Avviso
molto importante da leggere prima del resto: in questo capitolo, come in Dentro
il Magazzino, si parla di tortura di minore. Non mi soffermo chiaramente a
descrivere ma se preferite evitare, leggete giusto queste note.
Questo capitolo nomina solo di
sfuggita i “magnifici otto” che sembrano essere gli unici protagonisti di 70s
Students, ma come dice il titolo ho intenzione di parlare anche delle storie
degli altri studenti che hanno frequentato negli anni 70, in questo caso do una
sorta di conclusione a Cordelia, Jane, Carl, Leonard con qualche piccolo cameo
di qualcuno più “famoso”. Dopo lo scorso capitolo in cui ho praticamente
ficcato tutti quelli che conosciamo meglio, mi sembrava giusto dar loro un po’
di respiro!
Si può dire che questo capitolo
sia soprattutto – ma non solo – un bonus per chi legge Cedric’s Friends, e un
giorno arriverà anche quello con gli Stebbins (per chi non lo ricorda, James Stebbins
è il ragazzo Ravenclaw che usciva con Mary) perché ho talmente tanti dettagli
in mente che mi sembra giusto condividerli con voi.
Un’ultima piccola nota: la mia
lettrice-beta ha pensato subito all’autismo, quando più avanti si parla di una
persona in particolare, ma in realtà io ho pensato che fosse una combinazione
di danno mentale non permanente e dello shock per il trauma subito. In ogni
caso, per chi legge Cedric’s Friends, ora sarà tutto molto più chiaro. Più o
meno.
Il migliore
amico di Dedalus [1981-1982-1983-199x]
Novembre
1981
Quando arrivò la notizia Cordelia
e Leonard stavano preparando la colazione e la piccola Megan, che avrebbe
compiuto due anni due mesi dopo, stava allegramente lanciando la sua pappa per
la cucina, imbrattando anche i documenti che sua madre doveva portare al
Ministero, mentre dalla finestra giungevano i suoni del mondo babbano che si
svegliava. Vivevano in un centro babbano dimenticato dal mondo e gli unici
maghi che frequentavano dopo il lavoro erano i loro amici Jane e Carl, col loro
figlioletto Anthony, dovendo stare nascosti per via della minaccia dei
Mangiamorte.
Entrambi, infatti, erano
nati-babbani ma nonostante questo Cordelia, dopo aver abbandonato Hogwarts dopo
l’anno dei G.U.F.O., aveva continuato a studiare al massimo per poter essere d’aiuto
al Ministero e per poter spedire i Mangiamorte e tutti coloro che stavano dalla
loro parte ad Azkaban. Leonard aveva trovato un lavoro babbano per poter stare
con la figlia quando lei non c’era e perché non poteva più presentarsi al
Ministero di quei tempi, mantenendo quindi un profilo decisamente più basso
sebbene fosse del tutto dalla parte della moglie: la sua Cordelia in passato
era stata una ragazza egoista ed egocentrica ma la guerra, e con la morte di
molte delle persone che conosceva, aveva fatto emergere il lato più buono di
lei, quello che lui aveva sempre sospettato fosse lì pronto a germogliare,
quello che l’aveva spinto a non lasciarla perdere dopo il primo sfortunato
incontro quando era diventato suo vicino di casa e per cui l’aveva inizialmente detestata quanto lei
odiava lui.
Ora sembrava una pazzia, un
secolo prima, a guardare la piccola Megan che aveva i suoi occhi grigi ma per
il resto era l’immagine in versione ridotta della madre e che cominciava già a
dire le sue prima parole e far prendere fuoco agli oggetti; era del tutto
irreale che non fossero stati sempre insieme a quel modo.
Quella mattina, in ogni caso,
quando sentirono il rumore della materializzazione di qualcuno in giardino,
assolutamente proibita ai non purosangue e che poteva essere rintracciata
subito dal Ministero, senza contare quanto fosse un’azione sconsiderata da fare
in mezzo ai babbani, Cordelia lasciò cadere la padella e corse a prendere Megan
in braccio, mentre Leonard afferrava la bacchetta puntandola verso la porta di
casa e allungava l’altro braccio verso di loro per una smaterializzazione
congiunta che sarebbe stata pericolosissima per la bambina ma forse le avrebbe
salvato la vita.
«CORDELIA! LEONARD!» urlò Jane,
tempestando la porta di pugni, «APRITE!»
«Hanno ammazzato Carlton» disse
Cordelia con un filo di voce, che aveva sussultato appena l’amica aveva
cominciato a urlare.
Leonard la guardò con orrore, non
lasciandola andare. «Dimostraci che sei tu!» ordinò con voce leggermente
tremante.
Ci fu un momento di pausa, poi la
donna parlò di nuovo: «Ho pianto come una disperata quando ho letto l’ultimo
libro della serie della Strega della Carrozza perché volevo che lei ricambiasse
i sentimenti del ladro!»
«È lei» dissero entrambi e
Cordelia sospirò rumorosamente, stringendo più forte Megan e baciandole la
fronte.
Leonard andò ad aprire la porta
di fretta, un po’ irritato perché se Jane si fermava a parlare della trama del
suo libro preferito suo marito stava di sicuro bene. «Non eravamo d’accordo che
avresti avvisato prima di saltare qui? E non dovresti materializzarti,
potrebbero rintracciarci tutti!»
«Rintracciarci chi?» domandò lei,
con lo stesso finto atteggiamento da “sono più stupida di quel che sembro” che
usava da ragazza e che Leonard odiava cordialmente.
«I Mangiamorte!» esclamarono sia
lui che Cordelia, preoccupati per Megan.
E Jane rise allegramente, di una
gioia che lasciò entrambi di stucco. «Dubito che i Mangiamorte saranno ancora
un problema, considerato che a quest’ora si stanno nascondendo! Non avete letto
i giornali? Visto i gufi? O i maghi per strada?»
Cordelia lanciò un’occhiata alla
finestra e poi di nuovo a lei, mettendo delicatamente giù la bambina e
rendendosi conto di quanto stesse tremando, «Cosa stai…»
«È caduto, Voi-Sapete-Chi è
morto! È stato sconfitto da Harry Potter!»
«Cosa? Chi è Harry Potter? Cosa
stai dicendo?» esclamò Leonard, afferrandola forte per le spalle e non osando
crediti. «Jane, ma sei…»
In quel momento sentirono lo
scoppio di fuochi d’artificio che non dovevano essere troppo lontani da lì, e
lui e Cordelia corsero ad affacciarsi alla porta. Carl era lì fuori con Anthony
tra le braccia, ed entrambi stavano stringendo la mano a un altro mago che
indossava una veste verde sgargiante nel bel mezzo della strada, ignorando i
babbani che li fissavano.
«Oddio… Oddio, oddio, oddio…»
cominciò a dire Cordelia.
«Penso di aver bisogno di sedermi»
mormorò lui, sedendosi nel gradino di casa. Dietro di lui Jane aveva preso in
braccio la figlioccia che stava canticchiando parole incomprensibili.
«E sì, Meggy, c’è proprio di che
festeggiare e cantare!» rise Jane.
Cordelia chiuse gli occhi e
sorrise. Era finita, ce l’avevano fatta.
«Jane?»
«Mh?»
«Chi è Harry Potter?»
Se li ricordava bene, Lily Evans
e James Potter. Se li ricordava a Hogwarts, quando ammirava lui e detestava
lei, perché a quei tempi lei era stupida, persa nel suo mondo e fissata solo
coi vestiti e i ragazzi, e aveva odiato Lily Evans perché a suo parere era una
ficcanaso so-tutto-io, un prefetto, e non diceva di sì a Potter, così che lei e
le altre ragazze si erano spesso trovate vittime dei tentativi di lui di
ingraziarsela, fosse anche solo soffocate dei fiori apparsi in quantità
esagerata per via di un incantesimo andato male durante la notte; poi lei,
Cordelia, era diventata meno stupida
e li aveva rivisti a casa di Black e aveva scoperto così che finalmente i due stavano
assieme. C’era stato il funerale di Mary MacDonald, la persona che le aveva dato
la spinta finale per crescere e diventare migliore, e subito dopo e da lì non
li aveva visti più.
Ora scopriva che James e Lily
avevano un bambino, un bambino che in qualche modo aveva salvato il mondo e che,
a guardare la foto sul giornale dove i due mostravano il piccolo Harry con
orgoglio tenendolo abbracciato e baciandolo, sembrava essere la copia in
miniatura del padre.
