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Autore: nefastia    26/10/2011    7 recensioni
Ho temuto per anni di morire. Poi ho saputo. Sono stata sicura che sarei morta presto.
E ho smesso di avere paura, per quanto l’incertezza e la preoccupazione per la mia famiglia fossero sempre presenti come una sottile ansia che mi consumava.
Quando è successo, ho provato quasi sollievo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Narcissa Malfoy | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dramione forza 9'
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Capitolo 9°
Gli anni
 
Tutto cambia.
 
Gli anni scorrono irregolari per me, che ne perdo ben più che la metà.
In questa esistenza senza ritmo, in cui i giorni possono susseguirsi senza la necessità di cedere alla notte, in cui le estati si appoggiano l’una all’altra come amiche ubriache, tutto quello che riesco a percepire è il cambiamento.
 
Così veloce che mi dà una vertigine. Così radicale che mi sconcerta.
 
Il Manor ha risuonato di grida e colpi per un tempo che non è in mio potere misurare ed ora brulica continuamente di vita e di voci.
Lo so. È diventato una scuola.
Lucius avrebbe qualcosa da dire in proposito. A me non importa.
 
Mio figlio è stato per ore seduto davanti al mio ritratto a spiegarmi il come e il perché di questa novità. Me ne aveva parlato Potter, la sera della festa. Non credevo però che la scuola sarebbe stata qui al Manor.
Sono quasi certa di essermi addormentata prima che arrivasse al dunque.
 
In verità non abbiamo perso nulla. La scuola occupa l’ala ovest, disabitata e inutilizzata da parecchi decenni, e buona parte dei sotterranei, trasformati in laboratori.
 
Draco lavora qui, non tutti i giorni, ma lo vedo piuttosto spesso.
A volte mi parla di cose che secondo lui dovrei già sapere ma io non le ricordo. Credevo che il non avere più un cervello mi mettesse al riparo da tali inconvenienti, invece fin troppo spesso mi rendo conto che non sempre quando Draco mi parla sono presente.
 
Non provo particolare disagio o dolore per questo, anzi, a volte le sue chiacchiere mi annoiano mortalmente. All’inizio mi sono vergognata, mi sono sentita una cattiva madre per il desiderio che sentivo di sottrarmi alla compagnia di mio figlio, ma infine, mi sono detta, lui ha la sua vita, ed è una bella vita, non ho più motivo di angosciarmi per lui. La mia è finita, avrò pure diritto al riposo!
 
Le vacanze della famiglia sono quello che non vorrei mai perdere, anche se qualche volta succede.
Loro arrivano quando si è spento il brusio dell’ala ovest, molto raramente prima. Arrivano e aprono tutte le finestre.
Arrivano e la luce invade ogni angolo, l’aria vibra al suono di voci e di risate, di strilli, di lacrime e consolazione.
Arrivano e gli attimi si colorano e prendono corpo, emergono dal letargo del tempo.
Arrivano e il vento riempie le stanze, gonfia le tende e muove le pagine del giornale lasciato sul divano la sera prima. Porta il profumo delle rose, le mie rose.
 
Ricordo la concessione che mi fece Lucius, di creare un roseto occupando una parte del prato che io trovavo eccessivo. Un’angosciante spazio vuoto e verde con al centro una fontana di pietra di pessimo gusto.
Proprio intorno alla fontana piantai le mie rose, facendo deviare i viali delle carrozze.
 
Le prime piante le interrai con le mie mani, rifiutando gli incantesimi dei giardinieri. Lucius la trovò una pessima idea. Disse che le mie mani in poco tempo sarebbero sembrate quelle di un Elfo domestico. Rabbrividii.
Accettai i giardinieri ma non gli incantesimi. Lucius non capì mai perché, né io mi applicai molto nelle spiegazioni. Come avrebbe potuto, in ogni caso, apprezzare la poetica caducità di ognuno di quei boccioli, solo per un giorno, per poche ore, portatori di una bellezza indicibile.
Mai avrebbe potuto vedere la caduta di senso del costringerli con la magia a permanere identici a se stessi oltre il loro tempo. Congelati in una non vita. Immobili.
 
