Cara amica che non esisti.
Irene: trucco pesante e giudizi.
A
Irene
piaceva la calca nelle discoteche, braccia e gambe sconosciute che
sfioravano
il suo corpo in gesti inconsapevoli oppure lascivi, amava coglierne la
differenza mentre ballava con la testa in alto a guardare il soffitto
fumoso e
colorato.
Aveva
l‘arroganza di pensare che non le importasse proprio niente
del parere degli
altri, dei loro giudizi, delle parole cattive; ma Irene aveva
un’età in cui è
così difficile capire chi voler essere, che anche accorgersi
di star mentendo è
complicato.
Irene
era
bella, e la bellezza dà fastidio a molti,
il suo sorriso era bello e quando rideva inclinava la
testa
all’indietro, o forse verso il cielo, e rideva davvero
finché gli occhi non le
diventavano lucidi di lacrime.
Aveva
diciassette anni e la voglia di averne dieci in più per
essere grande, per
stare con ragazzi più grandi, per vivere la vita vera e non
quella di una
studentessa tra compiti a casa ed interrogazioni, ma Irene
era ingenua, troppo avventata, e non sapeva
che a voler bruciare le tappe ci si può far male davvero, ma
non sulla pelle.
La
sveglia
suonò decisamente troppo presto per i suoi gusti, in quel
mercoledì che
prometteva pioggia.
Irene la spense facendola cadere a
terra e il
suo primo pensiero, non proprio romantico, fu quello di avere sonno. Si
stiracchiò come un gatto e si tolse le coperte di dosso con
un gesto deciso,
sapendo perfettamente che se fosse rimasta più a lungo in
quel bozzolo caldo si
sarebbe addormentata di nuovo. Rabbrividì
nell’aria fredda e si diresse verso il bagno con
passo strascicato, si
guardò allo specchio e cercò di guardare
oltre: oltre il trucco pesante sugli occhi – ricordo della
sera passata – e
oltre la sua stessa pelle. Cos’era rimasto della notte
passata? La sensazione
di calore, l’abbraccio, i baci umidi? Cos’era
rimasto?
Irene
non
lo sapeva, non lo ricordava, forse l’unica cosa rimasta era
proprio il trucco,
la maschera per apparire più grande.
Si
lavò il
volto attenta a non farlo e si infilò una felpa larga e un
po’ sformata, era
blu e sopra c’era stampata l’immagine di un cane in
rilievo, ripassò la linea
dell’eyeliner e l’ombretto scuro.
Aggiunse
tre cucchiaini di zucchero nel suo caffè, e
guardò fuori dalla finestra il
cielo cupo e arrogante, sembrava mandarle un rimprovero e guardarla con
biasimo
attraverso i suoi nuvoloni scuri. Che cos’era più
scuro, si chiese, le nuvole o
l’ombretto? Si guardò allo specchio. Decisamente
l’ombretto, sì.
Uscì
di
casa senza rivolgere la parola a nessuno, sua madre era già
andata al lavoro,
sua sorella dormiva ancora, e fortunatamente non avrebbe ricevuto
rimproveri da
nessuno, parole urlate e scure come le nuvole in cielo.
Irene
non
aveva un buon rapporto con la madre e nemmeno con la sorella,
più piccola di
lei di qualche anno, Irene non vedeva il padre da tre mesi e non
riusciva a
capire se le mancasse o meno.
Sua
madre
non faceva altro che urlarle contro: non le piaceva con chi usciva,
né dove
andasse, non le piaceva il fatto che si truccasse troppo e Irene lo
sapeva che
un po’ di quelle urla erano riferite a suo padre al quale, a
quanto le aveva
sempre ripetuto sua madre con stizza, lei somigliava troppo.
Si
accese
una sigaretta e buffò fumo con noncuranza, in
realtà neanche le piaceva fumare,
lo faceva solo per far indispettire ancor di più sua madre
che mal sopportava
la puzza e la guardava male ogni volta che la vedeva con un accendino
in mano.
A Irene piaceva far arrabbiare sua madre, sapeva che era sbagliato
provocarle
tanti dispiaceri e preoccupazioni, ma non riusciva a smettere e quasi
mai si
sentiva in colpa, bastava che ricordasse quel “sei uguale a
tuo padre” sibilato
o urlato che fosse, e Irene trovava tutta la voglia di farla disperare. Poi qualche volta piangeva
in bagno, di
nascosto, ma aveva
comprato apposta
eyeliner e mascara waterproof, quindi non se ne preoccupava
più di tanto.
Seduta
alla
fermata dell’autobus, Irene aspettava, e nascondeva i suoi
occhi dietro un paio
di occhialoni anche se il cielo prometteva pioggia. Nascondeva gli
occhi e
faceva finta di non accorgersi di tutti gli sguardi ammiccanti, i
fischi di
apprezzamento, tutti sembravano fissarla, giudicarla; certe volte
voleva
urlare, scappare via.
Anche
le sue
amiche la giudicavano, ed era assurdo, perché non avrebbe
dovuto considerarle ‘amiche’,
ma erano la cosa che più si avvicinava al concetto. Irene
sapeva che una volta
arrivata a scuola l’avrebbero bersagliata di domande, il
trucco da discoteca
non lasciava dubbi, le avrebbero chiesto tutto quello che
c’era da chiedere e
poi l’avrebbero giudicata. Una piccola parola, uno sguardo un
po’ schifato, una
smorfia della bocca, e poi parole su parole su quello che non si
dovrebbe fare
e cose come:
“che ne dice tua madre? E tuo
padre?”, e frasi più dure, giudizi più
pesanti. I modi in cui certi ragazzi la
guardavano e chiamavano le dava il voltastomaco.
Irene
era
stanca, ma sapeva che l’amicizia tanto decantata in film e
telefilm era solo un’invenzione
per incassare, un po’ come l’amore posticcio da
soap opera, però un po’ ci
credeva che esistessero ‘vere amiche’ e
‘veri amori’, solo che non credeva
possibile che capitassero proprio a lei.
Si
sarebbe
accontentata di poco, davvero, anche solo di un’amica che non
la giudicasse
mai, mai, perché Irene a soli diciassette era tanto stanca.
Salì
sull’autobus
sovrappensiero, gli occhi che rincorrevano il paesaggio sempre uguale,
trovò un
posto proprio vicino al finestrino e guardò le nuvole farsi
ancora più nere,
più arroganti.
Chiuse
gli
occhi dietro le lenti degli occhiali e sperò ci fosse il
sole, che la scaldasse
un po’, perché del calore degli abbracci della
sera prima non era rimasto
proprio niente.
Hello! Secondo capitolo e cambio di personaggio, come il primo questo è un capitolo molto introspettivo. Non so ancora come si svilupperà a storia, quindi il terzo capitolo sarà un grande mistero, soprattutto per me. X°°D
Spero sia stata una lettura piacevole e grazie mille a Kay93 per la recensione al primo capitolo.
Red.