Era quasi un’estranea eppure
Cordelia pianse tutto il giorno, dopo la mattina passata a scorrazzare per la
strada come cretini tutti e sei a festeggiare la caduta di Tu-Sai-Chi, perché
piano piano aveva realizzato che sarebbe potuta morire anche lei, come Lily,
prima della fine della guerra, perché l’unico delitto di Lily era stato
combattere dalla parte giusta – come faceva lei più indirettamente – ed essere
una nata-babbana.
Come lei, appunto.
Ma a differenza sua Lily non
avrebbe cresciuto Harry, Lily non lo avrebbe accompagnato alla stazione Nove e
Tre Quarti, Lily non l’avrebbe più tenuto tra le braccia e coccolato, non lo
avrebbe consolato se avesse fatto brutti sogni e non avrebbe cucinato per lui
la colazione e non l’avrebbe imboccato e impiastrato la cucina di pappa.
Cordelia sentì di essere
immensamente fortunata e di aver un obbligo nei confronti della donna che era
stata l’ultima nata-babbana a morire per mano di Tu-Sai-Chi. Doveva continuare
la sua opera facendo in modo che tutti i Mangiamorte finissero ad Azkaban, non
importava quanto fossero importanti o ricchi. Ormai lei aveva finito di
studiare e poteva partecipare attivamente alle indagini e ai processi, e
avrebbe fatto del suo meglio anche per quella donna che non sarebbe stata fortunata
come lei che in quel momento aveva la sua bambina tra le braccia e la cullava
dolcemente perché dormisse.
Sollevò lo sguardo e incontrò
quello di Leonard, che aveva il viso arrossato per via di qualche bicchiere di
troppo con Carl e le sorrideva con amore. Sapeva che lui l’avrebbe capita e
aiutata e questo le diede la forza di non mollare.
Giugno
1982
La casa dove Mary MacDonald aveva
abitato era piccola, aveva un solo piano e sembrava abbandonata da secoli
invece che da pochi anni. Era stata lasciata intatta dai maghi e nessuno aveva
osato viverci, perché tutti sapevano che la donna che vi aveva abitato era una
Mangiamorte della famiglia Rosier e poteva averci lasciato dentro qualsiasi
artefatto di magia nera. Il caso era stato archiviato dopo la morte della
strega e Cordelia si era offerta volontaria, essendo ormai una sorta di
tuttofare per il Ministero, di darle un’occhiata per poter finalmente mettere
una fine a quella faccenda.
Era stata accompagnata ovviamente da Auror e da un vecchio compagno di scuola,
Dedalus Diggle, che apparentemente teneva a Mary più di quanto lei avesse
notato, presa com’era da se stessa e poi lasciando Hogwarts. Lui in ogni caso
l’aveva riconosciuta subito e le aveva sorriso incoraggiante da sotto il suo
ridicolo cappello giallo a pois.
«Non sei cambiato per niente.»
«Io invece non avrei mai
immaginato che ti avrei trovata a lavorare per il Winzegamot» commentò lui con
voce squillante. «Così giovane…»
«Ho potuto aiutare perché erano
disperati, e ormai mi sono fatta le ossa e mi hanno permesso di restare»
confessò Cordelia, guardandosi attorno. Gli Auror stavano facendo quasi tutto
il lavoro e loro due, senza neppure mettersi d’accordo ma di puro istinto,
cercarono la camera di Mary.
«Alla fine tutti i nostri
compagni hanno avuto un ruolo cruciale nella fine della guerra o almeno nella
guerra stessa, hai notato? I Gryffindor, almeno…»
«Ho notato» mormorò lui con aria
curiosamente assente. «Non che tu te ne sia tenuta in disparte» aggiunse con un
sorriso. «Ah, e hai la fede.»
«Ho anche una figlia» sorrise lei,
orgogliosa.
«Ma dai? Come si chiama? Quanti
anni ha?»
«Megan, ha quasi tre anni…» la
sua voce si spense quando spinse la porta dell’ennesima camera aperta.
«Oh, Merlino…» fiatò appena
Dedalus. «Ha bruciato tutto.»
I muri della stanza di Mary erano
anneriti e a pezzi, e ormai restavano solo i resti del letto e di qualche
scaffale.
«Sarà stato dopo la morte della
figlia…» mormorò Cordelia. «Del resto c’era lei dietro, sai?»
«Sospettavo» ammise lui senza
guardarla in faccia. «Ma Mary ha lasciato casa sua tra il quarto e il quinto
anno. Forse è stato già allora. Che donna malata, la madre…»
«Ho sentito che è morta in uno scontro,
che è caduta da sopra un centro commerciale babbano…»
«Così dicono.»
Entrambi fecero qualche
incantesimo per rivelare la presenza di qualcosa di magico nella stanza, ma fu
un buco nell’acqua e i due uscirono in fretta.
«Non ricordavo che se ne fosse
andata… o forse non me l’aveva detto…» dichiarò infine Cordelia, imbarazzata.
«Ha passato una settimana a casa
mia una volta. Durante l’estate dopo il quinto» la informò Dedalus
all’improvviso, proprio quando lei pensava che avrebbe cambiato discorso. «Non
sapeva dove andare.»
«Ero proprio una persona
orribile, se non mi ha chiesto aiuto neanche allora…» sospirò lei. Dedalus le
diede un altro sorriso incoraggiante.
«Frequenti ancora qualcuno dei
nostri ex compagni?»
«Jane, la mia migliore amica. È
sposata con Carl Goldstein, te lo ricordi? Era un Ravenclaw che frequentava con
noi. E ho visto Alexis ogni tanto…»
«Ah, sì, anche io! So che ha
avuto una bambina che si chiama Hannah!» esclamò a voce troppo alta e un Auror
gli scoccò un’occhiataccia. Cordelia pensò che davvero non era cambiato
affatto. «Hanno tutti avuto figli prestissimo, pensa te… Pensa che Dean Jordan
ha un bambino di cinque anni!»
«Ma cinque anni fa eravamo a
scuola!»
«Lo so, ma c’erano le vacanze»
rise lui. «Guarda che anche Stebbins dei Ravenclaw ha fatto lo stesso
all’ultimo anno… E dire che io non ho neanche la fidanzata!»
Lei ridacchiò e annuì, fermandosi
davanti a una porta più piccola delle altre e tentando di aprirla senza
successo.
«Beh?»
«Avete trovato qualcosa?» domandò
un Auror con voce profonda e rassicurante.
«Questa porta, ma non si apre
neanche con l’Alohomora.»
L’uomo, una sorta di gigante in
confronto a lei, sussurrò un incantesimo che lei non conosceva, e per un
istante fu visibile una barriera verde che si dissolveva. L’Auror chiamò anche
i suoi colleghi, che entrarono per primi mentre Dedalus si tratteneva accanto a
lei. Attesero entrambi il permesso di poter entrare e poi si ritrovarono a
scendere degli scalini ammuffiti e scricchiolanti.
«Uno scantinato…» disse lei, che
aveva bisogno di parlare per mantenersi calma. C’era qualcosa lì sotto che le
dava i brividi.
«Catene» disse Dedalus invece,
facendola sobbalzare e indicando il muro davanti a loro. Dei catenacci
spuntavano dai mattoni all’altezza della sua testa.
«Non crederai…» cominciò lei.
«Penso che avremmo notato i segni
delle manette sui suoi polsi. O uno dei suoi ragazzi l’avrebbe fatto, comunque»
disse lui velocemente. Cordelia ebbe l’impressione che stesse cercando di convincersene
ma poi si rese conto che, per quanto presa da se stessa, aveva osservato molto
bene Mary dopo il suo cambiamento improvviso al quinto anno e avrebbe di sicuro
visto segni di torture. Il padre di Mary, d’altro canto…
«Cos’è questo?» domandò un Auror,
illuminando una porzione di terra davanti a sé. «È nera.»
«L’ultima volta che qualcuno è
stato visto uscire da questa casa è stato sette anni fa, giusto?» domandò un
altro Auror, guardando poi Cordelia. «Sto per usare un incantesimo per
riportare questo pezzo di terra smossa a com’era allora, d’accordo? È solo
un’illusione, non si spaventi.»
«Un’illusione» ripeté lei debolmente.
«Come in un Pensatoio.»
«Esattamente.»
«Fico» commentò Dedalus con voce
acuta.
