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Autore: Saerith    26/10/2011    6 recensioni
"Occhio per occhio, dente per dente" era in sintesi la logica dietro il codice di Hammurabi. Cosa succederebbe se Sanae iniziasse a ignorare Tsubasa?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il bacon sfrigolava nella padella e, una volta raggiunta la giusta croccantezza, Yoshiko ne sollevò le due strisce rosacee con una pinza e le dispose sui due piatti. Sanae portò alla bocca la tazza piena di caffè espresso, assaggiò il liquido, ma la sua faccia schifata non lasciò molto spazio all’immaginazione.

- Sa di bruciato, vero?- chiese ridendo Yoshiko, anche lei non sopportava il sapore del caffè americano.

Il primo esperimento era fallito, lasciò perdere l’intruglio e si concentrò sul piatto che la sua amica le aveva porto, dove una bocca di bacon le sorrideva sotto due uova all’occhio di bue che risultarono sicuramente più graditi.

- Domani facciamo le pancakes e ci beviamo un po’ di latte freddo e cacao, altro che questo schifo.- disse indicando il liquido nero.

Il resto della colazione fu dedicato alla scelta dei primi luoghi da visitare e, mentre discutevano sull’alternativa di partire da Brooklyn per poi allargare la visita giorno per giorno o andare subito a Manhattan, un sms fece squillare il cellulare di Yoshiko. Escluse potesse trattarsi di Matsuyama, a meno che non fosse ancora in piedi a mezzanotte, quindi si alzò svogliatamente per andare a recuperare il telefonino sul bancone della cucina.

Stasera Hard Rock?

L’invito di Hachiro non lasciava alternative: la Midtown sarebbe stata la meta della giornata. Si vestirono per uscire e si diressero a passo svelto alla metropolitana di Jay Street, perchè purtroppo quella mattina i cugini di Yoshiko non potevano fare da autisti e quindi dovettero arrangiarsi con i mezzi pubblici. Sanae era sbalordita dalla miriade di persone che parlavano idiomi incomprensibili, ma dai suoni musicali, ma ancora più stupita fu quando lei e Yoshiko uscirono dalla metropolitana e imboccarono la via per il Rockfeller Center, dove vide una schiera di bandiere sventolare come se volessero salutare i turisti che affollavano la zona.

Era naturale che la destinazione scelta fosse proprio il Rockfeller Plaza e tutti i suoi invitanti negozi. Passarono attraverso i tavoli delle caffetterie e si fermarono ad ammirare la statua dorata di Prometeo della favolosa fontana nella “piazza interrata”.

- Qui di solito c’è la pista di pattinaggio, ma durante le stagioni più calde viene tolta per lasciare posto alle caffetterie.- spiegò Yoshiko, quindi la prese sotto braccio e la invitò a seguirla nel dedalo dei corridoi del Centro Commerciale.

Sanae si guardava attorno, estasiata, facendo a gara con lei per tirarsi da una parte all’altra ogni volta che trovavano qualcosa che colpiva il loro interesse. Entrambe guardarono rapite la vetrina del negozio di Botticelli, fantasticando su un paio di sandali in pizzo color glicine costellati di Swarovksy. Sospirarono, sapendo che la cifra per un paio di calzature simili era ben al di fuori della loro portata.

- Certo, però, che se Hikaru riuscisse ad entrare nel calcio professionistico...- Yoshiko rimuginò fingendosi seria, poi scoppiò a ridere divertita.

- Ah, bè, in quel caso potresti pure comprarti tutto il negozio, volendo.- stette al gioco Sanae, unendosi alle sue risate.

L’atmosfera era distesa e rilassata, nonostante aver nominato Matsuyama le avesse inevitabilmente ricordato Tsubasa, ma con suo stupore, Sanae si era resa conto che pensare a lui le faceva meno male. Si sentì trascinare per la mano dalla sua amica che aveva adocchiato un modello di occhiali delizioso dalla vetrina di Sunglass Hut.

