Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: francy13R    16/10/2011    2 recensioni
La vita, chissà come, ti sorprende sempre quando meno te l'aspetti. Pensi che non ci sia via di scampo, pensi di rimanere quella emarginata per sempre e un giorno succede l'impensabile. Sei lì, sei importante per qualcuno, anzi essenziale e ti senti nuova. Lavinia è così e non sa cosa aspettarsi dalla vita e dalle persone che la circondano, ma sa che il suo posto non è dove è nata, sa di valere più di coloro che non la capiscono, di coloro che la ostacolano e ne ha la certezza in questo viaggio. Una giovane donna che cerca di scoprire se stessa, che sogna e spera sempre, perchè la speranza è l'ultima a morire.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

1.This is gotta be a good life




Credi che più in basso di così non si possa cadere,
eppure eccoti qui in un pozzo senza una corda che ti faccia rivedere la luce del sole.
Hai solo uno spiraglio che mantiene viva la speranza, ma con il tempo anche quella si affievolisce
come il cielo che diventa sempre più scuro dopo il tramonto.
E quando pensi che tutto sia finito, che ormai la tua vita sia segnata per sempre eccole là, le stelle.
Forse rimarrai in quel pozzo ancora per molto, ma se continuerai ad urlare qualcuno ti sentirà.
F.

 

 



Alice arrivò alle tre precise. Di solito era sempre in ritardo di quindici minuti, ma quello era un giorno speciale. Si diresse senza esitare davanti al mio guardaroba e iniziò a tirare giù magliette a caso; io mi appoggiai allo stipite della porta incrociando le braccia e sperando che finisse in fretta.

-Ti devi portare anche questa!-, disse prendendo un top con delle paillettes rosse e blu.

-Non so se ti ricordi che a Edimburgo ci saranno si e no venti gradi! Dove devo andare con tutta questa roba scollata?-. Stufa del suo comportamento iperattivo presi alcune maglie e iniziai a riordinare, dopo di che mi sdraiai sul letto senza dire una parola.

-Come mai sei di così cattivo umore? Andiamo a Edimburgo Lavinia. Due lunghe settimane senza genitori o stronze rompiballe come... be' tu sai chi-. Smise un momento di svuotare l'armadio e si sedette sulla scrivania guardandosi le unghie di un orribile giallo canarino.

Si riferiva alle nostre amate compagne di classe, ormai quello era l'argomento all'ordine di ogni giorno.

Loro appartenevano al gruppo dei VIP. Potevano sembrare le solite traditrici, meschine, lecca...avete capito cosa, finte, innocentine, orgogliose di tutto ciò che gli apparteneva, ipocrite ed ignoranti, ma erano molto ma molto peggio. Erano alla ricerca costante di un ragazzo che le palpasse durante l'intervallo e i cambi dell'ora, ma non certo perchè desideravano l'amore, solo per farsi notare, ma si scocciavano subito così lo sostituivano dopo due, massimo tre settimane. E be' ormai eravamo abituate alle loro moine e guai avere un ragazzo, anche perchè ce l'avrebbero fregato dopo due giorni solo per il gusto di farlo. Noi eravamo le secchione sfigate della classe. Tutto lì. Triste come cosa, eh? Non eravamo alla loro altezza e per me andava benissimo anche così.

Mi guardai allo specchio e maledissi il mio aspetto. La carnagione leggermente scura, i capelli ricci e lunghi di un castano chiaro, il volto a forma di cuore, il naso dritto e orgoglioso, le labbra leggermente carnose e gli occhi di un debole verde. Le uniche persone che mi dicevano che fossi bella erano i miei parenti e Alice che aveva un debole per come si arricciavano dolcemente i miei capelli. Quindi non riuscivo mai a capire se quello che dicevano fosse obbiettivo o no.

-Lo sai perchè! Non fare la finta tonta, Marco dove lo lasci?-. Marco era il ragazzo di cui ero tanto innamorata da ben tre anni e che non mi considerava minimamente.

