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Autore: Kokky    31/10/2011    3 recensioni
7 prompts, 7 fic su John e Sherlock.
«Effettivamente è un coinquilino che può creare qualche... problema», disse Sarah perplessa.
John la fissò per qualche istante: beh, quella era una verità universalmente riconosciuta, tuttavia non gli andava a genio che fossero gli altri a dirla. Così come non sopportava chi chiamava “mostro” quell'essere geniale di Sherlock Holmes.
... probabilmente si era trasformato nel suo cagnolino fedele.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“X-box”
Il gioco per Xbox di John e Sherlock è uno qualsiasi di questi: http://www.twenga.it/dir-Videogiochi,Microsoft-Xbox-360,Giochi-Xbox-360--070728
 
Tutto era cominciato a causa di Harry.
John ormai aveva fatto il callo a quell’andazzo: sua sorella combinava qualcosa e quello che finiva nei guai era lui – tutto regolare, davvero.
Quello che non era normale era che Harry fosse riuscita ad intaccare anche la sua vita con Sherlock, pur senza incontrarlo o parlargli, in modo alquanto irreversibile.
Tutto per quel dannato aggeggio: l’Xbox.
 
Era arrivato in un pacco postale anonimo, di cui Sherlock aveva descritto la provenienza e il mittente grazie a poche rapide deduzioni (ma non bastava leggere l’intestazione sul lato destro della scatola?); non ticchettava, non puzzava di rancido e non sembrava contenere fluidi corporei – John aveva scioccamente pensato, allora, che fosse innocuo. 
Avevano aperto il pacco e, in mezzo a pezzi morbidi di lana (che John scoprì essere un maglione lasciato a casa di Harry circa un anno prima), vi trovarono quel coso.
Harry non ne poteva più, aveva deciso di darsi alla Wii, e invece di gettare l’Xbox nel cassonetto, aveva pensato che suo fratello fosse una spazzatura universale.
Nel pacco c’era anche una videocamera che presto scoprì chiamarsi Kinnect e un videogioco ancora impacchettato. Da quando in qua questi cosi avevano dei nomi? Mentre cercava di capire le ragioni insensate di Harry, Sherlock aveva allungato l’occhio verso quei due strumenti e li aveva montati in salotto, collegandoli al televisore.
Da lì era iniziata la discesa nel mondo oscuro dell’Xbox, un lungo percorso portato avanti dalla noia delle fredde serate invernali.
 