Qualche secondo dopo il pezzo di
terreno cominciò a muoversi e poi cominciò a brulicare di vermi. Cordelia non
poté fare a meno di cacciare uno strillo, arrossendo subito dopo.
«È come se tutti i vermi del
mondo fossero venuti a morire qui» osservò un Auror in tono disgustato. «Ci
dev’essere un incantesimo che li crea dal nulla, è impossibile che tutti questi
vivessero qui sotto»
«In realtà sì, c’è un incantesimo
simile, lo usano i nozionisti o quelli che si occupano di certi animali.
Risponde alla magia e dura una decina di minuti, creando vermi fino all’ultimo
secondo. E sono vermi veri, Jo. Viene attivato da qualsiasi tipo di energia
magica usata sul terreno scelto, se anche uno schiantesimo colpisse questa
zolla comincerebbe a saltar fuori vermi» spiegò l’Auror che aveva effettuato
l’incantesimo. «Ciò vuol dire che metà dei vermi che vediamo sono quelli che
spuntavano allora, l’altra metà sta spuntando adesso.»
«Ho dimenticato qualcosa di sopra»
annunciò un collega, causando qualche risata dai compagni.
Cordelia si aggrappò a Dedalus
per il disgusto e poi notò la sua espressione e gracchiò un: «Cosa c’è?»
«Mary quasi sveniva alla vista
dei vermi.»
Lei lo fissò con orrore, guardò
di nuovo le catene, ripetendosi che se ne sarebbe accorta, e poi un pensiero
orribile la colpì e spinse via il mago, ignorando la sua espressione scioccata,
per poter correre sulle le scale. «Lumos!» esclamò, chiudendo la porta davanti
a sé e osservandone il legno, temendo di trovare la conferma delle sue ipotesi.
L’Auror che voleva tornare in
fretta di sopra per evitare i vermi era già dietro di lei e trasalì scioccato.
«Kingsley, vieni qui e rifai quell’incantesimo! Quello per vedere com’era
qualche anno fa questa porta!»
«Non credo ce ne sia bisogno»
disse Cordelia, non riconoscendo la propria voce mentre sfiorava la porta con
le dita. Improvvisamente le era tornato in mente il primo settembre del quinto
anno, quando Mary era arrivata e sembrava un’altra persona, e aveva dichiarato
di essere caduta o qualcosa di altrettanto stupido o poco credibile che lei
aveva dato per buono perché non era interessata davvero, in risposta ad
Emmeline che preoccupata le chiedeva se “aveva
preso a pugni un muro”. Non aveva
segni di manette o di alcuna costrizione fisica, del resto tenerla ammanettata al muro a quell’altezza avrebbe voluto
dire che sarebbe rimasta in piedi anche da addormentata, ma le sue nocche
erano distrutte e le dita graffiate…
«Questa porta è stata presa a
pugni, e guarda i graffi, Kingsley: qualcuno voleva chiaramente scappare da qui,
forse per i vermi o qualcosa del genere, ma la porta era chiusa a chiave e ha
dato di matto. Scommetto che se usi quell’incantesimo vedremo anche sangue… Sta
bene, signora Jones?»
«Suppongo sia troppo per lei»
disse Kingsley, sempre in tono calmo. «Dedalus, portala a prendere una boccata
d’aria… Sembra che ne abbia bisogno anche tu.»
Cordelia e Dedalus non parlarono,
mentre bevevano un tè caldo fuori dal bar babbano una strada oltre la casa di
Mary. Quando ebbero finito lui le poggiò una mano su una spalla per qualche
secondo, la strinse e poi sparì.
Lei tornò a casa in silenzio e si
gettò tra le braccia di Leonard, che non le chiese nulla ma lasciò che fosse
lei a decidere quando parlare. Cordelia gli baciò una guancia e poi allungò una
mano verso Megan, che aveva fatto capolino dalla porta della cucina con un
disegno e un pastello rosso in mano.
«Ti fa male la pancia?» domandò
la bambina, vedendo la sua espressione.
«No, mi fa male qui» disse
Cordelia, toccandosi il petto. «Ma sto già molto meglio.»
«Bacio e va via?» domandò la
bambina e lei si chinò ad abbracciarla e le porse una guancia, che la bambina baciò.
«Hai ragione, tesoro. Il bacio ha
mandato il dolore via.»
Marzo
1983
Cordelia si massaggiò le tempie
sperando che non le tornasse il mal di testa da troppo stress che la tormentava
da mesi a quella parte: mancava poco alla fine di tutti i processi ai
Mangiamorte, a un anno e mezzo dalla caduta del loro “Oscuro Signore”.
Alla fine decise che poteva
concedersi una pausa, dato che solo il mese prima aveva contribuito enormemente
all’arresto di Augustus Rookwood, padre del suo omonimo ex compagno di scuola,
e che il giorno precedente aveva di nuovo fornito testimonianze decisive nel
processo all’ultimo Rosier rimasto in libertà. Mancavano solo Alecto e Amycus
Carrow, che erano stati particolarmente bravi a non lasciare tracce, e poi
tutti i soggetti delle foto, documenti e memorie che teneva nella sua soffitta
sarebbero stati dentro Azkaban. Ma per il momento poteva lasciare il puzzle dei
Carrow incompleto e scendere a mangiare qualcosa di caldo con suo marito e sua
figlia.
Chiuse la porta a chiave, perché
Megan stava imparando a frugare dappertutto e non era il caso che vedesse certe
immagini, e si affrettò a scendere di sotto. Passava quasi tutti i giorni a
casa per lavoro e quando non c’era lei era Leonard a prendersi cura della
bambina, a meno che non fosse in viaggio, e in quel caso avrebbero chiamato i
suoi genitori che erano sempre felicissimi di aiutare; nonostante questo
sentiva di trascurare sua figlia e cercava sempre di sfruttare al massimo le
ore che passavano assieme. Non che Megan si lamentasse, dato che era la bambina
più adorabile del mondo, oltre che precoce per quanto concerneva il comunicare.
Per dirla come Jane “non sta zitta un
secondo e parla già meglio di noi”. La preoccupava però il fatto che quando
la portavano a giocare con Anthony lei non lo calcolasse minimamente, così come
non giocava coi bambini al parco, ma Leonard era sicuro che fosse normale per
la sua età e che avrebbe interagito con gli altri quando lo avesse ritenuto
opportuno. Tecnicamente Leonard pensava anche che gli altri bambini fossero
stupidi e per questo Megan si annoiava con loro, ma non era certo qualcosa che
avrebbe detto a Carl e Jane.
«Ciao mamma!» salutò Megan, con
un gran sorriso e un vestito rosa che la faceva somigliare a una caramella. Anche
gli elastici nei suoi capelli erano rosa e Cordelia si portò le mani al cuore.
«Quanto sei carina…»
«Lo so» disse Megan serissima, e
lei sentì Leonard ridere dal salotto. «Mamma, mi fai cucinare stasera? Mi puoi
anche aiutare.»
«Ah, io posso aiutare te?»
«Ti faccio vedere io come si fa»
replicò lei con aria d’importanza.
«Diventerà una cuoca da grande»
commentò Leonard, orgoglioso.
«O una pozionista.» azzardò
Cordelia, prendendo la bambina in braccio. «Potrai impastare, va bene? Ma non
devi avvicinarti al fuoco.»
«Certo» convenne lei. «Ma lo sai
che oggi Anthony ha detto “voglio acqua” bene?»
«No! Sul serio?» esclamò
Cordelia, voltandosi verso il marito che annuì.
«Carl se la stava facendo sotto.»
«Ma perché Anthony non parla come
me?» domandò Megan, contrariata. «È scemo?»
«No che non è scemo!» strillò
lei, coprendo la risata sguaiata di Leonard. «È piccolo, monella! Te l’ho già
detto, ogni bambino parla quando ce la fa, ognuno ha i suoi tempi!»
Megan non sembrò convintissima. «Non
riesce a dire la erre e la gli.»
«Molti bambini non ci riescono.»
«Va bene…» accettò lei, sempre
riluttante. «Cosa stai facendo?» domandò poi a voce più alta, indicando i ferri
da calza che stavano lavorando da soli.
«Un’altra sciarpa per te, visto che
hai bruciato l’altra» spiegò lei, mettendola giù dopo averle dato un bacio. «Andiamo
a cucinarci la merenda.»
