Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Mao_chan91    03/07/2006    2 recensioni
La vita è un insieme di memorie confuse; il rimorso ciò che le tiene insieme.
L’orgoglio, l’orgoglio di un fratello, di esserlo, la forza di andare avanti.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

Brother’s pride

Disclaimer: Nessuno dei personaggi qui presenti mi appartiene, né la canzone citata, né nulla riguardante FMA. Solo questa piccola fan-fiction e le idee correlatevi sono frutto delle mie elucubrazioni mentali. Però mi piacerebbe tanto tanto avere possesso di Al. Ed non m’interessa, perché è la mia simpatica versione al maschile. E non sono narcisista.

About: Spaccato nella vita degli Elric kyoudai, dato dalle mie scarne seppur complete conoscenze del manga. Un esperimento.

Summary: La vita è un insieme di memorie confuse; il rimorso ciò che le tiene insieme. L’orgoglio, l’orgoglio di un fratello, di esserlo, la forza di andare avanti.

Rating: PG13. Nulla di che, ma argomenti opprimentemente tristi.

Pairing: No pairing. Amore fraterno, in maniera fraterna. Stop.

Warnings: One-shot; eventuali, inconsci spoilers possibili.

Prosti menya, mladshiy brat!

Ya tak pred toboy vinovat.

Pyitatsya vernut' nyelzya

Togo, chto vzyala zyemlya.

Kto znayet zakon Byitiya,

Pomog byi mne nayti otvet.

Zhestoko oshibsya ya;

Ot smerti lekarstva nyet.

Come posso ripagarti, fratello mio?

Come posso pretendere che

mi perdoni?

Aggrappandomi al passato,

ho versato il tuo sangue.

E distrutto la tua possibilità di

vivere.

Anche se conoscevo le leggi,

non vi ho prestato attenzione.

Come posso restituirti il respiro

perduto?

Quello che non sapevo ti fosse

costato caro...perché non c’è

cura per la morte.

(Ooshima Michiru – Bratja)

-

Nulla può riparare le cose, quando s’infrangono quelle conoscenze che non dovrebbero esserlo.

In queste cose, si può solo andare avanti, abbandonando quello che non c’è più, andando avanti per quello che rimane.

Così Edward Elric sentì la presa della mano fredda di sua madre scivolar via dalla sua, stringendo in consolazione quella ancora calda di Alphonse Elric, l’adorato fratellino.

Vide lui, e vide qualcosa per cui proseguire; vide lui, e vide un obiettivo da raggiungere, per conseguentemente ottenere l’ambita felicità.

Incontentabile, tentò di perdere tutto perché nuovo calore lo irradiasse nel seno materno, al suo abbraccio, mentre Alphonse ancora, timidamente, annuiva accondiscendente, si adeguava alle sue scelte, al suo pensiero.

Alimentato dalla fiamma degl’occhi fraterni, il minore dei fratelli Elric faceva sue conoscenze e decisioni che un bambino tranquillo come lui mai avrebbe davvero ambito a conoscere.

Ed era stato tutto così devastante, ed avevano creato ed ucciso, e perso tutto.

Egoista nelle sue ambizioni, nei suoi desideri, Edward vide invece una parte di sé indurirsi, pose inferriate davanti ai suoi resti; ed aveva così guadagnato forza in cambio della sua innocenza; fu egoista sin dall’inizio, e fino alla fine, mentre battevano i palmi delle mani sul cerchio di trasmutazione, perdendo tutto, scaraventati in qualcosa di largamente opposto alle loro considerazioni.

-

Tante volte o, quantomeno, un buon numero di volte, Edward Elric si ritrovava la testa pesante, così pesante da costringerlo a privarsi di un buon numero di momenti di sonno; ed il sonno era piuttosto importante per le sue fatiche, per quella salute che doveva dividere con l’anima fraterna.

Ma tante, tante volte era egoista; tante volte ogni cosa bruciava insopportabilmente, sale su cicatrici ancora dischiuse, nuovo tormento.

Così tante volte da ucciderlo lentamente, senza morbidezza alcuna; affrontava i suoi ricordi, senza concedersi di urlare.

Ad affrontare l’Inferno più e più volte, uno ci faceva il callo col dolore, con le limitazioni umane, con i suoi errori.

Toccando il fondo ripetutamente, non poteva che risalire, fiaccamente e debolmente.

Nulla era dolore comprovabile a quello patito da Alphonse nel perdere il corpo per mani fidate; al non aver più voce per urlare per lo strazio, a non aver più forze per dimenarsi e tentare di scampare l’inevitabile.