-Lo lasci alle italiane, noi andiamo a prenderci due bei spagnoli-. E sorrise iniziando a farsi tutti i suoi tipici viaggi mentali. Non avevo mai avuto il coraggio di dire a Marco ciò che provavo ( anche se, chissà come, lo sapeva tutta la scuola) e probabilmente non l'avrei mai avuto perchè lui era uno di quei tipi super gasati che appena venivano a conoscenza del fatto che una ragazza gli girava intorno lo andavano a dire a mezzo paese, ma, come dice un vecchio detto, non sei tu a scegliere chi amare.

Mi alzai dal letto afflitta e iniziai a riempire la valigia con le materie prime, cercando di evitare lo sguardo di disapprovazione proveniente da Alice su ogni felpa sformata che mettessi dentro. Dopo che tutto fu pronto per la partenza ci mettemmo al computer a sparlare delle fighe di turno su Facebook e ci guardammo un film horror giusto per ridere un po' per la tragica fine delle vittime.

Il tempo sembrava essersi fermato e quella notte sembrò eterna, ma sapevo che prima o poi mi sarei addormentata. Iniziai a pensare a Marco e a quanto mi sarebbe piaciuto sfiorare i suoi capelli rossi e alla sensazione delle sue labbra sulle mie. Potevo sembrare paranoica, ma era grazie a lui che avevo capito cosa voleva dire amare una persona. Tre anni prima ci frequentavamo e c'era stato anche un piccolo bacio dopo di che le cose erano precipitate: una delle mie compagne di classe di nome Alessia, saputo chissà come quello che era successo tra di noi, si era improvvisamente interessata a lui e fu così che dopo nemmeno due settimane si misero insieme. E per un lunghissimo mese dovetti farmi forza per evitare i loro baci appassionati nel bel mezzo del corridoio e le occhiate di trionfo da parte di Alessia. Marco aveva sempre preferito le bionde alle more, quindi era ovvio che ne fosse attratto, ma non pensavo che fosse così stupido da non capire che in realtà la bionda lo faceva per ripicca nei miei confronti. Non lo capì neanche un mese dopo, quando lei lo lasciò senza una spiegazione. E fu così che lui, non so se per imbarazzo o altro, non mi rivolse più la parola. Ne rimasi distrutta, lo devo ammettere, perchè ci tenevo a lui, più di quanto mostrassi. Alice mi consigliò un tatuaggio per sbollire la rabbia ed eccolo lì, indelebile sulla mia pelle: “Heartless”. Probabilmente era esagerato, ma avevo deciso che non mi sarei mai innamorata di nessun altro, che appena fiutato il pericolo mi sarei tirata indietro. Mi addormentai sperando in un futuro migliore dove tutta quella cattiveria sarebbe scomparsa.



La mattina dopo venni svegliata alle sei da mia mamma che tutti scambiavano per mia sorella, data la sua giovane età e il suo comportamento da adolescente ribelle. Feci una doccia veloce, ma bollente. Dopo di che infilai del jeans chiari, stretti ma comodi e una canottiera rossa decorata con del pizzo. Chiusi la valigia ed entrai in macchina pronta per evadere da quel paese che mi stava togliendo anche l'aria che respiravo. Il giorno prima forse non l'avevo dato a vedere, ma ero emozionata e felice, in parte perchè Alice era al mio fianco e la sua presenza mi rendeva sicura e anche perchè non vedevo l'ora di conoscere nuovi ragazzi, di esplorare il mondo e di affinare il mio inglese.

Arrivata all'aeroporto di Linate e trovato il gruppo tra cui spiccava la mia migliore amica salutai in fretta i miei genitori e mi allontanai dalla solita routine per immergermi nel freddo di Edimburgo. L'unica cosa negativa era lo studio, non per niente si chiamava vacanza-studio, ma dopo un anno ne avevo abbastanza. Ormai ero più che capace a parlare inglese e di certo non mi servivano lezioni di grammatica.

I posti sull'aereo erano già stati assegnati quindi abbandonai Alice per imbattermi in un ragazzino, che non avrà avuto più di quindici anni, raggomitolato contro il finestrino. Appena mi sedetti si girò bruscamente verso di me e notai gli occhi di un bel verde acqua e i lisci capelli castani.

-Ciao! Piacere, Lavinia-, mi presentai con un sorriso sulle labbra per non sembrare la depressa di turno e gli porsi la mano. Lui la strinse e sussurrò imbarazzato:-Marco!-.Oh ma bene! Ci mancava pure lui. Ero tentata dal chiedergli: “Ma mi stai prendendo in giro?”.