Il vero divertimento iniziò quando entrarono dentro i negozi di abbigliamento, anche se non avevano intenzione di comprare, provarsi i vestiti e scambiarsi pareri non costava nulla. Yoshiko si sbizzarriva a provare e a far indossare alla sua amica degli accostamenti talmente audaci che a volte sembravano ridicoli, il gioco consisteva nel vestirsi e poi uscire contemporaneamente dai camerini per accentuare l’effetto sorpresa. Le due ragazze scoppiavano a ridere indicando i particolari più buffi oppure si producevano in espressioni disgustate. Fecero un ultimo giro, sotto lo sguardo della commessa che iniziava a faticare a mantenere la pazienza. Tra una fila e l’altra di vestiti Sanae notò un abito lungo bianco con delle rose stampate, lo staccò dall’appendiabiti e lo portò con sè. Yoshiko rimase fuori ad aspettare: era un po’ stanca. Sanae infilò l’abito e decise di sfilare il reggiseno, ottenendo un risultato al di sopra delle sue aspettative. Non era mai stata vanitosa, ma quel vestito le stava così bene da indurla a indugiare sulla propria immagine sorridente e ad allargare sui lati la gonna. Scostò il telo e si mostrò alla sua amica che si portò le mani alla bocca dallo stupore.

- Stai benissimo! Ti prego compralo!- esclamò entusiasta.

Arrossì vistosamente, non era abituata a quel genere di abito, così femminile.

- Se non lo compri tu, te lo regalo io, scegli.- l’ammonì Yoshiko.

La franchezza della sua amica la convinse, pensando che un’altra cosa che doveva cambiare era il rapporto con la sua femminilità, soprattutto per sè stessa, prima ancora che per attirare l’attenzione di Tsubasa. Stringendo al petto l’abito non potè fare a meno di chiedersi cosa ne avrebbe pensato lui se l’avesse vista con un vestito così.

Conoscendolo, nemmeno lo noterebbe.

Completato l’acquisto, uscirono scusandosi con la commessa per la confusione creata per poi scoppiare a ridere divertite come due bimbe dispettose. Yoshiko guardò l’orologio, poi posò una mano sullo stomaco.

- E’ quasi ora di pranzo: una salutare insalatina o un tour di schifezze?-

La proposta numero due suonò la più allettante e tra le risate Yoshiko le chiese da dove cominciare.

- Dunkin’ Donouts o Starbucks?-

 

 

Stanco di rimanere in casa Tsubasa era uscito, perchè si sentiva molto nervoso negli ultimi giorni. Al mattino si era sfogato con il suo allenamento quotidiano, ma dopo pranzo aveva mostrato un’insofferenza per quelle quattro mura che lo aveva spinto a trascinarsi fuori. Aveva vagato in centro per un’oretta e adesso stava guardando la vetrina del negozio di articoli sportivi, dove, in mezzo a canotte da basket, scarpe di marca e tavole da snowboard stava il pallone ufficiale dei passati Mondiali di Calcio, la meta che voleva raggiungere e di cui voleva conseguire il titolo a tutti i costi. La porta del negozio si spalancò e ne uscì una coppietta, probabilmente suoi coetanei, mano nella mano, che sorridevano spensierati, mentre lui le chiedeva dove desiderasse andare. Li guardò allontanarsi sorridendo bonariamente, poi fissò il terreno, si sentiva di nuovo pervaso da quella fastidiosa sensazione di mancanza che aveva provato giorni prima in piscina.

- Capitano!-

D’istinto si voltò, ma la delusione gli si dipinse in faccia quando vide Kumi corrergli incontro. Inopportunamente si avvinghiò al suo braccio e lui non potè far altro che assecondarla da quanto era ingessato dall’imbarazzo. Cinguettando allegramente, la ragazza lo trascinò fino alla caffetteria che stava a due passi. Entrarono e Tsubasa ordinò un latte macchiato per sè, mentre Kumi ordinò un frullato con una fetta di torta.

La ragazza non faceva altro che parlare, producendosi in un lungo monologo, dato che lui non proferiva parola e si limitava ad annuire o scuotere la testa, mentre si guardava attorno, maledicendosi per il fatto di non essere riuscito a glissare l’invito.

Il posto gli era familiare: si ricordò che una volta, dopo aver fatto tardi agli allenamenti, assieme a Morisaki e Sanae si era fermato lì per bere qualcosa di caldo. La manager stava seduta di fronte a lui e scherzava con il portiere sulle ridicole tecniche difensive che ogni tanto sfornava Ishizaki.

Si riscosse da quei pensieri quando la cameriera posò le loro ordinazioni sul tavolo e Kumi si avventò come un rapace sulla fetta di crostata.

Ah, la torta al limone! La mia preferita!