Le persone che arrivano in estate sono ogni anno di più.
Mia sorella c’è sempre. Aumenta il numero dei ragazzi, amici dei nipoti, figli degli amici, a volte intere famiglie, Potter, Nott, Weasley, la Greengrass, non Astoria, per fortuna, sua sorella, con le figlie, suo marito non si vede mai. Altra gente, mai vista e di cui due minuti dopo averlo saputo ho già dimenticato il nome. In ogni caso non riuscirei mai a ricordare tutti i nomi.
 
I nipoti aumentano di numero e crescono di età. Non è ancora del tutto sfumato il fastidio per aver costatato che Severus, il primo maschio, lungi dall’ereditare il fascino e la raffinatezza di Draco, somiglia davvero troppo alla madre, che già ce n’è un altro, molto più civile nell’aspetto e nei modi.
 
Severus è davvero un ragazzo pieno di doti… grifondoro. Preoccupante.
Devo ammettere che è piuttosto bello, malgrado gli occhi scuri, i capelli indomabili, l’espressione ridanciana o furibonda, quasi senza vie di mezzo. O forse proprio per quello.
Tende ad essere ingenuo e testardo, non conosce la diplomazia e nemmeno il semplice differimento dei propri impulsi, è incapace di mantenere il controllo per un’ora di seguito. Ha sette anni. Speriamo che crescendo migliori. O romperà muri a testate fin quando la sua testa non ne incontrerà uno troppo duro.
 
Solo il secondogenito di Potter, che è il contrario di lui, sembra capace di trovare e rinchiudere le sue furie. Pare impossibile che da due Grifoni sia nato Albus. Così serio, silenzioso, riflessivo al punto che se gli fai una domanda lui si prende i suoi tempi per rispondere e non sempre sono pochi secondi!
Insieme al suo amico per la pelle e coetaneo, Severus si placa. Passano ore infinite a progettare campagne politiche per una promuovere una legge contro i precettori antipatici, rigidi e musoni, che provocano danni all’umore e all’equilibrio degli studenti, scope volanti attrezzate di motori babbani, diete per favorire la capacità di levitazione e altre meraviglie del genere.
L’assurdo è che mentre li ascolto convincono anche me, trovo possibili e ragionevoli tutte le loro idee balzane.
 
A volte fatico davvero a riconoscerli nel turbinio di ragazzini e fanciulle.
 
Prima di Hogwarts sono venuti qui, a scuola. Un paio di precettori hanno insegnato i rudimenti della cultura magica e, contro il mio parere, anche di quella babbana, a una dozzina di marmocchi, a partire dai cinque anni fino agli undici.
All’inizio mi divertiva al punto che chiesi a Draco di portare il ritratto in classe. Adesso mi annoia anche quello.
 
Eltanin, come un maschiaccio, corre dietro a quel suo amico rosso di capelli. Victoire, la più grande d’età, li insolentisce e ride di loro, salvo poi partecipare agli stessi “stupidi giochi”. Mi aspettavo che le due bambine più grandi fossero amiche, invece Eltanin preferisce Ted, il nipote di Andromeda, per le sue confidenze, e James per tutto il resto.
 
Talvolta, nella notte, scendono, Ted e Vicki, e chiacchierano a lungo alla luce del camino, a volte anche scaldando alla fiamma qualcosa infilzato su bastoncini e il cui odore zuccherino sale fino a me.
 
Lei si burla di lui. Lui le muore dietro, per quanto con una certa eleganza. In mezzo agli altri non si guardano nemmeno. Di notte inizia la schermaglia ingenua tra quello strano ragazzino che cambia forma e colore così spesso da non essere mai sicuri che sia lui e quella Weasley bionda e smorfiosa.
 
«Sei sicura di non volermi come fidanzato?»
«Più che sicura. Sono troppo giovane per precludermi le occasioni che potrebbero capitarmi.»
«Ma io ti piaccio.» voce roca.
«Dipende dal momento. A volte si, a volte no.» Avvicina il viso a quello di lui.
«Sarò come tu mi vuoi. Chi altri può fare questo per te?» quasi sulle sue lebbra.
Si sfiorano la bocca.
Merlino! Potrei mettere una lanterna rossa sul portone. Ma che casa è diventata mai questa?
Ormai hanno lasciato cadere i loro bastoncini nel fuoco e si baciano con entusiasmo degno di miglior causa. Domani la smorfiosa farà finta di niente e tutto ricomincerà come il solito.
«Sei proprio sicura Vi?»
«Certo Ted.» Ancora baci.
«Un giorno cadrai ai miei piedi, Weasley.»
«Può darsi, Lupin. Non avere fretta.»
 
