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Autore: Lucy_lionheart    20/10/2011    1 recensioni
Le ciglia impiastrate di lacrime si aprirono lentamente, attratte dal rumore e dal vociare che prima non c'era, rivelando così un paio di grandi occhi azzurri; lo stesso colore del Mar Baltico.
Essi lo fissarono, poi colei a cui appartenevano tirò i lembi delle labbra e sorrise, esausta.
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La storia della nascita di Toris, la Lituania, di chi ne fu protagonista e di chi, in quel giorno di tempesta, fece da spettatore.
Spero gradiate!
Genere: Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania Magna, Lituania/Toris Lorinaitis, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~Gli occhi del Baltico.






La pioggia cadeva, incessante, colpiva la terra milioni di volte, invisibile contro il cielo nero di quella notte.
Niente luna, niente stelle, tutto stava celato sotto anguste nubi di tenebra che parevano inghiottire ogni cosa.
Era una pioggia gelida come il ghiaccio, distruggeva i fiori, staccava le foglie dalle piante, una raffica di piccoli colpi di pugnale.
Ogni volta che quelle gocce gli arrivavano addosso sentiva il ghiaccio entrargli sotto le vesti, arrivare alla pelle e passare anche quella, giù fino alle ossa.
Era bagnato da capo a piedi, sporco di qualunque cosa quell'acqua maledetta rendesse una melmaglia dal cattivo odore: sabbia, sale, terra, sterco di animale, anche.
Dietro di lui suo padre tuonava assieme al cielo, sempre più frequentemente squarciato da saette di luce che lo illuminavano da capo a piedi.
Quelle folgori cadevano vicine l'una a l'altra, e la paura che una di loro lo potesse colpire gli urlava nelle orecchie, terrorizzandolo a ogni tuono, ma si impegnava a non ascoltalra, continuava a dar velocità a le gambe, correndo a un ritmo rotto, sregolato, lontano dalla sua velocità, dalla sua forza, dal suo stesso piccolo corpo.

<< Gilbert, torna indietro! >>

La Grande Germania urlò ancora più forte in direzione del figlio, facendo nitrire per lo spavento il cavallo bianco dalle alte gambe sporche di terra, ma l'unico effetto che provocò sul bambino fu quello di fargli voltare la testa bianca per pochi secondi, gli occhi rossi che si accertavano che la figura inseguitrice fosse abbastanza lontana da lui.
La fanghiglia e le rocce scogliose rallentavano i cavalli, mentre le sue gambe corte non ci mettevano molto a saltare da una parte all'altra, seppur le ginocchia avessero impattato più volte a terra a causa di quei sassi così maledettamente scivolosi.
Ma lui continuava a correre, senza fissare né la pioggia che gli feriva le guance, né le rocce che gli tagliavano le ginocchia, né i muscoli che pulsavano imploranti a ogni passo.
Era vicino, era vicino, era vicinissimo, era a due salti di quelle corte gambe.
Saltò dall'ennesimo scoglio, scalato in pochi minuti e appendendosi con le unghie a qualunque cosa le sue mani arrivassero su quella roccia bagnata e levigata, per un attimo ci fu il brivido del vuoto, poi atterrò e i suoi piedi impattarono con un rumore sordo. La pioggia arrivò al contrario, dal terreno.
Abbassò lo sguardo e, con un qualcosa di simile alla preoccupazione, si accorse che l'acqua marina gli arrivava sopra la caviglia, là dove il mare, in una normale situazione, doveva essere finito da circa quindici metri.
Il baltico ruggiva, invece, sempre più vicino, una distesa di ossidiana liquida.
Non si lascio però intimidire e, spostandosi dagli occhi qualche ciocca bagnata, riprese a correre, facendo schiantare le gocce d'acqua marina contro quelle di acqua piovana.
Una luce emergeva dalla parete scogliosa, a pochi metri da lui, un sole che si era rifugiato in una grotta per sfuggire a quella fortunale.
Era arrivato!
Corse verso quella roccia, notando che sulla parete stavano scavati degli stretti gradini; doveva stare attento nel salirli, altrimenti sarebbe volato giù di sotto e, seppur l'altezza non fosse esagerata ( circa due metri ), lui, bambino, sarebbe finito con l'acqua alla gola.
Ma pure questa volta quella strana forza nelle gambe prevalse sulla coscienza e, a passi rapidi, corse su per quella rampa naturale, inciampando più di tre volte e rimettendosi in piedi ancor prima che impattasse a terra, barcollando verso il vuoto e trovandosi a fare sul suo bordo estremo l'ultimo scalino.
Fu allora che poté finalmente sentire tutti i rumori che la pioggia fino ad allora aveva coperto: passi affrettati, voci di donne giovani e vecchie, il pianto di due bambini.
Il suo respiro.

