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Autore: eleanor89    26/10/2011    14 recensioni
Questa storia racconta dei Malandrini e di tutte le persone venute a contatto con loro a Hogwarts e negli anni successivi; tanti pezzi di vita che possono avere un significato importante nelle loro esistenze o essere episodi di normale quotidianità.
Avanti e indietro nel tempo, momenti di gioia e di dolore: ecco a voi una lunatica e pessimista Lily Evans, Un Frank Longbottom calmo e che non si lascia influenzare dai suoi pazzi amici, una Alice sportiva e dura, una Mary McDonald civettuola e allegra, e naturalmente Severus Snape, Regulus Black, i Lovegood, tutto l'Ordine della Fenice, compresi i magnifici Prewett, la spaventosa Dorcas, e tanti altri ancora.
Ultimo capitolo: Come Alice soprannominò James "Capitano": "James individua Alice da sola il giorno dopo Natale e pensa che avrebbe preferito non aver stampato sulla fronte il segno di una delle pantofole pelose di Remus, che Sirius gli ha lanciato quando ha ripreso a cantare. Le pantofole sono state trasfigurate da lui – ed è abbastanza sicuro che Remus le preferisca così – ed è ingiusto che siano state usate per tentare di stroncare la sua futura carriera."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '70's students.'
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Avviso molto importante da leggere prima del resto: in questo capitolo, come in Dentro il Magazzino, si parla di tortura di minore. Non mi soffermo chiaramente a descrivere ma se preferite evitare, leggete giusto queste note.

Questo capitolo nomina solo di sfuggita i “magnifici otto” che sembrano essere gli unici protagonisti di 70s Students, ma come dice il titolo ho intenzione di parlare anche delle storie degli altri studenti che hanno frequentato negli anni 70, in questo caso do una sorta di conclusione a Cordelia, Jane, Carl, Leonard con qualche piccolo cameo di qualcuno più “famoso”. Dopo lo scorso capitolo in cui ho praticamente ficcato tutti quelli che conosciamo meglio, mi sembrava giusto dar loro un po’ di respiro!

Si può dire che questo capitolo sia soprattutto – ma non solo – un bonus per chi legge Cedric’s Friends, e un giorno arriverà anche quello con gli Stebbins (per chi non lo ricorda, James Stebbins è il ragazzo Ravenclaw che usciva con Mary) perché ho talmente tanti dettagli in mente che mi sembra giusto condividerli con voi.

Un’ultima piccola nota: la mia lettrice-beta ha pensato subito all’autismo, quando più avanti si parla di una persona in particolare, ma in realtà io ho pensato che fosse una combinazione di danno mentale non permanente e dello shock per il trauma subito. In ogni caso, per chi legge Cedric’s Friends, ora sarà tutto molto più chiaro. Più o meno.

 

 

 Il migliore amico di Dedalus [1981-1982-1983-199x]

 

Novembre 1981

Quando arrivò la notizia Cordelia e Leonard stavano preparando la colazione e la piccola Megan, che avrebbe compiuto due anni due mesi dopo, stava allegramente lanciando la sua pappa per la cucina, imbrattando anche i documenti che sua madre doveva portare al Ministero, mentre dalla finestra giungevano i suoni del mondo babbano che si svegliava. Vivevano in un centro babbano dimenticato dal mondo e gli unici maghi che frequentavano dopo il lavoro erano i loro amici Jane e Carl, col loro figlioletto Anthony, dovendo stare nascosti per via della minaccia dei Mangiamorte.

Entrambi, infatti, erano nati-babbani ma nonostante questo Cordelia, dopo aver abbandonato Hogwarts dopo l’anno dei G.U.F.O., aveva continuato a studiare al massimo per poter essere d’aiuto al Ministero e per poter spedire i Mangiamorte e tutti coloro che stavano dalla loro parte ad Azkaban. Leonard aveva trovato un lavoro babbano per poter stare con la figlia quando lei non c’era e perché non poteva più presentarsi al Ministero di quei tempi, mantenendo quindi un profilo decisamente più basso sebbene fosse del tutto dalla parte della moglie: la sua Cordelia in passato era stata una ragazza egoista ed egocentrica ma la guerra, e con la morte di molte delle persone che conosceva, aveva fatto emergere il lato più buono di lei, quello che lui aveva sempre sospettato fosse lì pronto a germogliare, quello che l’aveva spinto a non lasciarla perdere dopo il primo sfortunato incontro quando era diventato suo vicino di casa e per cui  l’aveva inizialmente detestata quanto lei odiava lui.

Ora sembrava una pazzia, un secolo prima, a guardare la piccola Megan che aveva i suoi occhi grigi ma per il resto era l’immagine in versione ridotta della madre e che cominciava già a dire le sue prima parole e far prendere fuoco agli oggetti; era del tutto irreale che non fossero stati sempre insieme a quel modo.  

Quella mattina, in ogni caso, quando sentirono il rumore della materializzazione di qualcuno in giardino, assolutamente proibita ai non purosangue e che poteva essere rintracciata subito dal Ministero, senza contare quanto fosse un’azione sconsiderata da fare in mezzo ai babbani, Cordelia lasciò cadere la padella e corse a prendere Megan in braccio, mentre Leonard afferrava la bacchetta puntandola verso la porta di casa e allungava l’altro braccio verso di loro per una smaterializzazione congiunta che sarebbe stata pericolosissima per la bambina ma forse le avrebbe salvato la vita.

«CORDELIA! LEONARD!» urlò Jane, tempestando la porta di pugni, «APRITE!»

«Hanno ammazzato Carlton» disse Cordelia con un filo di voce, che aveva sussultato appena l’amica aveva cominciato a urlare.

Leonard la guardò con orrore, non lasciandola andare. «Dimostraci che sei tu!» ordinò con voce leggermente tremante.

Ci fu un momento di pausa, poi la donna parlò di nuovo: «Ho pianto come una disperata quando ho letto l’ultimo libro della serie della Strega della Carrozza perché volevo che lei ricambiasse i sentimenti del ladro!»

«È lei» dissero entrambi e Cordelia sospirò rumorosamente, stringendo più forte Megan e baciandole la fronte.

Leonard andò ad aprire la porta di fretta, un po’ irritato perché se Jane si fermava a parlare della trama del suo libro preferito suo marito stava di sicuro bene. «Non eravamo d’accordo che avresti avvisato prima di saltare qui? E non dovresti materializzarti, potrebbero rintracciarci tutti!»

«Rintracciarci chi?» domandò lei, con lo stesso finto atteggiamento da “sono più stupida di quel che sembro” che usava da ragazza e che Leonard odiava cordialmente.

«I Mangiamorte!» esclamarono sia lui che Cordelia, preoccupati per Megan.

E Jane rise allegramente, di una gioia che lasciò entrambi di stucco. «Dubito che i Mangiamorte saranno ancora un problema, considerato che a quest’ora si stanno nascondendo! Non avete letto i giornali? Visto i gufi? O i maghi per strada?»

Cordelia lanciò un’occhiata alla finestra e poi di nuovo a lei, mettendo delicatamente giù la bambina e rendendosi conto di quanto stesse tremando, «Cosa stai…»

«È caduto, Voi-Sapete-Chi è morto! È stato sconfitto da Harry Potter!»

«Cosa? Chi è Harry Potter? Cosa stai dicendo?» esclamò Leonard, afferrandola forte per le spalle e non osando crediti. «Jane, ma sei…»

In quel momento sentirono lo scoppio di fuochi d’artificio che non dovevano essere troppo lontani da lì, e lui e Cordelia corsero ad affacciarsi alla porta. Carl era lì fuori con Anthony tra le braccia, ed entrambi stavano stringendo la mano a un altro mago che indossava una veste verde sgargiante nel bel mezzo della strada, ignorando i babbani che li fissavano.

«Oddio… Oddio, oddio, oddio…» cominciò a dire Cordelia.

«Penso di aver bisogno di sedermi» mormorò lui, sedendosi nel gradino di casa. Dietro di lui Jane aveva preso in braccio la figlioccia che stava canticchiando parole incomprensibili.

«E sì, Meggy, c’è proprio di che festeggiare e cantare!» rise Jane.

Cordelia chiuse gli occhi e sorrise. Era finita, ce l’avevano fatta.

«Jane?»

«Mh?»

«Chi è Harry Potter?»

