui, quindi perchè non approfittarne? Aveva rotto con Alessia da poco più di tre mesi, perciò non credevo che l'avesse fatto per semplice e pura disperazione, forse perchè invece gli facevo pena. Mi ritrovai ad essere disgustata da me stessa: quella non ero io. Io non giocavo mai sporco, io non mi approfittavo della gente, ma volevo la mia vendetta personale, quindi non cercai di respingerlo. Lo baciai nonostante sapessi che non ci sarebbe stato altro che quello, lo baciai fregandomene di quanto poi avrei sofferto in futuro.

 

 





La camera non era poi così male. La moquette blu lasciava un po' a desiderare, ma i mobili in legno rendevano calorosa la piccola stanzetta. Lasciai la valigia ed ispezionai la cucina troppo bianca arredata con quattro poltroncine e un divanetto. Sul davanzale erano appoggiati un forno a microonde, un aggeggio che serviva per scaldare le bevande e un mini-frigorifero. Dalle finestre si intravedeva in lontananza la strada principale e un giardino, mentre sulla sinistra vi era un complesso di appartamenti che non appartenevano al college. Il nostro appartamento era al secondo piano ed era composto da quattro stanze singole e da due bagni, uno dei quali aveva la doccia. Entrai nella camera di Alice e mi sdraiai sul suo letto mentre lei apriva la valigia e appendeva qualche felpa agli appendiabiti nell'armadio.

-Allora? Come ti sembra?-, chiese indaffarata.

-Lo vuoi davvero sapere? Mi sembra una cacca, insomma gli scozzesi fanno ancora più pena degli inglesi! Hai visto la cucina? Tutta bianca! Mi sembra di essere in un ospedale-, dissi tutto d'un fiato.

Alice rise con la sua solita aria positiva. -Smettila di lamentarti cretina!-. Posò l'acetone e il suo smalto azzurro sulla scrivania, prese un batuffolo di cotone dalla valigia e iniziò a occuparsi diligentemente delle sue unghie. Mi alzai, la guardai per un secondo indecisa se spaventarla per farla sbagliare o lasciar perdere. Decisi di graziarla, dopo di che tornai nella mia stanza e sistemai tutte le mie cose. Cambiai maglietta e indossai un cardigan leggero e degli stivaletti bassi e marroni più adatti a quel clima rigido.

Le altre due camere erano occupate da Ilaria (la bionda) e Marianna, una ragazza di diciassette anni con dei ribelli capelli scuri e un volto sempre sorridente. Le trovai in cucina a riempire gli scaffali con dei pacchetti.

-Cosa sono?-, chiesi avvicinandomi.

-Caramelle!-, disse Ilaria.

-Chi le ha portate?-.

-Io-, esclamò Mary.

-Oh grazie al cielo! Ci hai salvato da morte sicura! Come potremo ripagarti in futuro?-. L'abbracciai e iniziai a ridere insieme a lei.

-Mah, sai l'unica cosa che manca è il pane e della Nutella-.

-Nutella!!! Hai perfettamente ragione, appena possiamo andiamo a prenderla, ci sarà pure un supermercato nei paraggi-. Mi sedetti sul divanetto e presi un pacchetto di caramelle che iniziai a divorare. Un cellulare vibrò. Mary lo prese e lesse il messaggio che le era appena arrivato, poi sbuffò. -Non sono ancora arrivata che già inizia a rompere!-, borbottò tra se. Non seppi non farmi gli affari miei.

-Chi? Il tuo ragazzo?-. Si sedette afflitta su una sedia e mi guardò sconfortata.

-Si! Sai, non è che non voglio che si preoccupi. È che troppo possessivo. Mi ha fatto certe scenate per questo viaggio... Tipo: “Perché te ne vai via da me due lunghe settimane?” e bla bla bla! Mentre lui se ne può andare dove vuole. È già la quinta volta che mi scrive oggi-.

-Si vede che ti ama molto! Sei fortunata-, mormorai guardando il cielo oltre la finestra. Non rispose.