Con le sue mani sporche, Edward aveva legittimamente abbandonato ogni sua possibilità, ogni suo diritto.

Paragonava, continuamente paragonava non il dolore suo, ma quello di Alphonse, con quella bieca e sottile felicità che gli riusciva di dargli.

E’ abbastanza?

No, non sarà mai abbastanza.

Dolore non porta gioia, ma la scaccia.

Il dolore patito da Alphonse, era il peggiore di tutti; dunque la sua felicità la più vana e sottile.

Fermamente, riconosceva questo, e nel farlo si sentiva piccolo e sciocco, perché Alphonse non si era mai lamentato di nulla, per fedeltà fraterna, e lui se ne sentiva tanto orgoglioso, di quell’orgoglio che solo un fratello maggiore può provare, di quell’ammirazione profonda che solo un fratello minore può provare.

Continuamente, loro erano entrambe le cose, mischiando le carte in tavola, scambiandosi i ruoli e poi facendolo ancora, così, smossi solo da palpabile confusione, e nulla era chiaro, e tutto era oscurità.

Tante volte Edward, a quel modo, si avventava sulle sue paure, sul suo passato, con la forza e la disperazione violenta propria solo a chi è nel torto e lo sa, lo sa benissimo.

La testa è fremente, e nuove colpe si accatastano alle altre, mentre giace in terra, senza una ragione precisa, come un povero idiota, in verità, sulla gradinata sotto la loro stanza alla centrale.

Nel voler pensare al meglio per il fratello, ogni volta lo privava della sua presenza, ed ogni volta Alphonse aveva paura, tanta paura.

Al buio, ogni volta attendeva il suo ritorno invano, e il pensiero che fosse via per sé, solo quello lo sollevava un poco.

Ma Edward era il suo fratellone adorato, quanto gli era rimasto al mondo, e non voleva, non voleva perderlo neppure distrattamente di vista.

Eppure non se la sente più di tollerare questo, troppo il disordine dentro di sé, e si solleva dal suolo, metallico nei movimenti, metallico nel tremare; ed è tutta pura illusione, pura malattia: nulla gli è concesso, in questo corpo, nulla.

Terrorizzato, terrorizzato ogni volta di più in tali constatazioni sente il bisogno di esternarlo; e non può urlare, o disturberebbe il fratellone; e non può schiantarsi in suolo, perché questo lo addolorerebbe.

E’ solo ansia, vibrante, e lo scuote, e prosegue goffamente nella sua terrorizzata ricerca di consolazione, di Edward.

Potrebbe piangere, nel rivederlo, solo per il conforto; non può.

"Nii-san, nii-san!"

Sente sorta di benessere interiore, nel dirlo, e la confusione allevia gli animi di entrambi, abbandonandoli.

Così, certi l’uno nella tangibilità dell’altro, è tutto indicibilmente lenitore.

Per una volta, qualcosa alleggerisce.

E senza sapere bene perché, Edward solleva la mano a fargli cenno di sederglisi vicino, sguardo ancora perso nel nulla, nulla ancora ad allargargli la visione al passato.

E ricorda, ricorda pesi che ha inflitto alla leggerezza ingenua di Alphponse.

Di ognuno di questi, per quanto Alphonse abbia affrontato tutto con calma, si sente prettamente colpevole, e desidera, desidererebbe di non esserne mai stato capace, siano esse seppur piccolezze, ma di un degno ammontare.

Il biasimo era il lenitore di ogni ferita; il biasimo per sé stesso, quanto suppurava, lacerando in pezzi, le ferite del suo corpo, dei nervi interni, della carne debole e inutile che ne ricopriva le ossa.

A loro modo, entrambe le cose rimbombavano metalliche al suo interno; a loro modo, entrambe le cose risuonavano necessarie al fargli volgere un altro passo avanti.

Guardando a quelle mani inutili e fredde con cui si era spacciato sommo creatore, con cui aveva attinto ad un mucchio di conoscenze che avrebbe preferito non far sue; guardando al modo in cui le sue dita si flettono, dure ma ai comandi dei suoi nervi vive, riconosce che ci sarebbero tante cose sbagliate da dire, dunque le sceglie con cura.

Edward erra, tante volte, straniero in quella pesante mente che ne disturba la spensieratezza d’adolescente, consapevolezze, colpe e pene che cancellano quanto d’infante era rimasto tra le sue dita.

Le sue dita, così fredde e dure, sono vive.

Queste dita, queste mani vorrebbe offrirle al fratellino che ha tradito, agli occhi grandi che lo guardavano con fiducia, e non hanno ancora smesso di farlo.