<< E lui che ci fa qui!? >>

Una donna vestita di bianco, una sacerdotessa o qualcosa del genere, per quanto Gilbert ne poteva sapere, gli si avvicinò a passi veloci, mentre l'albino compieva tre passi all'interno della grotta, illuminata da svariati fuochi accesi in vari punti e tenuti sotto controllo da alcune delle donne.
Gilbert si guardò attorno, cercò il motivo per cui era corso fino a lì tra tutte quelle gonne, fino a trovarlo disteso in un largo giaciglio di paglia che prendeva tutto il fondale della caverna.
La sacerdotessa, intanto, gli si era parata davanti e non lo lasciava passare, gli sventolava sulla testa un ramo.

<< Sta fermo, non puoi entrare senza essere purificato! >>
<< Smettila, fammi passare, Strega! >>

Urlò Gilbert, con la sua stridula voce bambinesca, mentre la donna apriva la bocca, sorpresa e, soprattutto, estremamente offesa.
Alzò quindi la mano nella quale teneva l'alloro rituale nella più che evidente intenzione di punire quel bambino insolente, ma il prussiano non fu così stupido da starsene fermo e aspettare la pena e approfittò di quell'occasione per scivolare sotto le vesti della religiosa, in un gesto che sorprese le sue aiutanti e le altre donne, e superare così quell'ultima odiosa barriera.
Corse fino al giaciglio, urtando quacuna di quelle, e si fermò, ansimante e con il cuore a mille, solo quando riuscì a vedere la persona che vi stava distesa, notando per primissima cosa i lunghi capelli castani impiastrati di paglia e sudore e le gambe piegate e aperte sotto un velo sporco di sangue all'altezza di un ventre ancora gonfio.
Le ciglia impiastrate di lacrime si aprirono lentamente, attratte dal rumore e dal vociare che prima non c'era, rivelando così un paio di grandi occhi azzurri; lo stesso colore del Mar Baltico.
Essi lo fissarono, poi colei a cui appartenevano tirò i lembi delle labbra e sorrise, esausta.

<< Gilbert, sei venuto a trovarmi? >>
<< Undinė...! >>

Il bambino la chiamò, osservandola con aria quasi incredula. Non riconosceva in quella tremante, ma sorridente, figura la donna che fino a pochi giorni prima vedeva camminare sulla costa con il ventre pieno e l'arco sotto braccio.

<< Che ti hanno fatto!? >>

Undinė rise, ma in modo debole e fievole, guardando le rosse pupille lasciate scoperte dalle palpebre di Gilbert, che continuava a fissarla, rendendosi agli occhi di tutte quelle donne il bambino più ingenuo del mondo ( se se ne fosse reso conto sarebbe andato certamente su tutte le furie! ) .

<< Nulla di male, piccolo, sto solo partorendo. Guarda qui... >>

Fece, indicando la donna alla sua destra, la quale stava allattando due bambini avvolti in tanti panni: erano quelli che il prussiano aveva sentito piangere quando era arrivato, due piccole teste bionde.

<< Due maschietti, esattamente com'era stato predetto... tuo padre ha vinto la scommessa. >>

Continuò, con tono quasi ironico, mentre le faceva finta di non sentire le ragazze che insistevano con il ricordarle di non sforzarsi troppo.
Lo guardò da capo a piedi, continuando a sorridergli, mentre tutto il corpo tremava.