I piedi sono in posizione. Le mani sottili scattano veloci sui pantaloni, ticchettando sul tessuto liscio. Il collo lungo si piega di lato e poi torna alla sua posizione con uno schiocco. Le guance pallide si gonfiano rosse e si svuotano d’aria. Gli occhi cerulei balzano sullo schermo, rapidi.
«Sherlock», un lamento soffocato che arriva dalla poltrona.
Ignorarlo non è facile, ma il suo cervello si è ormai abituato ad isolare gli impulsi esterni considerati inutili.
Il gioco sta per partire, la videocamera è puntata su di lui, Sherlock alza la testa pronto a muoversi.
«Sherlock, per piacere. Non puoi passare la tua serata così», una voce che deve essere allontanata dalle sue orecchie – potrebbe rovinargli la performance. Promemoria: azzittire John con qualcosa di strabiliante per poi farsi dire “eccezionale! Brillante!” e morire in pace.
Prepara i suoi arti. Ecco, questa volta sarà perfetto e John dovrà cedere e complimentarsi con lui.
«Sherlock, smettila», continua questi.
Parte la musica. I passi da imitare sono tanti, ma Sherlock si è abituato a quel ritmo ed esegue le mosse senza imperfezioni. Una mano sul capo, uno scrollare di spalle, un piede in avanti, una piroetta, lo scuotere della testa.
«Sherlock...», sussurra John alzandosi dalla poltrona e avvicinandolo.
Il gioco finisce e il punteggio svetta colorato sullo schermo televisivo. Ha superato se stesso, Holmes, come sempre.
«Genia-», sta per farsi sfuggire John, che si tappa istintivamente la bocca con la mano.
«Sì, John?», gli chiede Sherlock, voltandosi verso di lui. Ha il viso accaldato dal moto, gli occhi brillanti e l’incarnato acceso. Anche le sue labbra sembrano più colorate, mentre pronunciano il suo nome.
«Niente», esclama John arretrando di un passo. Si guarda intorno, cercando una frase con cui rispondere. «Lo sai cosa ne penso dell’Xbox, dovresti smetterla di passare il tuo tempo così, insomma, se non hai nulla da fare perché non leggi qualche libro? Oppure possiamo fare qualcosa, andare al cinema, non lo so...»
«I film sono noiosi, so sempre come finiscono già dai primi minuti», borbotta di rimando Sherlock. Poi un guizzo gli percorre il viso e John capisce di essere in pericolo. È un istinto da preda senza speranza, il suo.
«No», esclama anticipando qualsiasi sua proposta.
Sherlock lo guarda paziente, ghignando. «Dai, John, prova anche tu a giocare. Forse potresti battermi per una volta... visto che è richiesto uno sforzo fisico e non mentale», ah, che stronzo di coinquilino. Sherlock ci rimugina un po’ su e poi aggiunge con un sorriso: «Ti piacerà, so che le tue capacità di soldato ti danno un gran vantaggio su di me».
Dove vuole andare a parare?
John sbuffa e per un secondo si convince. Si mette in posizione, sapendo che non ha altra scelta, e aspetta l’inizio del gioco. Arriva la musica e imita un passo facile del ballerino sullo schermo. Poi si blocca, cioè... non c’è più decenza in quel mondo!
«Pietà, Sherlock!», grida voltandosi verso di lui. Questi lo raggiunge in un istante e, afferrandogli le braccia, lo fa muovere al ritmo dell’Xbox. «Su, è facile, John, non dirmi che non riesci a fare neanche questo...»
«Sta parlando quello che si fa passare le cose a un metro di distanza. Io almeno so prendere un cellulare in mano», borbotta stizzito.
«In mano», un sussurro che lo fa rabbrividire. Dovrebbe fare un controllo ormonale, Sherlock, perché sembra aver acquisito tutto d’un tratto la capacità di far scendere piccoli brividi di piacere sulla schiena con il solo tono della voce. Deve essere qualche testosterone impazzito che gioca con la sua ugola.
John sfugge a quel maledetto coso, allontanandosi da lui e dall’inquadratura della videocamera che riprende ogni mossa fatta dal giocatore. Sherlock lo osserva dalla sua postazione, immobile.
«Hai perso, il tuo punteggio è troppo basso», dice poco dopo, fissando lo schermo apaticamente. Sembra che la noia sia tornata a farla da padrona e John inizia a pensare che forse è meglio l’oscura forza malefica dell’Xbox piuttosto che un tentato omicidio sherlockiano per la troppa piattezza invernale.
«Potresti provare a battere di nuovo te stesso», propone allora, sorprendendosi da solo di ciò. Anche se non c’è molto da stupirsi: John, da bravo soldato, alla fin fine pensa alla sopravvivenza più che alla decenza di un qualsiasi detective privato – o del suo consulente investigativo.
Sherlock ci pensa su qualche istante, osservando il televisore ancora acceso con il menù pieno di voci; poi si gira verso John e lo osserva dubbioso. «No, per oggi basta con la musica dance», spegne l’aggeggio e si avvicina allo stereo.
John lo guarda prendere un cd di canzoni natalizie che deve avergli regalato Mycroft. «E quello cos’è?»
«Pensavo fosse buono per rendere l’atmosfera un po’ più calda», mormora Sherlock atono, studiando la copertina del cd, «ma forse preferisci il silenzio».
Oh. Ah. Forse ha percepito quei brividi sulla sua schiena. Forse ha capito perché si è ritratto e ha compreso le sue guance rosse. Forse ha frainteso come ha fatto mesi prima nel ristorante in cui hanno discusso delle loro relazioni amorose – o simili.
O magari è stato John a non capire se stesso.
Si avvicina a lui, scrollando le spalle, e gli strappa di mano il cd, lanciandolo sulla poltrona dall’altro lato della stanza. Sospira.
«Sei così annoiato da inventarti di tutto», mormora alzando lo sguardo e incrociando il suo. «E comunque», un altro sospiro profondo, cerca il coraggio che ha sempre avuto, lo acciuffa e se lo ingoia intero, «sei davvero uno spettacolo quando giochi all’Xbox. Inquietante, magari, ma in un certo senso affascinante. Sherlock, al solito sei brillante».
Un sorriso. «John, ti piace sempre creare questa specie di tensione fra noi due con frasi ad effetto», gli arruffa i capelli sofficemente, si tende verso di lui. «Lo so cosa stai pensando».
«Purtroppo sì», sbotta lui, afferrandolo per le spalle. Il naso è vicinissimo al suo. «Sto pensando che tutto questo moto ti ha fatto sudare e puzzi. Anche tu hai degli ormoni, a quanto pare, e hai bisogno di una lavata».
«Lavami tu».
Inaspettato, ma non troppo.
John pensa per un istante che Harry riesce sempre a ficcarlo in casini inestricabili, come quando è finito nella casa del vecchio vicino con il fucile pronto per sparare agli intrusi e per poco non ci ha rimesso la testa, o quando gli ha fatto rompere con la sua ragazza con una mossa troppo azzardata... o come quando ha deciso di spedirgli quell’Xbox del diavolo e lui è caduto nel labirinto della noia colossale di Sherlock, che si potrebbe anche definire uno strano tentativo di conquistarlo a suon di mosse dance.
«Ai suoi ordini, Roger», un altro sospiro che suona divertito, prima di fondersi al suo respiro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ho come l’impressione che non riuscirò mai a scrivere nulla di serio su questi due. Non so se sia una cosa positiva, ma comunque xD, la serietà di questa fic è tutta ironica. Vi giuro, io ci ho provato. Forse. *rotola* comunque la fine ricorda la mia altra fic su Sherlock (Titolo cercasi), però è stato naturale concludere in questo modo. Mh. Va beh, spero vi sia piaciuta J
   
 
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