«Sììììì!» strillò lei, correndo
verso la cucina e cadendo due volte per via della fretta. Cordelia alzò gli
occhi al cielo e Leonard rise di nuovo, sfogliando il giornale. «Ma lo sai che
io so cucinare meglio di papà?»
Era passato un mese esatto;
Leonard era al lavoro e Cordelia, in pausa da quella mattina sino a quando lui non
sarebbe tornato, stava rassicurando Megan sul fatto che suo zio Carl stesse
scherzando a proposito di farla sposare con Anthony e che lei poteva sposare
chi voleva, quando suonarono alla porta.
«Questo è tuo padre che ha
scordato le chiavi di nuovo» commentò lei, dandole un buffetto sulla guancia.
«Mamma, posso sposare te quando
sono grande?» domandò Megan, giocando coi suoi codini.
«Non ce n’è bisogno, tu sei già
l’amore della mia vita» rispose Cordelia, aprendo la porta, «Leo…»
Ammutolì di fronte all’estraneo
dall’aria familiare che si era trovata davanti.
«Signora Jones… Non so se si
ricorda di me, eravamo a Hogwarts nello stesso anno…» disse l’uomo, suonando
incerto. Si grattò una guancia, guardandola intimidito. «Sono Augustus Rookwood.
Junior, ovviamente.»
Cordelia si ritrovò incapace di
controllare il stesso corpo: pensò di chiudergli la porta in faccia e scappare,
ma non riuscì a muoversi di un millimetro.
«Oh, non sono qui per litigare!»
si affrettò a dire lui, imbarazzato, «Sono qui per ringraziarla.»
«Cosa?» fiatò lei.
Augustus, che ora riusciva a riconoscere,
ed era dimagrito e dall’aria stanca, quasi si inchinò. «Hai liberato me e mia
madre di quell’uomo. Era un incubo, dalla parte dei Mangiamorte, ed eravamo
entrambi troppo spaventati per chiedere aiuto. Ti ringrazio di cuore.»
«Oh!» esclamò lei, sentendosi in
colpa per essersi spaventata. «Entra, mio marito sta arrivando. Bevi qualcosa.»
«Oh, non vorrei disturbare…» si
schermì lui facendo un passo indietro.
«Nessun disturbo. Stavo giocando
con mia figlia.»
Augustus si illuminò: «Ha una
bambina? Ah, non ne avevo idea! Quanti anni ha?»
«Ne ha compiuti tre a dicembre
scorso» rispose Cordelia, facendosi da parte. «Prego.»
«Grazie mille, giusto per un tè»
disse lui, entrando in casa e guardando a terra. Sollevò lo sguardo solo quando
lei chiuse la porta, e trovò Megan che lo fissava con sospetto dalla porta
della cucina, trattenendo un lembo del suo vestitino giallo con le mani.
«Ciao piccolina!» salutò in tono
più allegro. «Come ti chiami?»
Megan avanzò tutta impettita,
«Megan Jones. Tu chi sei?» domandò in
tono petulante.
«Augustus Jr Rookwood, cara.»
sorrise lui.
«Venite in soggiorno, preparo il
tè.» fece strada Cordelia.
Augustus le sorrise.
Quando Cordelia riuscì ad aprire
gli occhi si trovò legata a terra, e davanti a lei stava seduto Augustus con le
gambe incrociate e la testa tra le mani, che la fissava. A un passo da lui
c’era Megan, anche lei legata e apparentemente priva di conoscenza.
«Se urli o anche solo parli, le
taglio la gola davanti a te» la informò Augustus allegramente.
Cordelia si sentì morire.
«È solo svenuta. Non l’ho
toccata. Non sono Greyback» continuò lui con calma. «Sono stato cresciuto
meglio. Vedi, sono stato cresciuto meravigliosamente da un padre il cui unico
problema è stato farsi beccare, e tu l’hai sbattuto in prigione, alla sua età,
ed io non lo vedrò più di sicuro perché tanto sappiamo bene entrambi che i
Dissennatori non lasciano nessuno vivo anche se non si prendono la briga di
baciarlo. Ora, cosa dovrei fare io con te? Non ho moglie, non ho figli… Ho
pensato che avrei potuto uccidere i tuoi genitori per essere pari, ma loro sono
babbani e non valgono la morte di mio padre… Quindi ecco quello che faremo: io
userò un Imperio su di te e tu sveglierai la piccola Megan e vedremo cosa
succederà.»
Cordelia cominciò a scuotere la
testa, ancora incapace di parlare non solo per il divieto ma per il terrore, e
Augustus le sorrise così ampiamente che il ghigno sembrò spaccargli la faccia
in due.
«Oh, so che al Ministero ogni
tanto controllano ancora che non vengano usate le Senza Perdono, ma avete
diminuito i controlli sull’Imperio prima che sulle altre, e in ogni caso a
quest’ora chi vuoi che guardi? E tanto, anche se scoprissero quello che succede
e mandassero gli Auror, li sentirei arrivare e mi smaterializzerei. Non c’è
nessun incantesimo a protezione di questa casa, ho passato il pomeriggio a
toglierli uno dopo l’altro. Un camion fa particolarmente rumore? Ecco che salta
l’anti-smaterializzazione. A Megan cade una pentola? Ecco che in quel momento
posso togliere l’allarme.»
Le lacrime riempirono gli occhi
di Cordelia: Ti prego, Leo, torna a casa,
Leo salvaci, salva Megan, almeno Megan… Ha solo tre anni, solo tre…
E di colpo si sentì come
soffocare nel suo stesso corpo e addormentare con la forza. Un attimo dopo la
sua bocca, la sua lingua, le sue corde vocali, tutto fu mosso da una forza
esterna che lei non poteva combattere.
«Innerva.»
Vide Megan svegliarsi lentamente
e poi tentare di mettersi a sedere nonostante le funi attorno al suo corpo.
Cercò di parlarle, ma riuscì a malapena a pensare
di farlo.
«Finalmente» si sentì dire in
tono aspro, e notò che Augustus non era più in vista.
«Mamma?» Megan la guardò estremamente confusa.
Lei si alzò in piedi, non essendo
più legata da nulla di tangibile. «Ti sto per cacciare via. Io e papà non ti
vogliamo più.»
«Mamma?» ripeté Megan, che era
così sbalordita da non essere ancora spaventata. Poi la bambina sorrise,
pensando che scherzasse, e lei si sentì spezzare il cuore.
«Dico davvero, Megan. Hai visto
quanti soldi spendiamo per i tuoi vestiti e per darti da mangiare? E io e
Leonard non possiamo neanche farci un viaggio perché abbiamo te che succhi
tutti i nostri soldi e le nostre energie… sei una bambina brutta, stupida e cattiva
e noi non ti vogliamo più.»
Il sorriso di Megan era sparito e
la bimba cominciò a sembrare spaventata, oltre che sul punto di piangere. «Non
sono brutta! Non sono cattiva e stupida! Tu
lo sei!»
Lo schiaffo partì subito e
Cordelia desiderò con tutta se stessa di poter chiudere gli occhi e morire,
mentre Megan cominciava a piangere. «Non rispondere a tua madre! Io ti ho fatta
nascere, non ti permettere! E me ne sono pentita, lo sai? Ho sempre fatto finta
di volerti bene, ma non ti vuole bene nessuno!»
«NON È VERO!» strillò Megan e uno
dei lacci che la legavano saltò, mentre il comodino accanto a lei prendeva
fuoco. «MAMMA!» urlò con furia, scalciando come poteva e tentando di
raggiungerla coi piedi.
«È vero! Guarda cos’hai fatto!
Sei un disastro! Non avrei dovuto farti nascere! Io sono una sanguesporco e lo
sei anche tu! Adesso la mamma ti punirà!»
Cordelia sentì la sua mano
prendere la bacchetta, una voce dire “crucio!” nella sua testa, e quella fu
come una doccia fredda. Si ritrovò all’improvviso più sveglia e cominciò a
lottare contro Augustus con tutte le sue forze, ma lui era ancora al comando e
la sua bocca parlò: «Crucio!»
Gli strilli furono due, e Cordelia,
disperata e accecata dall’odio e dalla furia riuscì dopo qualche secondo a
liberarsi e a voltarsi in cerca di Augustus per ucciderlo, ma fu disarmata
mentre Megan continuava a urlare di dolore alle sue spalle anche ora che non
aveva più la bacchetta puntata contro. Lei, con le orecchie che ronzavano e a
malapena in grado di reggersi ancora in piedi, fu colpita da un pugno e crollò
a terra accanto alla figlia.