L’eco della voce di Sanae lo riportò a quel momento: nella sua memoria la sua amica sorrideva come una bambina di fronte al regalo più bello del mondo, quando la cameriera le aveva porto il piattino con la fetta spolverata di abbondante zucchero a velo. Soffocò una risata al ricordo dello sguardo inceneritore che aveva ricevuto, quando aveva anche solo osato mimare di prenderne un pezzettino per poi vederla ridere e offrire di sua sponte un assaggio a lui e Morisaki.

- Capitano, tutto a posto?- chiese Kumi, che si accorse di quanto fosse assente in quel momento.

Tsubasa annuì e incrociò le braccia sul tavolo, attirando l’attenzione sui tre bracciali rossi e Kumi vedendoli iniziò a manifestare tutto il suo entusiasmo, riprendendo a parlare a raffica e sorridendo.

- Kumi.- la interruppe.- Mi spiace aver accettato il tuo regalo, ma vedi...- sospirò, non voleva trattarla male, ma nemmeno voleva tenersi quei cosi al polso, tanto più che non gli era manco stato chiesto se volesse indossarli o meno.

- ...non è il caso che li porti, mi mettono a disagio.-

L’espressione della ragazzina passò dallo stupore alla più profonda delusione, anche lei si era resa conto che gli aveva fatto subire quel regalo, ma pensava che non avendo battuto ciglio lo avesse accettato.

- Non li vuoi, perchè non ti piacciono o cosa?- insistette.

- Non è questo...- si grattò la testa in evidente difficoltà. - Non sono tipo per queste cose, ecco tutto. Come vedi non indosso nemmeno l’orologio.-

- Capisco.- sospirò mestamente. Rassegnata andò al bancone per farsi prestare un paio di forbici e tagliò via i bracciali dal polso di Tsubasa.

Il ragazzo se lo massaggiò come se lo avessero liberato dalle manette e, dopo averla ringraziata, vuotò il bicchiere di latte macchiato, quindi si diresse alla cassa per pagare, mentre lei rimaneva seduta al tavolo a smaltire l’umiliazione.

- Ora dovrei andare, Kumi.-

Un cenno di assenso fu tutto quello che ricevette in risposta. Gli dispiaceva vederla così abbattuta, ma non aveva voluto tenersi oltre quella specie di marchio di fabbrica. Si congedò e riprese la strada di casa. L’aria calda dell’estate trasportava con sè l’odore dell’erba tagliata e del profumo dei fiori solleticandogli la pelle, d’istinto alzò lo sguardo per osservare la scia di un aereo che stava ormai sparendo. Era passata una settimana da quando aveva visto Sanae per l’ultima volta.

 

 

Il muro di cristallo emanava dei bagliori che sembravano magici attraverso le sue forme irregolari, uno spettacolo fantastico che veniva amplificato dalla luce riflessa del sole che stava acquisendo i colori arancioni del tramonto. Yoshiko la invitò a proseguire, altrimenti si sarebbero perse lo spettacolo delle ultime luci del giorno dalla cima del Top of the rock. Salirono di un piano e rimasero qualche minuto a giocare con le luci interattive del corridoio che si illuminavano e producevano effetti sonori al loro passaggio. Alla fine raggiunsero la cima del grattacielo che sovrastava la città, una vista da mozzare il fiato. La due ragazze si avvicinarono alla parte nord della terrazza da cui si godeva la panoramica su Central Park, poi i loro sguardi si focalizzarono sulla zona sud dove svettava l’Empire State Building. Gli ultimi bagliori del sole iniziarono a lottare con il blu della notte che stava prendendo il sopravvento.

- Come vorrei che Tsubasa potesse vederlo.- si lasciò scappare Sanae, vergognandosi subito per la propria debolezza. Voltandosi verso Yoshiko, però, non notò un’espressione di rimprovero, ma solo lo sguardo comprensivo di chi capiva perfettamente quello che stava provando.

- Non devi sentirti in colpa per quello che senti, Sanae.-

Due lacrime silenziose scesero dai suoi occhi concentrati sullo spettacolo meraviglioso cui stava assistendo, il braccio gentile di Yoshiko le circondò le spalle, rincuorandola con quel gesto, ancora meglio di mille parole. Attesero che le luci della città si accendessero prima di abbandonare la terrazza, dove l’aria della sera cominciava a farsi piuttosto fredda, poi tornarono al sessantasettesimo piano per prendere l’ascensore e uscire.