Mi trattenni nervosa mentre le hostess si esibivano nel corridoio spiegando tutte le precauzioni in caso l'aereo fosse precipitato, ma ero più che convinta che non sarei riuscita a fare nemmeno una delle cose mostrate, come prendere il giubbotto salvagente: “Ma ti pare che ho tempo di prendere quel coso? Non avrei tempo nemmeno di slacciarmi la cintura” e comunque quando un aereo cadeva i passeggeri morivano tutti.

Durante il volo il ragazzino riservato di nome Marco spiccicò giusto qualche parola e passò la maggior parte del tempo a godersi lo spettacolo dal finestrino. Intuii che era il suo primo viaggio in aereo. Io ormai ne ero abituata visto che facevo avanti e indietro dalla Puglia dove abitavano i miei nonni e qualche decina di zii e cugini. Alice, dietro, aveva stretto amicizia con una ragazza del gruppo seduta accanto a lei che mostrava con orgoglio (anzi, fin troppo orgoglio) il suo abbondante seno e i lucenti capelli biondi ( sicuramente tinti viste le tre dita di ricrescita sul suo capo), ma questa non sembrava molto interessata al discorso della mia migliore amica. In fondo chi può interessarsi alla vita privata di Messi e di tutti i giocatori del Barcellona? Solo io e Alice. Mi rigirai con un sorriso sulle labbra ripensando a tutti i pomeriggi spesi a trovare foto artistiche di Piquè o di Villa, stamparle e attaccarle sulle pareti delle rispettive camere da letto. 
Dal finestrino si intravedevano sempre più nuvole, prima di un bianco innocente, in seguito di un grigio cupo che copriva compatto ogni prato scozzese. C'era da dire che la pioggia non mi era mai dispiaciuta, anzi l'adoravo insieme all'umido e al vento, mentre odiavo il caldo afoso di Milano e più di tutto le zanzare. I miei soliti viaggi mentali su Marco vennero interrotti dal capitano che annunciò con perfetto accento “british” l'imminente atterraggio e dopo qualche minuto, immersi nelle basse nuvole, riuscimmo a scorgere del verde, delle case, delle persone e... con un brusco contatto l'aereo toccò il suolo scozzese.

Appena scesi Alice mi presentò la biondina con il suo solito entusiasmo. -Lei è Ilaria-, esclamò gioiosa.

-Piacere, Lavinia! Che classe fai?-.

-Devo fare la terza e voi?-.

-La quarta!-, dissi con un tono di orgoglio. Era inevitabile, quando si parlava con una ragazza più piccola bisognava sempre tracciare una linea di superiorità. Ma lei non sembrò accorgersi del mio tono e iniziò a fissare il vuoto oltre la mia spalla con una faccia parecchio imbronciata.

-È il tuo primo viaggio studio?-, chiesi cercando di analizzare che tipa fosse. Di solito ero brava. Mah, abbigliamento più penoso del mio, e ce ne voleva per battermi. Era piuttosto trasandata, ma per il resto non sembrava una drogata o una fanatica del piercing, almeno che nascondesse qualche gioiello sotto gli abiti, ma ne dubitavo. Sembrava okay.

-Si, sono molto emozionata!-. La guardai torva. Se lo era di certo non lo dava a vedere, sembrava uscita da uno di quei film pieni di zombie pronti a mangiarti. Alice si avvicinò e sussurrò impercettibilmente: -è pure peggio di te! M fate venire la depressione-. Sbuffò e io non riuscii a trattenere una risata sonora che bloccò alcuni passanti.

-Ecco, non siamo ancora arrivati che mi fai fare delle figure di emmental. È meglio che ti muovi-.

Mentre uscivamo dall'aeroporto guidati dal nostro professore d'inglese Corvoni adocchiai un ragazzo statuario appoggiato ad una macchinetta di bibite e lo indicai ad Alice. -Figo assurdo a ore due!-.