Eltanin zoppica. Pare che sia per un incidente con una scopa, alcuni anni fa. Non capisco perché ora zoppichi più di prima.
Gli amici hanno fatto qualche battuta. Dopo due ore zoppicavano tutti. È davvero terribile quella ragazzina.
Quando prende il the in salotto si siede a schiena diritta e prende la tazza con gesti misurati e lenti. Beve, pone la tazza sul piattino nell’altra mano, gira appena la testa per posare tutto sul tavolo con un gesto preciso. Nessun tintinnio di porcellana, mai un cucchiaino caduto. Lo fa come se fosse un compito.
Qualche volta mi viene il dubbio che il the nemmeno le piaccia.
 
È molto sedentaria, questa estate. Non sono abituata a vederla guardare gli altri giocare a quidditch senza salire sulla scopa.
L’avvicino, in piedi all’ombra leggera delle betulle. Mi si rivolge senza staccare gli occhi dal suo Jai, che volteggia sulla scopa in mezzo agli altri.
«Nonna, mi insegneresti il portamento?»
«Ti serve per giocare a quidditch?» sorride, indulgente.
«Mi serve per Hogwarts.»
«Oh, allora…»
Non sono necessarie altre spiegazioni, il portamento è un tratto distintivo. Dice di te quello che vuoi che gli altri sappiano, nasconde quello che non vuoi  mostrare.  Il portamento è un’arma prettamente difensiva ma ha un suo ruolo anche in una strategia di attacco. Un portamento ben controllato può essere intimidatorio o accattivante, perfino lezioso. È il linguaggio di un corpo controllato dalla mente.
«Quando vuoi cominciare?»
«Subito, direi. Dove possiamo andare?»
«In biblioteca, naturalmente!»
«Perché in biblioteca?»
Io mi sono trovata subito lì e lei mi ha seguito in un secondo.
«Ti sei smaterializzata.»
«Perché in biblioteca, nonna?»
«Non è troppo presto per le materializzazioni?» ragazzina, questo è il mio gioco, non puoi battermi.
«Beh, mi riesce.»
«Così per caso?»
«Non proprio.»
«Racconta.»
Lei si guarda intorno.
«Non vorrei essere presa per pazza, nonna.»
«Perché gli altri non mi vedono?»
«Già. Tu lo sapevi.»
«Certo. Non sei pazza, hai la vista di nonna Peverel. Lo dirò a tuo padre, uno di questi giorni.»
«Ah! E com’è la vista di nonna Peverel? Io ho avuto una nonna Peverel?»
«In verità era la mia bisnonna. Da parte di madre. È un’antenata anche di Potter. Era l’ultima della sua famiglia.»
«E come funziona la vista?»
«Ma non ti interessava il portamento?»
«Mi interessa tutto, nonna. Mi dicono che sono come mia madre. Quindi ho buone possibilità di diventare anch’io una rigida stronza.» Sobbalza alle ultime parole e si porta una mano davanti alla bocca. «Scusa, nonna.» A me viene da ridere.
«Oh, beh, chi di lingua ferisce…»
«Che vuoi dire?»
«La prima cosa che ho notato di tua madre, dopo i capelli, è stato il suo modo di esprimersi un po’ troppo… spontaneo.» Eltanin ride a crepapelle
«Spontaneo! Mi stai dicendo che diceva parolacce?»
«Perché, ha smesso?»
«Beh, di fronte a noi sta molto attenta, ma io l’ho sentita tante volte “discutere” con papà. Altroché se dice parolacce! Tu però mi stai confondendo. Mi devi dire della vista.» Ottima serpe, la piccola.
«Non credo di saperne granché. Se ne parlava molto quando ero bambina, alcuni temevano che qualcuna di noi bambine l’avesse ereditata, altri ci speravano. Comunque, per quanto ne so, lei è stata l’ultima. Prima di te.»
«In che consiste questo potere?»
«Già, è questo il problema, non è affatto facile da raccontare, né da sfruttare nella vita quotidiana, per cui rischia di diventare più un fastidio che un vantaggio. Lei diceva che vedeva la trama della realtà. La realtà è tutto quello che ci circonda, visibile e invisibile, vivente e inanimato, tutte le azioni, tutte le relazioni, le intenzioni, il tempo atmosferico, le nascite, le morti, le faglie sotterranee, il passato, il presente… il reale è tutto. Come può avere una trama? Che si vede davvero? Non ho idea, credimi. Di certo riusciva a prevedere il tempo, a riconoscere, qualche volta anche a guarire, le malattie di persone e animali, l’umore delle persone e altre cose che non ricordo. Si diceva che suo marito non riuscisse a toccarla. Solo per poche volte gli aveva concesso di giacere con lei e dopo era stata malata a lungo, ogni volta. In ogni caso ha prodotto tre figli e tanto basta a una famiglia purosangue.  Ero ancora piccola quando è morta.»
«Da quando sai che ho questa “vista”?»
«Dalla prima volta che ti ho incontrata. Tu mi vedevi. Avevi due o tre mesi.»
«Non lo hai detto a nessuno?»
«Non ancora, ma lo dirò a tuo padre.»
 