Quando furono nuovamente all’aria aperta il cellulare di Yoshiko suonò.

- Hachi, dove siete?- chiese rispondendo.

- Ah, siete già lì. Dammi dieci minuti e arriviamo. Later.- chiuse la comunicazione e con un cenno invitò l’amica a seguirla.

Passarono Time Square e svoltarono per la 7th Avenue, dove vennero risucchiate dalla scia luminosa delle insegne. Sanae osservava con curiosità ogni particolare, cercando di stare al passo svelto di Yoshiko, che di punto in bianco si fermò per indicarle il grattacielo dove campeggiava la scritta di una nota marca giapponese.

- Lì c’è il pannello del midnight countdown[1].-

La ragazza annuì completamente stregata da quello spettacolo, un po’ artificiale, certo, ma pur sempre affascinante per gli occhi di una turista. Finalmente, videro l’insegna del locale e, prendendosi a braccetto, entrarono.

Yoshiko si muoveva con una certa sicurezza, cosciente di dove potessero essersi sistemati i suoi amici. Superarono il negozio ed entrarono nello spazio dedicato al ristorante. Un po’ intimidita, Sanae si fece largo tra i tavoli stando il più vicina possibile all’amica.

Scesero un’ultima rampa di scale e lei potè distinguere Hachiro nel gruppo di ragazzi al tavolo proprio di fronte all’arco luminoso che circondava la foto di Elvis Presley, su cui campeggiava la scritta Who do you love?

 

Il destino mi perseguita?

 

Sospirò sentendosi un po’ in soggezione per gli sguardi curiosi degli amici di Yoshiko, che con un sorriso la invitò ad avvicinarsi per le presentazioni.

- Ragazzi, lei è Sanae. Loro, invece, sono Christopher, Jamal e Cody.- rispettivamente un biondino con gli occhi verdi, un ragazzo afroamericano con i dreadlock e un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi azzurri. Scambiati i dovuti convenevoli, si sedettero al tavolo.

- Tsk, la prossima volta ci facciamo un festino nel privé. Troppa gente qui.- sbuffò Cody, slacciando l’ultimo bottone della sua camicia Gucci.

La sua dichiarazione scatenò l’ilarità degli amici che iniziarono a sfotterlo per le sue uscite da miliardario viziato.

- Il padre di Cody è molto ricco.- le suggerì Yoshiko.

- Sanae, come è andata la prima giornata, ti piace New York?- le chiese Jamal con un caldo sorriso.

La ragazza si sentì un po’ più a suo agio e, con l’aiuto di Yoshiko, riuscì a raccontare come aveva passato la sua prima giornata americana, interrotta ogni tanto dalle domande di Chris, come aveva chiesto di essere chiamato. Cody sembrava il meno ospitale dei tre, visto che non aveva aperto bocca e si era limitato solo a guardarla per tutto il tempo. Hachiro invece si divertiva a punzecchiarla, facendole notare le storpiature di pronuncia o i piccoli errori di lessico, finchè sua cugina e Jamal non gli intimarono il silenzio.

Le loro ordinazioni arrivarono al tavolo, ma proprio quando stava per tuffarsi sul suo hamburger, il cellulare di Sanae squillò. Era sua madre che la chiamava per sentire come stava, ma la confusione nel locale la obbligò a uscire per trovare un luogo meno caotico.

- La tua amica è proprio carina, lo sai Yoshi?- Cody stava ancora fissando la porta da cui era uscita Sanae.

- Lascia perdere.- fu la pronta risposta.

- Perchè?- chiese lui sorridendo.

- Non è uno scherzo, stalle lontano.- lo minacciò con la forchetta.

Lo sguardo provocatorio del ragazzo fu il chiaro segnale che le sue minacce non funzionavano, purtroppo sapeva che tipo era: se voleva qualcosa la otteneva. Temeva proprio che la sua amica Sanae stesse per diventare l’ennesimo capriccio di quel ragazzino viziato.

 

 

 

Tadaaaan, alla fine di una bella giornata di shopping, arriva lo sparviero pronto a piombare su Sanae, mentre il caro capitano in Giappone deve disimpegnarsi dal pressing serrato di Kumi…mmm, prevedo scintille.

Grazie a tutti delle belle recensioni che mi lasciate e del tempo che dedicate alla mia fanfiction.



[1] Conto alla rovescia della sera del 31 dicembre

  
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