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Autore: Sofi_Luthien    19/10/2011    2 recensioni
“Continuate a provare.” – suggerì, in risposta ai bronci delusi dei ragazzini, ancora convinti che maneggiare una bacchetta fosse un gioco divertente, e non una complessa disciplina.
Quando un coro di “Ooooohhh” si levò da un tavolo in mezzo alla stanza, Albus si avvicinò per ammirare l’opera di un piccolo serpeverde: il bicchiere era sparito, trasformato in una piuma soffice.
“Davvero ottimo lavoro, Tom!” – si complimentò Albus, sinceramente colpito.
Il ragazzino sorrise, trionfante, scambiando un’occhiata soddisfatta al Professore. La ferocia che brillava in quegli occhi minuti gli riportò alla mente un volto familiare, la lucentezza ambiziosa di Gellert.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'I giorni dei piccoli vecchi '
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4. Di nuovo nel villaggio.
 

Grazie al cielo era estate e Hogwarts era deserta.
Albus non aveva potuto sfuggire agli stormi di gufi provenienti dai ministri stranieri, dai giornalisti e persino dagli sconosciuti che lo ringraziavano per aver catturato Gellert Grindelwald.
Ora che si era tolto quel peso di dosso, pensare a Gellert, più che doloroso, era diventato un fastidio che avrebbe preferito evitare. Ovviamente a nessuno importava un accidente della sua volontà o meno di discuterne: qualsiasi essere umano che incontrava pretendeva un resoconto dettagliato dell’accaduto. Qualcuno non aveva mancato di criticare il fatto che il racconto non fosse poi molto avvincente, e aveva colmato personalmente la lacuna con una spettacolare ricchezza di particolari inesistenti.
I pochi momenti di pace di cui Albus aveva potuto godere, erano frutto di abili camuffamenti e fughe improvvisate, inventando impegni di urgenza improrogabile (e tutti gli credevano) o più semplicemente facendo ricorso a quel suo impeccabile incantesimo di disillusione grazie al quale diventava completamente invisibile.
Il sole stava tramontando, e il calore estivo si stava pian piano tramutando in una fresca brezza che gli scompigliava i capelli. Camminare nel parco, a quell’ora, gli dava sempre una confortevole sensazione di serenità. Particolarmente ora, che apprezzava molto di più il silenzio, potendone godere senza avere la mente intasata da paura e angoscia.
Quasi senza accorgersene si ritrovò nei pressi di Hogsmeade. I negozi, a parte i pub e i ristoranti, erano tutti chiusi e la gente iniziava a ritirarsi dalle strade. Albus si tenne comunque alla larga dalla via centrale e si riparò in uno spiazzo deserto, dal quale si vedevano le torri del castello. Si appoggiò su una vecchia staccionata con l’intento di riposarsi qualche minuto e poi tornare indietro, quando una piccola capretta fece capolino da dietro un cespuglio, seguita da altre due poco dopo.
La bestiola si avvicinò, guardinga, lasciandosi poi accarezzare da Albus, che aveva alzato una mano cautamente in segno di incoraggiamento.
“E tu che ci fai qui?” – chiese all’animale, lasciandosi coccolare goffamente.
 