 

Se li ricordava bene, Lily Evans e James Potter. Se li ricordava a Hogwarts, quando ammirava lui e detestava lei, perché a quei tempi lei era stupida, persa nel suo mondo e fissata solo coi vestiti e i ragazzi, e aveva odiato Lily Evans perché a suo parere era una ficcanaso so-tutto-io, un prefetto, e non diceva di sì a Potter, così che lei e le altre ragazze si erano spesso trovate vittime dei tentativi di lui di ingraziarsela, fosse anche solo soffocate dei fiori apparsi in quantità esagerata per via di un incantesimo andato male durante la notte; poi lei, Cordelia, era diventata meno stupida e li aveva rivisti a casa di Black e aveva scoperto così che finalmente i due stavano assieme. C’era stato il funerale di Mary MacDonald, la persona che le aveva dato la spinta finale per crescere e diventare migliore, e subito dopo e da lì non li aveva visti più.

Ora scopriva che James e Lily avevano un bambino, un bambino che in qualche modo aveva salvato il mondo e che, a guardare la foto sul giornale dove i due mostravano il piccolo Harry con orgoglio tenendolo abbracciato e baciandolo, sembrava essere la copia in miniatura del padre.

Era quasi un’estranea eppure Cordelia pianse tutto il giorno, dopo la mattina passata a scorrazzare per la strada come cretini tutti e sei a festeggiare la caduta di Tu-Sai-Chi, perché piano piano aveva realizzato che sarebbe potuta morire anche lei, come Lily, prima della fine della guerra, perché l’unico delitto di Lily era stato combattere dalla parte giusta – come faceva lei più indirettamente – ed essere una nata-babbana.

Come lei, appunto.

Ma a differenza sua Lily non avrebbe cresciuto Harry, Lily non lo avrebbe accompagnato alla stazione Nove e Tre Quarti, Lily non l’avrebbe più tenuto tra le braccia e coccolato, non lo avrebbe consolato se avesse fatto brutti sogni e non avrebbe cucinato per lui la colazione e non l’avrebbe imboccato e impiastrato la cucina di pappa.

Cordelia sentì di essere immensamente fortunata e di aver un obbligo nei confronti della donna che era stata l’ultima nata-babbana a morire per mano di Tu-Sai-Chi. Doveva continuare la sua opera facendo in modo che tutti i Mangiamorte finissero ad Azkaban, non importava quanto fossero importanti o ricchi. Ormai lei aveva finito di studiare e poteva partecipare attivamente alle indagini e ai processi, e avrebbe fatto del suo meglio anche per quella donna che non sarebbe stata fortunata come lei che in quel momento aveva la sua bambina tra le braccia e la cullava dolcemente perché dormisse.

Sollevò lo sguardo e incontrò quello di Leonard, che aveva il viso arrossato per via di qualche bicchiere di troppo con Carl e le sorrideva con amore. Sapeva che lui l’avrebbe capita e aiutata e questo le diede la forza di non mollare.

 

Giugno 1982

La casa dove Mary MacDonald aveva abitato era piccola, aveva un solo piano e sembrava abbandonata da secoli invece che da pochi anni. Era stata lasciata intatta dai maghi e nessuno aveva osato viverci, perché tutti sapevano che la donna che vi aveva abitato era una Mangiamorte della famiglia Rosier e poteva averci lasciato dentro qualsiasi artefatto di magia nera. Il caso era stato archiviato dopo la morte della strega e Cordelia si era offerta volontaria, essendo ormai una sorta di tuttofare per il Ministero, di darle un’occhiata per poter finalmente mettere una fine a quella faccenda.
Era stata accompagnata ovviamente da Auror e da un vecchio compagno di scuola, Dedalus Diggle, che apparentemente teneva a Mary più di quanto lei avesse notato, presa com’era da se stessa e poi lasciando Hogwarts. Lui in ogni caso l’aveva riconosciuta subito e le aveva sorriso incoraggiante da sotto il suo ridicolo cappello giallo a pois.

«Non sei cambiato per niente.»

«Io invece non avrei mai immaginato che ti avrei trovata a lavorare per il Winzegamot» commentò lui con voce squillante. «Così giovane…»

«Ho potuto aiutare perché erano disperati, e ormai mi sono fatta le ossa e mi hanno permesso di restare» confessò Cordelia, guardandosi attorno. Gli Auror stavano facendo quasi tutto il lavoro e loro due, senza neppure mettersi d’accordo ma di puro istinto, cercarono la camera di Mary.

«Alla fine tutti i nostri compagni hanno avuto un ruolo cruciale nella fine della guerra o almeno nella guerra stessa, hai notato? I Gryffindor, almeno…»

«Ho notato» mormorò lui con aria curiosamente assente. «Non che tu te ne sia tenuta in disparte» aggiunse con un sorriso. «Ah, e hai la fede.»

«Ho anche una figlia» sorrise lei, orgogliosa.

«Ma dai? Come si chiama? Quanti anni ha?»

«Megan, ha quasi tre anni…» la sua voce si spense quando spinse la porta dell’ennesima camera aperta.

«Oh, Merlino…» fiatò appena Dedalus. «Ha bruciato tutto.»

I muri della stanza di Mary erano anneriti e a pezzi, e ormai restavano solo i resti del letto e di qualche scaffale.  

«Sarà stato dopo la morte della figlia…» mormorò Cordelia. «Del resto c’era lei dietro, sai?»

«Sospettavo» ammise lui senza guardarla in faccia. «Ma Mary ha lasciato casa sua tra il quarto e il quinto anno. Forse è stato già allora. Che donna malata, la madre…»

«Ho sentito che è morta in uno scontro, che è caduta da sopra un centro commerciale babbano…»

«Così dicono.»

Entrambi fecero qualche incantesimo per rivelare la presenza di qualcosa di magico nella stanza, ma fu un buco nell’acqua e i due uscirono in fretta.

«Non ricordavo che se ne fosse andata… o forse non me l’aveva detto…» dichiarò infine Cordelia, imbarazzata.

«Ha passato una settimana a casa mia una volta. Durante l’estate dopo il quinto» la informò Dedalus all’improvviso, proprio quando lei pensava che avrebbe cambiato discorso. «Non sapeva dove andare.»

«Ero proprio una persona orribile, se non mi ha chiesto aiuto neanche allora…» sospirò lei. Dedalus le diede un altro sorriso incoraggiante.

«Frequenti ancora qualcuno dei nostri ex compagni?»

«Jane, la mia migliore amica. È sposata con Carl Goldstein, te lo ricordi? Era un Ravenclaw che frequentava con noi. E ho visto Alexis ogni tanto…»

«Ah, sì, anche io! So che ha avuto una bambina che si chiama Hannah!» esclamò a voce troppo alta e un Auror gli scoccò un’occhiataccia. Cordelia pensò che davvero non era cambiato affatto. «Hanno tutti avuto figli prestissimo, pensa te… Pensa che Dean Jordan ha un bambino di cinque anni!»

«Ma cinque anni fa eravamo a scuola!»

«Lo so, ma c’erano le vacanze» rise lui. «Guarda che anche Stebbins dei Ravenclaw ha fatto lo stesso all’ultimo anno… E dire che io non ho neanche la fidanzata!»

Lei ridacchiò e annuì, fermandosi davanti a una porta più piccola delle altre e tentando di aprirla senza successo.

«Beh?»

«Avete trovato qualcosa?» domandò un Auror con voce profonda e rassicurante.

«Questa porta, ma non si apre neanche con l’Alohomora.»

L’uomo, una sorta di gigante in confronto a lei, sussurrò un incantesimo che lei non conosceva, e per un istante fu visibile una barriera verde che si dissolveva. L’Auror chiamò anche i suoi colleghi, che entrarono per primi mentre Dedalus si tratteneva accanto a lei. Attesero entrambi il permesso di poter entrare e poi si ritrovarono a scendere degli scalini ammuffiti e scricchiolanti.

«Uno scantinato…» disse lei, che aveva bisogno di parlare per mantenersi calma. C’era qualcosa lì sotto che le dava i brividi.

«Catene» disse Dedalus invece, facendola sobbalzare e indicando il muro davanti a loro. Dei catenacci spuntavano dai mattoni all’altezza della sua testa.

«Non crederai…» cominciò lei.

