Il bacon sfrigolava nella padella e, una
volta raggiunta la giusta
croccantezza, Yoshiko ne sollevò le due strisce rosacee con
una pinza e le
dispose sui due piatti. Sanae portò alla bocca la tazza
piena di caffè
espresso, assaggiò il liquido, ma la sua faccia schifata non
lasciò molto
spazio all’immaginazione.
- Sa di
bruciato, vero?- chiese
ridendo Yoshiko, anche lei non sopportava il sapore del
caffè americano.
Il primo
esperimento era
fallito, lasciò perdere l’intruglio e si
concentrò sul piatto che la sua amica
le aveva porto, dove una bocca di bacon
le sorrideva sotto due uova all’occhio di bue che risultarono
sicuramente più
graditi.
- Domani
facciamo le pancakes e ci beviamo
un po’ di latte freddo
e cacao, altro che questo schifo.- disse indicando il liquido nero.
Il resto
della colazione fu
dedicato alla scelta dei primi luoghi da visitare e, mentre discutevano
sull’alternativa di partire da Brooklyn
per poi allargare la visita giorno per giorno o andare subito a Manhattan, un sms fece squillare il
cellulare di Yoshiko. Escluse potesse trattarsi di Matsuyama, a meno
che non
fosse ancora in piedi a mezzanotte, quindi si alzò
svogliatamente per andare a
recuperare il telefonino sul bancone della cucina.
Stasera Hard
Rock?
L’invito
di Hachiro non lasciava
alternative: la Midtown sarebbe
stata
la meta della giornata. Si vestirono per uscire e si diressero a passo
svelto
alla metropolitana di Jay Street,
perchè
purtroppo quella mattina i cugini di Yoshiko non potevano fare da
autisti e quindi
dovettero arrangiarsi con i mezzi pubblici. Sanae era sbalordita dalla
miriade
di persone che parlavano idiomi incomprensibili, ma dai suoni musicali,
ma
ancora più stupita fu quando lei e Yoshiko uscirono dalla
metropolitana e
imboccarono la via per il Rockfeller Center,
dove vide una schiera di bandiere sventolare come se volessero salutare
i
turisti che affollavano la zona.
Era
naturale che la
destinazione scelta fosse proprio il Rockfeller
Plaza e tutti i suoi invitanti negozi. Passarono attraverso i
tavoli delle
caffetterie e si fermarono ad ammirare la statua dorata di Prometeo
della
favolosa fontana nella “piazza interrata”.
- Qui di
solito c’è la pista di
pattinaggio, ma durante le stagioni più calde viene tolta
per lasciare posto
alle caffetterie.- spiegò Yoshiko, quindi la prese sotto
braccio e la invitò a
seguirla nel dedalo dei corridoi del Centro Commerciale.
Sanae si
guardava attorno,
estasiata, facendo a gara con lei per tirarsi da una parte
all’altra ogni volta
che trovavano qualcosa che colpiva il loro interesse. Entrambe
guardarono rapite
la vetrina del negozio di Botticelli, fantasticando su un paio di
sandali in
pizzo color glicine costellati di Swarovksy.
Sospirarono, sapendo che la cifra per un paio di calzature simili era
ben al di
fuori della loro portata.
- Certo,
però, che se Hikaru
riuscisse ad entrare nel calcio professionistico...- Yoshiko
rimuginò
fingendosi seria, poi scoppiò a ridere divertita.
- Ah,
bè, in quel caso potresti
pure comprarti tutto il negozio, volendo.- stette al gioco Sanae,
unendosi alle
sue risate.
L’atmosfera
era distesa e
rilassata, nonostante aver nominato Matsuyama le avesse inevitabilmente
ricordato Tsubasa, ma con suo stupore, Sanae si era resa conto che
pensare a
lui le faceva meno male. Si sentì trascinare per la mano
dalla sua amica che
aveva adocchiato un modello di occhiali delizioso dalla vetrina di Sunglass Hut.
Il vero
divertimento iniziò
quando entrarono dentro i negozi di abbigliamento, anche se non avevano
intenzione di comprare, provarsi i vestiti e scambiarsi pareri non
costava
nulla. Yoshiko si sbizzarriva a provare e a far indossare alla sua
amica degli
accostamenti talmente audaci che a volte sembravano ridicoli, il gioco
consisteva nel vestirsi e poi uscire contemporaneamente dai camerini
per accentuare
l’effetto sorpresa. Le due ragazze scoppiavano a ridere
indicando i particolari
più buffi oppure si producevano in espressioni disgustate.
