Dei gesti che raccontano l’intimità, non è mai un bacio
quello che più vale.
Nelle bocche che si sfiorano, si accarezzano e si possiedono
riposa una promessa ambigua: l’amore di una vita o una scommessa vinta.
Baci perché l’istinto doma la ragione; perché le tue difese
si abbassano e ruggisce la voglia.
Baci perché devi; perché la strategia parla mille lingue, e
il lessico vischioso della magia di un momento vale quanto il filo di una spada.
Baci per perdere o per perderti.
Baci e non sai dove finisce il sentiero che imbocchi con le
palpebre strette e il cuore in gola.
Ecco cosa rende prezioso il primo bacio: la posta in gioco.
L’azzardo.
Il buio oltre la siepe ordinata delle tue infantili certezze.
L’affetto – quello vero – non può costruirsi su un gesto
tanto ambiguo, avvolgente perché scolpito nell’ombra. L’intimità riposa nel
palmo della mano, nella genuina semplicità di una stretta; fiducia sono dita
intrecciate e la scoperta vulnerabilità con cui costruisci un legame.
Abbandono, per Hermione Granger, è divorare in corsa i troppi
gradini che la separano da un ragazzo d’argento e lino, afferrarne il braccio e
fremere del brivido che le procura un contatto da niente.
L’ha toccato, però; l’ha fatto per prima: gli ha regalato il
cuore in punta di dita.
Gli occhi di Draco non hanno colore, ma il piccolo sorriso
che gli increspa le labbra basta a cancellare tutto il resto: le insicurezze, i
dubbi, il buonsenso.
“Sì,” mormora con un filo di voce. “Ci sto.”
Lo voglio: accetto il rischio, la sfida, tutto.
Ti voglio.
E a Malfoy basta spiare nei suoi occhi canini e formulare un
muto Legilimens per sfogliarla come un libro; per violarla e forse
corromperla, come Hermione non vorrebbe mai.
“Dove?”
Gli studenti sciamano, ma i suoi occhi non registrano che
Draco; i suoi colori freddi che le riscaldano il cuore. Solleva le spalle. “Non
lo so, devo ancora pensarci.”
Poi, prima che Malfoy possa ribatterle e assumere il
controllo della situazione, gli offre un galeone.
“Generoso da parte tua, ma la mia famiglia…”
Hermione sorride, ed è quella smorfia furba e fiera che
ipnotizza un giovane serpente: non è sempre bella, la signorina-so-tutto,
ma, quando acquista sicurezza, può diventare meravigliosa.
Nel nocciola anonimo dei suoi occhi, Draco intravede l’ombra
di una principessa e boccheggia.
“Guardalo bene, prima di protestare: l’ho incantato!”
Nelle iridi grigie di Draco, la falsa moneta riflette
barbagli d’oro.
“Ti ho sorpreso? Nei galeoni autentici appaiono i numeri di
serie, riferiti ai folletti che li hanno coniati. In questo, invece, le cifre
cambieranno di volta in volta, secondo il giorno e l’ora del…”
“Nostro appuntamento?”
“… Della mia lezione di ballo. La moneta dovrebbe
riscaldarsi un poco, quando il cifrario cambierà, perciò, anche se la tenessi in
tasca, dovresti accorgerti che… Be’, che potremmo vederci. Ho usato l’Incanto
Proteus per legarlo al mio, vedi? (1)”
Draco scuote il capo e sogghigna. “Sei incredibile.”
Hermione abbassa lo sguardo, intimidita. “Sì, lo so che non
risolve ogni problema; che non ho ancora trovato un buon posto, ma…”
“Non temi gli ippogrifi, sai fare un incantesimo da settimo
anno… C’è almeno qualcosa che non ti riesce?”
Sentirmi come Fleur: bellissima e potente.
“Ballare,” bofonchia Hermione, perché la verità non ha
valore, se ci consegna scoperti e fragili.
“Allora rimedieremo,” replica Draco, e la sua voce è morbida
come la carezza che le sfiora il palmo.
Quando accade, stenta a rendersene conto: la sua mano è
prigioniera.
Il suo cuore batte impazzito.
“La lezione di Aritmanzia sta per cominciare e siamo già in
ritardo.”
È tardi, già: tardi per tornare indietro.