«Penso che avremmo notato i segni delle manette sui suoi polsi. O uno dei suoi ragazzi l’avrebbe fatto, comunque» disse lui velocemente. Cordelia ebbe l’impressione che stesse cercando di convincersene ma poi si rese conto che, per quanto presa da se stessa, aveva osservato molto bene Mary dopo il suo cambiamento improvviso al quinto anno e avrebbe di sicuro visto segni di torture. Il padre di Mary, d’altro canto…

«Cos’è questo?» domandò un Auror, illuminando una porzione di terra davanti a sé. «È nera.»

«L’ultima volta che qualcuno è stato visto uscire da questa casa è stato sette anni fa, giusto?» domandò un altro Auror, guardando poi Cordelia. «Sto per usare un incantesimo per riportare questo pezzo di terra smossa a com’era allora, d’accordo? È solo un’illusione, non si spaventi.»

«Un’illusione» ripeté lei debolmente. «Come in un Pensatoio.»

«Esattamente.»

«Fico» commentò Dedalus con voce acuta.

Qualche secondo dopo il pezzo di terreno cominciò a muoversi e poi cominciò a brulicare di vermi. Cordelia non poté fare a meno di cacciare uno strillo, arrossendo subito dopo.

«È come se tutti i vermi del mondo fossero venuti a morire qui» osservò un Auror in tono disgustato. «Ci dev’essere un incantesimo che li crea dal nulla, è impossibile che tutti questi vivessero qui sotto»

«In realtà sì, c’è un incantesimo simile, lo usano i nozionisti o quelli che si occupano di certi animali. Risponde alla magia e dura una decina di minuti, creando vermi fino all’ultimo secondo. E sono vermi veri, Jo. Viene attivato da qualsiasi tipo di energia magica usata sul terreno scelto, se anche uno schiantesimo colpisse questa zolla comincerebbe a saltar fuori vermi» spiegò l’Auror che aveva effettuato l’incantesimo. «Ciò vuol dire che metà dei vermi che vediamo sono quelli che spuntavano allora, l’altra metà sta spuntando adesso.»

«Ho dimenticato qualcosa di sopra» annunciò un collega, causando qualche risata dai compagni.

Cordelia si aggrappò a Dedalus per il disgusto e poi notò la sua espressione e gracchiò un: «Cosa c’è?»

«Mary quasi sveniva alla vista dei vermi.»

Lei lo fissò con orrore, guardò di nuovo le catene, ripetendosi che se ne sarebbe accorta, e poi un pensiero orribile la colpì e spinse via il mago, ignorando la sua espressione scioccata, per poter correre sulle le scale. «Lumos!» esclamò, chiudendo la porta davanti a sé e osservandone il legno, temendo di trovare la conferma delle sue ipotesi.

L’Auror che voleva tornare in fretta di sopra per evitare i vermi era già dietro di lei e trasalì scioccato. «Kingsley, vieni qui e rifai quell’incantesimo! Quello per vedere com’era qualche anno fa questa porta!»

«Non credo ce ne sia bisogno» disse Cordelia, non riconoscendo la propria voce mentre sfiorava la porta con le dita. Improvvisamente le era tornato in mente il primo settembre del quinto anno, quando Mary era arrivata e sembrava un’altra persona, e aveva dichiarato di essere caduta o qualcosa di altrettanto stupido o poco credibile che lei aveva dato per buono perché non era interessata davvero, in risposta ad Emmeline che preoccupata le chiedeva se “aveva preso a pugni un muro”. Non aveva segni di manette o di alcuna costrizione fisica, del resto tenerla ammanettata al muro a quell’altezza avrebbe voluto dire che sarebbe rimasta in piedi anche da addormentata, ma le sue nocche erano distrutte e le dita graffiate…

«Questa porta è stata presa a pugni, e guarda i graffi, Kingsley: qualcuno voleva chiaramente scappare da qui, forse per i vermi o qualcosa del genere, ma la porta era chiusa a chiave e ha dato di matto. Scommetto che se usi quell’incantesimo vedremo anche sangue… Sta bene, signora Jones?»

«Suppongo sia troppo per lei» disse Kingsley, sempre in tono calmo. «Dedalus, portala a prendere una boccata d’aria… Sembra che ne abbia bisogno anche tu.»

Cordelia e Dedalus non parlarono, mentre bevevano un tè caldo fuori dal bar babbano una strada oltre la casa di Mary. Quando ebbero finito lui le poggiò una mano su una spalla per qualche secondo, la strinse e poi sparì.

Lei tornò a casa in silenzio e si gettò tra le braccia di Leonard, che non le chiese nulla ma lasciò che fosse lei a decidere quando parlare. Cordelia gli baciò una guancia e poi allungò una mano verso Megan, che aveva fatto capolino dalla porta della cucina con un disegno e un pastello rosso in mano.

«Ti fa male la pancia?» domandò la bambina, vedendo la sua espressione.

«No, mi fa male qui» disse Cordelia, toccandosi il petto. «Ma sto già molto meglio.»

«Bacio e va via?» domandò la bambina e lei si chinò ad abbracciarla e le porse una guancia, che la bambina baciò.

«Hai ragione, tesoro. Il bacio ha mandato il dolore via.»

 

Marzo 1983

Cordelia si massaggiò le tempie sperando che non le tornasse il mal di testa da troppo stress che la tormentava da mesi a quella parte: mancava poco alla fine di tutti i processi ai Mangiamorte, a un anno e mezzo dalla caduta del loro “Oscuro Signore”.

Alla fine decise che poteva concedersi una pausa, dato che solo il mese prima aveva contribuito enormemente all’arresto di Augustus Rookwood, padre del suo omonimo ex compagno di scuola, e che il giorno precedente aveva di nuovo fornito testimonianze decisive nel processo all’ultimo Rosier rimasto in libertà. Mancavano solo Alecto e Amycus Carrow, che erano stati particolarmente bravi a non lasciare tracce, e poi tutti i soggetti delle foto, documenti e memorie che teneva nella sua soffitta sarebbero stati dentro Azkaban. Ma per il momento poteva lasciare il puzzle dei Carrow incompleto e scendere a mangiare qualcosa di caldo con suo marito e sua figlia.

Chiuse la porta a chiave, perché Megan stava imparando a frugare dappertutto e non era il caso che vedesse certe immagini, e si affrettò a scendere di sotto. Passava quasi tutti i giorni a casa per lavoro e quando non c’era lei era Leonard a prendersi cura della bambina, a meno che non fosse in viaggio, e in quel caso avrebbero chiamato i suoi genitori che erano sempre felicissimi di aiutare; nonostante questo sentiva di trascurare sua figlia e cercava sempre di sfruttare al massimo le ore che passavano assieme. Non che Megan si lamentasse, dato che era la bambina più adorabile del mondo, oltre che precoce per quanto concerneva il comunicare. Per dirla come Jane “non sta zitta un secondo e parla già meglio di noi”. La preoccupava però il fatto che quando la portavano a giocare con Anthony lei non lo calcolasse minimamente, così come non giocava coi bambini al parco, ma Leonard era sicuro che fosse normale per la sua età e che avrebbe interagito con gli altri quando lo avesse ritenuto opportuno. Tecnicamente Leonard pensava anche che gli altri bambini fossero stupidi e per questo Megan si annoiava con loro, ma non era certo qualcosa che avrebbe detto a Carl e Jane.

«Ciao mamma!» salutò Megan, con un gran sorriso e un vestito rosa che la faceva somigliare a una caramella. Anche gli elastici nei suoi capelli erano rosa e Cordelia si portò le mani al cuore.

«Quanto sei carina…»

«Lo so» disse Megan serissima, e lei sentì Leonard ridere dal salotto. «Mamma, mi fai cucinare stasera? Mi puoi anche aiutare.»

«Ah, io posso aiutare te?»

«Ti faccio vedere io come si fa» replicò lei con aria d’importanza.

«Diventerà una cuoca da grande» commentò Leonard, orgoglioso.

«O una pozionista.» azzardò Cordelia, prendendo la bambina in braccio. «Potrai impastare, va bene? Ma non devi avvicinarti al fuoco.»

«Certo» convenne lei. «Ma lo sai che oggi Anthony ha detto “voglio acqua” bene?»

«No! Sul serio?» esclamò Cordelia, voltandosi verso il marito che annuì.

«Carl se la stava facendo sotto.»