Dopo qualche minuto bussò alla porta il Corvoni che ci invitò a prendere una giacca e a scendere, saremmo andati a fare un giro turistico veloce della città. Così corsi a prendere il mio chiodo, la mia sciarpa, la borsa marrone di pelle e l'iphone.

Le nuvole si erano diradate lasciando un venticello fresco. Presi i miei ray-ban neri e mi diressi a braccetto con Alice verso il gruppo. Ci fece da guida un ragazzo sulla ventina di nome Joe che Alice adocchiò subito come suo solito.

Ci dirigemmo così a piedi verso il centro. La strada era costeggiata da decine di locali grandi e piccoli dove si bevevano caffè o drink analcolici. Notammo subito uno Starbuck e ci fermammo a prendere due White Mocha Cafè caldi alla velocità della luce.

Arrivate sulla via principale ( Princes Street) ci dividemmo in piccoli gruppeti per dare un'occhiata ai negozi. Lorenzo e Stefano si unirono a noi e optammo per un negozio di dischi e strumenti musicali all'incrocio più vicino. Entrammo e con grande gioia notammo che vi erano almeno cinque gradi in più rispetto all'esterno. Lorenzo, Stefano e Alice si ammassarono sui dischi in offerta, mentre io proseguii verso le chitarre acustiche: la mia vera passione. A casa avevo una Crafter che suonava divinamente, ma in realtà era stata sostituita alla mia vecchia e adorata Fender che era andata in frantumi messa sotto da una macchina.

Entrata nella sezione delle chitarre acustiche notai un gruppetto di ragazzi, quindi mi diressi dalla parte opposta. All'improvviso si levò una dolce melodia e riconobbi le note di “Just the way you are” di Bruno Mars, unita alla voce di un ragazzo. Mi avvicinai incuriosita senza farmi notare e scorsi un ragazzo con la testa chinata su una Ibanez (una tra le tante marche di chitarre che reputavo alla pari della Fender) . Quando alzò il capo per sorridere ad una sua amica lo riconobbi e feci istintivamente un passo indietro, fu così che andai a sbattere contro una chitarra e per poco non la feci cadere a terra. Grazie al cielo la presi in tempo. Era lui, il Portoghese. Accipicchia! Sapeva anche suonare la chitarra.

Mi allontanai immediatamente da quella stanza per evitare stupide figure di emmental e andai a cercare gli altri che erano alla cassa con le braccia piene zeppe di cd.

-Ma che ci dovete fare con tutta sta roba?-, chiesi arricciando il naso.

-Ascoltarla magari? Lavy, dai quando mi capitano questi cd a un prezzo del genere? Ah non dirlo a mia mamma! Cuciti quella stupida bocca altrimenti ti taglio la lingua-, disse una Alice improvvisamente seria. Risi e decisi di farmi un giro per vedere qualche cd, sempre a debita distanza dalle chitarre acustiche. Adocchiai un cd degli “One Republic” di cui andavo matta e lo girai per leggere le traccie. All'improvviso sentii una porta aprirsi e delle voci riempire il silenzio.

-Oh cazzo!-, esclamai ad alta voce accorgendomi dei Portoghesi che stavano venendo dalla mia parte. Mi girai immediatamente, presi un respiro profondo e girato l'angolo iniziai a correre come una scema verso l'uscita e appena la porta si chiuse alle mie spalle sospirai di sollievo.

-Che ti è successo?-, chiese Stefano che si materializzò vicino a me.

-No niente, non vi trovavo e credevo di avervi perso-, mentii spudoratamente, ma ci credettero. Dopo di che li incitai ad allontanarci e finimmo all'ennesimo Starbuck dietro l'angolo. Questa volta presi una semplice barretta di cioccolato fondente e un caffè macchiato. Ci sedemmo su quattro poltroncine imbottite e iniziammo a prendere in giro lo stupido cognome del nostro professore di inglese. Insomma, con tutto il buon senso del mondo, ma chi si poteva chiamare Corvoni di cognome? Come insegnante Rocco non era male, non era uno di quelli che esigeva troppo dai suoi studenti e allo stesso tempo durante le sue ore era inconcepibile l'idea di baldoria. Il suo pizzetto e l'aria giovanile lo facevano apparire aperto con i ragazzi, ma in realtà era un gran timidone.

