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Autore: Chromore    23/10/2011    2 recensioni
Quanto ancora la gente continuerà a dire che certi amori sono sbagliati?
Cosa possono arrivare a fare le persone impaurite dalla diversità?
Piccola One-Shot senza pretese trattante il delicato tema dell'omofobia.
Hope you like it Lucilla88
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(c)lucilla88


So Far Away

Never feared for anything
Never shamed but never free


Ero lì da ore ormai.
I miei occhi avevano finito di lacrimare, s’erano ormai prosciugati.
Potevo solo stare immobile - davanti a quella lapide - cercando inutilmente motivi per vivere.
Era da un mese che lei non c’era più.
Trenta lunghi giorni in cui la mia vita aveva preso a scorrere con inerzia verso un inevitabile baratro.
Dicembre se ne era andato portandosi via la luce della mia vita.
Ed ora, gennaio m’appariva più buio che mai.
La neve cadeva tutt’attorno alla grigia pietra, andando a coprire la rosa bianca che avevo posato solo poche ore prima.
Accorgendomene la sollevai, scrollandola delicatamente senza riposarla sulla superficie fredda e innevata.

Mi sedetti davanti alla Sua foto, incurante del gelo che, come milioni di spilli, mi feriva impietoso.
Rilessi per l’ennesima volta le incisioni sulla lastra, incredula, come ogni volta, che proprio il suo nome potesse essere scritto lì.


Michela Dagar
5/09/1992 – 21/12/2011
“Amata ragazza, fiera di ciò che era, l’odio della gente non la scalfirà nemmeno dopo la morte.”


Avevo scelto io di far scrivere quella frase, ma in quel momento non potevo fare a meno di pensare che, invece si, l’odio l’aveva scalfita.
L’odio l’aveva uccisa.
Ed io? Io ero lì, io respiravo, il mio cuore, pur dolente, palpitava nel petto.
Lei, al contrario, era sotto di me, in una bara, immobile e gelida nella morte.
Mi lasciai trascinare dai ricordi: quelli belli, quelli passati insieme a ridere, a scherzare, ad amarci.
Poi quella sera, una come tante altre; il 19 dicembre eravamo allegre, con la voglia di vivere e amare che scorreva in noi.

Tuttavia, evidentemente, la vecchiaia non era contemplata nel Suo destino. Forse neanche nel mio, perché in quel momento arrivarono loro, pronti a rovinare tutto.
Ci stavamo baciando, noi, due ragazze, una cosa schifosa a detta loro, immorale e sbagliata, contro natura.
Quasi non ci rendemmo di quello che stava accadendo: un momento prima ero tra le braccia della mia Micky, un momento dopo ero in terra mentre il mio stomaco si contorceva a causa dei calci sferrati dai quattro assalitori, dai mostri.
Lei era in piedi tenuta stretta da due tizi, imprigionata fra le loro braccia tese, mentre un altro la picchiava.
Dopo ricordo solo le mie urla, io che li imploro di lasciarla, il sangue che le usciva dalle labbra poco prima baciate dalle mie, ora rotte dai pugni.
Quasi non sentivo il dolore per le percosse e per i calci, ma ricordo bene ogni sensazione provata ad ogni urlo o gemito di dolore della mia Michela.
Non lo auguro a nessuno.
A un certo punto, un po’ per la violenza subita, un po’ per le troppe emozioni verso Micky, sentii le forze che mi abbandonavano e svenni. Buio.