«Ma perché Anthony non parla come me?» domandò Megan, contrariata. «È scemo?»

«No che non è scemo!» strillò lei, coprendo la risata sguaiata di Leonard. «È piccolo, monella! Te l’ho già detto, ogni bambino parla quando ce la fa, ognuno ha i suoi tempi!»

Megan non sembrò convintissima. «Non riesce a dire la erre e la gli

«Molti bambini non ci riescono.»

«Va bene…» accettò lei, sempre riluttante. «Cosa stai facendo?» domandò poi a voce più alta, indicando i ferri da calza che stavano lavorando da soli.

«Un’altra sciarpa per te, visto che hai bruciato l’altra» spiegò lei, mettendola giù dopo averle dato un bacio. «Andiamo a cucinarci la merenda.»

«Sììììì!» strillò lei, correndo verso la cucina e cadendo due volte per via della fretta. Cordelia alzò gli occhi al cielo e Leonard rise di nuovo, sfogliando il giornale. «Ma lo sai che io so cucinare meglio di papà?»

 

Era passato un mese esatto; Leonard era al lavoro e Cordelia, in pausa da quella mattina sino a quando lui non sarebbe tornato, stava rassicurando Megan sul fatto che suo zio Carl stesse scherzando a proposito di farla sposare con Anthony e che lei poteva sposare chi voleva, quando suonarono alla porta.

«Questo è tuo padre che ha scordato le chiavi di nuovo» commentò lei, dandole un buffetto sulla guancia.

«Mamma, posso sposare te quando sono grande?» domandò Megan, giocando coi suoi codini.

«Non ce n’è bisogno, tu sei già l’amore della mia vita» rispose Cordelia, aprendo la porta, «Leo…»

Ammutolì di fronte all’estraneo dall’aria familiare che si era trovata davanti.

«Signora Jones… Non so se si ricorda di me, eravamo a Hogwarts nello stesso anno…» disse l’uomo, suonando incerto. Si grattò una guancia, guardandola intimidito. «Sono Augustus Rookwood. Junior, ovviamente.»

Cordelia si ritrovò incapace di controllare il stesso corpo: pensò di chiudergli la porta in faccia e scappare, ma non riuscì a muoversi di un millimetro.

«Oh, non sono qui per litigare!» si affrettò a dire lui, imbarazzato, «Sono qui per ringraziarla.»

«Cosa?» fiatò lei.

Augustus, che ora riusciva a riconoscere, ed era dimagrito e dall’aria stanca, quasi si inchinò. «Hai liberato me e mia madre di quell’uomo. Era un incubo, dalla parte dei Mangiamorte, ed eravamo entrambi troppo spaventati per chiedere aiuto. Ti ringrazio di cuore.»

«Oh!» esclamò lei, sentendosi in colpa per essersi spaventata. «Entra, mio marito sta arrivando. Bevi qualcosa.»

«Oh, non vorrei disturbare…» si schermì lui facendo un passo indietro.  

«Nessun disturbo. Stavo giocando con mia figlia.»

Augustus si illuminò: «Ha una bambina? Ah, non ne avevo idea! Quanti anni ha?»

«Ne ha compiuti tre a dicembre scorso» rispose Cordelia, facendosi da parte. «Prego.»

«Grazie mille, giusto per un tè» disse lui, entrando in casa e guardando a terra. Sollevò lo sguardo solo quando lei chiuse la porta, e trovò Megan che lo fissava con sospetto dalla porta della cucina, trattenendo un lembo del suo vestitino giallo con le mani.

«Ciao piccolina!» salutò in tono più allegro. «Come ti chiami?»

Megan avanzò tutta impettita, «Megan Jones. Tu chi sei?» domandò in tono petulante.

«Augustus Jr Rookwood, cara.» sorrise lui.

«Venite in soggiorno, preparo il tè.» fece strada Cordelia.

Augustus le sorrise.

 

Quando Cordelia riuscì ad aprire gli occhi si trovò legata a terra, e davanti a lei stava seduto Augustus con le gambe incrociate e la testa tra le mani, che la fissava. A un passo da lui c’era Megan, anche lei legata e apparentemente priva di conoscenza.

«Se urli o anche solo parli, le taglio la gola davanti a te» la informò Augustus allegramente.

Cordelia si sentì morire.

«È solo svenuta. Non l’ho toccata. Non sono Greyback» continuò lui con calma. «Sono stato cresciuto meglio. Vedi, sono stato cresciuto meravigliosamente da un padre il cui unico problema è stato farsi beccare, e tu l’hai sbattuto in prigione, alla sua età, ed io non lo vedrò più di sicuro perché tanto sappiamo bene entrambi che i Dissennatori non lasciano nessuno vivo anche se non si prendono la briga di baciarlo. Ora, cosa dovrei fare io con te? Non ho moglie, non ho figli… Ho pensato che avrei potuto uccidere i tuoi genitori per essere pari, ma loro sono babbani e non valgono la morte di mio padre… Quindi ecco quello che faremo: io userò un Imperio su di te e tu sveglierai la piccola Megan e vedremo cosa succederà.»

Cordelia cominciò a scuotere la testa, ancora incapace di parlare non solo per il divieto ma per il terrore, e Augustus le sorrise così ampiamente che il ghigno sembrò spaccargli la faccia in due.

«Oh, so che al Ministero ogni tanto controllano ancora che non vengano usate le Senza Perdono, ma avete diminuito i controlli sull’Imperio prima che sulle altre, e in ogni caso a quest’ora chi vuoi che guardi? E tanto, anche se scoprissero quello che succede e mandassero gli Auror, li sentirei arrivare e mi smaterializzerei. Non c’è nessun incantesimo a protezione di questa casa, ho passato il pomeriggio a toglierli uno dopo l’altro. Un camion fa particolarmente rumore? Ecco che salta l’anti-smaterializzazione. A Megan cade una pentola? Ecco che in quel momento posso togliere l’allarme.»

Le lacrime riempirono gli occhi di Cordelia: Ti prego, Leo, torna a casa, Leo salvaci, salva Megan, almeno Megan… Ha solo tre anni, solo tre…

E di colpo si sentì come soffocare nel suo stesso corpo e addormentare con la forza. Un attimo dopo la sua bocca, la sua lingua, le sue corde vocali, tutto fu mosso da una forza esterna che lei non poteva combattere.

«Innerva

Vide Megan svegliarsi lentamente e poi tentare di mettersi a sedere nonostante le funi attorno al suo corpo. Cercò di parlarle, ma riuscì a malapena a pensare di farlo.

«Finalmente» si sentì dire in tono aspro, e notò che Augustus non era più in vista.

«Mamma?» Megan la guardò estremamente confusa.

Lei si alzò in piedi, non essendo più legata da nulla di tangibile. «Ti sto per cacciare via. Io e papà non ti vogliamo più.»

«Mamma?» ripeté Megan, che era così sbalordita da non essere ancora spaventata. Poi la bambina sorrise, pensando che scherzasse, e lei si sentì spezzare il cuore.

«Dico davvero, Megan. Hai visto quanti soldi spendiamo per i tuoi vestiti e per darti da mangiare? E io e Leonard non possiamo neanche farci un viaggio perché abbiamo te che succhi tutti i nostri soldi e le nostre energie… sei una bambina brutta, stupida e cattiva e noi non ti vogliamo più.»

Il sorriso di Megan era sparito e la bimba cominciò a sembrare spaventata, oltre che sul punto di piangere. «Non sono brutta! Non sono cattiva e stupida! Tu lo sei!»

Lo schiaffo partì subito e Cordelia desiderò con tutta se stessa di poter chiudere gli occhi e morire, mentre Megan cominciava a piangere. «Non rispondere a tua madre! Io ti ho fatta nascere, non ti permettere! E me ne sono pentita, lo sai? Ho sempre fatto finta di volerti bene, ma non ti vuole bene nessuno!»

«NON È VERO!» strillò Megan e uno dei lacci che la legavano saltò, mentre il comodino accanto a lei prendeva fuoco. «MAMMA!» urlò con furia, scalciando come poteva e tentando di raggiungerla coi piedi.

«È vero! Guarda cos’hai fatto! Sei un disastro! Non avrei dovuto farti nascere! Io sono una sanguesporco e lo sei anche tu! Adesso la mamma ti punirà!»