Augustus le sorrise: «L’amore
della mamma che ti libera dalla maledizione, che cosa toccante… STUPEFICIUM!» urlò facendo una
giravolta.
E Leonard cadde davanti all’ingresso, sbattendo contro il muro. La
sua bacchetta volò a terra e Cordelia cominciò a singhiozzare mentre Augustus
la legava di nuovo.
Leonard era appena tornato dal
lavoro, prendendo il taxi perché il loro era un quartiere babbano, e aveva
appena messo piede sui gradini di casa quando aveva sentito le urla. O meglio,
l’urlo, perché oltre alla voce di Cordelia che strillava “NO!”, udì anche la
voce di sua figlia, la sua piccola Megan, che strillava in un modo in cui
nessun bambino mai avrebbe dovuto strillare.
Gli s accapponò la pelle e sentì
il gelo dentro, mentre sollevava automaticamente la bacchetta e sparava un
fascio di scintille rosse alto in cielo, pregando che i vicini babbani non
fossero menefreghisti come quelli che aveva incontrato in passato e che
chiamassero un qualsiasi tipo di aiuto, e che qualcun altro di più efficiente
vedesse il segnale e mandasse gli Auror.
Spalancò la porta di casa e
guardò nella direzione sbagliata, perché fece appena in tempo a sentire uno “stupeficium” urlato alle sue spalle
prima di svenire.
«Avrei dovuto saperlo, anche gli
animali hanno questo genere di forza nascosta, no? E le bestie, apparentemente»
«Tu sei la bestia, schifoso
bastardo…» sussurrò lei.
Augustus rise, trascinando il
corpo incosciente e legato del marito accanto al suo.
«Io sarei la bestia? Tu hai
portato via mio padre, troia. Innerva.
Oh, ciao Leonard, ben svegliato. Tua moglie si chiedeva proprio dove fossi, ne
sono certo. Stupido da parte tua venire qui da solo e non chiedere aiuto, ma
immagino che le urla di tua figlia fossero troppo per te…»
«Perdonami…» mormorò Leonard e
Cordelia chiuse gli occhi.
«Scommetto che credi di aver
ripulito il mondo dalla feccia, non è così? Beh, lascia che ti dica una cosa:
VOI SANGUESPORCO SIETE LA FECCIA! E TU STA ZITTA!» abbaiò Augustus rivolto a
Megan che ormai singhiozzava e lo guardava con gli occhi iniettati di sangue.
«ANNI E ANNI A FAR FINTA DI NON SENTIRE IL VOSTRO FETORE E A LAVORARE PER
DISTRUGGERVI E tu… tu, troia… CRUCIO!»
Cordelia sentì Leonard urlare e
poi tutto il suo mondo fu solo dolore, ed essere pugnalata e bruciata e
dilaniata finché Augustus non si fermò e lei ricadde con la schiena
completamente rigida e le gambe che ancora battevano a terra. Voltò il collo
con una spinta dolorosa e vide che Megan la fissava con gli occhi spalancati e
la bocca aperta ancora tremolante.
«Dovresti stuprarti qui, davanti
alla tua famigliola felice, ma non toccherei mai una come te… Sei fortunata
persino ora, te ne rendi conto? CRUCIO!»
Cordelia urlò di nuovo e Leonard
cominciò a implorare pietà, di prendere lui, di lasciarle andare.
«TU SARAI IL PROSSIMO!» urlò
Augustus, dall’aria stravolta e sovreccitata. «CRUCIO!»
Cordelia strillò così forte da
sentire il sapore del sangue in gola, gli occhi le rotearono nelle orbite e le
sue unghie si conficcarono nelle sue cosce mentre tentava di porre fine a quel
supplizio.
«FERMATI!» urlò anche Leonard.
«Silencio, bastardo… CRUCIO!»
«BASTA!
TI PREGO! BASTA!» urlò infine Cordelia, straziata, e incontro di nuovo lo
sguardo di Megan, che era paralizzata dall’orrore. Sentì un singhiozzo alla sua
sinistra, dove Leonard era steso.
«Questo
è ciò che i sanguesporco come te dovrebbero fare: implorare, urlare, MORIRE! CRUCIO!»
«NO!
BASTA! PIETÀ! PIETÀ!»
«TU
NON HAI AVUTO PIETÀ DI MIO PADRE O DI ME! SCHIFOSA BABBANA! CRUCIO! SPORCA LADRA DI MAGIA! CRUCIO!»
«NO! MI
DISPIACE! AIUTO! QUALCUNO…» le mancò la voce all’ultimo e poi un’altra fitta di
dolore, nonostante lui si fosse fermato, le attraversò il petto: «AIUTATEMI!»
«Mamma!»
pigolò Megan.
Cordelia
inspirò rumorosamente, cercando di dirle di stare zitta.
«Oh,
senti la piccola che ti chiama... Tranquilla, bestiola, tra poco verrai al
posto della mamma insieme al tuo paparino sanguesporco.»
«Ti
prego, no! Lasciali stare... È colpa mia, lasciali stare... Uccidi soltanto
me... La mia bambina...» lo supplicò, più spaventa di quanto non fosse mai
stata.
«Crucio!»
«NO!
NO!» strillò e quando lui smise di agitare la bacchetta come un forsennato, lei
capì che stava per ucciderla e cercò di dire a Megan che l’amava e che era
stato lui a farle dire queste cose orribili. Ma Megan era di nuovo zitta e
immobile, lei non riusciva a parlare, e Augustus si era appena avvicinato a lei.
«Guardala
bene la tua bambina, guardala, e ricordati che sei stata tu a volere tutto
questo, che sei stata tu a condannarla...» ringhiò lui, afferrando la testolina
di Megan con una mano perché la bambina la fissasse. Cordelia trattenne l’urlo
solo perché la bambina non aveva dato segno di sentir dolore. «Sai che fine
hanno fatto i Longbottom, non è vero? Lo sanno tutti che quando Bellatrix ci
prende gusto... Ma sì, lo sai, anche tu fai parte del Ministero, lì a
giudicare, a fingere che voi sanguesporco siate come noi... Sai cosa farò? Farò
in modo che la tua bambina diventi esattamente come loro.»
«No,
la mia bambina no, ti prego...» singhiozzò, «Ti supplico... qualunque cosa...»
«La
tua bambina è già pazza quanto tu sei già morta. Avada Kedavra!»
Il
lampo di luce verde illuminò il salotto, e Leonard chiuse gli occhi e aspettò
che il proprio cuore smettesse di battere.
«Ora
tocca a te, Leonard. Posso chiamarti Leo? Puoi parlare di nuovo, sai? Come ci
si sente a sapere che ora ucciderò anche te e farò della tua bambina una malata
di mente sbavante che vivrà al san Mungo a vita?» lo stuzzicò Augustus.
«Avresti dovuto davvero chiamare aiuto, sai? Nessuno mi troverà qui, al
Ministero non controllano più le smaterializzazioni e da qualche giorno hanno
mollato anche le Maledizioni… A quest’ora saranno tutti a cena dalle loro
famiglie, e voi-»
Non
poté continuare perché fu colpito da due stupeficium che arrivarono
direttamente dalla finestra aperta, e il Mangiamorte si schiantò al suolo con
espressione esterrefatta.
«BACCHETTE
A TERRA!» urlò un uomo, aprendo la porta con un calcio. «Col potere conferitomi
dal Ministero della Magia siete in arresto! Tania!»
Una
donna entrò subito dopo di lui e Leonard registrò distrattamente che avevano
l’uniforme Auror, prima di chiudere di nuovo gli occhi.
«Oh,
Merlino, una bambina!»
«Sta
arrivando anche la polizia babbana, i vicini hanno sentito le urla…» cominciò
l’uomo, avvicinandosi a Leonard e sciogliendo le funi che lo trattenevano. «Ci
sono state segnalate le scintille e anche l’utilizzo dell’Imperio e della
Cruciatus in questa casa… È viva?» domandò poi, rivolto alla donna di nome
Tania che stava chinata sul corpo esanime di sua moglie.
«Non
lo è…» sussurrò Leonard.
