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Autore: Mirokia    22/10/2011    3 recensioni
-Ma non lo vedi tu stessa? Si sta per sposare! Con una donna!- fece Kurt a voce talmente alta, che le vecchie dietro di lui gli intimarono di tenere la bocca chiusa con uno “shhh” sommesso. -Sta delirando.-
-Quello che sta delirando qua dentro sei tu, razza di Hummel.- ribattè Santana, tranquillissima.
-Sarà l’errore più grande della sua vita.-
-Probabile. Mi divertirò parecchio.- ridacchiò la ragazza.

[ Kurtofsky/Possibili spoiler delle ultime puntate ]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky, Finn Hudson, Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DELIRIOUS

 

 

 

 

 

16. -When your house is not a home.-

 

 

 

 

 

Blaine Anderson aveva mandato il suo ultimo, disperato messaggio a Finn, poi aveva riposto il cellulare in tasca con il livello della suoneria al massimo, in modo che potesse subito accorgersi di qualcuno che lo chiamava. E quel qualcuno sperava fosse Kurt. Sperava davvero che Kurt si sarebbe presentato a casa, se non proprio in quel momento, magari anche il giorno dopo. Non aveva mai voluto così tanto parlare con una persona.

Si sedette sul bordo del letto e si diede dello stupido. Si tirò i capelli fino a farsi male e poi si diede un pugno in fronte. Chiunque l’avesse visto, avrebbe pensato che stesse delirando. E forse sì, stava diventando pazzo anche lui. Se ne rese conto soprattutto quando alzò la testa dalle mani, e sentì il collo dare segni di cedimento, come se fosse stato in quella posizione da disperato per ore. E infatti s’era fatta già sera, e lui non se n’era accorto. E oltretutto, non aveva ricevuto nuove chiamate. Ma un messaggio sì, e si agitò un po’ quando andò per aprirlo. Il mittente era Finn, e il messaggio recitava:

mi dispiace

senza punti, né virgole, e non si era neanche degnato di mettere la lettera maiuscola all’inizio. Gli dispiaceva per cosa, poi? Aveva già capito tutto? No, quello era poco probabile: si parlava di Finn, dopotutto. Qualcuno, piuttosto, doveva avergli spiegato per bene la situazione.

Scivolò dal letto con gli occhi pesanti, e pensò che forse si era addormentato sul palmo della mano. Poco credibile, ma forse l’aveva fatto davvero. Si guardò intorno e vide lo specchio gigantesco che Kurt aveva preteso non appena s’erano trasferiti in quella casa, poi il suo sguardo andò alla sedia preferita di Kurt, quella davanti alla specchiera. Ma che senso aveva guardarla con fare malinconico? Era solo una sedia, e non aveva alcun senso se non c’era nessuno seduto su di essa.

A chair is still a chair, even when there’s no one sitting there.

Quella canzone si fece spazio tra I suoi pensieri, ma decise subito di togliersela dalla testa scuotendola forte.

Si fece coraggio e si guardò allo specchio tentando di non provare ribrezzo per stesso. Si scompigliò i capelli: era un gesto piuttosto inconsueto da parte sua. Amava sempre tenerli sistemati, tirati indietro con gel e pettine, perfettamente simmetrici. E invece adesso li aveva disfatti, e i ricci duri di gel gli solleticavano il collo e le orecchie, quindi non gli importava più granchè dei capelli. Non gli importava più di rendersi presentabile.

Avrebbe anche pianto se non si sentisse una tale merda da non permettersi neanche le lacrime, perché lui era in torto, e sono le vittime che piangono. Kurt avrebbe dovuto piangere. E probabilmente l’aveva già fatto, chissà per quanto tempo.

Poi però si ricordò che anche lui, alla fine, era una vittima. Era stato sicuramente lui a sbagliare per primo, ma a quanto aveva capito…Kurt e Karofsky. Tra loro c’era qualcosa. E non si capacitava di come potesse essere possibile. Quel…gorilla inguardabile di Karofsky era riuscito ad attirare in qualche strano e sconosciuto modo l’attenzione di Kurt. Che con Karofsky non c’entrava niente. Kurt e Karofsky non potevano stare insieme. Era impensabile. Non avevano nulla in comune, e Blaine non riusciva neanche a immaginare in che modo potessero andare d’accordo.

