L – “LOVE”
“Perdere un figlio è perdere una parte di sé stessi”
Dott. Burton Grabin
Forks...Hoh Rain forest
Mi staccai da Lei che ormai era l'alba. Ero stato obbligato da qualcosa di umido ed incredibilmente fastidioso. Aveva iniziato a piovere.
Alice mi prese per mano. Disse che era ora di ritornare a casa.
Mi bloccai, come paralizzato e, lei con me.
Solo allora ripensai a quanto era successo, a quello che avevo fatto. Non avrei potuto ritornare in quella casa, con quei vampiri. Non ne avevo il coraggio.
Istintivamente lasciai la mano di Alice, lei mi guardò sorpresa ed affranta al tempo stesso.
Inchiodai il mio sguardo al suo. Non c'era bisogno di parole. Volevo farle capire ch'era libera di restare, non volevo portarla via dal suo mondo.
Per i pochi istanti che seguirono i suoi occhi si fecero vacui. Quando tornò alla realtà mi disse di aspettare. Avrebbe preso le nostre cose e li avrebbe salutati.
Non ebbi il tempo di risponderle che già se n'era andata, a velocità disumana, la nostra.
Avrei potuto andarmene, raggirarla ma non lo feci. Aspettavo che tornasse. Era più forte di me.
Sentii qualcuno avvicinarsi, con passo felpato, sorrisi all'idea di poter finalmente tornare al mio paradiso personale, fatto solo di me e di lei, privo di tutte quelle occhiate indiscrete.
Quando alzai lo sguardo, pronto ad incontrare il suo sorriso, la mia felicità morì all'istante.
Non era Alice, bensì lui, il capo. Carlisle.
Alice mi aveva tirato un brutto scherzo. Adesso ero solo davanti a lui, il mio sguardo fisso sul terreno, incapace di reggere il suo. Avrei dovuto affrontarlo ma non ne ero in grado.
Saggiavo le sue emozioni alla ricerca di un qualsiasi elemento che mi facesse capire quello che aveva intenzione di fare. Immaginavo che volesse punirmi. Ero pronto. Dopotutto avevo disobbedito ai suoi voleri, avevo attaccato Emmett. Non sarebbe stata la prima volta, soltanto una in più. Tuttavia non riuscivo a sentire la rabbia crescere dentro di lui.
Carlisle era sempre molto pacato, a modo. Non lasciava trasparire la benché minima violenza, mai.
La pioggia batteva sempre più forte ma entrambi la ignoravamo, concentrati su ben altro.
Arrivò tutta all'improvviso, leggera come la brezza del mattino e, mi fece schifo. La sua compassione. Strinsi i pugni, cercando d'intrappolarvi tutto il dolore. Sentivo gl'occhi bruciare ed il suo bisogno impellente di sapere.
“Ti va di parlare?” diretto, dritto al punto, senza bisogno di mezzi termini.
“Signore, credo non ci sia proprio niente da dire! Ed anche ammesso che ci fosse qualcosa, che gliene importa? Lei non è il mio creatore ed io non sono niente per lei.” freddo, gelido, pungente.
Lo sentii avvicinarsi. Ero pronto a ricevere il colpo.
Non arrivò mai.
Si avvicinò e mi abbracciò costringendomi a poggiare la testa sulla sua spalla.
Fu allora che lo sentii. Stava soffrendo, fino all'inverosimile. Avrei tanto voluto modificare le sue emozioni con il mio potere ma temevo la sua reazione. Il suo dolore era incontenibile perfino per me. Fui costretto ad aggrapparmi a lui per non cadere a terra ed iniziai ad annaspare.
Era quella la sua punizione? Torturarmi del mio stesso potere?
Ricordo esattamente ogni singolo istante di quei momenti, di quel giorno che ricambiò la mia vita.
“Quando accetterai l'idea di essere mio figlio?” me lo sussurrò all'orecchio.
Sentii un brivido corrermi lungo la schiena. Era quella la cosa che dovevo cambiare affinché le cose migliorassero?
Continuava a ripetermi che non ero un mostro, che l'immagine che davo di me era falsa, un errore.
Mi disse di voler conoscermi, di voler sapere tutto di me, voleva che gli concedessi la possibilità di conoscermi a fondo.
Continuava a scusarsi del fatto che non aveva saputo ancora capirmi. Mi pregava di perdonarlo se mi aveva, in qualche modo, fatto sentire distante. Io ancora non me ne capacitavo. Non riuscivo a parlare.
“Desidero soltanto offrirti tutto il mio affetto, farti capire che ti voglio bene così come lo voglio ad Alice ed agl'altri miei figli. Voglio semplicemente che tu sia mio figlio ed io, voglio essere tuo padre.”
sentivo che quello che diceva era vero, autentico. Voleva davvero offrirmi tutto. Tutto quello di cui avevo bisogno, se non di più.
“Jasper, ti prego, andiamo a casa, non voglio perdere mio figlio!”
ero io a rendermi infelice giorno dopo giorno. Lui mi stava offrendo quel qualcosa che mancava per colmare, definitivamente, il mio vuoto.
Un brivido, una frazione di secondo, una scossa che mi spinse a muovermi. La forza della speranza che le cose potessero cambiare in meglio.
Finalmente riuscii ad incrociare il mio sguardo con il suo, gli mimai un “grazie” a fior di labbra.
Avevo bisogno di lui, del padre che non avevo mai avuto. Di quello che c'era e ci sarebbe stato nel momento in cui ne avessi avuto o sentito il bisogno.
Ci voltammo verso casa, mi sentivo pronto a ricominciare, a condividere i miei giorni con loro.
Avevo un conto in sospeso con Alice, per avermi “abbandonato” ed il fatto che ancora non si facesse vedere, mi faceva pensare che la sapesse lunga e, dovevo ad Emmett un sacco di scuse.
Li trovai in salotto che se la ridevano. Appena mi videro ammutolirono ed io istintivamente voltai la vista in un'altra direzione. Non sapevo ancora da dove iniziare.
Ci pensò Emmett a risolvere la cosa, così come l'aveva iniziata.
“Ehi Jasper, mi devi la rivincita!” mi voltai. Non c'era bisogno di ulteriori, inutili parole.
Mi consideravano ancora “della famiglia”.
Mi sentii davvero sollevato, ed iniziai a ridere con loro...
cara Alice, so per certo che l'avevi già visto.
Solo che, non me n'ero reso conto, al momento.
Non smetterò mai di ringraziarti di tutto quello che fai per me.
Con amore,
Jasper W.H.C.