***
Se l’eroismo fosse carisma e predestinazione, come crede
qualcuno, Harry Potter non avrebbe l’impressione di respirare farfalle e
digerire pietre; non fisserebbe l’obiettivo quasi fosse un
patibolo; soprattutto, avrebbe già una dama orgogliosa di pavoneggiarsi al suo
braccio – e quella dama sarebbe Cho Chang.
Invece guardala, la ragazza più bella del mondo: avorio e
giaietto tra galline starnazzanti.
Coraggio, Harry: sai da te che c’è di peggio.
“Scusa, Cho… Posso parlarti un momento?”
Invece no, perché non c’è niente di peggio dell’emozione che
ti fa sentire pelle nuda davanti al fuoco. Niente di più crudele di un
sentimento cui fanno da contorno le urticanti risatine delle testimoni mai
invitate.
Che si strozzino con la loro ilarità, pensa Harry, mentre
Cho abbandona le amiche per regalargli un sorriso che gli paralizza la lingua.
“Sì, va bene.”
No, va male; va malissimo, perché a un passo dal sogno ti
riesce facile solo incespicare.
Un’occhiata – uno sguardo solo – e il suo cuore esulta e
salta come una cavalletta isterica.
“Ehm…”
E dai, Harry! Se tuo padre avesse seguito il tuo esempio, non
staresti nemmeno qui a renderti ridicolo!
Chi è che parla?
Sirius? James?
O forse è solo la sua coscienza sfinita da un estenuante
palleggio?
“Vunralbllocommè?”
La bocca si muove prima che il cervello sia messo a parte
dell’intenzione: ne deriva una di quelle figuracce per cui quasi gli dispiace
che Voldemort sia tanto lento nel fargli la pelle.
Una Cruciatus è poca cosa, davanti all’infinito orrore
delle afasie sentimentali.
“Che… Scusa, Harry, ma non credo di aver capito.”
Allora sei stupida, perché mi si stanno incendiando le
orecchie.
“Saresti… Saresti la mia dama per il ballo?”
È successo: ha chiamato il desiderio per nome e gli ha dato
sostanza.
I sogni, tuttavia, sono fragili come bolle di sapone. Basta
uno sguardo, un gesto, una parola e pouff.
“Oh, mi dispiace, ma l’ho già promesso a un altro.”
Harry apre la bocca, ma tutto quel che riesce ad articolare è
un ‘oh’ privo di sentimento.
Le farfalle stagnano stecchite sul fondo dello stomaco, e la
digestione è più faticosa del previsto.
“D’accordo,” riprende con qualche difficoltà. “Sul serio, non
è un problema.”
Tanto Voldemort mi toglierà di mezzo e a quel punto che
importanza potrebbe avere il fatto che…
“Sul serio, Harry, io…”
È un dialogo tra muti, perché quel che prova Cho non è amore
ma imbarazzo.
Quel che sente Harry, invece, è il lugubre frantumarsi di un
cuore tradito – e poi no, la verità è che non sente più niente.
“Te l’ho detto, non fa niente.”
Cho abbassa lo sguardo e gli dà le spalle, perché non c’è più
nulla da dire.
Invece no: una domanda c’è sempre. L’ultima domanda.
“Con chi ci vai?”
È la risposta, però, quella che fa male davvero.
“Con Cedric. Cedric Diggory.”
Gli esce un sorriso sbilenco, che accentua, anziché celare,
la sua delusione.
“Già, dovevo immaginarlo,” mormora: ma ha quattordici anni e
preferisce sognare.
Si trascina come un automa per le scale, raggiungendo la
torre di Grifondoro spinto dall’inerzia, più che dalla voglia.
Cedric Diggory: un damerino dalla bella faccia e dalla vita
fortunata; un eroe rassicurante, come tutti gli stereotipi.
Chi è Harry Potter, invece? Una cicatrice e la puzza
polverosa di un sottoscala.
“Luci Fatate,” mugugna. La Signora Grassa, intenta a
spettegolare con una grigia matrona trapassata, gli cede il passo senza degnarlo
di una seconda occhiata.
È così che va la vita: la popolarità non dura una partita di
Quidditch.
Cavalchi un drago e sei il re del mondo. La scopa ti
disarciona e non ti resta che l’umiliazione della polvere.
“Ma cos’è? La giornata dei due di picche?” lo apostrofa Fred
con un ghigno.
Harry solleva lo sguardo. “Perché?”
