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Autore: Magnis    22/10/2011    0 recensioni
Ran, si è stufata di aspettare Shinichi e soffre. Con l'aiuto della nuova alunna del Liceo Teitan, lo dimenticherà, ma si sa che il destino è più forte di un lottatore di pugilato e tra mille insidie, si scoprirà che nessuno è quello che è.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dieci anni più tardi.
Ran e Kazhua erano sedute sul gradino. Davanti a loro, centinaia di banchi erano piene di persone. Chi si faceva vento con fogli o ventagli, chi usciva, chi entrava, ma di Heiji e Shinichi nessuna traccia.
Kazhua cominciava a imprecare. Ran, iniziava a tirare i petali di fiori. In breve rimasero solo gli steli.
Kogoro e Eri dialogavano con Yukiko e Yusako, a cui poi si aggiunsero i signori Toyama e Hattori. I genitori delle ragazze maledicevano i ragazzi, e i genitori dei ragazzi si grattavano il capo.
Dov’erano finiti?
All’improvviso, il rombo di una moto fece partire la musica. L’organo intonava note alte e solenni, che fecero battere forte i cuori dei genitori, mentre a battere più forti furono i pugni di Kazhua  e Ran ai rispettivi, e (quasi) mariti Heiji e Shinichi.
Infatti erano appena arrivati con la moto del detective dell’ovest. Al perché delle ragazze risposero in coro:
  • C’è stato un caso…
Ci volle qualche minuto per ristabilire l’ordine. I ragazzi furono rincorsi per tutto l’edificio dalle ragazze, che anche se con abito lungo e bianco non esitavano a sferrare calci all’impazzata.
Ma quando fu il momento di trovarsi faccia a faccia, giurandosi fedeltà per l’eternità, nell’inserire la fede all’anulare di quelle che erano le loro mogli, Shinichi ed Heiji videro appannato.
Loro, dal temperamento così forte;
loro, che risolvevano casi con la velocità di un battito d’ali di una mosca frettolosa;
loro, per cui non esistevano né magia né misteri;
loro, non seppero spiegare quelle emozioni.
Le ragazze erano più controllate. Forse era perché, fin da quando conoscevano i loro mariti, sognavano quel momento.
 
Alla fine della cerimonia, le imprecazioni di Kogoro rivolte a Shinichi, erano le uniche cose che si potevano udire nel raggio di 500 chilometri.
Cose del tipo “tu, hai preso la mia bambina” o ancora “tu, vile ladro! Vile detective da strapazzo”.
Cose che facevano vergognare Eri e Ran, ma cose che rendevano Shinichi estremamente gioioso.
Quella donna(sì: donna) che teneva tra le mani, era sua moglie. Quell’uomo che imprecava era suo suocero e quella che lo sgridava sua suocera.
A Shinichi piaceva l’idea che magari tra un anno o due, quelli sarebbero stati nonni, e lui sarebbe stato chiamato papà.
Quella donna sarebbe stata una mamma perfetta.
Lui avrebbe fatto leggere tutti i libri di Sherlock Holmes ai suoi figli.
Avrebbe giocato a calcio con loro.
 
Dall’altra parte Heiji, guardava Kazhua che sorrideva a tutti quelli che le davano gli auguri stretta al suo braccio.
Pensava al male che aveva potuto fare a quella creatura, che ora sembrava un’apetta che succhiava nettare, forte come una droga, che la eccitava a tal punto da farla impazzire.
Saltellava su e giù e quando Heiji le chiese sera contenta, lei non seppe che guardarlo e abbandonarsi in un lungo bacio, standogli attaccato come non mai.
 
Tre anni dopo il matrimonio.
L’ago passava dentro. Poi fuori. Tornava dentro. Poi fuori. Ripassava dentro. Poi fuori. Lo metteva dentro. Poi fuori.
La televisione, con inserito il DVD di Yoko Okino, parlava. Non una traccia di birra sulla scrivania, pulita a dovere con tutte le carte catalogate.
L’orologio ticchettava.
Gli occhi di Eri, si spostavano dal telefono all’ago che passava tra i pantaloni di Kogoro.
Il viso di Kogoro si divideva tra l’orologio da polso e la TV.
Non c’era mai stata tanta monotonia in quella casa. Il giorno stesso del matrimonio di Ran, dopo un bacio tra Kogoro e Eri, tornarono a vivere insieme. Se la cucina di eri non era delle migliori, lo era certo il clima. Clienti di lei, clienti di lui.
Ma quel giorno erano entrambi chiusi.
Il telefono squillò.
Eri sbarrò gli occhi, lasciando cadere i pantaloni e pungendosi con l’ago.
Kogoro quasi cascò, ma fece in tempo a riprendere il telefono.
  • Shinichi! Shinichi! – urlò.
  • Ah, capisco. Beh, allora mi scusi! Comunque no, mi dispiace, può passare domani. – fece Kogoro, piuttosto irritato.
  • Allora? – disse Eri.
  • Bah, mi volevano per un caso.
Eri sbuffò, raccolse pantaloni e ago e si mise a ricucire.
 