-Oh, ma che figo! Sembra un modello-, sussurrò sognante. Beh in effetti non era per niente male: Alto e magro con dei folti capelli neri e uno sguardo penetrante. Uno di quei tipi che ispirano tanto, ma tanto sesso (come direbbe Alice). L'unico difetto era una carnagione pallida e delle guance rosse tipiche degli inglesi.  Alice non perse tempo e gli passò davanti facendogli l'occhiolino suscitando un sorriso da parte del modello. Be' Alice non era mai stata una brutta ragazza, nonostante la sua bassa statura e il fisico non dei più asciutti, ma il suo viso tondo era grazioso e gli occhi grandi di un color nocciola erano evidenziati da folte ciglia nere. I capelli, dello stesso colore, non mostravano nemmeno un boccolo, invece scendevano dritti illuminandosi di un rosso caldo al sole. Eppure aveva avuto solo un ragazzo, e forse la sua colpa più grande era quella di non mostrarsi troppo. Faceva di tutto perchè comprassi abiti scollati mentre lei si nascondeva dietro delle magliette dell'hard-rock cafè di due taglie in più della sua.
Mentre caricavamo le valigie sul pullman che ci avrebbe portato agli alloggi un ragazzo basso e paffuto si offrì di sistemare le nostre valigie e si sedette vicino a noi. Si chiamava Lorenzo e aveva uno strano accento Siciliano.
-Allora ragazze, pronte?-, chiese agitato iniziando a divorare un pacchetto di patatine piccanti prese dallo zaino.

-Eccome-, rispondemmo in coro.

Parlammo del più e del meno, della scuola, dei prof (la maggior parte malati di mente) e degli amici che avevamo in comune e notai con sorpresa che era davvero un ragazzo simpatico, con un ottimo senso dell'umorismo. Ci presentò tutti i suoi amici tra cui c'era Marco (il ragazzino dell'aereo). Mi scordai i loro nomi dopo che gli strinsi la mano. C'era n'era anche qualcuno carino, ma niente di che. Sembravano tutti poppanti: bassi, goffi e infantili. A me erano sempre piaciuti i ragazzi alti dagli occhi scuri e un sorriso mozzafiato, genere divi di Hollywood, cioè ragazzi inesistenti nel mio paese.
Qualche posto più avanti due fidanzatini, che erano stati attaccati per tutto il volo a baciarsi, erano lì a sussurrarsi paroline dolci che mi facevano venir voglia di aprire il finestrino e vomitare. Lorenzo, che aveva notato il mio sguardo, iniziò a prenderli in giro senza che se ne accorgessero. A Brembate (dove abitavo da ormai undici anni) vedevo ragazzine di tredici anni fidanzate ufficialmente uscire mano per la mano con il loro eterno amore ogni singolo pomeriggio e il solo pensiero che io potessi essere una di quelle mi faceva venire il mal di stomaco. Non che fossi contraria alle storie durature, anzi in parte le ritenevo fortunate, ma... averlo in casa ventiquattro ore su ventiquattro, sopportarlo tutte quelle ore, limonarsi per la maggior parte del tempo... be' non era da me. Amavo le storie sofferte e lo so, posso sembrare una tipa molto strana eppure sono sicura di non essere l'unica e soprattutto adoravo il romanticismo, una rosa, un bigliettino sotto la porta, baci leggeri prima di lasciarsi. Io lo intendevo così l'amore.



Il college era una grande struttura settecentesca con un bel colonnato davanti alla piazzetta che fungeva da parcheggio. Tutto sembrava però troppo grigio, cupo e soprattutto silenzioso.
Scendemmo dal pullman lasciando le valigie all'interno e mentre raggiungevamo l'ingresso principale alcune gocce di pioggia mi rinfrescarono il viso. Passando davanti ad una classe notammo degli studenti che chiacchieravano allegri con una signora dai capelli bianchi e la pelle rugosa, probabilmente una degli insegnanti.
Alice, che era più avanti, mi raggiunse in fretta e furia come un piccolo tornado travolgendomi.

-Ci sono gli spagnoli, ci sono gli spagnoli! Che ti avevo detto?-.

Lorenzo si avvicinò ed esclamò: -Ma ci sono qua io! Gli spagnoli... Bleah!-. Lo guardammo incerte su cosa dirgli, non volevamo essere crudeli già dal primo giorno, così scoppiai in una risata sonora tentando di evitare un'eventuale presa di posizione a difesa degli spagnoli da parte di Alice.