 

Avevamo a disposizione ancora mezz'ora, così ci allontanammo da Princes Street e ci addentrammo in un piccolo parco con molto alberi e panchine. Iniziai a scattare qualche foto giusto per fare qualcosa e mentre stavo per scattare l'ennesima ad un fiore mi accorsi che sullo sfondo, una persona mi stava salutando. Abbassai la mia Canon e aguzzai la vista, ma vidi solo un ciuffo moro. Così per non sembrare maleducata salutai nella sua direzione, dopo di che sparì.

 

 


Appena tornati mi infilai nella doccia. L'acqua calda riscaldò la mia pelle e mi fece sentire a casa. Dopo di che accompagnai Marianna al supermercato per prendere alcune cose, ma prima di uscire dal complesso un ragazzo biondo con una felpa amaranto ci fermò e ci disse con perfetto accento scozzese: -Ragazze non potete uscire a quest'ora da sole!-.

-Ci hanno detto che il supermercato è dietro l'angolo, arriviamo subito-, risposi un po' impacciata.

Lui alzò le spalle e si avvicinò. -Vi accompagno io allora! Sono un membro dello staff, piacere James-. Ci porse la mano e io la strinsi sorridendo.

Ci avviammo in silenzio e intanto esaminai il ragazzo che mi stava accanto. Non avrà avuto più di venticinque anni e sembrava un albino: capelli quasi bianchi (ma forse era la luce dei lampioni a renderli così), carnagione bianchissima e occhi di un azzurro glaciale, inoltre camminava in modo molto goffo. Se all'inizio mi era sembrato simpatico dovetti ricredermi dato che ci attese fuori dal supermarket con un'aria seria incrociando le braccia e incoraggiandoci in modo da tornare agli appartamenti alla velocità della luce.

Comprammo due barattoli di Nutella, patatine a valanga e due pizze surgelate. Pagammo e quando il cassiere ci chiese se volevamo una borsa Marianna gli rispose: -Sto bene, grazie!-, fraintendendo quello che aveva detto. Io scoppiai a ridere e la giustificai con un semplice: -Siamo italiane!-. E così la portai via per evitare altre figuracce. Uscite ridendo James ci prese per i gomiti e ci trascinò a casa.

-Santo cielo quanto è scorbutico questo qua!-, disse in italiano Marianna.

-Perché sei così severo? Sorridi che la vita è bella-, gli dissi cercando di non incespicare con le parole visto che ero nel bel mezzo di un attacco di ridarella. E lui, appena arrivati, con fare ancora più cupo ci augurò la buonanotte dopo di che si diresse verso le stanze dei membri dello staff.

-Simpatici gli scozzesi-, commentai mentre salivamo le scale. Alice era alle prese con le sue solite e stupide unghie (un giorno gliele avrei tagliate nel sonno) e appena ci vide con tutto quel ben di Dio saltellò sorridente e ci aiutò a sistemarlo.

-Ho voglia di pizza! Dai la metto nel microonde. Ah, prima sono venute due ragazze del nostro gruppo: Iris ed Evelyn, sono troppo carine! Quasi quasi chiamo anche loro per la pizza-. Si dileguò e lasciò la pizza girare nel fornetto. Sentimmo la caldaia attivarsi e intuimmo che Ilaria era sotto la doccia. Forse avremmo dovuto aspettare lei prima di mangiare.