Quando mi svegliai, ore dopo in ospedale, era ormai pomeriggio; mi raccontarono a grandi linee quello che era successo e dei poliziotti mi chiesero se ricordavo qualcosa circa gli assalitori.
Purtroppo non avevo la più pallida idea di come fossero fatti, ci avevano preso alla sprovvista ed io ero troppo presa ad urlare e a guardare lei.
Ad un mese di distanza, le ricerche erano sempre allo stesso patetico punto, non li avrebbero trovati, mai.
Appena la polizia uscì dalla mia stanza chiesi di lei.
“Dov’è Micky?”
I medici mi dissero di non preoccuparmi, che ora la mia priorità era riposare, ma io non volli sentire ragioni. Io dovevo vederla, ne avevo bisogno. Dopo una scena che rasentava l’isteria riuscii a farmi accompagnare nella stanza in cui si trovava promettendo di non sforzarmi troppo.
Quando mi ritrovai di fronte al suo letto sentii il mondo crollarmi addosso, io me l’ero cavata con un leggero trauma cranico, male alla pancia, tanti lividi e qualche graffio.
Lei era addormentata, la faccia tumefatta dai pugni, non aveva un lembo di pelle senza graffi e lividi ed era piena di aghi e tubi, faceva fatica a respirare.
Il mio cuore piangeva disperato, l’ossigeno non mi arrivava più ai polmoni e di istinto mi gettai su di lei abbracciandola.
Senza accorgermene l’avevo svegliata, lo capii solo quando sentii che la stretta, pur debolmente, era ricambiata.
“Ehy, così mi soffochi amore”.
Una frase così semplice le era costata moltissima fatica, ma l’aveva detta per non farmi preoccupare.
Mi misi a piangere.
Faceva fatica a tenere gli occhi aperti e il sorriso che aveva provato a fare risultava più un’orribile smorfia di dolore.
Quel giorno fu l’ultimo in cui le parlai perché, quella notte, mentre dormiva, il suo cuore smise di battere ed il mio perse l’unico motivo per cui lo faceva.
Smisi di pensare a quel orribile giorno, ritrovandomi seduta di fronte a quella lapide. Sapeva che non sarebbe più uscita da quella stanza d’ospedale.
Eppure, in quell’ora passata con lei non me lo fece pesare, mi chiamò amore, come faceva sempre, provò a sorridere.. Più pensavo a lei, più mi mancava.

Appoggiai la rosa, che ancora tenevo in mano, sotto alla lapide e dopo aver accarezzato la foto mi alzai.
Guardai il cielo.
La neve continuava a scendere, incurante della sofferenza che mi stava causando: Micky adorava la neve e l’inverno in generale; tutto mi riportava a lei..
Non potevo veramente capire; l’amore è felicità, se ricambiato, ed il mio lo era. Cosa c’è di tanto sbagliato, di tanto immorale, nell’essere felici? Ognuno dovrebbe poter amare chi vuole, senza restrizioni di genere o simili, quand’è che la gente aprirà gli occhi? Quando la gente capirà che siamo tutti uguali, che uno nasca ricco o povero, gay o etero, nero o bianco, siamo tutti umani; nei nostri petti batte in egual modo un cuore.
Temo che il mondo non lo capirà mai troppo presto, spero che almeno la nostra storia serva a qualcosa.
Feci quello per cui ero andata lì, tirai fuori un pugnale, mi sentivo quasi penosa, ma non riuscivo più a vivere così e il sapere che chi aveva ucciso Michela e picchiato me era a piede libero, tranquillo e senza rimorsi, pensando di aver fatto la cosa giusta, non aiutava.
Fissai il pugnale, incerta sul da farsi.

Avrei trovato il coraggio per usarlo? Tra tutti i dubbi di un’unica cosa ero certa: la situazione in cui vivevo era insostenibile.
Distolsi lo sguardo dal coltello e quando tornai a guardarlo lo trovai bagnato .. E rosso.
Faceva male, ma il dolore era sostenibile se pensavo che entro poco avrei raggiunto la mia Michela.
Mi accasciai sulla lapide e l’ultima cosa che vidi fu la rosa che sotto di me, lentamente, diventava scarlatta.

“Tienimi un posto amore mio, sto arrivando.”

Lay away a place for me
‘Cause as soon as I’m done I’ll be on my way
To live eternally

  
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