I gemelli Weasley si danno di gomito e gli indicano un punto
ben preciso della Sala Comune: là, rannicchiato in un angolo, Ron ha lo stesso
colore della cenere.
“Cos’è successo?” domanda imbarazzato.
Ginevra, inginocchiata al fianco del fratello, si volge a
guardarlo. Illuminate dal riverbero del fuoco, le sue chiome sono oro liquido.
“Ha chiesto a Fleur di accompagnarlo al ballo; puoi
immaginare da solo la risposta.”
“Hai fatto cosa?”
Ron lo fissa con un’espressione tanto disperata che il
sentimento del grottesco soffoca la compassione: sta per ridergli in faccia e
non può permetterselo.
“Non so che cosa mi è preso! Era là davanti, che parlava con
Diggory, ed io non sono stato in grado di resistere… Se almeno mi avesse
risposto! Invece mi ha fissato come se fossi bava di schiopodo e…”
“Sua nonna era una Veela: avrà tentato d’incantare Diggory,
ma le è andata male. Cedric porta al ballo Cho Chang… Lo so perché l’ho invitata
e me l’ha detto lei.”
Ora è Ron a stupirsi, mentre i gemelli Weasley, spettatori
curiosi e linguacce implacabili, scuotono il capo con invidiabile sincronia.
“Voi due… Siete tanto imbranati da far passare Paciock per Gilderoy Allock!”
Ron li folgora con un’occhiataccia, ma è abituato a subirli
quasi fossero il crudele contrappasso per i delitti di cui ancora non si è
macchiato.
“Certo che è pazzesco! Siamo gli unici rimasti senza una
dama… A parte Neville, checché dicano quei due. Vuoi sapere chi ha invitato?
Hermione!”
“Che?”
Ron sogghigna e gli assesta una gomitata complice. La
maldicenza rovescia i piani e gli restituisce i colori che ha perso, umiliato.
C’è sempre qualcuno con cui dividere il peso dei fallimenti,
perché da adolescente puoi ancora concederti d’ignorare che la vita è un
fardello da portare soli.
“Me l’ha confidato dopo Pozioni! Ha detto che Hermione è
sempre molto gentile con lui, che lo aiuta con i compiti… Insomma, potrebbe
anche essersi preso una cotta, no?”
Il disagio pesa come una coperta bagnata; all’improvviso gli
pare d’intravedere un brutto mosaico di cui maneggia le tessere essenziali.
Disporle nell’ordine che è stato loro designato, tuttavia, vorrebbe dire
vedere: e forse non vuole.
“Ma sai cos’è davvero comico? Il fatto che lei l’abbia
rifiutato. A suo dire, avrebbe già un cavaliere! Un cavaliere? Herm…”
“Oh, ma sta’ zitto, per favore!” ruggisce Ginevra, tirandogli
una sberla non molto fraterna e ancor meno femminile.
Hermione sbuca dal ritratto proprio in quel momento: ha le
guance rosse e gli occhi brillanti.
Per la prima volta da che la conosce, Harry si accorge che
sta diventando una donna; che non è brutta; che è sempre più sola.
È buffo, ma è quasi si stessero perdendo di vista, loro tre:
c’è chi pensa al Torneo, chi alla ragazza più bella del mondo, chi…
Già, a cosa pensa lei?
Forse dovrebbe prendersi il disturbo di chiederglielo.
“Che aria da cospiratori! Di cosa stavate parlando?”
“Delle ragazze che li hanno bidonati,” è la secca replica di
Ginny, che pare trarre un sadico piacere dal loro fallimento.
Hermione solleva ironica un sopracciglio. Al petto stringe il
tomo di Aritmanzia: dalla spessa fodera di cuoio sporge un foglio istoriato di
cuori.
“Scommetto che Eloise Midgen non ti pare più un pessimo
partito, vero Ron? Coraggio… Con un po’ di fortuna, troverai una ragazza
abbastanza disperata da darti corda.”
“Tipo… Te? Neville ha ragione, in fondo… Sei una ragazza!”
“Complimenti… Com’è che ti chiamano, genio? Saetta
Weasley?”
“Oh, non fare sempre la difficile: sto per farti una proposta
irresistibile, nonché un favore.”
“Ma davvero?”
“Puoi accompagnare uno di noi!”
È uno strano sorriso, quello che gli regala la Granger: dura
troppo poco, perché Harry possa decifrarlo, ma suona quasi… Cattivo?