<< A proposito di lui, mi... >> Prese un respiro, interrompendosi. << mi sembra strano che ti abbia lasciato venir qui da solo... cosa hai fatto? Guarda come sei ridotto... >>

Gilbert afferrò il mantello bianco della sua divisa, cercando di coprire le misere condizioni in cui era: bagnato da capo a piedi, il tessuto era passato da bianco a essere di un marrone fangoso, la melma lo ricopriva fino al polpaccio, i pantaloni all'altezza delle ginocchia si era strappate assieme a buona parte della pelle, grattata via dalle cadute.
Così come le ginocchia, anche i polpastrelli erano rossi di sangue, le unghie sporche di tutto ciò su cui si era arrampicato, un paio si erano rotte senza che se ne acorgesse.
Altri graffi stavano sul viso, ben visibili a causa dello sporco che si era appiccicato ad esse, così come sopra le ciglia e nei capelli: un nido di rondini fatto di acqua salmastre e piovana impastata con sabbia, sassi, foglie e tutto ciò che il vento di mare portava con se.

<< Mio padre mi ha lasciato avanzare! >>

Mentì spudoratamente, parlando con lo stesso tono di un soldato vanaglorioso di prima scelta.
La sua bugia venne però miseramente scoperta nell'esatto momento in cui, accompagnato dal nitrito di un esausto cavallo e da un tuono, Magna Germania apparì alle soglie della grotta.
Esattamente come i mostri fanno le loro entrare in scena negli incubi,
I suoi occhi, due lastre di ghiaccio, cercarono immediatamente quelli di Gilbert, fulminandolo; il bambino deglutì, consapevole che non poteva di certo scappare da lui adesso.
Sarebbero state botte, eccome se lo sarebbero state.

<< Germania, sei arrivato. >>
<< Baltia. >>

L'uomo smontò da cavallo, aveva i lunghi capelli interamente bagnati, ammassati in gruppetti dall'acqua, che li aveva resi anche più scuri rispetto al biondo grano di cui essi erano normalmente.
Aspettò, a differenza del figlio, che la sacerdotessa compiesse il suo rituale ( e la donna fu particolarmente soddisfatta della buona riuscita di questo, eseguito senza opposizioni ), poi si avvicinò a passi larghi e veloci, una corsa che tentava di mascherare, fino al giaciglio.

<< Con te faccio i conti dopo. >>

Disse, veloce e severo, rivolto a Gilbert, che però si sentì rincuorato; dopo nulla lo avrebbe ostacolato nel darsela a gambe come era solito fare in certe occasioni.
Le guerre e le mareggiate si affrontavano, gli sculaccioni assolutamente no.
La Grande Germania s'inginocchiò vicino alla donna, che lo guardava dritta negli occhi con un leggero sorriso sulle labbra, tanto gentile quanto cortese.

<< Hai ancora la forza di sorridere e parlare. Sei incredibile. >>
<< Sto solo partorendo... è normale per noi donne e c'è chi ha decine di figli. I miei sono solo tre. >>

Rispose lei con una calma sorprendente, mentre i pugni stringevano con forza il terreno sotto lei, frantumando in migliaia di pezzi la paglia, la terra e le lenzuola; le contrazioni stavano nuovamente tornando, l'aria iniziava nuovamente a sparirle dai polmoni, i battiti a accellerare e poi perdersi nel petto.
L'uomo strinse le pupille blu, cercando di mantenere la sua solita espressione; come al solito non voleva che nessun sentimento solcasse la maschera di guerriero, ma un simile stratagemma poteva tradire Gilbert, bambino che non si rendeva conto nemmeno di cosa fosse un parto, non Undinė. Lei lo conosceva fin troppo bene.