Blaine non era una persona cattiva: il suo era un animo buono, e non aveva mai augurato il male a nessuno. Ma non s’era mai sentito a proprio agio in presenza di Karofsky. Sarà stata la sua adolescenza problematica passata in compagnia di bulli omofobi, sarà stato il comportamento aggressivo che adottava Karofsky ogni volta che gli rivolgeva la parola, saranno stati quegli sguardi inopportuni che l’ex bullo rivolgeva a suo marito, ma non era mai riuscito ad accettarlo del tutto.
Non aveva mai visto di buon grado la strana amicizia che s’era venuta a creare tra lui e Kurt, per questo era così di buon umore quando quel gorilla aveva finalmente deciso di nascondersi per tutta la vita sposando una donna. E s’era deciso ad andare al matrimonio per assicurarsi che sì, Karofsky avrebbe accettato di stare per tutta la vita al fianco di una donna, e lui avrebbe tirato un sospiro di sollievo.
Come se avesse potuto aspettarsi che Karofsky sarebbe uscito del tutto dalla loro vita.
Non aveva niente contro di lui, ci teneva a precisarlo: solo che preferiva che non fosse nei paraggi, tutto qui. Abbastanza comprensibile, dopotutto.

Uscì dalla camera e si voltò a guardarla: dentro non c’era altro che malinconia, una pesante e oscura malinconia che non si sarebbe volatilizzata come una nube di fumo quando apri una finestra. Avrebbe stanziato lì, e Blaine non se la sentiva di dormire in quella stanza, e in quel letto, trovandolo per la prima volta vuoto.

A room is still a room, even when there’s nothing there but gloom.

Decise velocemente di andare a dormire altrove.

Si mise la giacca lunga e scura, e uscì nel freddo di quella sera. Non aveva esattamente idea di che campanello suonare per chiedere ospitalità, ma le sue gambe lo guidarono davanti ad una porta di un legno scuro e pregiato, decorato elegantemente, e con davanti un tappeto con su scritto ‘Welcome if I like you, Get outta my face if you’re a loser”. Era nuovo, quel tappeto. Non se lo ricordava.

Si soffiò nelle mani e bussò alla porta, aspettando pazientemente che qualcuno venisse ad aprirgli.
Finalmente la porta si aprì a metà, e comparve un Jesse St. James perplesso, con la mano poggiata allo stipite e i piedi incrociati.

-Levati di torno.- borbottò per poi accingersi a richiudere la porta.

-Aspetta, per favore.- fece Blaine trattenendo la porta con la mano guantata.

-Ma hai letto il tappeto? Fuori dai piedi se sei uno sfigato.-

-Ho bisogno di un posto dove stare.- ribattè Blaine parlandogli sopra. Jesse storse il naso.

-Hai preso casa mia per un ospizio?- chiese quello, acido come pochi. Blaine lo guardò con gli occhi grandi e lucidi e color caramello, e si soffiò di nuovo nelle mani, senza rispondere. Jesse gli guardò disgustato i ricci che gli cadevano disordinati sulla fronte, e la barba che stava crescendo e gli colorava il mento di una patina grigia.

-Ho capito, me ne vado.- asserì allora l’ex Usignolo per poi girare i tacchi. Jesse alzò gli occhi al cielo, e si chiede perché dovesse sempre fare la parte del lupo cattivo. Qualcosa come la misericordia si fece spazio tra le sue viscere.

-Entra, mister ‘Tutti gli assoli sono miei’. Basta che non mi invadi la casa col tuo odore di mediocrità.- fece Jesse per poi lasciare la porta socchiusa e rientrare in casa grattandosi la nuca.

Blaine tornò indietro a piccoli passi e aprì la porta, lo spazio necessario per far passare il suo fisico esile, anche se incappottato.