Ci fecero sedere in una grande sala ( solo dopo scoprimmo che era la sala dove avremmo sia pranzato che cenato) occupata da lunghe panche di legno e il Corvoni con grande gioia ci informò che a breve avremo svolto un test per essere divisi in classi... insieme a dei ragazzi cinesi, che improvvisamente si riversarono nella sala. Un'insegnante bionda con un cerchietto rosso in testa mi disse di alzarmi e di sedermi tra due ragazzi cinesi, praticamente identici, che erano davvero molto loquaci, tanto che quando mi sedetti non si degnarono nemmeno di alzare la testa.
Nell'attesa le due fotocopie parlavano a bassa voce, come se io potessi capirli, e guardavano divertiti nella mia direzione. Cercai di ignorarli, ma dopo essere rimasta a fissare il soffitto per ben dieci minuti mi girai verso di loro e con un tono secco dissi: - Do you have any problem?-.
Si raddrizzarono immediatamente e iniziarono a giocherellare in silenzio con le rispettive penne.

“Ci mancavano anche 'sti mongoplettici”. Sbuffai in silenzio e cercai Alice con lo sguardo, ma trovai Lorenzo che mi riservò un sorriso incoraggiante, feci lo stesso. Dopo di che ci consegnarono dei fogli e iniziai a svolgere gli esercizi.

“Elementare, elementare, elementare...”, cominciai a credere che quel test sarebbe andato veramente bene, infatti finii tra i primi e fui immediatamente chiamata per l'orale. Mi sedetti di fronte a un professore con un viso grande e ovale e una folta barba scura, all'angolo della grande sala. Dietro di lui era stato appeso un quadro, probabilmente di qualche secolo fa, rappresentante uno dei fondatori dell'istituto con tanto di abito settecentesco e parrucca bianca. Se devo essere sincera il suo sguardo severo e autoritario mi faceva venir voglia di scappare.

L'insegnante con la faccia da uovo si presentò come Gary. Si accomodò sull'altra sedia una ragazza cinese con dei grandi occhi neri e un sorriso gentile stampato sul volto spigoloso. Dopo di che Gary ci fece le solite domande di presentazione e ci chiese di parlargli della nostra vita, degli sport ( che non praticavo) e degli hobby, nel mio caso la chitarra di cui sentivo già la mancanza. L'interrogatorio finì dopo nemmeno cinque minuti, così passai l'ora a mangiare le caramelle a forma di uovo che avevo comprato all'aeroporto e a fissare con poco interesse il soffitto.

 



-Sai che ho fatto l'orale con un figo da paura? Viene da Padova e si chiama Umberto e gioca a rugby ed è... mi sono già innamorata di lui. Pensa, credo di piacergli, mi ha sorriso-, disse Alice appena uscimmo dalla sala. Ma dai. Chissà perchè capitavano tutti a lei, mentre io mi dovevo beccare i cinesi. Non che avessi qualcosa contro occhi a mandorla, ma erano quasi tutti timidi e chi non lo era risultava troppo orgoglioso della sua antica dinastia di samurai, anche se forse i samurai erano Giapponesi ( non fate caso alle mie scarse conoscenze).

-Si immagino. Spero che la vostra love story vada in porto visto che dopo queste due settimane non vi vedrete mai più-. Alice mi fulminò con lo sguardo. Feci finta di niente e uscii all'aria aperta sedendomi su una delle tante panchine vuote che circondavano la piazzetta.

-Padova non è molto lontana da Milano. Sei solo gelosa!-, affermò in fine la mia amica che iniziava leggermente a essere paranoica. Insomma, alla fine lui le aveva solo sorriso gentilmente. Comunque se fosse successo qualcosa sarei stata la prima a gioirne.

Proprio mentre Alice si lasciava andare con i suoi soliti viaggi mentali ad alta voce, uscì dalla porta principale Lorenzo in compagnia di un suo amico che, se mi ricordo bene, si chiamava Alberto.

-Allora Lory? Com'è andata?-, chiesi facendogli posto sulla panchina.