<< Non è solo quello, lo sai bene. >>

Disse, le labbra che appena si muovevano, quasi non volessero far uscire quella frase; ma lei continuava a sorridere, mentre Gilbert continuava a non capire e altro non poteva fare oltre a guardare.
Non era mai stato così silenzioso, nemmeno lui sapeva cosa diavolo gli era preso in quel momento! La figura di Undinė in quelle condizioni l'aveva... paralizzato.
Germania distolse lo sguardo per un po', puntandolo sulle mani di Baltia, poi tornò ai suoi occhi, sempre dipinti della medesima emozione, sempre bagnati da tutto quel dolore.

<< Sei sempre meno visibile all'orizzonte. >>
<< Lo immaginavo. >>

Commentò serenamente, stupendo per un attimo quell'uomo così imponente;
" E' ovvio che non si veda. " pensava, intanto, Gilbert. "Con questa burrasca non ci si vede nemmeno i piedi, figurarsi un'isola. "
Continuava a non capire.

<< Undinė, uno dei due nati è il prescelto? >> In quella domanda si sentì una punta di speranza, o qualcosa di simile a essa. << Se così fosse tu... >>
<< No. >>

La risposta, ancora secca e ancora serena, fece nuovamente incrinare la maschera, o l'elmo, di Germania, che si ritrovò per l'ennesima volta a abbassare lo sguardo.
Lei portò una mano ( la sollevò come se pesasse tonnellate ) al ventre, carezzandolo con infinita tenerezza.

<< Lui è ancora qui. E non vedo l'ora di stringerlo, almeno per un poco. >>

Gilbert strinse gli occhi scarlatti, non capendo il perchè di quell'ultima frase; un poco? Perché mai Undinė avrebbe dovuto stringere suo figlio solo per poco?
Insomma, mica stava per...
L'intuizione gli spezzò un battito.
Il respiro affannoso che aveva durante la corsa tornò di nuovo, così come il tremore e tutto il resto. Ma perché!? Perché mai a Baltia doveva succedere una cosa simile?!
Roma aveva avuto ben tre figli, ma a Grecia, o chiunque altra fosse stata la sua amante, non era capitato assolutamente nulla.
Fece per aprir bocca, ma la voce di Undinė tolse fiato alla sua.

<< Ormai io non sono più quella piccola isola... sono anche e soprattutto la voce dei popoli arrivati lungo queste terre dopo tanto girovagare. Ed è giusto che essi abbiano, a seconda delle loro differenze, tre differenti anime. Io non posso certo bastare. >>

Affermò, osservandoli entrambi , prima che qualcosa, prepotentemente, assumesse il controllo sulla sua persona.
Gilbert rabbrividì nel sentire l'urlo che Baltia lanciò, così acuto e grave, mentre apriva nuovamente le gambe in quel modo che gli pareva così innaturale e brutto, poi suo padre lo tirò indietro per un braccio e lui venne scavalcato da tutte e sette le donne, più la sacerdottesa, che già aveva iniziato a recitare, urlandole a gran voce, quelle che dovevano essere le preghiere.
Né Prussia né Germania seppero dire per quanto tempo le urla raggelanti di Undinė continuarono, ma ad entrambi sembrò che delle ere stessero trascorrendo in quella grotta, mentre il livello del mare si faceva sempre più alto.
Gilbert ad un certo punto udì con chiarezza la voce di suo padre seguire nella preghiera quella delle donne e, senza che se ne potesse render conto, anche lui iniziò a ripetere quelle parole con voce acuta, una sporca formula pagana di cui non conosceva assolutamente il senso, ma sperava che dasse un aiuto, qualunque esso potesse essere.
E poi un urlo diverso da tutti gli altri: un lamento forte e dolce, una voce piccola che di faceva sentire con tutta la forza che aveva, assaggiando per la prima volta l'aria.

<< E' nato, il Prescelto è nato! >>

Le donne riniziarono a correre, chi alle fasciature, chi all'acqua, chi lo faceva senza nemmeno un senso e chi ancora, bagnata di lacrime, continuava a pregare.
Gilbert, per la seconda volta, si fece spazio tra loro, e anche ora i richiami di suo padre non servirono proprio a nulla.
Cadde in ginocchio davanti a lei, che però sorrideva a qualcosa di urlante che teneva tra le braccia tremanti.