-Fa’ come se fossi a casa mia.- disse Jesse mentre toglieva degli spartiti da sopra il divano e li metteva sul tavolo.
Blaine lo guardò: aveva addosso una felpa larga e pesante, i pantaloni della tuta, e i capelli un po’ arruffati: probabilmente s’era preparato per andare a dormire.
L’ex usignolo non si sentiva in colpa a stare in quella casa solo con Jesse St. James. E’ vero, c’era stato un periodo della sua vita –lungo circa due settimane- in cui aveva provato qualcosa di forte per lui, ma probabilmente era stata solo curiosità sessuale: Blaine sapeva di averne avuta parecchia. E poi Jesse era etero e sempre in cerca di belle e talentuose donne, e non ci sarebbe mai stato un posto nel suo letto per lui. Non che ci volesse davvero andare a letto: era sposato, anche se da poco, con Kurt, ed era lui che amava più di chiunque altro, e non l’avrebbe mai tradito, mai e poi mai.
Le ultime parole famose, si disse mentre assumeva un’espressione triste e si metteva una mano sul volto, col timore di scoppiare a piangere.

-Che diavolo hai, ragazzina?- chiese Jesse col suo solito tono di voce acido, quando s’accorse che Blaine avrebbe pianto di lì a poco. Quest’ultimo alzò lo sguardo e tirò su col naso, per poi ficcarsi le mani in tasca.

-Niente.- rispose ovviamente, gli occhi rossi e gonfi.

-Guarda che te lo puoi togliere il cappotto, qui fa caldo. Più o meno.- disse l’altro per alleggerire un attimo l’atmosfera, e allungò il braccio aspettando il cappotto e i guanti e la sciarpa di Blaine. Quello annuì e si svestì con una lentezza snervante.

-Mi vuoi dire che hai? E suppongo sia lo stesso motivo per il quale sei venuto a rompere le scatole e a…-

-Kurt e io ci stiamo lasciando.- disse Blaine semplicemente, e diede il proprio vestiario all’altro, mentre continuava a tenere gli occhi sul tappeto. Jesse rimase un attimo spiazzato dal tono usato dall’ex usignolo, poi alzò le spalle e appese cappotto e tutto all’appendiabiti.

-Sì, mi sembra un motivo piuttosto valido per lasciarti dormire qui, per questa notte. Ti ho liberato anche il divano.- disse, e fece segno a Blaine di seguirlo in soggiorno. Gli indicò il divano bianco, e gli intimò di sedersi, ‘che non doveva per forza starsene tutto il tempo in piedi. –Lì ci sono alcuni dvd originali di musical, famosi e non. Se non riesci a dormire, sei libero di guardarne qualcuno, ma attento a non rovinare le copertine, guai a te.- lo minacciò poi, e gli lanciò un piumone appallottolato recuperato dalla poltrona su cui era seduto poco prima.

-Grazie.- borbottò Blaine, e si sedette sul divano, su cui trovò una scatola di un dvd aperta, “La cage aux folles”, e si chiese com’è che Jesse St. James amava guardare musical gay. Si voltò verso di lui, e quello alzò lo spalle.

-Lo so che vuoi chiedermi com’è che guardavo proprio quel musical. Beh, semplice: era l’unico che non avevo ancora visto. E mi fa piuttosto schifo, per altro.- spiegò Jesse, e Blaine annuì: si aspettava una risposta del genere. –Com’è che non mi rispondi a tono o con una delle tue battute sceme?- aggiunse Jesse andando poi velocemente a sedersi accanto al ragazzo.

-Te l’ho già detto perché.- disse l’altro, piatto.

-Ah, già. Perché tu e la regina del dramma avete deciso di farla finita?-

Blaine alzò lentamente mignolo e indice sopra la testa.

-Corna?- fece Jesse. –Ti ha fatto le corna?-

Blaine fece con la mano il simbolo di “quasi, così e così”. Jesse si mise la mano sul mento.

-Gli hai fatto le corna?-

L’ex usignolo sbuffò e sentì nuovamente gli occhi pizzicare.

-Vi siete fatti le corna?-

-E basta!- esclamò Blaine per poi accucciarsi sul divano e nascondere la testa nel piumone. –Sì, va bene?! Abbiamo sbagliato entrambi. Ora lasciami in pace.-

-Guarda che sei in casa mia, steso sul mio divano, quindi ti conviene rispondermi in modo garbato.-

Jesse non si arrabbiò sul serio, ma si piegò su Blaine e gli diede un pugnetto sulla guancia coperta dal piumone. Gli disse di tirarsi su, di piantarla di fare il bambino e di raccontargli tutto. E non importa se non aveva voglia, adesso gliene avrebbe parlato.