-Eccole qua! Evelyn, Iris queste sono Marianna e Lavinia-, disse Alice sbucata dal nulla. Evelyin era una ragazza alta con folti ricci di un biondo cenere ed occhi neri, mi strinse la mano calorosamente. Mentre Iris era l'opposto: minuta (ancora più bassa di Alice), con corti capelli scuri ed occhi di un azzurro limpido che si accesero appena incontrarono i miei. Erano già in pigiama il che mi fece pensare che probabilmente era molto tardi e che avremmo dovuto essere a letto. Controllai e rimasi stupita: erano appena le dieci e mezza.

-Alice, guarda che Ilaria è sotto la doccia!-, dissi mentre tirava fuori la pizza fumante.

Si girò confusa. -E allora?-.

-Ok, allora muoviamoci a mangiarla prima che ci scopra-. Tagliai la pizza in cinque pezzi e ci sedemmo attorno al tavolino bianco circondate dal più totale silenzio. Mi abbuffai come pochi con la paura che la porta del bagno si aprisse all'improvviso e venissimo beccate con le mani nel sacco e lo stesso fecero le altre. La pizza lasciava molto a desiderare, ma avevamo fame e ci saremmo mangiate anche i cubetti di ghiaccio nel freezer.

La porta si aprì proprio mentre stavo masticando l'ultimo pezzo e solo allora realizzai che Ilaria avrebbe potuto vedere il cartone della pizza così corsi tra le sedie come una disperata e ficcai la scatola nel primo cassetto che trovai. Ad Alice era andata la pizza di traverso perciò stava annaspando alla ricerca disperata di un bicchiere, trovato lo riempì d'acqua e bevve. Le altre tentarono di mantenere un comportamento neutro, o almeno innocente, al passaggio di Ilaria, ma eravamo fuori pericolo, non si era nemmeno girata verso la cucina, era invece andata a chiudersi nella sua camera.

-Simpatia portami via-, sussurrai sedendomi a terra. Scoppiammo a ridere.

Il Corvoni arrivò giusto dieci minuti dopo e spedì Evelyn e Iris nel loro appartamento, così mi ritrovai nella cucina spoglia sola con Alice (Marianna era subito andata a dormire data la stanchezza).

-Dormi con me stanotte?-, la supplicai facendole gli occhi dolci.

-Che scassa palle che sei!-, disse ma con un sorriso spense le luci della cucina e si ficcò sotto le coperte insieme a me.

-Abbiamo conosciuto una delle guide, ci ha accompagnate al supermercato-, sussurrai.

-E com'è?-. -Mmm, brutto e noioso-, sentenziai. Dopo di che caddi in un sonno profondo privo di sogni. E il mio primo giorno a Edimburgo era andato.

 

 

La sveglia suonò alle sette e dieci esatte. Avrei desiderato dormire di più, ma un odore di pane tostato e Nutella risvegliò il mio stomaco. Così mi diressi verso quel dolcissimo profumo e notai Alice, già vestita e truccata, mentre si godeva l'alba e gustava il suo toast. Notai che sul tavolo c'erano quattro buste.

-Buongiorno! Chi ha portato questa roba?-, sussurrai sbadigliando. Mi strinsi nel maglioncino di lana che mi aveva fatto nonna Margherita e mi sedetti incrociando le gambe.

-Good morning! È la colazione, in più il Corvoni ha portato il pan carré-, disse pimpante la mia migliore amica. Diedi un'occhiata alle buste e notai che in una c'era un succo di frutta all'arancia e una brioches vuota. La feci subito mia e iniziai ad infilare tonnellate di Nutella nella brioche.

-Lo zombie non è ancora uscito dalla sua stanza?-, chiesi più nel mondo dei sogni che in quello reale. Mi guardò confusa. -Ilaria, lo zombie è Ilaria-.

-Ahh, devo dire azzeccatissimo! Non pensavo fosse così noiosa-. Si alzò e prese un barattolo di caffè. Lo guardai come se fosse l'unica cosa davvero importante sulla terra. Girandosi notai che aveva la mia maglietta del Barcellona, quella con il numero sette, quella di Villa.

-Adesso ti metti pure a frugare nella mia valigia? Scusami ma Villa è mio-.