Così, lui gli ha tolto, tolto e ancora tolto tante volte; l’ha appesantito di consapevolezze, l’ha alleggerito di colpe.

Quel che ha infranto lui stesso è insensato ricada su di altri; in ottobre cancellò le tracce dei suoi errori, volendoli rendere falsi ed irreali.

Ma Alphonse è rimasto davanti ai suoi occhi, a condannarlo ogni giorno di più, perfettamente tangibile, perfettamente visibile.

Questo e la voce di lui, lentamente a farsi spazio nella sua mente, riportano alla luce memorie sopite, le risvegliano.

Di come lui gli abbia dapprima insegnato cos’era la morte, e poi uccisolo con le sue mani, in sorda ironia che nessuno potrà mai udire, e ricorda, ricorda giorni felici, l’uno al fianco dell’altro.

Ricorda, e nel ricordarlo è più che mai colpevole, ancora e ancora.

-

In quei giorni, non avevano che, presumibilmente, sei e sette anni.

Non distante da casa loro, un placido luogo si elevava dinanzi alle giovani creature, sorprendendoli in quella semplicità.

Un laghetto in cui spesso giocavano a schizzarsi d’acqua, a rincorrersi, loro e Winry, circondati da lievi colline da cui ruzzolare, scalare quando innevate, da osservare, da usare come giacigli.

Cespugli ed immensi, immensi prati fioriti, ed era il Paradiso.

Felicemente, si erano ritrovati a passarci ogni giorno, più e più volte: dopo la scuola, dopo i pasti, i compiti, animi acquietando.

I lievi sorrisi di Winry, lo scintillio dell’acqua sui suoi capelli così biondi, il sole a solleticarle le iridi celesti da una parte; la chioma più scura e scarmigliata, il sorriso sempre così gentile di Al, caldo e gentile ed innocente, dall’altra.

"Nii-san, nii-san, fa’ attenzione!"

Riscuotendosi, il piccolo Ed sbatté un attimo le palpebre, realizzando di aver messo un piede scalzo in acqua, non sul piccolo sentiero di rocce che stava seguendo un po’ distrattamente; essendo pietre di modeste dimensioni, accantonate le scarpe sull’erba, era sorta tra loro quella piccola sfida, a chi sarebbe giunto all’altro capo del laghetto senza cadere.

Alphonse e Winry erano leggermente più piccoli di corporatura di lui, e seppur goffamente, non avevano avuto grossi problemi; lui invece rovinò in acqua, sbattendo ancora le palpebre piuttosto perplesso, e scostandosi un ciuffo di capelli ora biondo scuro per l’acqua dalla fronte.

"Edo-kun, sei goffo. Sei più basso di me, ma non hai la mia grazia." rise Winry allargando un sorrisetto che di malizia non aveva nulla, ma solo tenerezza.

Edward dapprima arrossì seccato, aprendo la bocca per dire qualcosa a proposito del fatto che un ippopotamo avrebbe avuto grazia maggiore di lei, ma non altrettanta fortuna, ma si trattenne alla vista della mano di Alphonse a lui tesa, così, accondiscendente.

Giovane paciere, con quel sorrisetto conciliante risolveva sempre tutto, ed allo stesso modo Edward dimenticò all’istante ogni proposito ai danni in seguito della proprio integrità fisica, limitandosi ad allontanare un poco seccato la mano di Alphonse, con tutta la gentilezza che poteva evitare di ostentare, ma sentire.

"Non ce n’è bisogno, Al, affatto. Sono più grande di te e non una mocciosetta." sottolineò fremente mentre Winry riduceva gli occhi a fessure, preparandosi ad un nuovo attacco verbale circa la sua statura, ma Alphonse già pareva, per pura abitudine a quei piccoli diverbi e agli atteggiamenti scostanti del fratello, essere stato distratto da qualcosa tra i cespugli.

Gli altri due non gli prestarono molta attenzione; Alphonse udì distrattamente un urlo di dolore da parte fraterna, e un seccato, seguito da passi pesanti "Me ne vado!" dall’altra parte.

Il minore degli Elric sollevò vagamente la mano in segno di saluto, troppo eccitato per tentare di fermarla, e allungò un cenno ad Edward, che ancora brontolava testardo.

"Così suscettibile e violenta, quella lì..."

"Nii-san."

"...insomma, mica è sempre colpa mia.."

"Nii-san."

"...ecco, ed ha cominciato le..."

"Nii-san!"

Edward si riscosse nuovamente, quasi intimiditone, e si avvicinò al fratellino, inginocchiato, che stringeva qualcosa tra le tozze manine.