-Perché ci tieni tanto a saperlo?- fece Blaine mangiandosi un’unghia.

-Ma ti sei visto? Hai trattenuto le lacrime per così tanto tempo che hai gli occhi a palla. Fai cagare. Già facevi cagare prima, adesso sembri un alieno.- spiegò St. James e intanto tentava di togliergli la coperta di dosso. –Non me ne vado finchè non ti sfoghi e non piagnucoli come una donnicciola vecchio stampo.-

-Non voglio piagnucolare.- farfugliò Blaine che, privato delle coperte, adesso si copriva il volto con le mani in modo patetico, e singhiozzava, e adesso aveva gli occhi e le guance ispide umide.

-Lo stai già facendo.- osservò l’altro, e a quel punto Blaine scoppiò a piangere. Si vede che aspettava solo qualcuno a cui mostrare la propria vulnerabilità e sulle spalle del quale piangere a dirotto. No, beh, non gli pianse sulle spalle, anche perché Jesse s’allontanava schifato, ma si sfogò sulla propria mano ancora premuta sugli occhi, mentre l’altro stava in silenzio e guardava altrove. Aspettò per bene che quello si sfogasse, che tirasse su col naso almeno una decina di volte, che chiedesse se per favore poteva dargli un fazzoletto. Infatti aveva il pacchetto di fazzoletti già pronto in mano e glielo passò ancor prima che quello finisse la domanda.

-Stai meglio?- chiese dopo che Blaine si fu asciugato del tutto gli occhi.

-No.- fece l’altro con la voce tremante.

-E che cazzo, basta, hai piagnucolato per un quarto d’ora! Adesso ti metto su il Rocky Horror così ti distrai un po’, e mi fai finalmente dormire.- decise Jesse per poi alzarsi, accovacciarsi sul lettore dvd e cambiare musical. Blaine tirò su col naso un’altra volta, poi interpellò St. James.

-Che…che devo fare, secondo te?-

Jesse sospirò e mise in funzione il dvd.

-Ci parli, se ci riesci. Se sei andato con un altro quando stavate insieme, significa che non l’amavi a sufficienza. E non ci sono scuse, o vie di mezzo.- disse con tono più duro quando vide che Blaine voleva interromperlo. –Hai scopato con un altro? E ami alla follia quel fashion victim di Kurt Hummel? Mi spiace per te, ma le due cose non possono essere conciliate. Puoi anche dirmi che con lui il sesso non era appagante e quindi l’hai cercato altrove, ma quando sei davvero preso da una persona, o il sesso ti pare piacevole comunque, o te ne freghi  del sesso e pensi a quanto invece ti piace stare seduto davanti a lui a sentirlo parlare. Questo è tutto, caro Blaine.- concluse Jesse portandosi il ciuffo di capelli ribelli all’indietro e mettendo play al dvd. L’altro restò impalato fissando lo schermo della televisione e, quando Jesse gli passò accanto, gli tirò la manica della felpa.

-Che succede se non ne vuole più sapere niente di me?- chiese con una nota lamentosa nella voce. L’altro alzò le spalle.

-Prima di tutto, non sono la tua Fata Madrina. Secondo…cerca di sopravvivere. Per quanto sia una checca mestruata, Kurt non è così cattivo da cacciarti a pedate non appena ti vede oltrepassare la soglia di casa. Ti darà un bel po’ di tempo. E magari lui andrà a dormire altrove, o chiederà a te di passare la notte da qualche altra parte, ma per il resto ti terrà con sé ancora un po’. Se invece mi sbaglio e sotto quel viso d’angelo si nasconde un animo freddo e crudele, potrai sempre soggiornare qui per qualche giorno.- si interruppe e intercettò lo sguardo da cane bastonato di Blaine. –SOLO per qualche giorno. E se provi a cercare conforto in me mentre sono inerme sotto le coperte, farò in modo che tu non possa vedere neanche col binocolo una carriera nel mondo della musica.- concluse tentando di sembrare duro, ma Blaine sillabò un grazie con le labbra e si lasciò andare ad un sorriso.

-Guardi con me il Rocky Horror?- fece questo dopo essersi seduto sul divano e aver lasciato che ogni parola di Jesse si impiantasse nel suo cervello e che gli valesse come lezione.

