Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Dejanira    01/11/2011    2 recensioni
"What if nothing exists and we're all in somebody's dream?" (Woody Allen)
L’estate in cui Rose decide di andare dai Malfoy, per le vacanze, si stupisce nel trovare sepolto nella biblioteca di casa un libriccino senza nome che sembra nascondere più sottotrame e segreti di una qualunque altra storia.
Il giorno in cui Hermione, con un tremendo sbaglio, danneggia in maniera irreparabile se stessa e la sua vecchia vita, comprende che non le sarà più possibile andare avanti senza l’aiuto di due persone improbabili.
Pansy e Draco si ritroveranno così costretti a dispiegare una pericolosa ragnatela di disperazione, morte e pazzia, nel tentativo di riportare a casa qualcuno considerato perso da ormai troppo tempo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Pansy Parkinson, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Senza titolo

Senza titolo

 

Prologo

 

 

 

What if nothing exists and we're all in somebody's dream?

Woody Allen

 

 

 

 

 

Dicono che gli uomini non possano volare, se non su scintillanti manici di scopa magici o aeroplani babbani o colorate mongolfiere. Ma dicono anche che ci sia qualcosa dopo la morte e che la felicità sia possibile, per questo Hermione Granger aveva buone ragioni per non credere a quella diceria.

Era certa che se qualcuno avesse potuto sentire quello che sentiva lei in quel momento, non avrebbe esitato a ricredersi. Non era esattamente una cosa fisica, del tipo sollevarsi in aria e osservare le macchine su Shaftesbury Avenue dall’alto, era più una sensazione, come sentire il pavimento sotto di te crollare e tu correre correre ugualmente, come se nulla fosse successo.

Non era lei che si era librata in alto, era il resto del mondo che era sprofondato sempre più in basso.

E qualunque fosse la verità, era una sensazione abbastanza definita e vivida per essere, appunto, solo una sensazione. E un’altra delle interminabili certezze che avevano finito col disgregarsi gradualmente di fronte ai suoi occhi c’era anche quella che una sensazione non poteva differire poi così tanto dalla realtà.

Per questo continuava a correre, o volare, che tanto era la stessa cosa.

Non era nemmeno molto sicura che la gente potesse vederla. Insomma, tutti quei maghi e quelle streghe nell’Atrium, che si dirigevano come mosche verso la ricostruzione della fontana dei Magici Fratelli, distrutta e poi ricostruita, come tante altre cose tutt’attorno, distrutta e ricostruita, distrutta e ricostruita.

Come lei. Distrutta, dilaniata, fatta a pezzi e poi rimessa insieme in un assai precario manichino di legno a cui sarebbe presto saltato via un braccio o la testa. Non l’anima, e di certo nemmeno il cuore, perché quelli non c’erano neanche più.

Aveva dovuto guardarsi indietro e raccogliere pezzi di se stessa dal pavimento, ora un dito, ora il naso, ora gli occhi, ora un dente, e per ogni osso che riattaccava c’era un’articolazione che cadeva, e così all’infinito in una macabra e decadente catena di montaggio.

Era un prodotto industriale, confezionato a macchina e lo stesso difettoso, non più un essere umano.

Oltrepassò la fontana e raggiunse gli ascensori, mescolandosi tra i mantelli vaporosi e i cappelli alti di quella gente che la guardava e neanche la vedeva.

Una volta la fermavano per strada, i giornalisti chiedevano che concedesse loro un’intervista e i ragazzini la imploravano che firmasse un autografo, una cosa che non si aspettava le sarebbe mai successa, quando era una ragazzina di undici anni che creava disegni di sola grafite senza metter mano alla matita.

Già da allora, niente acquerelli, niente tempera, niente colore, solo una disastrata e informe massa con tutte le sfumature di grigio.

Il peso del ricordo di se stessa da bambina la schiacciò al pavimento dell’ingresso principale del Minsitero della Magia e ve la lasciò per un infinito lasso di tempo. Solo quando terminò, permettendole di continuare a librarsi su quel terreno in rovina, poté premere il tasto che l’avrebbe portata al Nono Livello – Ufficio Misteri.

Trentaquattro anni sulla carta e mille addosso, la sua impercettibile pesantezza la stupì nel guardarsi allo specchio dell’ascensore, insieme ad altri quattro o cinque volti che avrebbero potuto avere zanne e corna, oppure neanche gli occhi, e lei non avrebbe fatto caso a loro ugualmente.

Lo specchio crudele le rimandò l’immagine di qualcosa che un tempo doveva essere stato vivente, una strana materia solida a forma di ragazza, con un impasto ovale e pallido che ricordava un viso, due schegge di vetro infrante che dovevano essere occhi e un groviglio di rimorsi e pensieri che invece erano solo capelli.

Immaginò di rannicchiarsi in un angolo, di stringersi con le mani le braccia fino a lasciarvi impressi i segni rossastri delle dita, raggomitolandosi, rattrappendosi per intero su se stessa, dentro se stessa, fino a essere risucchiata dal buco nero della sua esistenza; allora l’ascensore si sarebbe fermato, tutti gli altri sarebbero usciti e di lei sarebbe rimasto solo un cumulo di cenere a insozzare la moquette.

Invece l’ascensore si fermò, la voce metallica annunciò “Nono Livello – Ufficio Misteri”, e lei, stretta a se stessa come nella sua visione, uscì dalla cabina insieme ad altre due o tre persone che la superarono senza degnarla di uno sguardo. Le porte dell’ascensore si richiusero, e nel pianerottolo calò il silenzio. Freddo, insostenibile, opprimente, cigolante come un suicida appeso a un lampadario. Allora Hermione pianse, urlò, si gettò a terra e batté i pugni, gridò svariate parole, alcune dicevano “figlio”, altre strillavano “morte”, poche sussurravano “pezzi”, il resto era solo frastuono misto ad assenza.