“Le porto qui io.” – gli rispose una voce che sicuramente non proveniva da una capra.
Albus girò il collo di scatto, puntando il naso verso Aberforth, che stava in piedi a pochi metri da lui.
“A loro piace molto l’erba che cresce qui.” – aggiunse poi, come se le preferenze culinarie di una capra potessero rientrare in qualche modo tra i suoi interessi.
Non sapeva dire cosa esattamente della vista del fratello lo turbasse tanto. Forse il fatto che non si parlassero seriamente dal funerale di Ariana, o anche tutto il trambusto di quei giorni, un’alternanza di gioia, rimpianto e confusione che riuscivano a scombussolare anche una mente ben organizzata come la sua.
“Sono belle!” – decise di rispondere. Non poteva certo starsene impalato senza dire niente, soprattutto perché Aberforth non l’aveva ancora aggredito, picchiato o accusato di qualsivoglia ingiustizia sociale cui si fosse imbattuto.
“E tu…come stai?”
Aberforth non rispose subito. Se ne stava immobile davanti a lui, apparentemente senza alcun imbarazzo, ma con un certo sguardo impacciato.
“Al solito.” - disse poi.  Albus avrebbe voluto fargli notare che non aveva la minima idea di come stesse di solito, dato che non si parlavano da anni, ma decise di non soffermarsi su simili sottigliezze.
“E gli affari alla Testa di Porco?”
“Oh, risparmiati, so benissimo che non ti interessa.”
I due fratelli si guardarono per un lungo istante.
“Parlano tutti di te in questi giorni…” – Albus non si aspettava che fosse Aberforth a rompere il silenzio, tantomeno intavolando un discorso che inevitabilmente avrebbe riguardato Gellert.
“Dicono che è stata uno scontro strepitoso” – commentò, sarcastico.
“Non è vero. Ai giornalisti piace snaturare le notizie solo per renderle più interessanti.”
“Dunque non è stata una lotta all’ultimo sangue?”
“Nessuno è morto e il sangue di entrambi è perfettamente al sicuro.”
“Ah, questo lo so.”
Albus rabbrividì a quel commento, percependo, anche se forse lo immaginava soltanto, un vago riferimento a qualcuno che invece era morto veramente. Pensò ad Ariana.
“Io lo avrei ucciso.” – disse Aberforth all’improvviso – “Avrei voluto. Ma sapevo che tu non lo avresti fatto. A dirla tutta, pensavo che ti mancasse il fegato per affrontarlo.”
“Perché mi stai dicendo questo?”  - a quel punto tanto valeva essere sinceri del tutto, si disse Albus. Non gli piaceva la piega che la conversazione stava assumendo, e soprattutto non capiva dove Aberforth volesse andare a parare. Se era uno dei suoi modi per farlo sentire colpevole, non c’era davvero bisogno di ascoltare altro.
“Credi che quello che hai fatto possa aggiustare tutto, Albus? Pensi che averlo sbattuto in galera cancelli il passato?”
“No, ovviamente. Non è per questo che l’ho affrontato.”
“Ah no? E per cosa? Per il bene comune?”
“Solo perché era giusto farlo.” – rispose Albus pacatamente, in netto contrasto con il tono di Aberforth, sempre più alto e irato.
“Ah, perché era giusto! Ma certo! Albus Silente, paladino della giustizia!”
“Cos’altro avrei dovuto fare?” – anche Albus alzò la voce, indispettito.
“Niente…” – disse Aberforth, tornando calmo – “…ormai non si poteva più fare niente.”
“Tu credi…credi che se potessi non farei tutto quanto è in mio potere? Se avessi potuto…se ci fosse il modo di riportarla indietro. Ma non c’è! Non c’è alcun modo, non potevo fare altro. È una cosa che…che non si può cambiare.”
Si era messo a piangere. Non voleva farsi vedere in quello stato da Aberforth. Portò le mani sul viso tentando di nascondersi. Si sentì come al funerale di Ariana, quando il fratello gli aveva rotto il naso con un pugno. Probabilmente ne avrebbe ricevuto un altro entro pochi secondi, visto che indubbiamente quella patetica giustificazione avrebbe fatto infuriare Aberforh. Non gli importava. Il dolore fisico non  lo spaventava minimamente. Era tutto orribilmente vero. Pensava, sotto sotto, di aver ottenuto un buon risultato. Era riuscito a catturare un mago oscuro estremamente potente, ponendo fine a una guerra magica che aveva terrorizzato mezzo mondo. Ma era un sollievo effimero, un merito inutile. Il passato non era mai stato così vivido come ora, il momento esatto in cui aveva capito di aver conquistato una vittoria senza valore.
 
Da qualche parte sentì borbottare un “per l’amor del cielo!”.
Qualcuno gli si avvicinò, dandogli delle pacche sulla spalla. Certo, erano pacche piuttosto forti e non si poteva escludere che fossero un tentativo di picchiarlo, ma in realtà sembrava proprio che Aberforth stesse cercando di confortarlo.
Albus voltò lo sguardo, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, per verificare che quanto stava accadendo era vero. Di rimando, Aberforth alzò le sopracciglia, come a voler dire che le cose stanno così, e tanto vale farci l’abitudine.
“Ho del Wiskey Incendiario niente male, giù al pub. Tutti dicono che quello dei Tre Manici di Scopa è migliore, ma io non ci credo.” – così dicendo si alzò, e fece cenno ad Albus di seguirlo.
 
Non era mai entrato in quel locale prima d’allora, e doveva ammettere che era il posto più squallido e con il Wiskey Incendiario più insipido che avesse mai visto.
Ma era proprio li che aveva ritrovato un fratello. Sapeva, senza bisogno di illudersi, che le cose non sarebbero mai state idilliache tra loro. Ci sarebbe stata sempre una piccola barriera, una crepa irreparabile. Il dolore era stato troppo per poterci semplicemente bere sopra.
Eppure si erano ritrovati ugualmente.
 
Quella notte, decise di fare una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di fare.
Arrivò a Godric’s Hollow quando il buio aveva invaso il villaggio da ore, e tutte le luci erano spente.
Il cimitero era spettrale. La tomba di Ariana era trascurata e scialba, e quasi si confondeva con quelle vecchie di centinaia di anni. Albus aveva la mente stranamente sgombra. Sembrava ieri che aveva deposto la sorella proprio li.
 
Prima o dopo, ritroverò anche te.
 

  
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