-Ti prego ti prego, fammela tenere almeno fino a domani sera. Mi sono innamorata di lui!-.

-Cosa? Villa è mio. Quale di queste tre parole non ti entra nel cervellino microscopico che ti ritrovi? E poi non eri già promessa a Messi?-.

-Non so perchè, ma adesso che si è rimesso con quella sfigata di Antonella, Messi mi sta davvero sulle balle. Insomma non può illudermi in questo modo, credevo di avere una speranza con lui ed ero sicura che alla partita Barcellona-Milan mi avesse sorriso dopo il suo secondo goal... Ma forse mi sbagliavo! Mi ha tradito, brutto stronzo-. Alzai gli occhi al cielo e trattenni una risata per non ferire i suoi sentimenti.

-Non è una scusa valida per cambiare uomo. L'hai voluto? Adesso te lo tieni-. Le feci la linguaccia e mi alzai per preparare il caffè. Naturalmente gli scozzesi volevano complicarsi sempre la vita dato che non c'era una semplice macchinetta, quindi optai per lo scalda bevande sperando che funzionasse. Lo riempii d'acqua e ci versai tre cucchiai di caffè, dopo di che lo accesi e mi girai ad ammirare il sole che si alzava lentamente tra le nuvole che non avevano intenzione di concedergli più spazio per farsi guardare. Avevo sempre pensato che Edimburgo fosse un posto orribile, fatto per gli sfigati che non sapevano dove andare e dunque si rifugiavano in una città sperduta nel nulla, ma mi sbagliavo, era perfino più bella di Londra, più pacifica, il posto ideale in cui vivere. Inoltre tutte le villette alla Harry Potter rendevano caratteristica e pittoresca la periferia. Persa nelle mie solite considerazioni mattutine non mi accorsi di nulla finché lo scalda bevande esplose e l'acqua miscelata a caffè si sparse per tutto il bancone. Mi allontanai velocemente sotto lo sguardo divertito di Alice e arrabbiata iniziai a pulire freneticamente l'area con uno straccio.

-Vaffanculo stupido scaldino! Io la mattina ho bisogno del caffè, è d'obbligo. Mi toccherà fermarmi da Starbuck-, dissi più a me stessa che alla mia amica.

Alla fine bevvi il freddo succo di frutta e mi diressi mezza addormentata verso il bagno per dare un'occhiata ai capelli. Mi guardai allo specchio: “Pensavo peggio, dai”. Mi lavai i denti e piastrai qualche ciocca ribelle in modo che la massa di ricci scendesse morbida fino alla vita. Data la temperatura invernale optai per il paio di jeans più pesante che avessi e una felpa gialla della Nike. Mi truccai di fretta e furia semplicemente con il mascara e qualche goccia di fondotinta, dopo di che presi la borsa e chiusi a chiave la mia porta. Raggiungemmo il college con il solito pullman che era occupato anche dai cinesi e dai portoghesi a cui però non feci troppo caso, visto il mio stato di incoscienza.

Quando arrivammo tutti i gruppi scesero tranne noi, la nostra prima e vera destinazione era il castello di Edimburgo che si trovava su una collinetta immersa nella nebbia.

Percorremmo all'incirca un chilometro a piedi seguendo delle viuzze strette e ripide, ma alla fine arrivammo in un grande spiazzo e potemmo ammirare l'antico e imponente castello che si erigeva davanti a noi. Dopo qualche minuto di attesa entrammo attraverso un ponte levatoio e ci ritrovammo nelle alte mura protetti dal vento gelido che quella mattina soffiava imperterrito. La vista di tutta la città e del mare ci lasciò incantati: le nuvole scure si abbattevano sulla città, ma più in là sul mare il sole illuminava una piccola isoletta e si rifletteva nell'acqua creando dei magnifici giochi di colore.