Cordelia sentì la sua mano prendere la bacchetta, una voce dire “crucio!” nella sua testa, e quella fu come una doccia fredda. Si ritrovò all’improvviso più sveglia e cominciò a lottare contro Augustus con tutte le sue forze, ma lui era ancora al comando e la sua bocca parlò: «Crucio

Gli strilli furono due, e Cordelia, disperata e accecata dall’odio e dalla furia riuscì dopo qualche secondo a liberarsi e a voltarsi in cerca di Augustus per ucciderlo, ma fu disarmata mentre Megan continuava a urlare di dolore alle sue spalle anche ora che non aveva più la bacchetta puntata contro. Lei, con le orecchie che ronzavano e a malapena in grado di reggersi ancora in piedi, fu colpita da un pugno e crollò a terra accanto alla figlia.

Augustus le sorrise: «L’amore della mamma che ti libera dalla maledizione, che cosa toccante… STUPEFICIUM!» urlò facendo una giravolta.

E Leonard cadde davanti all’ingresso, sbattendo contro il muro. La sua bacchetta volò a terra e Cordelia cominciò a singhiozzare mentre Augustus la legava di nuovo.

 

Leonard era appena tornato dal lavoro, prendendo il taxi perché il loro era un quartiere babbano, e aveva appena messo piede sui gradini di casa quando aveva sentito le urla. O meglio, l’urlo, perché oltre alla voce di Cordelia che strillava “NO!”, udì anche la voce di sua figlia, la sua piccola Megan, che strillava in un modo in cui nessun bambino mai avrebbe dovuto strillare.

Gli s accapponò la pelle e sentì il gelo dentro, mentre sollevava automaticamente la bacchetta e sparava un fascio di scintille rosse alto in cielo, pregando che i vicini babbani non fossero menefreghisti come quelli che aveva incontrato in passato e che chiamassero un qualsiasi tipo di aiuto, e che qualcun altro di più efficiente vedesse il segnale e mandasse gli Auror.

Spalancò la porta di casa e guardò nella direzione sbagliata, perché fece appena in tempo a sentire uno “stupeficium” urlato alle sue spalle prima di svenire.

 

«Avrei dovuto saperlo, anche gli animali hanno questo genere di forza nascosta, no? E le bestie, apparentemente»

«Tu sei la bestia, schifoso bastardo…» sussurrò lei.

Augustus rise, trascinando il corpo incosciente e legato del marito accanto al suo.

«Io sarei la bestia? Tu hai portato via mio padre, troia. Innerva. Oh, ciao Leonard, ben svegliato. Tua moglie si chiedeva proprio dove fossi, ne sono certo. Stupido da parte tua venire qui da solo e non chiedere aiuto, ma immagino che le urla di tua figlia fossero troppo per te…»

«Perdonami…» mormorò Leonard e Cordelia chiuse gli occhi.

«Scommetto che credi di aver ripulito il mondo dalla feccia, non è così? Beh, lascia che ti dica una cosa: VOI SANGUESPORCO SIETE LA FECCIA! E TU STA ZITTA!» abbaiò Augustus rivolto a Megan che ormai singhiozzava e lo guardava con gli occhi iniettati di sangue. «ANNI E ANNI A FAR FINTA DI NON SENTIRE IL VOSTRO FETORE E A LAVORARE PER DISTRUGGERVI E tu… tu, troia… CRUCIO

Cordelia sentì Leonard urlare e poi tutto il suo mondo fu solo dolore, ed essere pugnalata e bruciata e dilaniata finché Augustus non si fermò e lei ricadde con la schiena completamente rigida e le gambe che ancora battevano a terra. Voltò il collo con una spinta dolorosa e vide che Megan la fissava con gli occhi spalancati e la bocca aperta ancora tremolante.

«Dovresti stuprarti qui, davanti alla tua famigliola felice, ma non toccherei mai una come te… Sei fortunata persino ora, te ne rendi conto? CRUCIO

Cordelia urlò di nuovo e Leonard cominciò a implorare pietà, di prendere lui, di lasciarle andare.

«TU SARAI IL PROSSIMO!» urlò Augustus, dall’aria stravolta e sovreccitata. «CRUCIO

Cordelia strillò così forte da sentire il sapore del sangue in gola, gli occhi le rotearono nelle orbite e le sue unghie si conficcarono nelle sue cosce mentre tentava di porre fine a quel supplizio.

«FERMATI!» urlò anche Leonard.

«Silencio, bastardo… CRUCIO

«BASTA! TI PREGO! BASTA!» urlò infine Cordelia, straziata, e incontro di nuovo lo sguardo di Megan, che era paralizzata dall’orrore. Sentì un singhiozzo alla sua sinistra, dove Leonard era steso.

«Questo è ciò che i sanguesporco come te dovrebbero fare: implorare, urlare, MORIRE! CRUCIO

«NO! BASTA! PIETÀ! PIETÀ!»

«TU NON HAI AVUTO PIETÀ DI MIO PADRE O DI ME! SCHIFOSA BABBANA! CRUCIO! SPORCA LADRA DI MAGIA! CRUCIO

«NO! MI DISPIACE! AIUTO! QUALCUNO…» le mancò la voce all’ultimo e poi un’altra fitta di dolore, nonostante lui si fosse fermato, le attraversò il petto: «AIUTATEMI

«Mamma!» pigolò Megan.

Cordelia inspirò rumorosamente, cercando di dirle di stare zitta. 

«Oh, senti la piccola che ti chiama... Tranquilla, bestiola, tra poco verrai al posto della mamma insieme al tuo paparino sanguesporco.»

«Ti prego, no! Lasciali stare... È colpa mia, lasciali stare... Uccidi soltanto me... La mia bambina...» lo supplicò, più spaventa di quanto non fosse mai stata.

«Crucio!»

«NO! NO!» strillò e quando lui smise di agitare la bacchetta come un forsennato, lei capì che stava per ucciderla e cercò di dire a Megan che l’amava e che era stato lui a farle dire queste cose orribili. Ma Megan era di nuovo zitta e immobile, lei non riusciva a parlare, e Augustus si era appena avvicinato a lei.

«Guardala bene la tua bambina, guardala, e ricordati che sei stata tu a volere tutto questo, che sei stata tu a condannarla...» ringhiò lui, afferrando la testolina di Megan con una mano perché la bambina la fissasse. Cordelia trattenne l’urlo solo perché la bambina non aveva dato segno di sentir dolore. «Sai che fine hanno fatto i Longbottom, non è vero? Lo sanno tutti che quando Bellatrix ci prende gusto... Ma sì, lo sai, anche tu fai parte del Ministero, lì a giudicare, a fingere che voi sanguesporco siate come noi... Sai cosa farò? Farò in modo che la tua bambina diventi esattamente come loro.»

«No, la mia bambina no, ti prego...» singhiozzò, «Ti supplico... qualunque cosa...»

«La tua bambina è già pazza quanto tu sei già morta. Avada Kedavra!»

Il lampo di luce verde illuminò il salotto, e Leonard chiuse gli occhi e aspettò che il proprio cuore smettesse di battere.

«Ora tocca a te, Leonard. Posso chiamarti Leo? Puoi parlare di nuovo, sai? Come ci si sente a sapere che ora ucciderò anche te e farò della tua bambina una malata di mente sbavante che vivrà al san Mungo a vita?» lo stuzzicò Augustus. «Avresti dovuto davvero chiamare aiuto, sai? Nessuno mi troverà qui, al Ministero non controllano più le smaterializzazioni e da qualche giorno hanno mollato anche le Maledizioni… A quest’ora saranno tutti a cena dalle loro famiglie, e voi-»

Non poté continuare perché fu colpito da due stupeficium che arrivarono direttamente dalla finestra aperta, e il Mangiamorte si schiantò al suolo con espressione esterrefatta.

«BACCHETTE A TERRA!» urlò un uomo, aprendo la porta con un calcio. «Col potere conferitomi dal Ministero della Magia siete in arresto! Tania!»

Una donna entrò subito dopo di lui e Leonard registrò distrattamente che avevano l’uniforme Auror, prima di chiudere di nuovo gli occhi.

«Oh, Merlino, una bambina!»

«Sta arrivando anche la polizia babbana, i vicini hanno sentito le urla…» cominciò l’uomo, avvicinandosi a Leonard e sciogliendo le funi che lo trattenevano. «Ci sono state segnalate le scintille e anche l’utilizzo dell’Imperio e della Cruciatus in questa casa… È viva?» domandò poi, rivolto alla donna di nome Tania che stava chinata sul corpo esanime di sua moglie.