“Non sono più disponibile, Ron. Ci vado con un altro.”
“Non dire sciocchezze! Lo sappiamo che…”
Hermione socchiude le palpebre; il nocciola caldo dei suoi
occhi è intorbidato da una rabbia silenziosa.
“… L’hai detto per toglierti dai piedi Paciock. Siamo tutti e
tre appiedati, no? Faremo la figura degli stupidi se ci presentassimo senza una
compagna, visto che…”
“E che figura dovrebbe fare un idiota, secondo te? Il fatto
che tu abbia impiegato tre anni a capire che sono una donna, non vuol dire che
qualcun altro non ci abbia messo molto meno!”
Ron apre la bocca, ma non riesce a replicare.
Hermione, guance in fiamme e occhi lucidi, abbandona la sala
quasi si fosse trasformata in un covo di Serpeverde.
“Certo che se avessero affidato a te la sopravvivenza della
famiglia, il mondo sarebbe proprio pieno di Weasley, eh, Ronald?” bercia George.
Harry tace, perché l’amicizia, a volte, si nutre di silenzi
strategici ed elusioni interessate.
***
Quanto può essere stupido un maschio?
Idiota, di quelle superficialità che non comprendi, perché
essere donna vuol dire avere la profondità di un pozzo e la vischiosità del
mercurio.
Essere donna non è lineare, non è semplice; non è,
soprattutto, facile, perché ti comprano a scatola chiusa e quello
vogliono: una bella scatola.
Hermione non saprebbe dire cosa la leghi a Ron, ma è certa di
aver creduto a un sentimento forte e di aver ceduto più di una volta. Weasley,
però, non se n’è mai accorto: non l’ha mai vista davvero.
Serra le labbra per trattenerne il tremito. Di tutto quel che
poteva vomitargli addosso, non è uscito nulla: poteva fare il nome di Krum e
sarebbe stato abbastanza; poteva spendere quello di Malfoy e l’avrebbe ridotto
per sempre al silenzio.
Sì, Draco.
Sì, il figlio di Lucius Malfoy.
Anche se sono nata Babbana; anche se per voi sono brutta, si
è accorto di me. Vuole me.
Hermione non immagina che il giorno in cui Draco saprà delle
sue origini tutto precipiterà.
Non sa quanto il sangue sia importante in questa storia e
quanto – a breve – ne sarà versato.
Sa, tuttavia, che un segreto è dolce solo se resta tale, e
tace.
“È meglio che ci dorma su,” bofonchia a mezza bocca, quando
realizza all’improvviso di non essere sola: Lavanda Brown l’aspetta sulla soglia
del dormitorio femminile con un’aria che non le piace per niente.
“Coraggio… A me puoi dirlo. Chi è?”
Hermione storna il capo e la ignora, perché nessuno sarebbe
tanto pazzo da affidare un segreto alla più pettegola di Hogwarts.
“Sul serio… Siamo amiche da tanto tempo…”
Quando si dice l’ipocrisia, pensa, ma non si prende il
disturbo di replicare.
“Sono stanca, Lavanda, vorrei…”
No: c’è qualcosa, nello sguardo della Brown, che le
suggerisce di tagliare la corda ed eludere il confronto.
L’alternativa sarebbe provare una Cruciatus e Silente
non approverebbe.
“Non si corre nei corridoi!” le bercia dietro Gazza ma
Hermione non lo sente, impegnata com’è a macinare scale, individuare nicchie e,
soprattutto, seminare una petulante Grifondoro.
È ormai la terza volta che percorre con lo sguardo l’arazzo
di Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll, quando si lascia sfuggire un sospiro
desolato.
“Che darei per trovare un po’ di pace!”
E in quell’istante, nella solida uniformità del muro, si apre
una porta.
La Stanza che l’accoglie come una protettiva conchiglia puzza
di chiuso e di polvere, ma a Hermione non importa: si accoccola su un vecchio
divano, le ginocchia strette al petto e si dice che andrà tutto bene. Solo
questo.
Poi chiude gli occhi e sogna Draco Malfoy.
Nota: (1) Come tutti i cultori della saga sapranno,
Hermione pone in essere questo incanto nel diciannovesimo capitolo di “Harry
Potter e l’Ordine della Fenice”. Per esigenze narrative ho dunque anticipato
l’evento di un anno.