Visitammo tutto il castello, in lungo e in largo, e con il tempo sentivo le mie gambe farsi sempre più pesanti e il freddo sempre più pungente tanto che neanche la felpa e il chiodo riuscivano a proteggermi, così mi strinsi ad Alice, mentre lei si strinse a Marianna.

-Sembrate dei pinguini-, ci disse James ridendo sotto i baffi.

-Ma grazie, come mai oggi sorridi?-, chiesi giusto per conversare in inglese e... farmi gli affari altrui. Notai che Alice si mise subito alla sua sinistra impaziente di sentire la risposta.

-Sei sempre così divertente? E questa signorina qui? Non la conosco-. Si rivolse ad Alice, le strinse la mano e si presentò. Non c'era bisogno di dire che lei si stava già facendo un film mentale con tanto di bambini dalle teste bionde. Sospirai e notando Evelyn e Iris mi diressi verso di loro anticipando la richiesta di Alice che mi riservò un sorriso di gratitudine.

-Lavinia! Eccoti! Grazie al cielo ce ne stiamo andando, non mi sento più le mani-, disse Evelyn dopo avermi preso a braccetto. Forse era una mia impressione, ma non credevo che fosse così contenta di vedermi, il suo sguardo leggermente scocciato infatti mi aveva avvertito. Probabilmente per il semplice fatto che mi fossi intromessa tra lei e Iris, ma senz'altro non avevo intenzione di immischiarmi nelle loro faccende, anche perchè le conoscevo da meno di un giorno.

Comunque ero pur sempre positiva, la vacanza-studio sarebbe durata due settimane, un arco di tempo non così lungo e io volevo fare amicizia più di ogni altra cosa. Volevo distaccarmi dal mio paese e da tutte le persone che ci vivevano e quello mi sembrava un modo efficace per farlo. Avevo bisogno di aria fresca.

Tornati al college ci abbuffammo di cibo e dopo aver mangiato e chiacchierato allegramente ci dirigemmo verso la palestra: un piccolo edificio distaccato dal college che all'esterno aveva un'aria antica, mentre all'interno il parquet di legno lo rendeva moderno ed accogliente. Trovammo un materasso libero e ci buttammo su quello mentre Lorenzo, Stefano e altri ragazzi giocavano a calcetto. Sdraiata a pancia in su con il cellulare in mano per controllare il mio profilo di Facebook non mi accorsi della palla che centrò il mio stomaco.

-Cazzo!-, urlai pronta ad uccidere chiunque l'avesse tirata, ma appena mi alzai in piedi dovetti bloccarmi. Davanti a me c'era il portoghese, quello del numero di telefono, quello della chitarra, quello che (porca misera) non aveva un nome.

-Scusa! Non volevo, non l'ho fatta apposta-, disse con una pronuncia davvero penosa. Non seppi rispondergli e questo mi preoccupò, di solito non mi facevo prendere in contro piede in questo modo. Annuii mentre lui mi sorrideva con la sua aria da cane bastonato, dopo di che entrambi tornammo ai nostri posti.

-Mmm carino-, disse Iris con gli occhi azzurri che luccicavano. “Mi dispiace bella ma quello è già prenotato”, non feci in tempo a rifletterci che questo pensiero si intrufolò nella mia mente e mi scombussolò.

“-No Lavy, dai è Portoghese! Dopo queste due settimane non lo rivedrai più. Ti prego. A Londra, l'anno scorso, ti è andata bene che era del nostro stesso gruppo, ma questa volta stagli alla larga. -Eppure è così bello....

-No, col cazzo, no no no Lavinia santo cielo torna in te! Tu devi cercare un modo per riprenderti Marco, lascia perdere sto qua!

-Ma è inutile Marco non mi vuole e una volta che un ragazzo si interessa a me non dovrei considerarlo?”

Il mio discorso mentale non riusciva a trovare una soluzione a questo dilemma. L'unica cosa certa era che stetti tutto il tempo a guardarlo giocare e a segnare cinque goal in tre dei quali si girò verso di me e disse: -Questo è per te!-.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: francy13R