«Non lo è…» sussurrò Leonard.

«Mi dispiace tanto…» disse Tania in tono orribilmente pratico, quello di chi l’aveva detto migliaia di volte, prima di liberare velocemente Megan. La bambina non piangeva più ma appariva del tutto impietrita. «Povera piccola…»

«Lei è il signor Jones…» disse l’Auror che aveva parlato per prima, mentre gli altri Auror stavano portando via Augustus. «Sono Basil Runcorn, del dipartimento Auror. Porteremo subito lei e sua figlia al San Mungo, ma abbiamo bisogno di farle immediatamente alcune domande o di prelevare le sue memorie.»

«Prendete tutto, cancellate tutto…» disse lui, guardandosi attorno e non riconoscendo più la casa. Un attimo dopo crollò svenuto.

 

Jane non riusciva a stare ferma e continuava a fare l’andirivieni dalla cucina alla sala da pranzo, con Anthony che continuava a fare i capricci perché voleva mangiare del cioccolato prima di aver finito la cena.

«Anthony, sta zitto!» sbottò alla fine, irritata dall’assenza ingiustificata del marito.

Il bambino restò in silenzio per qualche secondo, profondamente offeso, e poi scaraventò la sua scopa giocattolo a terra: «VOIO CIOCCOLATO!»

«ANTHONY

In quel momento la porta di ingresso si aprì e suo figlio chiuse la bocca, alzandosi per correre a salutare il padre. Jane andò accanto alla tavola apparecchiata e si mise le mani sui fianchi, seccata.

«Abbiamo mangiato il primo senza di te. Non avevi detto che non saresti più rientrato tardi per questa settimana?» lo aggredì subito.

Carl restò in silenzio e si avvicinò a loro con passo malfermo. Jane lasciò cadere le braccia alla vista degli occhi arrossati del marito e della sua espressione, e il suo cuore cominciò a battere più forte e veloce che mai.

«Anthony, vai in camera tua» disse Carl in tono spento, mentre il bambino si avvicinava e gli abbracciava le gambe.

«Posso avere il cioccolato?»

Jane volò alla credenza e afferrò la prima barretta di cioccolato che vide, porgendola al figlio. «Prendi. Vai» ordinò, cercando di non piangere. Non sapeva cosa fosse successo ma doveva essere qualcosa di terribile e sconvolgente, se Carl aveva pianto fuori di casa e sembrava tuttora sul punto di vomitare.

Anthony emise un gridolino di gioia e scappò subito in camera sua a gustarsi il dolce, lasciando dietro di sé un silenzio teso.

«Jane, siediti» le mormorò il marito, tenendosi una mano sullo stomaco e non azzardando un passo.

«No» disse lei subito, appoggiandosi a tavola.

«Credo sia meglio che-»

«Piantala di fare il cretino e dimmi chi è morto» ribatté lei, a corto di fiato.

Carl percorse la distanza che li divideva con andatura barcollante e poi l’abbracciò; Jane si rese conto in quel momento di quanto stessero tremando entrambi.

«Un Mangiamorte ha fatto irruzione da Leo e Cordy… Ha ucciso lei»

Era un bene che l’avesse abbracciata, perché le gambe la tradirono e lei restò in piedi solo perché trattenuta dal marito. Carl la strinse ancora più forte, mordendosi le labbra a sangue per non singhiozzare mentre lei mormorava parole incomprensibili, straziata. Solo ore dopo riuscì a dirle che Megan era in osservazione al San Mungo perché era stata torturata, e a quell’età potevano esserci stati danni fisici e mentali permanenti anche solo dopo una maledizione Cruciatus, e che Leonard era stato sedato mentre gli Auror si  occupavano dei suoi ricordi per capire cos’era successo.

Carl si chiese se fosse il caso di portare anche la moglie all’ospedale, specialmente quando non ebbe neppure la forza di andare a trovare la figlioccia e Leo ma era rimasta a letto, senza neanche voler vedere Anthony. Alla fine Carl aveva lasciato suo figlio coi nonni ed era andato a informarsi sulla famiglia ormai distrutta, scoprendo che Leonard aveva già chiesto di dimettere la figlia dall’ospedale al più presto e che aveva intenzione di affidarla ai genitori di Cordelia.

«Me ne devo andare da qui» ripeté Leonard per la decima volta nel giro di cinque minuti, frugando tra i cassetti della sua camera d’ospedale e senza fermarsi un secondo. Carl aveva paura di guardarlo in faccia ormai, e temeva che il colpo fosse stato troppo forte per lui, così come lo era forse per Jane.

«Non possono ancora lasciar uscire Megan dall’ospedale, lo sai. Devono assicurarsi che stia bene»

«Sto dicendo che me ne devo andare dall’Inghilterra. Questo posto è un orrore, chiunque ami ti viene strappato via. Io non resterò qui un giorno di più»

«Leo, non è il momento di prendere decisioni questo…» provò a dire Carl, lanciando un’occhiata disperata alla porta e sperando che entrasse qualcuno per fermarlo al posto suo.

«Me ne devo andare da qui!» ribadì lui, alzando la voce.

«Prima del funerale?» sbottò l’altro, bloccandosi poi a bocca aperta. Leonard impallidì violentemente e si lasciò cadere sul letto, prendendosi la testa tra le mani.

«No, certo che no… Cosa farò?» domandò, alzando la testa e guardandolo con disperazione. Carl sentì gli occhi inumidirsi e andò a sedersi accanto a lui, poggiandogli una mano sulla spalla.

«Ce la farai, te lo prometto. Ci siamo io e Jane, ti aiuteremo. Devi tenere duro per Megan, Leo» disse, sentendosi stupido e inutile. Non sapeva cosa dirgli, era una situazione del tutto nuova e inaspettata per lui, nonostante la guerra che avevano vissuto assieme.

«Me ne voglio andare…» sussurrò Leonard di nuovo.

 

Mezzora dopo Carl stava bevendo un caffè nell’atrio, tentando di cacciare indietro le lacrime. Come Ravenclaw non aveva problemi a piangere in pubblico per la morte di un’amica, gli sembrava una cosa dovuta, ma come amico si sentiva male all’idea di abbandonare Leonard a se stesso per farlo, considerato che lui non si era ancora sfogato.

Avrebbe voluto che Jane fosse lì ad aiutarlo e questo lo faceva sentire ancora più colpevole; voleva un amico che gli consigliasse cosa dire o almeno lo facesse sentire meno solo e sperduto. Aveva ventitré anni, non era preparato a tutto questo, non importava quante volte avessero rischiato la pelle perché la guerra ormai era finita e questo non sarebbe dovuto succedere.

«Carl?»

Una voce che non sentiva da anni lo distolse dalla sua richiesta di aiuto mentale, e sollevò la testa per ritrovarsi a guardare la faccia preoccupata di James Stebbins, il suo amico e compagno di stanza di Hogwarts, che forse non faceva parte dell’inseparabile duo Ravenclaw “Goldstein-Boot”, ma che era sempre pronto ad allontanarli dai libri e a dare un po’ di irrazionalità alle loro discussioni intellettuali, quello che era sparito dopo il suo matrimonio con Hydra Rosier, l’unica della famiglia che non era finita in galera perché non nelle file dei Mangiamorte e che ora, alle nove di mattina, era lì invece che al Wizengamot e non sembrava invecchiato di un anno se non per l’accenno di barba.  

«Steb… James?» si corresse, per un attimo ricaduto nell’antica abitudine di chiamarlo sempre per cognome.

«Goldstein» convenne lui con un breve sorriso tirato. «Ho saputo quello che è successo e che sei fuggito dal lavoro…»

Carl annuì, pensando che anche quel giorno non era certo vacanza e che James doveva aver saltato i suoi appuntamenti.

«So che… abbiamo preso le distanze…» cominciò James, grattandosi la testa con imbarazzo. «E che Boot si è trasferito… Ma se vuoi so come rintracciarlo. E farò in modo che tu abbia il permesso di assentarti dal lavoro finché lo vorrai. Non è molto ma… volevo farti sapere che ci sono.»