-No. Vado a dormire. Goditelo.- rispose l’altro muovendo la mano, per poi ritirarsi ciabattando in camera da letto.

 

*

 

Kurt gli aveva detto che aveva bisogno di tempo. Stava male, doveva riprendersi. Erano successe troppe cose in un solo dannato giorno, e doveva stare solo, almeno per un paio di notti. Solo, solissimo. Ciò voleva dire anche senza Finn tra le palle che gli russava nell’orecchio.

Solo.

E che poteva dirgli Dave? Bene, sta’ solo, hai ragione, fatti una camomilla, dormi, prenditi tutto il tempo che vuoi. Non ho fretta.
Dave non aveva fretta. Per nulla. No, forse aveva solo fretta di togliersi da quell’impiccio e iniziare a respirare in modo un po’ più regolare. Sempre se non chiedeva troppo.

Voleva evitare di deprimersi, ma la chiamata di Nancy non lo aiutò più di tanto.

“Stanotte resto a dormire da mia madre. Non ho niente contro di te, Davey, ma ho bisogno di stare un po’ sola. Non ti fa incazzare, vero?”

No, perché dovrebbe. Tutti volevano stare soli, tutti lo schivavano. Ma non poteva fargliene una colpa: aveva ragione, anche Hummel aveva ragione, ed era lui che si sentiva uno schifo in qualunque situazione.

Bah, scriviamo un messaggio simil-romantico-simpatico-irriverente prima di andare a dormire.

Sembra che questa notte nessuno dormirà in compagnia. Notte, faccia da schiaffi.

Neanche riuscì a mollare il cellulare sul letto, che gli arrivò la risposta, molto carina e gentile.

Notte Troll.

Se lo immaginava già nel suo lettuccio, con accanto un vassoio stracolmo di tè di diversi tipi, una crema verde in faccia completa di cetrioli sugli occhi, e con in mano una scala di grigi che in quel momento non serviva a niente, ma che se la teneva in grembo così, per decorazione.

Dave non aveva voglia di dormire. Anche se aveva un bel po’ di sonno arretrato. Si mise in pantaloni della tuta e maglietta interna, ma ci pensò un po’ prima di coricarsi. Magari si sarebbe guardato un po’ di tv, possibilmente non film sconci, che anche al solo ricordo di Kurt che lo baciava seduto su di lui e in quella posizione gli faceva drizzare l’amico in mezzo alle gambe.

“Basta pensare a Kurt, basta! Vuole stare solo, e lo lascerò solo, niente pressioni, basta, vado a dormire.”

E proprio quando era sul punto di spegnere la luce, gli suonò il campanello. E Dave s’era stufato dei venditori porta a porta di estintori. Trascinò i piedi per terra quando andò ad aprire.
Ma chi si trovò davanti non era un venditore di estintori.

-C-che fai qui?- chiese il più alto mentre l’altro, senza neanche guardarlo, entrò spingendolo di lato. Aveva in mano un beauty case gigante e una borsa a tracolla da donna sulla spalla.

Dave lo seguì immediatamente per vedere che diavolo avesse intenzione di fare, così convinto com’era. Entrò nel suo bagno, posò il beauty case sul lavandino, lo aprì e iniziò a svuotarlo.

-Ehi ehi ehi, che diavolo fai?- fece Dave allarmato. Kurt aveva lo sguardo deciso –e anche da pazzo- mentre trasferiva tutte le sue cremine negli armadietti di Karofsky, accanto alla sua roba da maschio. -No, aspetta, non vorrai…No, non mettere quella robaccia con la mia schiuma da barba!-

Ma niente, quello continuava col suo operato. Poi estrasse un tubo enorme dal beauty case che doveva essere deodorante o qualcosa di simile, scappò in camera da letto e si mise a spruzzare alla cieca.

-Kurt, porco di quel…piantala, è nauseabondo!- continuava ad esclamare Dave. Kurt si fermò un momento, lo guardò, poi mollò il deodorante e si buttò sul letto a due piazze già sfatto e si rifugiò sotto le coperte lasciando scoperti solo gli occhi, la fronte e i capelli.

-…Bene. Dopo tutto ‘sto casino, che hai intenzione di fare, specie di parassita?- domandò Dave con le braccia incrociate e un diavolo per capello. L’altro si mosse un poco nel letto.