"Nii-san. Guarda!"

E sollevò le mani a lui, un gattino a gemergli tra le mani.

Una sottile peluria grigia si accostava al corpicino gracile ed ossuto, gli occhi chiusi.

Alphonse lo trovava davvero, davvero grazioso; si chiese se avrebbe potuto tenerlo; ma d’improvviso il micino frenò ogni lamento, giacendo inerme, ed Edward per primo realizzò con tormento che quello era stato un gemito non lamentoso, ma di richiesta d’aiuto.

Probabilmente il più debole della cucciolata, era stato abbandonato da una madre con un istinto materno non del tutto sviluppato, o da un padrone spietato.

Strinse le labbra mentre il minore ancora accoglieva tra le braccia il piccolo felino.

Non sembrava avere ora che un’espressione rilassata sul muso, come piacevolmente addormentato, ed Alphonse lo scosse gentilmente, domandandandosi perché non si muovesse; forse non aveva voglia di giocare.

Forse lui non piaceva, ai gatti.

Edward si sentì fiacco e triste, d’improvviso; qualche volta, non rammentava come né quando, ma la mamma gli aveva parlato di una cosa simile.

Forse gli era morto un canarino, non ricordava bene, ma aveva realizzato che nessun movimento stava per nessun ritorno.

Era stato freddo e crudele da realizzare, e non si sentì di dirlo apertamente al fratellino, quando la constatazione feriva lui stesso.

Quel corpicino fermo, feriva lui stesso.

Così, per affievolirne il fardello, stette un poco in silenzio a pensare.

"Al…lui non è qui. E’ in cielo." tentò debolmente, vigliacco agli occhi verde scuro del più piccolo.

E per qualche strana ragione, il fatto che il gattino fosse da qualche parte parve calmare Alphonse un poco.

"Quando torna, nii-san?"
Edward si morse un poco il labbro inferiore, alla disperata ricerca di un qualche appiglio, ma non ne trovò; né gli parve giusto fargli accogliere quella consapevolezza morbidamente quando, irruenta, più e più volte si sarebbe scagliata davanti a loro, com’era giusto che fosse.

"Non torna, Al."
Il fratellino strinse forte gli occhi, e tastò ancora il corpicino immobile dell’animale, cercando un battito che non avrebbe trovato, e urlando forte.

Mestamente, sopracciglia calate alle palpebre, Edward lasciò scivolare il palmo della mano sinistra a sfiorare la testolina bionda del fratello, mentre con l’altra afferrava delicatamente il gattino.

"Lo seppelliremo qui."
Alphonse chiuse gli occhi, asciugandosi il viso con la manica della camicia, e sentì qualcosa di fermo e confortante, al di là dell’oppressione al petto nel realizzare cosa, effettivamente, era morire.

Così, l’occhio fraterno era sempre stato calato su di lui, le mani che più conoscevano il mondo e sapevano come agire scavavano in terra cercando di ricreare un morbido giaciglio per l’animale; questo lo rassicurò.

Non sarebbe mai stato solo, mai sperduto, ma sempre con un vigile punto di riferimento a sovrastarlo.

Tirando un po’ su col naso si chinò dunque, anche lui, ad aiutarlo.

-

"Nii-san, è...successo qualcosa?"

Alphonse piano si ricompone, accostandoglisi, senza mutamenti a quell’esteriorità da lui distaccata, per non peggiorare in maniera avvilente le cose.

Lo sguardo sottilmente annebbiato di Edward vaga incerto tra il suolo ed il fratello, stringendo forte le labbra e dischiudendole solo infine, sopracciglia chine alle palpebre in velata frustrazione, mentre ricompone la netta parvenza di quello che gli spettava essere, della forza che, come sostegno ad entrambi, gli spetta mantenere.

"Perché eri agitato?" prorompe infine ansimante, ansia flebilmente tradendo, fisso guardando Alphonse, che abbassa un poco la testa, passandosi la mano metallica dietro il capo, in implicito imbarazzo, scuotendola poi con vigore, ed Edward se ne meraviglia un poco, addolcendo poi l’espressione in viso, fraterno come deve, e come si sente di essere.

Loro erano così; nulla meno importante di sé, ottimo stratagemma per celare riservatezza alle proprie pene.

Questo valeva principalmente per Edward, a modo suo; spontaneità così ingenua, invece, caratterizzava appieno solo Alphonse.

"Non è...non è nulla, davvero!" esclama il minore dei due, minimizzando con quei gesti e parole che gli attenti occhi ed orecchie di Edward ormai riaccostano gentilmente e senza problemi al viso, all’espressività di Alphonse ferma nei suoi ricordi, e non se la sente di provare nemmeno ad insistere, per l’inutilità che avrebbe in questp momento; e sempre.