Fecero un ultimo
giro, sotto lo sguardo della commessa che iniziava a faticare a
mantenere la
pazienza. Tra una fila e l’altra di vestiti Sanae
notò un abito lungo bianco
con delle rose stampate, lo staccò
dall’appendiabiti e lo portò con sè.
Yoshiko
rimase fuori ad aspettare: era un po’ stanca. Sanae
infilò l’abito e decise di
sfilare il reggiseno, ottenendo un risultato al di sopra delle sue
aspettative.
Non era mai stata vanitosa, ma quel vestito le stava così
bene da indurla a
indugiare sulla propria immagine sorridente e ad allargare sui lati la
gonna.
Scostò il telo e si mostrò alla sua amica che si
portò le mani alla bocca dallo
stupore.
- Stai
benissimo! Ti prego
compralo!- esclamò entusiasta.
Arrossì
vistosamente, non era
abituata a quel genere di abito, così femminile.
- Se non
lo compri tu, te lo
regalo io, scegli.- l’ammonì Yoshiko.
La
franchezza della sua amica
la convinse, pensando che un’altra cosa che doveva cambiare
era il rapporto con
la sua femminilità, soprattutto per sè stessa,
prima ancora che per attirare
l’attenzione di Tsubasa. Stringendo al petto
l’abito non potè fare a meno di
chiedersi cosa ne avrebbe pensato lui se l’avesse vista con
un vestito così.
Conoscendolo,
nemmeno lo noterebbe.
Completato
l’acquisto, uscirono
scusandosi con la commessa per la confusione creata per poi scoppiare a
ridere
divertite come due bimbe dispettose. Yoshiko guardò
l’orologio, poi posò una
mano sullo stomaco.
-
E’ quasi ora di pranzo: una
salutare insalatina o un tour di schifezze?-
La
proposta numero due suonò la
più allettante e tra le risate Yoshiko le chiese da dove
cominciare.
- Dunkin’ Donouts o Starbucks?-
Stanco di
rimanere in casa Tsubasa era uscito, perchè si sentiva molto
nervoso negli
ultimi giorni. Al mattino si era sfogato con il suo allenamento
quotidiano, ma
dopo pranzo aveva mostrato un’insofferenza per quelle quattro
mura che lo aveva
spinto a trascinarsi fuori. Aveva vagato in centro per
un’oretta e adesso stava
guardando la vetrina del negozio di articoli sportivi, dove, in mezzo a
canotte
da basket, scarpe di marca e tavole da snowboard stava il pallone
ufficiale dei
passati Mondiali di Calcio, la meta che voleva raggiungere e di cui
voleva
conseguire il titolo a tutti i costi. La porta del negozio si
spalancò e ne uscì
una coppietta, probabilmente suoi coetanei, mano nella mano, che
sorridevano
spensierati, mentre lui le chiedeva dove desiderasse andare. Li
guardò
allontanarsi sorridendo bonariamente, poi fissò il terreno,
si sentiva di nuovo
pervaso da quella fastidiosa sensazione di mancanza che aveva provato
giorni
prima in piscina.
-
Capitano!-
D’istinto
si
voltò, ma la delusione gli si dipinse in faccia quando vide
Kumi corrergli
incontro. Inopportunamente si avvinghiò al suo braccio e lui
non potè far altro
che assecondarla da quanto era ingessato dall’imbarazzo.
Cinguettando
allegramente, la ragazza lo trascinò fino alla caffetteria
che stava a due
passi. Entrarono e Tsubasa ordinò un latte macchiato per
sè, mentre Kumi ordinò
un frullato con una fetta di torta.
La ragazza
non
faceva altro che parlare, producendosi in un lungo monologo, dato che
lui non
proferiva parola e si limitava ad annuire o scuotere la testa, mentre
si
guardava attorno, maledicendosi per il fatto di non essere riuscito a
glissare
l’invito.
Il posto
gli era
familiare: si ricordò che una volta, dopo aver fatto tardi
agli allenamenti,
assieme a Morisaki e Sanae si era fermato lì per bere
qualcosa di caldo. La
manager stava seduta di fronte a lui e scherzava con il portiere sulle
ridicole
tecniche difensive che ogni tanto sfornava Ishizaki.
Si
riscosse da
quei pensieri quando la cameriera posò le loro ordinazioni
sul tavolo e Kumi si
avventò come un rapace sulla fetta di crostata.
Ah,
la torta al limone! La mia preferita!