-Se mi mettono nell' “Elementary” mi posso reputare fortunato. Ho scopiazzato un po' da Alby ma poi la biondina mi ha beccato!-. Alzò le spalle e si scambiò un sorriso complice con l'amico.

Dopo qualche minuto passato a chiacchierare un'orda di ragazzi si riversò al di fuori del college. Quelli più vicini a noi sembravano romani dal loro accento marcato, ma si potevano intravedere in lontananza altri cinesi.

-Mi sa che la pappa è pronta!-, disse Alberto che si massaggiava lo stomaco da ben venti minuti.

-Alleluia!-, esordirono in coro Lorenzo e Alice. Così ci alzammo e seguimmo la massa. Arrivati nella sala da pranzo prendemmo dei vassoi e riempimmo i piatti con ogni cibo esistente, comprese le ciambelline rosa alla Homer Simpson e patatine fritte.

Stefano, un ragazzo del nostro gruppo ci tenne i posti e finii da una parte attaccata ad Alice dall'altra alla ragazza cinese che aveva fatto l'orale con me e che diceva di chiamarsi Cherry. Non feci in tempo a mandare giù un pezzo di pollo che Cherry si girò e mi abbracciò con un entusiasmo a dir poco eccessivo e mi presentò (da quello che riuscivo a capire) alle sue amiche che per comodità avevano come lei un secondo nome in inglese. I ragazzi del mio gruppo mi guardavano stralunati e borbottavano tra di loro sfottendo le mie nuove amiche, mentre Alice sembrava più che altro divertita dal loro comportamento così la presentai a tutte e iniziammo a parlare in un inglese penoso dell'esame.
Quasi immediatamente la conversazione divenne molto animata e le cinesi iniziarono a fare battute sarcastiche sui loro compagni d'avventura maschi che sembravano delle mummie imbalsamate. Su questo non potei che dargli ragione. Luna, una cinese con grandi occhi scuri nascosti da un paio di ray-ban da vista, ci chiese come si diceva “fuck you” in italiano e dopo la risata iniziale e la nostra traduzione iniziarono a prenderci gusto. Traducemmo ogni singola parolaccia esistente in italiano e scoppiammo a ridere quando Luna disse “putana” ad una romana seduta dietro di lei. Alice si era nascosta sotto il tavolo sperando di non fare a botte con nessuno, io invece mi piegai in due dal ridere incapace di smettere e sputando l'acqua che avevo cercato di deglutire.
La romana si girò ostile verso Luna e con uno sguardo di ghiaccio le urlò: -Ma 'n vedi questa!-.
Luna sembrava parecchio spaesata visto che avevamo rivelato il vero significato di quella parola a tutte tranne che a lei. Infatti pensava di aver detto: “come stai?”.

-No Luna. Not “putana” but “puttana”-, la corresse Alice tra un singhiozzo e l'altro. Ma la ragazza non ne voleva sapere e continuava a ripeterlo con un sorriso innocente sulle labbra.

Cherry mi si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio: -That boy is staring at you! (quel ragazzo continua a fissarti)-. E me lo indicò di nascosto.

Era seduto dall'altra parte del tavolo rispetto a noi e stava confabulando con gli altri suoi amici, ma era vero: mi stava fissando. All'inizio distolsi lo sguardo intimidita, ma dopo qualche minuto i miei occhi cercarono i suoi. Era lì seduto davanti ad un vassoio vuoto che esaminava con poco interesse una fetta di ananas. Gli occhi erano scuri come i capelli e il volto spigoloso mostrava un sorriso smagliante (probabilmente per una battuta che un suo amico riccioluto aveva fatto). Ma era difficile esaminarlo dato tutto quel baccano così lasciai perdere e ritornai alla conversazione con le cinesi.

-Lavy vai a prendermi un bicchiere d'acqua?-, mi chiese Alice. Quel giorno mi sentivo buona così presi il mio e il suo bicchiere e andai a riempirlo alla macchinetta nell'angolo della sala affollata.