Si ridistende di scatto sulla gradinata, schiena sul pavimento antistante, senza mostrare alcun mutamento esteriore, solo qualcosa di simile a maggiore spensieratezza.

D’altronde, non lo stupisce quella reazione, quel non negare che vi fosse qualcosa per l’ingenua sincerità che lo accompagnava da sempre, ma non ritenerla cosa importante e degna di sua preoccupazione da pronunciarla.

Così, così teneramente infantile, quello era ed è ancora il suo fratellino.

Non ha mai scordato chi è, per quanto lui stesso tenda a dimenticarlo.

"Sai, Al" esordisce ora, senza particolare ragione, mentre il fratello si volge a lui "Tu con me ti puoi lamentare. Dovresti, con me più che con altri, perché tutto è partito da me e, pur facendo del mio meglio, non riesco a combinare nulla di plausibile. Come giungo vicino ad una risoluzione, mi sfugge dalle mani, nella mia inutilità. Ah, chi potrebbe mai volere un fratello simile?"

"Questo non è assolutamente vero!" esplode Alphonse, accorato nell’amarezza ed ingiustizia che gli hanno trasmesso

quelle parole e quel tono, mentre Edward allargava un basso sorriso ironico, mano sulla fronte a scoprirla da ciuffi di capelli troppo lunghi "Nii-san, fai sempre tutto quello che puoi e quello che non puoi, mai per felicità tua, sempre per felicità mia o di entrambi, perdendo di vista i tuoi desideri, la tua vita, ed io, io odio questo! Hai già perso e sprecato troppo, per me, per quanto mi riguarda si potrebbe anche lasciar stare tutt-..."

L’altro alza allora di scatto il capo, riportandolo fiaccamente indietro; abbandonando la testa alle sardoniche risa, abbandonando le risa al sardonico pianto.

"Tu sei convinto, Al, veramente convinto che ti vada bene così?"

Stringe gli occhi e i denti, amaro a logorarne la testa già fiaccata.

Alphonse esita, un poco, quasi vacillante, perplesso ma fermo nel suo pensiero.

"...in effetti no, nii-san. Io non ne sono convinto. Ma va bene così. Per ora. Se serve, per sempre."

Edward stringe maggiormente le labbra, celando il malessere che straborda ormai da un po’ nel suo corpo, contegno riprendendo, orgoglio ostentando in quel fiacco, indistruttibile tender di labbra nello scuoter furiosamente il capo.

"Stupido. Stupido, dannazione. Io non ho molti meriti, ma credevo, spero di averti fatto capire delle cose importanti. Nonostante tutto, sempre, sempre ho potuto vedere il tuo sorriso felice, dentro di me. Nel vederlo, pensavo di star seguendo un giusto tracciato. Di poter alleggerire il peso del mio sguardo su di te. Ho sempre ricordato chi eri, ed ora sei tu a volerlo dimenticare, ad accontentarti di una vita fittizia? No, non è giusto. E’ stato tutto vano se siamo dovuti giungere a questo."

Il minore sente una certa dose di propria afflizione perder valore, in quello; nulla, nulla di simile avrebbe potuto scivolargli addosso, eppure questo lo alleggerisce.

E’ un tale sollievo, alle volte, tante volte, venir corretto.

Sapere di essere in errore lo solleva dalle responsabilità che un adulto deve assumersi.

Sapere di essere in errore e venire corretto, gli concede di essere il bambino che dovrebbe essere ma da cui non viene mai trattato, per forza di cose, per furia degli eventi.

Trattato così, gentilmente accostato alla soluzione ai suoi errori, non gli mancherà mai supporto d’adulto, adulto in quell’infantilità dall’altro odiata e da lui tanto sospirata.

Nessuno di loro ha sbagliato, né sbaglierà mai da solo.

"Non intendevo questo." sospira, nonostante tutto un poco fiaccatone, allo stesso tempo veramente rinvigoritone "Ma ti ringrazio, nii-san."

L’altro scrolla le spalle, portando le mani alla nuca, portando la schiena verso di lui.

Senza bisogno di sguardi o parole, l’uno può veder l’altro sorridere nei propri ricordi, nel più stretto infiltrarsi di gioia al cuore, nel più intimo celarsi di antiche speranze.

Ed afferratele una nuova volta, nel cingerle al petto, morranno ancora, più e più volte, prima di lasciarle scivolare via.

-

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Mao_chan91