<< Gilbert, guarda... >>

Disse con un filo di voce Undinė, spostando un pezzetto del velo umido che era avvolto attorno a quel tuonare infantile.
Gibert si chinò con gli occhi spalancati e curiosi: il corpo del neonato era ancora bagnaticcio e leggermente sporco di sangue, i capelli castani aveva la stesso color cioccolato di quelli della madre e anche altre somiglianze tra quei due erano notabili in quella piccola creatura.

<< Ti somiglia molto. Siete due gocce d'acqua. >>

Commentò Germania, mentre il fantasma di un sorriso passava sulle sue labbra.

<< Ne sono onorata, in tal caso. >>
<< Come si chiama? >>

Chiese infine Gilbert, trovando nuovamente la voce dopo esser restato in silenzio per così tanto tempo.
Fu in quel momento che una foglia cadde dalla sua testa, scivolando prima davanti ai suoi occhi e poi sulle minuscole mani del piccoletto, così piccino che entrambi i pugni sparirono sotto di essa.
Era una foglia di alloro, molto probabilmente si era staccata dal ramo quando la sacerdotessa aveva provato a compiere il rituale purificatore.
Undinė osservò quella fogliolina, poi si lasciò scappare l'ennesimo e dolce sorriso.

<< Toris. >> Proclamò con voce decisa, guardando poi i due germanici. << Il suo nome è Toris. >>

Poi, dal nulla, un'onda s'infranse con forza preropente contro le parteti e un'ombra calò sulla faccia di Undinė; Toris scoppiò a piangere.

<< Pare che sia ora... di già. >>

Il suo volto lasciò esprire in quelle due parole tutta la tristezza che il suo cuore tratteneva, gelando gli animi delle persone che erano radunate attorno, compresi gli unici due uomini presenti.
Per la seconda volta Prussia sentì il padre boccheggiare qualcosa alle sue spalle: una frase senza senso e parole, che sembravano sparire ogni volta che l'uomo prendeva aria con l'intenzione opposta.
Anche Gilbert avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ci riusciva; una donna e un bambino lo avevano reso completamente impotente.
Undinė strinse forte Toris e i denti, serrò con loro anche le palpebre, prima di riaprirle e scambiarsi uno sguardo, per ora lei era l'unica a cui il piccolo aveva rivelato gli occhi.

<< Gilbert, vieni qui... apri le braccia... >>

Fece, tendendogli il bambino; in quel preciso momento Gilbert provò la stessa sensazione di quando il padre per la prima volta gli aveva messo in mano una spada dopo avergli mostrato i rischi che il cavaliere correva nel maneggiarla incautamente e con stupidità.
Lo prese e, non appena avvertì che le dita della madre scivolavano definitivamente via da quel peso, se lo portò al petto, premuto contro la croce della divisa, e il piccolo parve accorgersi che il battito che ora udiva era ben diverso da quello di chi fino ad allora lo aveva stretto.
Un battito vivo.
Anche Gilbert poteva avvertire il cuore del bambino battere forte e velocemente, così piccolo... gli sembrava il quello di un pettirosso.
Era il rumore del cuore che Baltia gli aveva ceduto.

<< Avrei voluto che tu e Toris diventaste ottimi amici, ma ho come l'impressione che il destino abbia per voi dei piani diversi. Nel caso avessi ragione, siate due leali avversari di spada, forti e imbattibili. Così, se un giorno vi si parerà davanti un nemico comune, vi troverete dalla medesima parte e con tanta forza da usare. >> sorrise, quindi, osservando quelle due figure infantili che stavano cuore contro cuore.
<< In un caso o nell'altro, il mio più grande desiderio è quello di sapervi, in qualche modo, legati l'uno all'altro. >>

Poi il suo sguardo passò a Magna Germania, lasciando quelli di Gilbert e Toris, persi, spettatori di un'opera troppo complicata che non avrebbero potuto comprendere a causa della tenerezza delle età.
Lei gli sorrise in quel modo dolce e paziente che Gilbert le aveva visto addosso tante volte e anche lui portò sul viso la sua espressione, con quelle labbra serrate e gli occhi azzurri impenetrabili.
Lei stesa su quello sfasciato giaciglio, lui in piedi, dritto e immobile come una colonna.
Perchè mai comportarsi diveramente del solito? Altro non avrebbe fatto che accentuare la consapevolezza che quello era un addio.