Il cielo sembrava essersi schiarito e alcuni raggi di luce si proiettavano al centro del salone illuminando il parquet consumato. Tornando indietro mi soffermai su alcune fotografie appese alle pareti di legno e l'occhio mi cadde su una foto del 2009 rappresentante la squadra femminile di lacrosse. Adoravo quello sport anche se l'avevo praticato solo una volta al campo estivo a Milano.
Appena passai davanti al gruppetto di ragazzi tra cui c'era lui, il suo amico si girò e mi sorrise amichevole. Aveva dei tratti molto strani. La pelle era scura, le labbra esageratamente carnose formavano una grande O e i capelli neri e riccioluti si espandevano voluminosi sopra il suo capo. Avrà avuto massimo un anno in più di me, ma sicuramente non era il mio genere.

-This boy wants your telephone number! (questo ragazzo vuole il tuo numero di telefono)-. E indicò proprio il ragazzo che dieci minuti prima non riusciva a togliermi gli occhi di dosso.

Adesso che ero più vicina mi accorsi che gli occhi avevano delle pagliuzze verdi e che i suoi capelli in contrasto con la carnagione olivastra erano quasi biondi. Nell'insieme non era un brutto ragazzo. Il riccio mi guardava attendendo una risposta mentre lui si nascondeva dall'imbarazzo, così per alleggerire la situazione sorrisi e risposi: -Maybe! But wait, are you italian? (Forse! Ma aspetta, siete italiani?)-. Lo so era una domanda stupidissima anche perchè se fossero stati italiani avrebbero sicuramente parlato italiano, ma ero più che certa che fossero spagnoli. Alice si sarebbe sciolta.

-No, we're from Portugal!-, disse un'altro con dei capelli biondi e un viso molto bello. Niente male. L'unico che stonava in quel gruppo era il riccio che sembrava essere uscito da un coro gospel.

-Ah ok-, dissi con la mia solita vocina imbarazzata. Dopo di che gli riservai un sorriso e mi dileguai.

Ritornai dalle ragazze e cercai di introdurmi inutilmente nella conversazione visto che non facevo altro che pensare a quanto lui (prima o poi gli avrei chiesto come si chiamava) fosse carino, a guardarlo ( e lo beccavo sempre che mi fissava) e ad abbassare lo sguardo rossa come un peperone. Alice non si era accorta di niente, era troppo presa a raccontare gli affari suoi e anche i miei, così per distrarmi iniziai a parlare con Stefano che era seduto di fronte a me. Stefano aveva un anno in più di noi, ma nonostante ciò era alto solo qualche centimetro in più del mio misero metro e sessantanove. Aveva un viso quadrato e folti capelli color mogano che si accordavano con gli occhi. Era un tipo molto loquace quindi non esitò a presentarsi e a parlare del più e del meno.

Era ora di sistemarsi negli alloggi quindi io e Alice salutammo le cinesi e ci dirigemmo verso il pullman. Prima di salire sul veicolo mi girai e lo trovai a guardarmi con un'espressione persa. “Ma cos'è? Uno stalker?”, fu il mio primo pensiero.

Ma tutte quelle attenzioni da parte sua non mi dispiacevano anzi mi facevano sentire importante, cosa che non era mai successa nella mia intera vita. Ero abituata alle occhiatacce di disprezzo da parte di più di metà scuola, alle prese in giro, ai bisbigli al mio passaggio. Non spiccavo nel gruppo, ma non passavo inosservata perchè qualcuno aveva sempre da ridire sul mio abbigliamento, su come camminassi, su come parlassi. Ero l'ultima da consultare durante una votazione in classe, l'ultima che poteva avere la parola, ma chissà come ero la prima a cui chiedere i compiti e la prima ad essere supplicata per offrirmi all'inizio del giro delle interrogazioni. Dopo di che potevo finire sotto un fosso o potevo non presentarmi per due settimane, ma a nessuno importava niente. Le nullità erano avvantaggiate nel liceo scientifico di Brembate perchè venivano lasciate da parte senza essere disturbate, magari fossi stata una di loro, invece mi trovavo all'ultimo gradino della gerarchia. Io ero quella a cui rompere le balle, quella da prendere in giro quando non si sapeva che fare. E nonostante tentassi di trovare una soluzione, la domanda che più frequentemente rimbalzava nella mia mente era: “Ma cosa ho fatto per meritarmi ciò? Perché proprio a me?”.

Invece questa volta lui mi aveva notata. Incrociai le dita e gli sorrisi.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: francy13R