L’eco
della voce
di Sanae lo riportò a quel momento: nella sua memoria la sua
amica sorrideva
come una bambina di fronte al regalo più bello del mondo,
quando la cameriera
le aveva porto il piattino con la fetta spolverata di abbondante
zucchero a
velo. Soffocò una risata al ricordo dello sguardo
inceneritore che aveva
ricevuto, quando aveva anche solo osato mimare di prenderne un
pezzettino per poi
vederla ridere e offrire di sua sponte un assaggio a lui e Morisaki.
-
Capitano,
tutto a posto?- chiese Kumi, che si accorse di quanto fosse assente in
quel
momento.
Tsubasa
annuì e
incrociò le braccia sul tavolo, attirando
l’attenzione sui tre bracciali rossi
e Kumi vedendoli iniziò a manifestare tutto il suo
entusiasmo, riprendendo a
parlare a raffica e sorridendo.
- Kumi.-
la
interruppe.- Mi spiace aver accettato il tuo regalo, ma vedi...-
sospirò, non
voleva trattarla male, ma nemmeno voleva tenersi quei cosi al polso,
tanto più
che non gli era manco stato chiesto se volesse indossarli o meno.
- ...non
è il
caso che li porti, mi mettono a disagio.-
L’espressione
della ragazzina passò dallo stupore alla più
profonda delusione, anche lei si
era resa conto che gli aveva fatto subire quel regalo, ma pensava che
non
avendo battuto ciglio lo avesse accettato.
- Non li
vuoi,
perchè non ti piacciono o cosa?- insistette.
- Non
è
questo...- si grattò la testa in evidente
difficoltà. - Non sono tipo per
queste cose, ecco tutto. Come vedi non indosso nemmeno
l’orologio.-
-
Capisco.-
sospirò mestamente. Rassegnata andò al bancone
per farsi prestare un paio di
forbici e tagliò via i bracciali dal polso di Tsubasa.
Il ragazzo
se lo
massaggiò come se lo avessero liberato dalle manette e, dopo
averla
ringraziata, vuotò il bicchiere di latte macchiato, quindi
si diresse alla
cassa per pagare, mentre lei rimaneva seduta al tavolo a smaltire
l’umiliazione.
- Ora
dovrei
andare, Kumi.-
Un cenno
di
assenso fu tutto quello che ricevette in risposta. Gli dispiaceva
vederla così
abbattuta, ma non aveva voluto tenersi oltre quella specie di marchio
di
fabbrica. Si congedò e riprese la strada di casa.
L’aria calda dell’estate
trasportava con sè l’odore dell’erba
tagliata e del profumo dei fiori
solleticandogli la pelle, d’istinto alzò lo
sguardo per osservare la scia di un
aereo che stava ormai sparendo. Era passata una settimana da quando
aveva visto
Sanae per l’ultima volta.
Il muro di
cristallo emanava dei bagliori che sembravano magici attraverso le sue
forme
irregolari, uno spettacolo fantastico che veniva amplificato dalla luce
riflessa del sole che stava acquisendo i colori arancioni del tramonto.
Yoshiko
la invitò a proseguire, altrimenti si sarebbero perse lo
spettacolo delle
ultime luci del giorno dalla cima del Top
of the rock. Salirono di un piano e rimasero qualche minuto a
giocare con
le luci interattive del corridoio che si illuminavano e producevano
effetti
sonori al loro passaggio. Alla fine raggiunsero la cima del grattacielo
che
sovrastava la città, una vista da mozzare il fiato. La due
ragazze si
avvicinarono alla parte nord della terrazza da cui si godeva la
panoramica su Central Park, poi i
loro sguardi si
focalizzarono sulla zona sud dove svettava l’Empire
State Building. Gli ultimi bagliori del sole iniziarono a
lottare con il blu della notte che stava prendendo il sopravvento.
- Come
vorrei
che Tsubasa potesse vederlo.- si lasciò scappare Sanae,
vergognandosi subito
per la propria debolezza. Voltandosi verso Yoshiko, però,
non notò
un’espressione di rimprovero, ma solo lo sguardo comprensivo
di chi capiva
perfettamente quello che stava provando.
- Non devi
sentirti in colpa per quello che senti, Sanae.-
Due
lacrime
silenziose scesero dai suoi occhi concentrati sullo spettacolo
meraviglioso cui
stava assistendo, il braccio gentile di Yoshiko le circondò
le spalle,
rincuorandola con quel gesto, ancora meglio di mille parole. Attesero
che le
luci della città si accendessero prima di abbandonare la
terrazza, dove l’aria
della sera cominciava a farsi piuttosto fredda, poi tornarono al
sessantasettesimo piano per prendere l’ascensore e uscire.