-Dormire.- mugugnò.

-E mi sa che hai sbagliato letto.-

-Mi faresti dormire sul divano?- chiese Kurt, con voce più forte e chiara.

-Ma non dovevi dormire in camera di Finn? O ha paura che tu lo stupri?- chiese Dave a sua volta, glissando la domanda.

-Mi sa che l’unico ad aver paura di essere stuprato, sei tu.-

-Ah questa è buona.- ribattè Karofsky scuotendo la testa. Slegò le mani dal petto e gli andò davanti, facendogli ombra. -Senti, femminuccia, non ho voglia di stare dietro ai tuoi capricci da bambina viziata.- partì in quarta, e l’altro socchiuse gli occhi per guardarlo.  -Prima mi dici che hai bisogno di una pausa anche da me e lo capisco, e adesso fai come se non fosse successo nulla e sistemi le tue belle cremine da checca nei miei armadietti?!-

-Zitto, dai.- disse l’altro semplicemente girandosi dall’altra parte.

-E poi non ti voglio qui. Domani Nancy sarà già tornata, e…-

-Nancy…- mormorò Kurt atono, quasi avesse visto un fantasma. Si alzò dal letto barcollando e raggiunse a passo svelto la sua borsa e il suo foulard per poi rimetterselo al collo, pronto ad andarsene.

Dave fece un suono lamentoso rotolando gli occhi all’indietro, e fermò Kurt dalle spalle.

-Dove credi di andartene a quest’ora, fatina? Potrebbero violentarti per strada.-

Kurt fece una smorfia, si liberò della stretta dell’ex bullo e poi si buttò nuovamente a letto, questa volta senza coprirsi e col foulard ancora appeso al collo.

-Sei venuto solo per dormire in compagnia?- chiese ancora Dave.

-Che altro vuoi fare a quest’ora? Una maratona di musical? Sono stanco e deperito, sono svenuto tre volte solo oggi… ho bisogno di riposare, o la mia pelle diventerà una ragnatela di rughe e avrò la borsa della spesa sotto agli occhi.- disse Kurt adottando un tono canzonatorio all’inizio e piagnucoloso alla fine. Dave incrociò di nuovo le braccia e sospirò.

-Ti faccio rimanere a tre condizioni: primo, togli le cremine dai miei dannati armadietti; secondo, lasciami aprire la finestra perché la puzza di deodorante mi sta asfissiando; terzo, dormi sul divano.-

-Non puoi farmi dormire sul divano!-

-Allora se dormi nel mio letto non dovrai piagnucolare come una femminuccia se tenterò di farti qualcosa mentre dormi e sei inerme!- ribattè Dave tutto d’un fiato, parlando a raffica. Kurt lo guardò con una faccia da ‘ma sei frustrato sessualmente?’, e poi affondò la testa nel cuscino.

-Hummel!-

-Karofsky!-

-Vai sul divano!-

-Cioè, tu mi stai dicendo che se accetto di farmi fare maialate da te, posso dormire nel lettone?-

Dave ci pensò prima di rispondere, ma non ci volle molto.

-Più o meno.- disse piano. Kurt si mise a pancia in su e sorrise leggermente.

-Com’è che non fai più il troll? La tua lotta interiore si è placata?- lo prese in giro muovendo i piedi coperti da calzini azzurri. Dave sospirò, tolse le mani dai pantaloni della tuta e si avvicinò al letto fino a salirci sopra e a raggiungere Kurt per poi sovrastarlo e fargli ombra.

-Dimmi la verità: perché sei venuto? Avevi detto che…- iniziò il più grande, ma si interruppe quando Kurt si appese al suo collo.

-Non è colpa mia se non riesco a starti lontano.- disse con un sorriso sulle labbra.

-Ma sei incoerente.-

-E io ti amo.-

-La…smetti di dire quelle due odiose parole?!- sbottò Dave, e aggrottò le sopracciglia in un modo che Kurt ritenne adorabile. Questo sollevò capo e collo e anche metà schiena per raggiungere le labbra di Dave e posargli un bacio su un angolo della bocca.

-Perché avremmo dovuto dormire soli stanotte?- chiese sorridendo. Aveva ancora gli occhi rossi, probabilmente aveva smesso di piangere da poco.