Agasa e Ai erano seduti in poltrona. Ai era composta e rigida, come sempre. Agasa aveva le mani poggiate sulle ginocchia e sudava a freddo. Yusako sfogliava il quotidiano e di tanto in tanto gettava occhiate alla moglie.
  • Tesoro, se continui così dovremmo rimettere il parquet in sala. Lo stai consumando.
Questo perché Yukiko, a casa di Shinichi, camminava avanti e dietro senza tosta.
 
Erano due ore e mezza che Eri metteva e toglieva il filo.  
Erano due ore e mezza che Kogoro guardava il telefono.
Erano due ore e mezza che Ai non profilava parola.
Erano due ore e mezza che Yusako sfogliava il giornale.
Erano due ore e mezza che Agasa non smetteva di sudare.
Erano due ore e mezza che Yukiko camminava avanti e dietro.
Erano due ore e mezza che Shinichi non chiamava,
 
Tre ore.
Erano passate tre ore.
Il telefono, squillò proprio nel momento in cui Yukiko stava per sbruffare. Yusako, Agasa e Ai si girarono verso la donna.
  • Sì? Sì?! Sì! – urlò, quasi svenendo.
  • E’ entrata! – gridò, con tutta se stessa.
Yusako prese le chiavi della macchina e facendo salire la moglie, Agasa e Ai, accelerò con tutta la forza che aveva.
 
Squillò il telefono in casa Mori.
  • Pronto, parla il detective Mori Kogoro. Figliuolo, che Dio ti benedica! Sei tu?! Oh mammina mia! Arriviamo subito!
Eri fece cadere nuovamente i pantaloni.
  • E’ entrata! La mia bambina è entrata! – urlò quasi piangendo Kogoro, affrettandosi a prendere una giacca e a raggiungere la sua macchina, noleggiata.
 
Una volta nella sala d’attesa dell’ospedale, un ragazzo, in mezzo a un camice, mascherine e cuffie bianche, uscì, con un fagotto in mano.
Yukiko ed Eri si abbracciarono scoppiando a piangere. Yusako si aprì in un profondo sorriso mentre Agasa fece luccicare i suoi occhi. Ai, con i giovani detective che l’avevano raggiunta, guardavano amorevoli verso il ragazzo, verso Shinichi.
Ormai erano tutti ventenni, e Genta era entrato a far parte della polizia con la piccola Ayumi. Mitshuiko era nel reparto investigazioni scientifiche. Ai studiava chimica.
Ma la notizia che li sconvolse, fu che il loro amico che aiutavano nelle indagini aspettava un bambino. Ed ora eccoli che aspettavano. Shinichi era uscito, raggiante, tenendo nelle braccia una piccola scimmietta che frignava dibattendosi. Kogoro nel frattempo, svenne.
Una volta passata la scimmietta di mano in mano, Shinichi la riportò dal medico, che la mise nel suo caldo lettino. Il ragazzo corse dalla sua amata, si sedete accanto a lei e le prese una mano, per poi lasciarsi tra le sue labbra.
Solo un’oretta più tardi si ricordò che doveva correre al comune di Tokyo per registrare il piccolo nato. Nel correre tra i corridoi, si scontrò con un ragazzo.
  • Maledizione, ma un po’ di attenzione?! – urlò, accarezzandosi il capo, che aveva sbattuto violentemente.
  • Ah, ah. Ah! Ecco perché mi faceva così male la testa! Con un capoccione duro come il tuo, impossibile non farsi male! – rispose l’uomo contrò il quale aveva sbattuto.
  • Hattori? – eh sì, caro Shinichi, quello è proprio il tuo amico Heiji.
  • Marmocchio!
  • Che ci fai qui?!
  • Eravamo venuti per Ran, ma Kazhua si è sentita male, e quindi… indovina un po’?
  • Dal tuo sorriso posso dedurre, che sei papà Heiji!
  • Elementare Watson!
I due sembravano bambini. Scoppiarono a ridere e lì, per terra, in quel corridoio d’ospedale, le risate facevano il tonfo.
 