«Ora mi dici perché la biblioteca?»
«Ora mi dici perché hai imparato da sola a materializzarti? È troppo presto.»
«Non per me.»
«…»
«Ho imparato perché è una cosa che può salvarci la pelle. Ci è capitato un incidente e abbiamo rischiato davvero…»
«Tu e… ?»
«Jai.»
«Perché mai l’ho chiesto?»
«Beh, ecco, ho imparato per questo.»
«Non te la caverai così.»
«Così come?»
«Piccoletta, te l’ho già detto, questo è il mio gioco. Mi accorgo subito se tenti di sviare la mia attenzione. Provaci con un Grifondoro, non con tua nonna.»
«Pff, cosa vuoi sapere?»
«In che guaio ti sei trovata con Jai?»
«Sott’acqua. Abbiamo nuotato nel laghetto trascinando una boa, della corda graduata e i pesi. Volevamo misurare la profondità del laghetto sotto la cascata. Però quando eravamo sotto Jai è rimasto impigliato nella corda e il gancio del peso lo tirava giù. Era troppo tempo che stavamo sotto e non riuscivamo a liberarci.»
«Jai, lui non riusciva a liberarsi.»
«Non potevo mica tornare senza James!»
Perché no?
«Beh, se avessi potuto smaterializzarci sarebbe stato tutto più facile. Così ho iniziato a provare. Da sola però, James non riesce a percepirsi come faccio io.»
«Cioè?»
«In modo preciso. Lui ha un’idea approssimativa di sé, come tutti gli altri. Io invece mi sento tutta in modo preciso, cellula per cellula, capisci?»
«Quindi è per questo ci riesci anche se non hai ancora un’immagine corporea stabile.» Lei fa un cenno col capo.
«Alla fine l’ho fatto e non mi sono mai spaccata, né mai succederà. È impossibile. E so che potrò smaterializzare anche lui se sarà necessario.»
«Sì, penso che anche questo sia  dovuto alla “vista”.» Lei ci pensa un po’.
«Certo. Sarebbe bello se ci fosse una spiegazione semplice a tutta questa… diversità.»
«Ti fa soffrire?» Eltanin sembra riflettere.
«No. A volte mi mette a disagio perché gli altri mi guardano in modo strano. Per fortuna c’è James. Lui non trova niente di strano in me. Lui è il mio amico, posso contare sempre su di lui, e non ha mai niente da dire sulle mie stranezze. Non gli sembrano strane.»
 
 Eltanin.
Mia nipote. Un gioiello splendente.
A settembre andrà ad Hogwarts. Ha bisogno di lezioni di portamento.
 
«La biblioteca ci serve per i libri, che non dovrai leggere ma portare in testa, per il corridoio, che è lungo e isolato, per le cianfrusaglie tra le quali dovrai muoverti con sicurezza, senza inciampare.»
«La mia gamba…»
«Non è un problema. E se lo fosse vedremo di trasformarla in una risorsa.»
 
 

   
 
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