<< Allora... Addio, Haal. >>
<< Addio, per adesso, Undinė. >>

Un boato risuonò alla bocca della caverna e alcune donne sull'entrata urlarono, terrorizzate alla vista di un'onda che si schiantava contro l'entrata, entrando repentina e potente.

Gilbert chiamò suo padre, tenendo stretto tra le braccia il fagotto piangente di Toris, l'uomo la guardò un'ultima volta, poi, con uno scatto, avvolse le braccia attorno ai due bambini, proteggendoli con la schiena.
Undinė chiuse gli occhi e sorrise ancora.


L'onda non aveva fatto male a nessuno, né provocato danni, ma il risucchio si era portato via Undinė, lasciando a loro solo della schiuma bianca e un odore salmastro.
Gilbert guardò il padre, che però non ricambiava il suo sguardo, perso nella paglia di un letto vuoto.

<< Avresti dovuto almeno abbracciarla. >>



Nessuno disse nulla per una lunga manciata di minuti. Tutti stavano aspettando che la mareggiata finisse definitivamente - da dopo l'Onda il cielo aveva iniziato a farsi sempre più chiaro e ora aveva anche smesso di piovere- , i due bambini non fiatavano, dormienti, mentre il terzo, sveglio ma silenzioso, era ancora tra le braccia di Gilbert, seduto lì sul bordo della grotta a gambe incrociate. Non l'aveva mai mollato.
Poi, all'improvviso, successe qualcosa che Gilbert non si sarebbe aspettato:

<< Ehi! Gente, ha aperto gli occhi! >>

Disse, gridando in malo modo ( inutile dire che svegliò gli altri due piccoli ) e in un attimo tutti si precipitarono. Magna Germania sussultò.
Gli occhi di Toris erano proprio come quelli di Undinė: il blu che si vede quando si è immersi nelle profondità marine e si guarda su, in alto, verso il cielo, le due tonalità che si fondono con la luce del sole.
Quella vista accese qualcosa nel cuore dei presenti che la scomparsa di Baltia aveva oscurato.
Le donne, con rinnovato entusiasmo, corsero a accudire gli altri due piccoli, la sacerdotessa andò alla ricerca del suo alloro, bofonchiando di dover ancora fare qualche preghiera propiziatoria.
Haal, silenzioso, si sedé accanto al figlio, osservarono Toris allungare una mano verso l'orizzonte, ove stava il mare che, ormai, era scompigliato solo da qualche onda.

<< Tutti e tre sono bambini fortunati. >> fece, l'uomo, con il solito tono severo. << Baltia vivrà per sempre qui con loro, abbracciando le loro terre. >>

Gilbert lo guardò inizialmente con fare interrogativo, poi capì.
Undinė non era scomparsa, ma era tornata a quella che era la sua vera essenza, casa sua. Non un'isola mitologica, non il territorio europeo... ma il Mar Baltico.

<< Che hai intenzione di fare? >>
<< Io!? Che diavolo c'entro io!? >>

Rispose Gilbert, stizzito e arrogante come sempre; si era ritrovato, finalmente, e anche il padre, storcendo un angolo della bocca, l'aveva notato.

<< Ricordi ciò che ti ha detto Undinė, spero. Sarete alleati o rivali? >>

L'albino guardò con gli occhi rossi il faccino di Toris, così pacifico, rilassato, che contraccambiava con curiosità amorevole lo sguardo; rise e mise le mani sul viso del prussiano, toccando il naso e poi la bocca.
Aveva un faccino adorabile, un qualcosa che o lo si amava o lo si amava, espressione, oltretutto, di quello che pareva essere un carattere angelico.
E questo a Gilbert bastava per decidere.