«Mi
dispiace tanto…» disse Tania in tono orribilmente pratico, quello di chi l’aveva
detto migliaia di volte, prima di liberare velocemente Megan. La bambina non
piangeva più ma appariva del tutto impietrita. «Povera piccola…»
«Lei è
il signor Jones…» disse l’Auror che aveva parlato per prima, mentre gli altri
Auror stavano portando via Augustus. «Sono Basil Runcorn, del dipartimento
Auror. Porteremo subito lei e sua figlia al San Mungo, ma abbiamo bisogno di farle
immediatamente alcune domande o di prelevare le sue memorie.»
«Prendete
tutto, cancellate tutto…» disse lui, guardandosi attorno e non riconoscendo più
la casa. Un attimo dopo crollò svenuto.
Jane
non riusciva a stare ferma e continuava a fare l’andirivieni dalla cucina alla
sala da pranzo, con Anthony che continuava a fare i capricci perché voleva
mangiare del cioccolato prima di aver finito la cena.
«Anthony,
sta zitto!» sbottò alla fine, irritata dall’assenza ingiustificata del marito.
Il
bambino restò in silenzio per qualche secondo, profondamente offeso, e poi
scaraventò la sua scopa giocattolo a terra: «VOIO CIOCCOLATO!»
«ANTHONY!»
In
quel momento la porta di ingresso si aprì e suo figlio chiuse la bocca,
alzandosi per correre a salutare il padre. Jane andò accanto alla tavola
apparecchiata e si mise le mani sui fianchi, seccata.
«Abbiamo
mangiato il primo senza di te. Non avevi detto che non saresti più rientrato
tardi per questa settimana?» lo aggredì subito.
Carl
restò in silenzio e si avvicinò a loro con passo malfermo. Jane lasciò cadere
le braccia alla vista degli occhi arrossati del marito e della sua espressione,
e il suo cuore cominciò a battere più forte e veloce che mai.
«Anthony,
vai in camera tua» disse Carl in tono spento, mentre il bambino si avvicinava e
gli abbracciava le gambe.
«Posso
avere il cioccolato?»
Jane
volò alla credenza e afferrò la prima barretta di cioccolato che vide,
porgendola al figlio. «Prendi. Vai» ordinò, cercando di non piangere. Non
sapeva cosa fosse successo ma doveva essere qualcosa di terribile e
sconvolgente, se Carl aveva pianto fuori di casa e sembrava tuttora sul punto
di vomitare.
Anthony
emise un gridolino di gioia e scappò subito in camera sua a gustarsi il dolce,
lasciando dietro di sé un silenzio teso.
«Jane,
siediti» le mormorò il marito, tenendosi una mano sullo stomaco e non
azzardando un passo.
«No»
disse lei subito, appoggiandosi a tavola.
«Credo
sia meglio che-»
«Piantala
di fare il cretino e dimmi chi è morto» ribatté lei, a corto di fiato.
Carl
percorse la distanza che li divideva con andatura barcollante e poi
l’abbracciò; Jane si rese conto in quel momento di quanto stessero tremando
entrambi.
«Un
Mangiamorte ha fatto irruzione da Leo e Cordy… Ha ucciso lei»
Era un
bene che l’avesse abbracciata, perché le gambe la tradirono e lei restò in
piedi solo perché trattenuta dal marito. Carl la strinse ancora più forte,
mordendosi le labbra a sangue per non singhiozzare mentre lei mormorava parole
incomprensibili, straziata. Solo ore dopo riuscì a dirle che Megan era in
osservazione al San Mungo perché era stata torturata, e a quell’età potevano
esserci stati danni fisici e mentali permanenti anche solo dopo una maledizione
Cruciatus, e che Leonard era stato sedato mentre gli Auror si occupavano dei suoi ricordi per capire
cos’era successo.
Carl
si chiese se fosse il caso di portare anche la moglie all’ospedale,
specialmente quando non ebbe neppure la forza di andare a trovare la figlioccia
e Leo ma era rimasta a letto, senza neanche voler vedere Anthony. Alla fine Carl
aveva lasciato suo figlio coi nonni ed era andato a informarsi sulla famiglia
ormai distrutta, scoprendo che Leonard aveva già chiesto di dimettere la figlia
dall’ospedale al più presto e che aveva intenzione di affidarla ai genitori di
Cordelia.
«Me ne
devo andare da qui» ripeté Leonard per la decima volta nel giro di cinque
minuti, frugando tra i cassetti della sua camera d’ospedale e senza fermarsi un
secondo. Carl aveva paura di guardarlo in faccia ormai, e temeva che il colpo
fosse stato troppo forte per lui, così come lo era forse per Jane.
«Non
possono ancora lasciar uscire Megan dall’ospedale, lo sai. Devono assicurarsi
che stia bene»
«Sto
dicendo che me ne devo andare dall’Inghilterra. Questo posto è un orrore,
chiunque ami ti viene strappato via. Io non resterò qui un giorno di più»
«Leo,
non è il momento di prendere decisioni questo…» provò a dire Carl, lanciando
un’occhiata disperata alla porta e sperando che entrasse qualcuno per fermarlo
al posto suo.
«Me ne
devo andare da qui!» ribadì lui, alzando la voce.
«Prima
del funerale?» sbottò l’altro, bloccandosi poi a bocca aperta. Leonard
impallidì violentemente e si lasciò cadere sul letto, prendendosi la testa tra
le mani.
«No,
certo che no… Cosa farò?» domandò, alzando la testa e guardandolo con
disperazione. Carl sentì gli occhi inumidirsi e andò a sedersi accanto a lui,
poggiandogli una mano sulla spalla.
«Ce la
farai, te lo prometto. Ci siamo io e Jane, ti aiuteremo. Devi tenere duro per
Megan, Leo» disse, sentendosi stupido e inutile. Non sapeva cosa dirgli, era
una situazione del tutto nuova e inaspettata per lui, nonostante la guerra che
avevano vissuto assieme.
«Me ne
voglio andare…» sussurrò Leonard di nuovo.
Mezzora
dopo Carl stava bevendo un caffè nell’atrio, tentando di cacciare indietro le
lacrime. Come Ravenclaw non aveva problemi a piangere in pubblico per la morte
di un’amica, gli sembrava una cosa dovuta, ma come amico si sentiva male
all’idea di abbandonare Leonard a se stesso per farlo, considerato che lui non
si era ancora sfogato.
Avrebbe
voluto che Jane fosse lì ad aiutarlo e questo lo faceva sentire ancora più
colpevole; voleva un amico che gli consigliasse cosa dire o almeno lo facesse
sentire meno solo e sperduto. Aveva ventitré anni, non era preparato a tutto
questo, non importava quante volte avessero rischiato la pelle perché la guerra
ormai era finita e questo non sarebbe dovuto succedere.
«Carl?»
Una
voce che non sentiva da anni lo distolse dalla sua richiesta di aiuto mentale,
e sollevò la testa per ritrovarsi a guardare la faccia preoccupata di James
Stebbins, il suo amico e compagno di stanza di Hogwarts, che forse non faceva
parte dell’inseparabile duo Ravenclaw “Goldstein-Boot”, ma che era sempre
pronto ad allontanarli dai libri e a dare un po’ di irrazionalità alle loro
discussioni intellettuali, quello che era sparito dopo il suo matrimonio con
Hydra Rosier, l’unica della famiglia che non era finita in galera perché non
nelle file dei Mangiamorte e che ora, alle nove di mattina, era lì invece che
al Wizengamot e non sembrava invecchiato di un anno se non per l’accenno di
barba.
«Steb…
James?» si corresse, per un attimo ricaduto nell’antica abitudine di chiamarlo
sempre per cognome.
«Goldstein»
convenne lui con un breve sorriso tirato. «Ho saputo quello che è successo e
che sei fuggito dal lavoro…»
Carl
annuì, pensando che anche quel giorno non era certo vacanza e che James doveva
aver saltato i suoi appuntamenti.
«So
che… abbiamo preso le distanze…» cominciò James, grattandosi la testa con
imbarazzo. «E che Boot si è trasferito… Ma se vuoi so come rintracciarlo. E
farò in modo che tu abbia il permesso di assentarti dal lavoro finché lo
vorrai. Non è molto ma… volevo farti sapere che ci sono.»
«Stebbins…»
mormorò Carl, immensamente grato di quell’inaspettato supporto che sembrava
giungere proprio in risposta alle sue preghiere e pensando che forse non era
tutto perduto, che se la sarebbero cavata aiutandosi l’un l’altro, senza sapere
che sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe parlato faccia a faccia con il
vecchio amico per i successivi quindici anni. «Grazie. E sì, mi farebbe piacere
se rintracciassi Boot per me.»