«Stebbins…» mormorò Carl, immensamente grato di quell’inaspettato supporto che sembrava giungere proprio in risposta alle sue preghiere e pensando che forse non era tutto perduto, che se la sarebbero cavata aiutandosi l’un l’altro, senza sapere che sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe parlato faccia a faccia con il vecchio amico per i successivi quindici anni. «Grazie. E sì, mi farebbe piacere se rintracciassi Boot per me.»

«Lo farò» promise lui, prendendo posto nella panca. «Bevo un caffè anche io e poi dovrò scappare. Ho un’udienza tra venti minuti.»

«Quando ci sarà quella del Mangiamorte?»

James lo guardò per un momento, forse chiedendosi di quale parlasse, e poi annuì, «Domani. Farò in modo che non esca più da Azkaban. In realtà ho sentito alcune voci… è sospetto che lui abbia attaccato in modo così preciso proprio nel momento in cui gli Auror si sono dati una calmata coi loro controlli. Specie perché solo poche persone al Ministero sapevano che da qualche giorno le rilevazioni di Maledizioni Senza Perdono vengono tenute un po’ meno d’occhio…»

«Un’altra spia?» sussurrò lui.

«Forse. Ho sentito che i Runcorn se la sono presa particolarmente a cuore. Ho visto che stavano già indagando e mi hanno fatto qualche domanda… Sono loro che ieri hanno catturato Rookwood.»

«Dove ho già sentito questo nome?» domandò Carl, aggrottando la fronte.

«Potrebbe essere dai tuoi amici stessi, visto che è una spia dei Mangiamorte. O potrebbe essere perché… beh, lo sai. Augustus era il nostro compagno a Hogwarts, il Gryffindor»

«Augustus era una spia?» trasalì lui, pensando al ragazzo tranquillo anche per gli standard Ravenclaw che sedeva sempre con quel pazzo di Dedalus Diggle a lezione.

«No, Goldstein… Suo padre era la spia. Augustus è quello che ieri ha fatto irruzione dai Jones» disse James lentamente, guardandolo come se si aspettasse un’esplosione.

«Ma era un compagno di casa di Cordelia, un Gryffindor! Amico di Dedalus!» protestò lui con voce flebile.

«Lo so…» sospirò James. «A volte la famiglia ti porta a diventare un mostro…»

Carl scosse la testa, incredulo. Non notò neppure quanto James sembrasse colpevole all’idea.

 

Alla fine Megan fu spedita a casa dopo un mese intero, perché non aveva più aperto bocca. La diagnosi fu che, a causa dello shock, aveva perso l’uso della parola e si era chiusa in se stessa.

Jane non si era alzata dal letto, troppo depressa, e Carl aveva chiamato un guaritore anche per lei, ringraziando con tutto il cuore sia i Boot che erano volati in Inghilterra per aiutarlo e Stebbins che gli aveva fatto avere i regolari permessi per assentarsi dal lavoro. Anthony si stava comportando eccezionalmente bene, avendo capito che sua madre stava male, e lui decise di portarlo con sé mentre andava a trovare i nonni babbani di Megan e la bambina.

«Come sarebbe a dire, se n’è andato?» domandò con voce strangolata alla madre di Cordelia, che sembrava invecchiata di cent’anni.

«È un mago» rispose lei con disprezzo, e Anthony si nascose dietro di lui. L’espressione della donna si addolcì prima che lei scoppiasse in lacrime e suo marito accorse a darle un fazzoletto.

«Non ce l’abbiamo con voi due» precisò. «Ma abbiamo enormi responsabilità nei confronti di Megan, dato che Leonard se n’è andato lasciandola a noi. I danni che ha ricevuto sono magici e io non vedo come sarebbe possibile per noi curarli, ma di sicuro non lasceremo che questi peggiorino lasciandola a  contatto con la magia»

«Come sa… Ma Megan è una stre-»

«NO!» lo interruppe la donna con un urlo. «Non lo sarà! La cresceremo noi e non faremo gli stessi errori che abbiamo fatto con… con…»

Lei scoppiò di nuovo in lacrime.

«Ti devo chiedere di andartene. So che sei il suo padrino, ma è stato suo padre ad affidarla a noi e non… non possiamo farcela se ci troviamo ancora a contatto con la… magia…» disse il padre di Cordelia, sputando fuori l’ultima parola come se fosse infetta.

Carl capì che non poteva opporsi, perché quelle persone erano distrutte e non l’avrebbero ascoltato, e avendo Anthony aggrappato alle sue gambe riusciva a capirne il perché. Però Megan era sua figlioccia, la sua pupilla, e lui voleva trovare Leonard e convincerlo a tornare indietro e a permettergli di aiutarlo. «Vorrei solo far dire “ciao” ad Anthony» disse infine, sapendo di giocare sporco.

Il bambino guardò i due con i suoi irresistibili occhioni blu e i singhiozzi della donna diminuirono.

«Sarebbe meglio che neanche lui venisse più. Per il suo bene» lo ammonì invece l’altro, «Megan è in camera sua.»

«Non ha parlato?»

«Non ci guarda neppure. Tutto quello che fa è leggere gli appunti della madre.»

Carl avrebbe voluto fargli presente che se davvero volevano crescere Megan come se fosse una magonò avrebbero dovuto tenerla all’oscuro di tutto, ma non era un santo, era stanco di essere trattato come un estraneo solo perché non aveva sangue in comune con Cordelia e non era suo marito, era stanco di tenere duro da un mese a quella parte perché sapeva che era l’unico che poteva ancora riuscirci e non fosse neppure stato avvertito da Leonard della sua partenza. Era stanco che tutti si fossero dimenticati che anche Cordelia era una delle sue migliori amiche, come lo era Leonard, che Megan era la sua figlioccia.

Così lasciò perdere ogni possibile avvertimento e tirò dritto verso le camere da letto, stringendo la mano di Anthony. Si fermò alla prima porta chiusa e poi girò la maniglia senza aspettare il permesso, ed ebbe un tuffo al cuore alla vista del bel viso di Cordelia che gli faceva l’occhiolino da una grande foto sul muro. I suoi genitori avevano detto basta alla magia per Megan, ma non avevano gettato via nulla di ciò che apparteneva alla figlia, un’altra idea che sembrava pessima a Carl. Dovevano aver fatto razzia anche della casa in cui abitava la figlia fino al mese prima, a giudicare da alcuni dei soprammobili che erano stati lui e Jane a regalarle e che ora stavano lì.

Megan era circondata da libri che non poteva leggere perché ancora non in grado di farlo e da foto, seduta a terra con le gambe incrociate nella penombra della stanza dovuta alle tende che oscuravano le finestre, e stava sfogliando quello che sembrava un libro di Erbologia, forse per guardarne le figure.

Carl si chinò accanto a lei, tenendo Anthony ancora stretto a sé. «Megan?»

La bambina lo ignorò, continuando a sfogliare il libro e dondolando appena.

«Ciao Megan. Io e Anthony siamo venuti a salutarti.»

«Ciao Megan» ripeté Anthony con vocetta acuta.

Non ci fu reazione e il bambino lo guardò confuso.

«Te l’ho detto, Megan sta male e non ha molta voglia di parlare. Però ci ascolta, vero, Meg? Zio Carl non potrà venire a trovarti spesso come vorrebbe, quindi tu devi fare la brava e fare quello che ti dicono i nonni.»

E pensò che tutto ciò era assurdo, perché la piccola era così traumatizzata da essere probabilmente ormai considerabile una malata di mente come i tanti che aveva visto passare per le file del Ministero, occupandosi del denaro da spedire alle famiglie di chi era stato danneggiato irrimediabilmente dalla magia. Non poteva fare niente per lei e doveva scegliere se tentare qualcosa di assurdo, come il chiedere la custodia in quanto padrino, e viste le condizioni della moglie non ci sarebbe mai riuscito, o tentare di mantenersi in buoni rapporti con la sua famiglia, per quanto possibile, per avere la possibilità di vederla ancora e intanto occuparsi di Jane e di Anthony, e trovare Leonard per farlo riprendere.

Megan in quel momento lo guardò, solo per un secondo e con un’espressione illeggibile, e Carl capì che non avrebbe mai convinto Leonard perché era l’immagine di sua madre. Solo gli occhi erano diversi, erano gli occhi di suo padre, ma la somiglianza era comunque da spezzare il cuore.