Quando
furono
nuovamente all’aria aperta il cellulare di Yoshiko
suonò.
- Hachi,
dove
siete?- chiese rispondendo.
- Ah,
siete già
lì. Dammi dieci minuti e arriviamo. Later.-
chiuse la comunicazione e con un cenno invitò
l’amica a seguirla.
Passarono Time Square e svoltarono per la 7th Avenue, dove vennero risucchiate
dalla scia luminosa delle insegne. Sanae osservava con
curiosità ogni
particolare, cercando di stare al passo svelto di Yoshiko, che di punto
in
bianco si fermò per indicarle il grattacielo dove
campeggiava la scritta di una
nota marca giapponese.
-
Lì c’è il
pannello del midnight countdown[1].-
La ragazza
annuì
completamente stregata da quello spettacolo, un po’
artificiale, certo, ma pur
sempre affascinante per gli occhi di una turista. Finalmente, videro
l’insegna
del locale e, prendendosi a braccetto, entrarono.
Yoshiko si
muoveva con una certa sicurezza, cosciente di dove potessero essersi
sistemati
i suoi amici. Superarono il negozio ed entrarono nello spazio dedicato
al
ristorante. Un po’ intimidita, Sanae si fece largo tra i
tavoli stando il più
vicina possibile all’amica.
Scesero
un’ultima
rampa di scale e lei potè distinguere Hachiro nel gruppo di
ragazzi al tavolo
proprio di fronte all’arco luminoso che circondava la foto di
Elvis Presley, su cui campeggiava la
scritta Who do you love?
Il
destino mi perseguita?
Sospirò
sentendosi un po’ in soggezione per gli sguardi curiosi degli
amici di Yoshiko,
che con un sorriso la invitò ad avvicinarsi per le
presentazioni.
- Ragazzi,
lei è
Sanae. Loro, invece, sono Christopher, Jamal e Cody.- rispettivamente
un
biondino con gli occhi verdi, un ragazzo afroamericano con i dreadlock
e un
ragazzo dai capelli scuri e gli occhi azzurri. Scambiati i dovuti
convenevoli,
si sedettero al tavolo.
- Tsk, la
prossima volta ci facciamo un festino nel privé.
Troppa gente qui.- sbuffò Cody, slacciando
l’ultimo bottone della sua camicia
Gucci.
La sua
dichiarazione scatenò l’ilarità degli
amici che iniziarono a sfotterlo per le
sue uscite da miliardario viziato.
- Il padre
di
Cody è molto ricco.- le suggerì Yoshiko.
- Sanae,
come è
andata la prima giornata, ti piace New
York?- le chiese Jamal con un caldo sorriso.
La ragazza
si
sentì un po’ più a suo agio e, con
l’aiuto di Yoshiko, riuscì a raccontare come
aveva passato la sua prima giornata americana, interrotta ogni tanto
dalle
domande di Chris, come aveva chiesto di essere chiamato. Cody sembrava
il meno
ospitale dei tre, visto che non aveva aperto bocca e si era limitato
solo a
guardarla per tutto il tempo. Hachiro invece si divertiva a
punzecchiarla,
facendole notare le storpiature di pronuncia o i piccoli errori di
lessico,
finchè sua cugina e Jamal non gli intimarono il silenzio.
Le loro
ordinazioni arrivarono al tavolo, ma proprio quando stava per tuffarsi
sul suo hamburger, il cellulare di
Sanae
squillò. Era sua madre che la chiamava per sentire come
stava, ma la confusione
nel locale la obbligò a uscire per trovare un luogo meno
caotico.
- La tua
amica è
proprio carina, lo sai Yoshi?- Cody stava ancora fissando la porta da
cui era
uscita Sanae.
- Lascia
perdere.- fu la pronta risposta.
-
Perchè?-
chiese lui sorridendo.
- Non
è uno scherzo,
stalle lontano.- lo minacciò con la forchetta.
Lo sguardo
provocatorio
del ragazzo fu il chiaro segnale che le sue minacce non funzionavano,
purtroppo
sapeva che tipo era: se voleva qualcosa la otteneva. Temeva proprio che
la sua
amica Sanae stesse per diventare l’ennesimo capriccio di quel
ragazzino
viziato.
Tadaaaan,
alla fine di una bella giornata di shopping, arriva lo sparviero pronto
a
piombare su Sanae, mentre il caro capitano in Giappone deve
disimpegnarsi dal
pressing serrato di Kumi…mmm, prevedo scintille.
Grazie
a tutti delle belle recensioni che mi lasciate e del tempo che dedicate
alla
mia fanfiction.