-Ma perché…- tentò di rispondere Dave.

-Era una domanda retorica, non dovevi dare una risposta!- esclamò Kurt, e tirò a sé quello che amava definire ‘scimmione’ e lo abbracciò. –Ti ho detto una bugia…Non volevo rimanere solo…E’ l’ultima cosa che voglio in questo momento.-

Dave inspirò il profumo piacevole del collo di Kurt, e prese a baciarlo piano, mordicchiandogli la parte tra collo e spalla.

-Non dovevi venire…- bisbigliò quasi sofferente. –Adesso voglio che facciamo l’amore, e so che poi mi sentirò in colpa.-

Kurt lo guardò dolcemente e gli carezzò i capelli dietro la nuca.

-Dovremmo smetterla di sentirci in colpa per ogni cosa.- disse, ma Dave era contrario e guardava altrove.

-Fatina…Kurt. Io e te non possiamo stare insieme, è impossi…-

Ma Kurt mise l’indice sulla bocca di Dave prima che questo potesse continuare.

-Proviamoci. Vediamo come va. Se poi finisce male, ti dirò che avevi ragione e ti sentirai soddisfatto.-
Lo tirò a sé e si fece baciare ancora sul collo, poi sul naso, e sulla bocca, poi sugli occhi e sulla fronte.

-Baciami. Ne ho bisogno.- mormorò Kurt, e Dave gli tappò la bocca baciandolo quasi disperatamente. No. Quasi avesse paura che Kurt gli sfuggisse dalle braccia in qualunque momento. No. Quasi avesse il timore che Kurt scoppiasse a piangere per non si sa quale altro motivo. Non voleva più vederlo piangere. Non che fosse brutto, non lo era mai in realtà, ma gli occhi rossi non gli donavano. Il rosso non sta bene con l’azzurro, Kurt lo ribadiva di continuo.
Il soprano strinse gli occhi e respirò forte quando Dave andò veloce a baciargli il petto bianco. Gli occhi gli bruciavano: aveva pianto per davvero troppo tempo. Si era preso un paio di aspirine, e forse, forse stava meglio. Ma non sapeva bene se era merito delle aspirine, o di quelle piacevoli labbra che adesso percorrevano il torace liberato dalla camicia e scendevano sul basso ventre.
-Baciami, Dave.-

-Ti sto bacia…-

Kurt non lo fece finire di parlare: lo riportò sulla propria bocca e ci pianse quasi sopra. In un solo giorno aveva perso un marito e s’era accorto di essere profondamente innamorato di un’altra persona. E non una persona qualunque. Il suo ex bullo, diventato poi il suo protettore, e poi un suo amico, e poi un suo confidente, e poi una sua particolare simpatia, e poi piacevole sensazione sotto la pelle, e poi quell’amore che ti brucia le membra e ti mangia dall’interno e non ti lascia più respirare, ragionare, e ti porta in un delirio senza fine e senza controllo.

Eppure anche Kurt era ben cosciente di non poter stare con Dave. La loro relazione si sarebbe retta su pilastri troppo fragili, su fondamenta cedevoli. E già se iniziavano con quella convinzione, non sarebbero mai andati da nessuna parte. Ma il fatto che si amavano non contava niente?
Adesso Kurt voleva  divorziare, e non aveva i soldi.
Dave non aveva ancora intenzione di lasciare Nancy, perché come l’avrebbe spiegato ai suoi, che di lui di fatto non sapevano ancora nulla?
Blaine voleva provare a trovare un accordo con Kurt, e non sapeva se si sarebbe arreso con lui.
E Nancy era pazza di Santana, che era pazza di Brittany e la usava come schiava sessuale. E Santana non la voleva, perché aveva le maniglie dell’amore. E anche lei preferiva stare ancora con Dave, forse, perché i suoi genitori erano ignari di tutto.
Finn invece…Finn non c’entrava niente. Ma almeno lui adesso sapeva di Dave e Kurt. E non ci avrebbe messo molto per confidare tutto a Burt. Il che non rappresentava niente di positivo, e Kurt temeva già la sua reazione, e Dave ancora di più, e Blaine avrebbe dovuto temerla più di tutti.
Kurt ci pensava, e i pensieri gli si annebbiavano quando Dave gli passava la lingua sul petto, poi tornava a pensarci, e di nuovo entrava nel delirio quando Dave strusciava la propria bocca sul suo membro, e piagnucolava, un po’ per il piacere, un po’ per il dolore.