«Papà, ho paura» sussurrò Anthony e Carl gli fece cenno di aspettare, si chinò a dare un bacio sulla fronte a Megan che restò rigida come una statua e poi lo prese in braccio.

«Stai andando via?» domandò subito il padre di Cordelia, sollevato.

«Sì, per adesso. Tornerò a trovarla qualche volta.»

La faccia dell’altro lo pregò di non farlo.

«E vorrei, per favore, che almeno mi scrivesse per dirmi se c’è qualche cambiamento. Anche io voglio bene a Megan, mago o no.»

«Questo va bene…» mormorò lui.

 

Carl ebbe notizie di Leonard solo qualche mese dopo tramite lettera, in cui l’amico confermava che era in viaggio per lavoro e che era passato già una volta a casa dei suoceri e ciò era sufficiente. Diceva che Megan era in buone mani con loro, che la coccolavano e le prestavano tutte le attenzioni di cui aveva bisogno, e che lui dal canto suo voleva affrontare il dolore a modo suo, ovvero tagliando tutti i ponti col suo passato, e questo comprendeva anche lui e la sua famiglia. Lo informava con raccapricciante freddezza che si rammaricava di chiudere il rapporto con loro così bruscamente ma che era meglio così per tutti, e lo pregava di stare lontano da Megan o perlomeno di fare in modo che lui non avesse più sue notizie.

Carl, che combatteva contro la severa depressione della moglie che sembrava non rispondere neppure alle pozioni, non poté che rinunciare, sapendo comunque di essere impotente di fronte ai problemi di Megan che non sarebbe comunque mai guarita, e si dedicò a Jane, che non riusciva a superare il lutto.

Alla fine, sorprendendo anche i guaritori, Jane trovò le forze di tornare in piedi e anche di convincere i genitori dell’amica a farla andare a trovare Megan un paio di volte. Fu lei, in quel caso, a rinunciarci.

«Mi terrorizza» gli confessò una notte. «Hanno spostato le cose di Cordelia in soffitta e lei va lì al buio e non fa altro che fissare tutto quello che le capita a tiro… Non posso fare niente per aiutarla, non credo neppure che mi senta… La nonna mi ha detto che al san Mungo pensano che il fatto che lei sia una strega possa aiutarla, perché è in un’età particolare per cui i danni cerebrali possono ancora essere curati dalla sua stessa magia, perché tutti noi maghi, quando ancora non abbiamo la bacchetta, sappiamo usare la magia involontaria che a volte fa cose che un mago cresciuto non sarebbe in grado di fare, perciò potrebbe riuscire a curarsi pian piano… Io penso che più che danni mentali sia lo shock di ciò che ha visto e subito… In ogni caso, se anche riuscisse ad aggiustare tutto, potrebbe mai tornare normale con gli anni che ha perso?»

 

Fu tre anni dopo che il nonno di Cordelia mantenne la promessa di mandargli una lettera per fargli sapere di qualche cambiamento. E lo fece chiaramente tramite Leonard, che si mantenne silenzioso come negli ultimi anni ma che accettò di prestargli un gufo, anche lui soddisfatto dal cambiamento.

«Megan parla» sussurrò lui, dopo aver aperto la carta da lettere babbana a pranzo.

«Chi è Megan?» domandò Anthony, che ormai non ricordava più.

«Come sarebbe?» chiese invece Jane, esterrefatta.

«Ha semplicemente ripreso a parlare come se nulla fosse…» disse lui debolmente. «Non ricorda niente di quello che è successo. Non ricorda neanche Cordelia se non per le foto… e l’hanno iscritta a una scuola babbana, scrivono…»

«Chi è Megan?» insistette Anthony.

«La nostra figlioccia. Mangia.»

Anthony fece spallucce e ubbidì.

Jane si portò una mano tremante alle labbra. «Possiamo andare a trovarla?»

«Considerato il genere di ricordi che potremmo portare con noi… Credo di no.»

Lei lo guardò incredula e lui stesso si stupì delle parole che gli erano uscite di bocca prima che potesse anche pensarci.

«Non è detto, anzi…»

«No, hai ragione… Sarebbe egoistico, credo…» mormorò anche lei, combattuta. «Credo che dovremo continuare a starne fuori…»

 

Era stato Leonard a portare a casa tutto ciò che apparteneva a Cordelia, in realtà, riempiendo la soffitta non solo con i suoi libri di Hogwarts ma anche con i documenti del Ministero che avrebbe dovuto restituire, usando come scusa Augustus e una sua fantomatica distruzione di questi. Non aveva più toccato nulla dopo una prima lettura, capendo quanto fosse inutile, e quando Megan, che aveva finalmente imparato a leggere e che ascoltava con morbosa attenzione tutti i racconti dei nonni – e le loro conversazioni private con suo padre che le davano molte più informazioni – aveva finalmente scoperto di cosa si occupava sua madre. Non ricordava esattamente come fosse morta, anche se li aveva sentiti dire che lei era lì, ma sapeva che era stato Rookwood a ucciderla, che lui era un Mangiamorte e che i Mangiamorte ce l’avevano con i figli di babbani e coi babbani. Lesse con maniacale attenzione tutti i rapporti degli Auror e dei sopravvissuti, senza neanche ricordare perché fosse così spaventoso per lei, e imparò tutto a memoria, molto più facilmente di quanto imparasse le stupide materie babbane che insegnavano nella sua scuola. Odiava quel posto noioso e l’unica cosa che le piaceva era picchiare gli altri bambini e fargli vedere quanto era forte anche se era femmina, provava un’enorme soddisfazione nel farli piangere, pari a quella che sentiva quando i nonni avevano la faccia contenta, quella che usciva fuori solo quando lei faceva le cose che loro dicevano che sua mamma aveva fatto.

Era così che passava le giornate: picchiava i bambini, ascoltava poco la lezione, poi giocava a fare sua mamma perché così i nonni le volevano bene, se c’era suo papà a casa lo evitava perché lui la odiava, e poi saliva in soffitta, leggeva di come i Mangiamorte avevano ammazzato quelle persone e studiava per la scuola babbana e anche per quella dove voleva andare dopo, Hogwarts.

Leonard non immaginava nulla di tutto questo, sebbene desse per scontato che la figlia avrebbe frequentato Hogwarts e fosse sollevato all’idea di non rischiare di incontrare lo spettro di sua moglie quando raramente tornava a casa dal lavoro.

Carl e Jane, allo stesso modo, credevano di averli persi per sempre.

Ci volle un torneo finito in tragedia, una nuova guerra e soprattutto l’intervento innocente di suo figlio e dei suoi amici che volevano il loro aiuto per poter dare una mano a Megan e ad altri non purosangue, perché si ritrovassero di nuovo tutti assieme, Leonard, James e altri studenti con cui avevano trascorso gli anni di Hogwarts, uniti per difendere le loro famiglie e per combattere e vincere una volta per tutte. E fu allora, anche, che scoprirono che i loro figli avevano creato un legame che loro si sarebbero sognati, che si erano aiutati a vicenda e che si guardavano le spalle più di quanto loro potessero sperare.

A vedere Megan ridere di gusto, con un ragazzo accanto a lei e sapendo che il suo unico problema era l’essere troppo schietta e con ancora qualche difficoltà nel capire le regole sul come comportarsi in gruppo, ma per il resto felice, e a vedere Anthony che la guardava con l’innocente affetto che di solito riservava solo alla sorella, Carl e Jane si scambiarono un’occhiata commossa, prima di correre ad accordarsi con James su come permettere a Leonard di scappare perché nato-babbano e convincerlo che la figlia, a cui ora faceva davvero da padre, era al sicuro grazie al loro aiuto.

Entrambi pensarono che era così che sarebbe dovuta andare fin dall’inizio, insieme come una grande famiglia.

 

 

 

 

Eccomi qui. Se avete qualche domanda su Megan, Augustus o chi vi pare, chiedete.

Volevo in realtà sfruttare questo spazietto giusto per dire, anche qui, GRAZIE per tutte le recensioni e per chi legge e apprezza ciò che scrivo. Grazie per 27 recensioni al capitolo 100, che sono tantissime e che erano tutte meravigliose e scusate se rispondo in modo banale, ma sono davvero felice come dico ogni volta che lo faccio, e per questo non ci sono mai abbastanza parole!

Quindi grazie, grazie, grazie!

   
 
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