<< Mi sembra ovvio. >>

Un ghigno storse le labbra di Prussia che, con un movimento da predatore, aprì le fauci e punse con i canini le dita cicciottelle di Toris, che lanciò un grido acuto di sorpresa.

<< Sarà la mia vittima preferita, oh sì! Alla faccia di quella stupida sacerdotessa boriosa, lo convertirò alla vera religione, la mia! >>

Sghignazzò, continuando a mordicchiare la piccola mano di Toris, mentre il poverino strillava e si agitava, con le sopracciglia e gli angoli della bocca piegati verso il basso e il naso sporco di moccio.

<< Gilbert, non farlo piangere! >> Lo ammonì severamente il padre ( e il suo parlare tuonale non aiutò l'inquietudine del povero nato ) << Augurati solo che non somigli troppo a sua madre. >>
<< Perche!? Perchè potrei prendermi una cotta come hai fatto tu!? >>

Disse, ridendo sguaitamente e totalmente da solo, prima di prendersi un sonoro schiaffo sulla nuca che provvedé a zittirlo.

<< No. >> disse Haal, con tono non troppo fermo. << Baltia era un'ottima guerriera e tra le sue fila contava un protettore temibile. >>
<< Oh, che paura. >> Fece Gilbert, mostrando tutta la sua ironia. << Sai che timore mi fa un gridare al... >>

In quel momento quelli che sembrarono cento ululati arrivarono da sopra la testa di Gilbert, dove tutti i capelli bianchi si erano rizzati per lo spavento.
Fece scattare la testa in alto, ma l'unica cosa che vide fu una coda argentea che si scuoteva nell'aria e spariva via.
Toris guardava in alto anche lui, ma rideva, gioioso.

<< ... lupo. ... Maledetti spiriti pagani...! >>

Mormorò a denti stretti, facendo scappare un sorriso a Germania.















Da quel giorno le tribù del Baltico iniziarono ad assumere una conformazione precisa, tre divisoni dovute a caratteri, particolarità, famiglie.

Quando Gilbert tornò dopo una decina d'anni, con la divisa appena più grande e la stesso ghigno sulla faccia, sulle coste che abitavano quelli chiamati "lituani", vide un bambino alto quanto lui, con un arco in spalla e dell'ambra tra le mani.
I suoi capelli erano leggermente lunghi e castani, gli occhi avevano il colore di un'onda che si schianta contro il cielo.
Il bambino, quando vide così vicino il suo compare, gli sorrise in modo timido e cordiale. Gilbert non gli tese la mano ma, traboccante di una fiamma di febbrile spirito di battaglia gioioso, gli puntò la spada addosso.
Aveva una promessa da rispettare.


<< E' arrivata l'ora di combattere, Toris! >>











______________________________________________________the begin.»







Note dell'Autrice ~



* "Undinė" è un nome lituano il cui significato è "Onda".
* "Haal", che non è il nome originale di Magna Germania, è la lettura germanica della runa "Hagalaz", il cui significato è ode, inno; rappresenta il ghiaccio.
* Il significato del nome "Toris" è "Alloro".
* Baltia è un'isola vicina alle coste d'ambra della Lituania di cui si parla nella mitologia romana, ma viene considerata l'anima stessa di questo mare, madre di Toris, Eduard e Raivis ( se la Livonia è intesa come il passato di quest'ultimo... incaso contrario si può parlare di Lettonia come nipote, non ho specificato chi erano gli altri due bambini per questo. ) . 
* Alla fine della storia compare il Lupo di Metallo, protagonista della leggenda della nascita di Vilnius ( non sto a spiegarvi tutto, comunque questa storia è narrata anche da Toris stesso in un episodio delle World Series... il 44, forse...! )

Emh, che dire?
Toris è il mio personaggio preferito, quello che interpreto in modo migliore e di cui vesto i panni più spesso. Mi è venuto naturale scrivere com'è nato secondo la mia fantastia.
Baltia è nata dopo aver visto una fanart; il carattere, il nome  e il resto sono opera mia.
Spero che sia stata di vostro gradimento...!
 

Kitas ~


Valkyrie
   
 
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