 
  • Oh, signora Ran, che bella storia! – la quindicenne congiunse le mani, con gli occhi che brillavano. – Mamma e papà mi avevano raccontato la loro versione! Ma dalla parte tua e di Shinichi, sembra proprio un film! Che meraviglia!
  • A proposito di mamma e papà, quand’è che ti passano a prendere? Mi sono già rotto di stare con te. – disse il coetaneo della ragazza, con le mani dietro la nuca.
  • E’ solo perché non puoi leggere i tuoi libricini. A differenza tua, leggo libri molto più interessanti.
  • I miei non sono libricini, si chiamano gialli. E tu leggi schifezze tipo “L’amore è bello quando dura tanto” o “Amore Amore”.
  • Si chiamano romanzi rosa, stupido! – e così dicendo, la ragazza gli voltò le spalle. Il ragazzo scoppiò a ridere.
La porta si aprì. Entrarono uno Shinichi e un Heiji sulla 45ina d’anni. La stessa età che avevano Kazhua e Ran, ma che portavano benissimo.
  • Akumi, possibile che bisticciate sempre? – disse Heiji, in tono severo.
  • Zitto, tu papà. Non mi hai mai detto la dichiarazione tutta romantica che avevi fatto a mamma.
L’uomo arrossì.
Shinichi scoppiò a ridere.
  • Ben ti sta Hattori! – disse sghignazzando.
  • Beh, se è per questo, caro paparino, anche tu sei stato abbastanza da romanzi rosa, più che romanzi gialli!
Shinichi si sentì offeso, e imbarazzato e cominciò a rincorrere il ragazzo per tutta la stanza.
  • Eh, caro Kudo, gli anni sono passati anche per te!
Shinichi sbuffò.
Si sedettero tutti a tavola.
  • Ma quindi… - chiese vergognosa Akumi Hattori – tu e papà, e Ran e Shinichi eravate amici fin da piccoli?
  • Certo, Akumi. Siamo nati insieme e moriremo insieme!
Akumi si girò verso il quindicenne che era seduto al suo fianco. Si ingozzava come un maiale.
Era di un’intelligenza spiccata, un senso dell’umorismo innato. Anche se a volte era così sfrontato, provava qualcosa per lui che non provava per nessun ragazzo di Osaka.
Il ragazzo si accorse di essere guardato. Con la bocca piena di sushi si girò verso la ragazza.
  • Beh, che vuoi? Non posso nemmeno più mangiare il sushi?
La ragazza scosse la testa.
Il ragazzo mandò giù il boccone e si pulì la bocca.
- Comunque, qual era il mistero che si celava durante i vostri matrimoni? – disse il ragazzo.
Heiji e Shinichi, complice scoppiarono a ridere. Indicarono al ragazzo le fedi.
- Le avevate perse?! – disse Akumi, meravigliata.
- comunque, Akumi, visto che ieri abbiamo fatto il compleanno, ti ho comprato una cosa.
Le porse un pacchetto di carta rosa, con un fiocchetto oro. Lo aprì. Era una collana, il cui ciondolino si poteva aprire. Aprì anche quello. Dentro vi era una loro foto da piccoli. Avevano entrambi 5 anni, erano vestiti per carnevale lei da principessa e lui da Sherlock Holmes.  
La ragazza sorrise, arrossendo.
  • Anche io ho una cosa per te.
E cacciò un pacchetto, rosso.
  • E’ un libro. – disse il ragazzo. – Molto probabilmente, per la sua piccola larghezza un giallo.
La ragazza non si meravigliò e glielo rifilò lo stesso.
Sulla carta rossa c’era una scritta.
“Per Conan Kudo, il cui intelletto è pari a 0”
Conan sorrise.
Aprì il pacchetto.
“I 10 piccoli indiani, Agatha Christie”.
Lo aveva letto all’incirca una ventina di volte. Ma la ragazza aveva fatto di tutto per comprare un qualcosa di speciale per lui. Sorrise.
  • Grazie mille! Non l’avevo mai letto! – disse, facendo la faccia da ragazzo-che-non-aveva-mia-letto-quel-libro.
  • Davvero?! – poi si rivolse ad Heiji e Kazhua :- ve l’avevo detto che era il regalo giusto! L’avevo detto.
  • Bè, e io perché? Ho sbagliato regalo?
La ragazza sorrise, mise il ciondolo al collo e lo abbracciò talmente forte da fargli risputare qualche chicco di riso.
Veloce come un lampo, Ran cacciò una macchinetta fotografica e scattò una foto.
 
Una foto che rimase in quell’album, accostata a quella di Shinichi e Ran e quelle di Kazhua e Heiji.
Una foto che teneva in se momenti di vita.
Una foto, che aveva più significato al mondo di qualsiasi altra cosa. Perché quei due ragazzi erano destinati.
Akumi era destinata ad amare Conan e Conan ad amare Akumi.
Perché quella ragazza per Heiji e Kazhua era importante.
Perché quel ragazzo era un traguardo imponente per Ran e Shinichi.
Perché quel ragazzo avrebbe fatto piangere quella ragazza.
 
Così imparò a non piangere più.
Pianse di tristezza solo davanti a un film.
Ma non pianse più quando era preoccupata per Shinichi.
In fondo, se lei lo amava davvero, perché avrebbe dovuto dimenticarlo?
 
  
  
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