«Lo
farò» promise lui, prendendo posto nella panca. «Bevo un caffè anche io e poi
dovrò scappare. Ho un’udienza tra venti minuti.»
«Quando
ci sarà quella del Mangiamorte?»
James
lo guardò per un momento, forse chiedendosi di quale parlasse, e poi annuì,
«Domani. Farò in modo che non esca più da Azkaban. In realtà ho sentito alcune
voci… è sospetto che lui abbia attaccato in modo così preciso proprio nel
momento in cui gli Auror si sono dati una calmata coi loro controlli. Specie
perché solo poche persone al Ministero sapevano che da qualche giorno le
rilevazioni di Maledizioni Senza Perdono vengono tenute un po’ meno d’occhio…»
«Un’altra
spia?» sussurrò lui.
«Forse.
Ho sentito che i Runcorn se la sono presa particolarmente a cuore. Ho visto che
stavano già indagando e mi hanno fatto qualche domanda… Sono loro che ieri
hanno catturato Rookwood.»
«Dove
ho già sentito questo nome?» domandò Carl, aggrottando la fronte.
«Potrebbe
essere dai tuoi amici stessi, visto che è una spia dei Mangiamorte. O potrebbe
essere perché… beh, lo sai. Augustus era il nostro compagno a Hogwarts, il Gryffindor»
«Augustus
era una spia?» trasalì lui, pensando al ragazzo tranquillo anche per gli
standard Ravenclaw che sedeva sempre con quel pazzo di Dedalus Diggle a
lezione.
«No,
Goldstein… Suo padre era la spia. Augustus è quello che ieri ha fatto irruzione
dai Jones» disse James lentamente, guardandolo come se si aspettasse
un’esplosione.
«Ma
era un compagno di casa di Cordelia, un Gryffindor! Amico di Dedalus!» protestò
lui con voce flebile.
«Lo
so…» sospirò James. «A volte la famiglia ti porta a diventare un mostro…»
Carl
scosse la testa, incredulo. Non notò neppure quanto James sembrasse colpevole
all’idea.
Alla
fine Megan fu spedita a casa dopo un mese intero, perché non aveva più aperto
bocca. La diagnosi fu che, a causa dello shock, aveva perso l’uso della parola
e si era chiusa in se stessa.
Jane
non si era alzata dal letto, troppo depressa, e Carl aveva chiamato un
guaritore anche per lei, ringraziando con tutto il cuore sia i Boot che erano
volati in Inghilterra per aiutarlo e Stebbins che gli aveva fatto avere i
regolari permessi per assentarsi dal lavoro. Anthony si stava comportando
eccezionalmente bene, avendo capito che sua madre stava male, e lui decise di
portarlo con sé mentre andava a trovare i nonni babbani di Megan e la bambina.
«Come
sarebbe a dire, se n’è andato?» domandò con voce strangolata alla madre di
Cordelia, che sembrava invecchiata di cent’anni.
«È un
mago» rispose lei con disprezzo, e Anthony si nascose dietro di lui.
L’espressione della donna si addolcì prima che lei scoppiasse in lacrime e suo
marito accorse a darle un fazzoletto.
«Non
ce l’abbiamo con voi due» precisò. «Ma abbiamo enormi responsabilità nei
confronti di Megan, dato che Leonard se n’è andato lasciandola a noi. I danni
che ha ricevuto sono magici e io non vedo come sarebbe possibile per noi
curarli, ma di sicuro non lasceremo che questi peggiorino lasciandola a contatto con la magia»
«Come
sa… Ma Megan è una stre-»
«NO!»
lo interruppe la donna con un urlo. «Non lo sarà! La cresceremo noi e non
faremo gli stessi errori che abbiamo fatto con… con…»
Lei
scoppiò di nuovo in lacrime.
«Ti
devo chiedere di andartene. So che sei il suo padrino, ma è stato suo padre ad
affidarla a noi e non… non possiamo farcela se ci troviamo ancora a contatto
con la… magia…» disse il padre di Cordelia, sputando fuori l’ultima parola come
se fosse infetta.
Carl
capì che non poteva opporsi, perché quelle persone erano distrutte e non
l’avrebbero ascoltato, e avendo Anthony aggrappato alle sue gambe riusciva a
capirne il perché. Però Megan era sua figlioccia, la sua pupilla, e lui voleva
trovare Leonard e convincerlo a tornare indietro e a permettergli di aiutarlo.
«Vorrei solo far dire “ciao” ad Anthony» disse infine, sapendo di giocare
sporco.
Il
bambino guardò i due con i suoi irresistibili occhioni blu e i singhiozzi della
donna diminuirono.
«Sarebbe
meglio che neanche lui venisse più. Per il suo bene» lo ammonì invece l’altro,
«Megan è in camera sua.»
«Non
ha parlato?»
«Non
ci guarda neppure. Tutto quello che fa è leggere gli appunti della madre.»
Carl
avrebbe voluto fargli presente che se davvero volevano crescere Megan come se
fosse una magonò avrebbero dovuto tenerla all’oscuro di tutto, ma non era un
santo, era stanco di essere trattato come un estraneo solo perché non aveva
sangue in comune con Cordelia e non era suo marito, era stanco di tenere duro
da un mese a quella parte perché sapeva che era l’unico che poteva ancora
riuscirci e non fosse neppure stato avvertito da Leonard della sua partenza.
Era stanco che tutti si fossero dimenticati che anche Cordelia era una delle
sue migliori amiche, come lo era Leonard, che Megan era la sua figlioccia.
Così
lasciò perdere ogni possibile avvertimento e tirò dritto verso le camere da
letto, stringendo la mano di Anthony. Si fermò alla prima porta chiusa e poi
girò la maniglia senza aspettare il permesso, ed ebbe un tuffo al cuore alla
vista del bel viso di Cordelia che gli faceva l’occhiolino da una grande foto
sul muro. I suoi genitori avevano detto basta alla magia per Megan, ma non avevano
gettato via nulla di ciò che apparteneva alla figlia, un’altra idea che
sembrava pessima a Carl. Dovevano aver fatto razzia anche della casa in cui
abitava la figlia fino al mese prima, a giudicare da alcuni dei soprammobili
che erano stati lui e Jane a regalarle e che ora stavano lì.
Megan
era circondata da libri che non poteva leggere perché ancora non in grado di
farlo e da foto, seduta a terra con le gambe incrociate nella penombra della
stanza dovuta alle tende che oscuravano le finestre, e stava sfogliando quello
che sembrava un libro di Erbologia, forse per guardarne le figure.
Carl
si chinò accanto a lei, tenendo Anthony ancora stretto a sé. «Megan?»
La
bambina lo ignorò, continuando a sfogliare il libro e dondolando appena.
«Ciao
Megan. Io e Anthony siamo venuti a salutarti.»
«Ciao
Megan» ripeté Anthony con vocetta acuta.
Non ci
fu reazione e il bambino lo guardò confuso.
«Te
l’ho detto, Megan sta male e non ha molta voglia di parlare. Però ci ascolta,
vero, Meg? Zio Carl non potrà venire a trovarti spesso come vorrebbe, quindi tu
devi fare la brava e fare quello che ti dicono i nonni.»
E
pensò che tutto ciò era assurdo, perché la piccola era così traumatizzata da
essere probabilmente ormai considerabile una malata di mente come i tanti che
aveva visto passare per le file del Ministero, occupandosi del denaro da
spedire alle famiglie di chi era stato danneggiato irrimediabilmente dalla
magia. Non poteva fare niente per lei e doveva scegliere se tentare qualcosa di
assurdo, come il chiedere la custodia in quanto padrino, e viste le condizioni
della moglie non ci sarebbe mai riuscito, o tentare di mantenersi in buoni
rapporti con la sua famiglia, per quanto possibile, per avere la possibilità di
vederla ancora e intanto occuparsi di Jane e di Anthony, e trovare Leonard per
farlo riprendere.
Megan
in quel momento lo guardò, solo per un secondo e con un’espressione
illeggibile, e Carl capì che non avrebbe mai convinto Leonard perché era
l’immagine di sua madre. Solo gli occhi erano diversi, erano gli occhi di suo
padre, ma la somiglianza era comunque da spezzare il cuore.
«Papà,
ho paura» sussurrò Anthony e Carl gli fece cenno di aspettare, si chinò a dare
un bacio sulla fronte a Megan che restò rigida come una statua e poi lo prese
in braccio.