-Voglio stare con te, David.- mugolava, quasi stesse per mettersi a piangere, ancora una volta.

-Smettila di fare la femminuccia, ti prego. Siamo insieme adesso, non pensare a niente.- ribattè l’altro e lo baciò sulla bocca aperta in una risposta. Gli passò il dito sugli occhi delicatamente. –Basta, va bene? Tutto sto casino s’aggiusta, e non te lo dico solo perché è una frase melensa da telefilm. Ohi!- lo schiaffeggiò un paio di volte per farlo riprendere. –Tu sei con me adesso, giusto?-
Kurt annuì mesto.
-E io ti detesto quando piangi, quindi smettila.-
Il soprano lo guardò senza cambiare espressione.
-Non sei ancora convinto? Ti amo, va bene? Va meglio?-

Kurt sorrise con le lacrime agli occhi. Ma quando diavolo si svuotava?
-Baciami, Dave.-

-E piantala con ‘ste frasi da musical.-

Non parlarono più. I gemiti, i mugolii, i sospiri non contavano. Cioè sì, contavano, erano ciò che di più bello avessero sentito in quell’ultimo mese, ma era una specie di linguaggio a parte. Un linguaggio che solo loro avrebbero capito e apprezzato.

Kurt non aveva mai fatto del sesso tanto disperato e desiderato.
Dave non s’era mai sentito così appagato come in quel momento.
Stavano male, eppure bene: in realtà non erano mai stati meglio.

*

Kurt rimase sveglio e aspettò che Dave prendesse sonno.
Sentì il suo respiro farsi più pesante, e gli baciò la spalla nuda prima di fissare il soffitto scuro.
Pensò che se ne sarebbe dovuto andare. Dopotutto, quella non era casa sua. Era entrato con l’intenzione di ‘marcare il territorio’ ponendo le sue cremine negli armadietti di Dave e spruzzando il proprio deodorante in camera sua.
Ma non era giusto. Non era giusto occupare il posto di Nancy.
Eppure non ci mise molto a cambiare idea.
Non sarebbe tornato a casa quella notte. Non ci riusciva. Era come se…quella casa non fosse più casa sua. Non riusciva a considerarla tale se non c’era qualcuno da amare, da abbracciare forte e a cui dare il bacio della buonanotte.

A house is not a home when there’s no one there to hold you tight and no one there you can kiss goodnight.

Si rilassò sul materasso e si allungò per posare un bacio sul collo scoperto di Dave.

-Buonanotte.- disse in un soffio, e si addormentò con la fronte contro la schiena bollente di Dave.

Quella era casa sua.

 

 

 

§

 

 

 

Rieccomi, buoooh.

Spero che voi mi abbiate aspettata a sufficienza.

O magari non ve ne frega niente di me, che è molto più probabile.

Ringrazio di cuore Giulia, perché buona parte del dialogo sulle cremine me l’ha suggerita lei <3 E ringraziate anche lei, che ha minacciato di mettere una bomba sotto casa (lo so che è una bomba con sopra la faccia di Shia LaBeouf, me lo sento!) se non avessi aggiornato.

E quindi boh, un capitolo un po’ disperato per voi <3

Angolo delle curiosità: -Il tappeto davanti casa di Jesse recita: “Benvenuto se mi piaci, levati di torno se sei uno sfigato.”

-“La cage aux folles” è un gay musical, ho letto la trama su wiki, passo e chiudo.

-Devo l’idea della “Fata Madrina” a Veronica. Grazie <3

-“Perché avremmo dovuto dormire da soli stanotte?” La frase che volevo mettere all’inizio era “Non c’è una ragione per la quale dobbiamo stare soli stanotte”, giusto perché stavo ascoltando The Edge of Glory di Lady Gaga, ma poi ho deciso di cambiarla.

-E basta, A house is not a home è la canzone del capitolo.

 

Spero non vi siate dimenticati della storia, e che quindi questo non sia stato un capitolo confusionario (?) Un bacio a chi vorrà leggere <3

 

Mirokia

   
 
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