«Stai
andando via?» domandò subito il padre di Cordelia, sollevato.
«Sì,
per adesso. Tornerò a trovarla qualche volta.»
La
faccia dell’altro lo pregò di non farlo.
«E
vorrei, per favore, che almeno mi scrivesse per dirmi se c’è qualche
cambiamento. Anche io voglio bene a Megan, mago o no.»
«Questo
va bene…» mormorò lui.
Carl
ebbe notizie di Leonard solo qualche mese dopo tramite lettera, in cui l’amico
confermava che era in viaggio per lavoro e che era passato già una volta a casa
dei suoceri e ciò era sufficiente. Diceva che Megan era in buone mani con loro,
che la coccolavano e le prestavano tutte le attenzioni di cui aveva bisogno, e
che lui dal canto suo voleva affrontare il dolore a modo suo, ovvero tagliando
tutti i ponti col suo passato, e questo comprendeva anche lui e la sua
famiglia. Lo informava con raccapricciante freddezza che si rammaricava di
chiudere il rapporto con loro così bruscamente ma che era meglio così per
tutti, e lo pregava di stare lontano da Megan o perlomeno di fare in modo che lui
non avesse più sue notizie.
Carl,
che combatteva contro la severa depressione della moglie che sembrava non
rispondere neppure alle pozioni, non poté che rinunciare, sapendo comunque di
essere impotente di fronte ai problemi di Megan che non sarebbe comunque mai
guarita, e si dedicò a Jane, che non riusciva a superare il lutto.
Alla
fine, sorprendendo anche i guaritori, Jane trovò le forze di tornare in piedi e
anche di convincere i genitori dell’amica a farla andare a trovare Megan un
paio di volte. Fu lei, in quel caso, a rinunciarci.
«Mi
terrorizza» gli confessò una notte. «Hanno spostato le cose di Cordelia in
soffitta e lei va lì al buio e non fa altro che fissare tutto quello che le
capita a tiro… Non posso fare niente per aiutarla, non credo neppure che mi
senta… La nonna mi ha detto che al san Mungo pensano che il fatto che lei sia
una strega possa aiutarla, perché è in un’età particolare per cui i danni
cerebrali possono ancora essere curati dalla sua stessa magia, perché tutti noi
maghi, quando ancora non abbiamo la bacchetta, sappiamo usare la magia
involontaria che a volte fa cose che un mago cresciuto non sarebbe in grado di
fare, perciò potrebbe riuscire a curarsi pian piano… Io penso che più che danni
mentali sia lo shock di ciò che ha visto e subito… In ogni caso, se anche
riuscisse ad aggiustare tutto, potrebbe mai tornare normale con gli anni che ha
perso?»
Fu tre
anni dopo che il nonno di Cordelia mantenne la promessa di mandargli una
lettera per fargli sapere di qualche cambiamento. E lo fece chiaramente tramite
Leonard, che si mantenne silenzioso come negli ultimi anni ma che accettò di
prestargli un gufo, anche lui soddisfatto dal cambiamento.
«Megan
parla» sussurrò lui, dopo aver aperto la carta da lettere babbana a pranzo.
«Chi è
Megan?» domandò Anthony, che ormai non ricordava più.
«Come
sarebbe?» chiese invece Jane, esterrefatta.
«Ha
semplicemente ripreso a parlare come se nulla fosse…» disse lui debolmente.
«Non ricorda niente di quello che è successo. Non ricorda neanche Cordelia se
non per le foto… e l’hanno iscritta a una scuola babbana, scrivono…»
«Chi è
Megan?» insistette Anthony.
«La
nostra figlioccia. Mangia.»
Anthony
fece spallucce e ubbidì.
Jane
si portò una mano tremante alle labbra. «Possiamo andare a trovarla?»
«Considerato
il genere di ricordi che potremmo portare con noi… Credo di no.»
Lei lo
guardò incredula e lui stesso si stupì delle parole che gli erano uscite di
bocca prima che potesse anche pensarci.
«Non è
detto, anzi…»
«No,
hai ragione… Sarebbe egoistico, credo…» mormorò anche lei, combattuta. «Credo
che dovremo continuare a starne fuori…»
Era
stato Leonard a portare a casa tutto ciò che apparteneva a Cordelia, in realtà,
riempiendo la soffitta non solo con i suoi libri di Hogwarts ma anche con i
documenti del Ministero che avrebbe dovuto restituire, usando come scusa
Augustus e una sua fantomatica distruzione di questi. Non aveva più toccato
nulla dopo una prima lettura, capendo quanto fosse inutile, e quando Megan, che
aveva finalmente imparato a leggere e che ascoltava con morbosa attenzione
tutti i racconti dei nonni – e le loro conversazioni private con suo padre che
le davano molte più informazioni – aveva finalmente scoperto di cosa si
occupava sua madre. Non ricordava esattamente come fosse morta, anche se li
aveva sentiti dire che lei era lì, ma sapeva che era stato Rookwood a
ucciderla, che lui era un Mangiamorte e che i Mangiamorte ce l’avevano con i
figli di babbani e coi babbani. Lesse con maniacale attenzione tutti i rapporti
degli Auror e dei sopravvissuti, senza neanche ricordare perché fosse così
spaventoso per lei, e imparò tutto a memoria, molto più facilmente di quanto
imparasse le stupide materie babbane che insegnavano nella sua scuola. Odiava
quel posto noioso e l’unica cosa che le piaceva era picchiare gli altri bambini
e fargli vedere quanto era forte anche se era femmina, provava un’enorme
soddisfazione nel farli piangere, pari a quella che sentiva quando i nonni
avevano la faccia contenta, quella che usciva fuori solo quando lei faceva le
cose che loro dicevano che sua mamma aveva fatto.
Era
così che passava le giornate: picchiava i bambini, ascoltava poco la lezione,
poi giocava a fare sua mamma perché così i nonni le volevano bene, se c’era suo
papà a casa lo evitava perché lui la odiava, e poi saliva in soffitta, leggeva
di come i Mangiamorte avevano ammazzato quelle persone e studiava per la scuola
babbana e anche per quella dove voleva andare dopo, Hogwarts.
Leonard
non immaginava nulla di tutto questo, sebbene desse per scontato che la figlia
avrebbe frequentato Hogwarts e fosse sollevato all’idea di non rischiare di
incontrare lo spettro di sua moglie quando raramente tornava a casa dal lavoro.
Carl e
Jane, allo stesso modo, credevano di averli persi per sempre.
Ci
volle un torneo finito in tragedia, una nuova guerra e soprattutto l’intervento
innocente di suo figlio e dei suoi amici che volevano il loro aiuto per poter
dare una mano a Megan e ad altri non purosangue, perché si ritrovassero di
nuovo tutti assieme, Leonard, James e altri studenti con cui avevano trascorso
gli anni di Hogwarts, uniti per difendere le loro famiglie e per combattere e
vincere una volta per tutte. E fu allora, anche, che scoprirono che i loro
figli avevano creato un legame che loro si sarebbero sognati, che si erano
aiutati a vicenda e che si guardavano le spalle più di quanto loro potessero
sperare.
A
vedere Megan ridere di gusto, con un ragazzo accanto a lei e sapendo che il suo
unico problema era l’essere troppo schietta e con ancora qualche difficoltà nel
capire le regole sul come comportarsi in gruppo, ma per il resto felice, e a
vedere Anthony che la guardava con l’innocente affetto che di solito riservava
solo alla sorella, Carl e Jane si scambiarono un’occhiata commossa, prima di
correre ad accordarsi con James su come permettere a Leonard di scappare perché
nato-babbano e convincerlo che la figlia, a cui ora faceva davvero da padre,
era al sicuro grazie al loro aiuto.
Entrambi
pensarono che era così che sarebbe dovuta andare fin dall’inizio, insieme come
una grande famiglia.
Eccomi
qui. Se avete qualche domanda su Megan, Augustus o chi vi pare, chiedete.
Volevo
in realtà sfruttare questo spazietto giusto per dire, anche qui, GRAZIE per
tutte le recensioni e per chi legge e apprezza ciò che scrivo. Grazie per 27
recensioni al capitolo 100, che sono tantissime e che erano tutte meravigliose
e scusate se rispondo in modo banale, ma sono davvero felice come dico ogni
volta che lo faccio, e per questo non ci sono mai abbastanza parole!
Quindi
grazie, grazie, grazie!