Riprese il respiro che aveva trattenuto fino ad allora, con le labbra serrata e gli occhi chiusi. Altre due persone la superarono senza degnarla di uno sguardo, le porte dell’ascensore si richiusero e nel pianerottolo calò il silenzio, mentre il fantasma di quell’ennesima visione la abbandonava come si abbandona un vecchio amico.

Serra i denti.

Tira su le maniche.

Caccia giù i rimpianti,

butta fuori le allucinazioni,

ammazza i ricordi,

annienta il tuo respiro.

Sorridi.

- Buon pomeriggio. Sono Hermione Granger, avevo richiesto un appuntamento con l’Indicibile P.J.P-08, ho qui la richiesta, è fissato per le 16:00. –

- Attenda un momento, per favore. –

- Certamente. –

Pausa.

- In fondo al corridoio e poi a destra, seconda porta sulla sinistra. –

- Grazie. –

- Arrivederci. –

 

-

 

P. J. P. stava per Pansy “J” qualcosa Parkinson. Lo 08 indicava lo stadio dell’avanzamento della carriera dell’Indicibile in questione, che nel caso di Pansy era ancora basso data la sua giovane età e i pochi anni di servizio. Nel complesso, era tutta una misura cautelare messa in atto dal Ministero dopo la morte del vecchio Indicibile Broderick Bode. Requisito indispensabile di questa sezione del Ministero era che tutti i suoi impiegati fossero assolutamente anonimi. Per questo, anche all’interno dell’Ufficio stesso, non si usava riferirsi a loro con un nome ben esplicito.

Quella di Hermione non era una richiesta prettamente “ufficiale”. Un incontro con un Indicibile, seppur di stadio non avanzato come Pansy, non era cosa che si otteneva tutti i giorni, e comunque non per gente qualunque. Quella di Hermione era infatti una richiesta “di favore”, che era un modo carino per dire “sono raccomandato, non rompetemi le palle”.

I corridoi erano lunghi, stretti e male illuminati. I candelabri sulla parete si accendevano mano a mano che qualcuno avanzava e si spegnevano nel tratto di strada che si era appena superato; in questo modo, non era possibile vedere ne da dove si provenisse né dove si fosse diretti, una condizione in cui Hermione, attualmente, si sentiva perfettamente a proprio agio.

Seguì le indicazioni che le erano state date, dritto destra e sinistra e arrivò di fronte a una porta in legno di noce, poco lavorata, senza cartelli, tesserini, indicazioni o etichette che potessero chiarire che razza di stanza fosse quella.

Hermione bussò e Pansy disse Avanti, allora lei entrò indugiando sulla soglia.

Mobili e arredamento erano una cosa a cui Hermione non avrebbe nemmeno fatto caso. Giusto per annotazione, tanto per poter riferire poi a un ipotetico amico immaginario se era stata in cimitero o in una fattoria, rilevò pochi fattori essenziali: no finestra, no piante, soffitto basso, pareti scure o sporche, mobili eleganti, sedie alte, più d’una scrivania, no poltrone, no divani, solo librerie, registri, nero nero nero, Pansy, un uomo giovane, sulla trentina, a cui venne chiesto cortesemente di lasciarle sole.

L’altro Indicibile uscì, chiuse la porta, Hermione sobbalzò. Pansy era in piedi, indossava una veste scura, Hermione pensò che gli Indicibili ricordavano i Mangiamorte, si fece avanti, un passo, due, “Accomodati”, “Sì”, “Quella sedia”, “Sì”.

Seduta. Pansy ancora in piedi, braccia conserte, capelli sciolti, leggermente più lunghi di come li ricordava.

- Non ti offrirò nulla da bere – cominciò Pansy.

- Non bevo – replicò Hermione.

- E non mangi, a giudicare dal tuo aspetto – commentò l’altra. – Non voglio aiutarti. –

Suppliche, e tanto di quel dolore da uccidere una persona. Tutto questo in due soli occhi, cupi e annebbiati da qualcosa che non era paura, ma ne aveva tutti i sintomi. Pansy ne provò pietà.

Hermione si tormentava le mani. Se le strofinava, se le stringeva fino a far schioccare le ossa.

- Ho fatto una cosa terribile… - mormorò, ma a voce talmente bassa che Pansy non la udì, intuì soltanto di sentirle ripetere le parole con cui l’aveva asfissiata in tutti quei mesi.

- Sì, lo so. – Calma, pacifica, rassicurante.

- Ho fatto una cosa terribile… -

- Sì, l’hai fatto. – Semplice rilevamento di un dato.

Hermione alzò gli occhi. Si sentiva tanta di quella sofferenza dentro che il suo corpo non riusciva a contenerla. E allora straripava di dolore, una fiumana di angoscia che traboccava dagli occhi e dalla bocca portandosi via anche le poche cose belle, lasciandola prosciugata e mezza vuota.

- Tu… - boccheggiò Hermione, come se l’avessero trafitta con un milione di spilli e per questo faticasse a parlare. – Tu… Malfoy… voi mi dovete aiutare. –

- No – Pansy era risoluta.

- Ho fatto una cosa orribile, lo capisci?. – Pianse. – Mi squarcia in due, mi fa a pezzi. Mi fa sentire solo le cose peggiori. Non c’è più niente di bello, nulla per cui valga più la pena tentare… -

Pansy si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, una mano sugli occhi. – Salazar… -

- Niente di bello! – piangeva ancora. – Mi riempie… mi riempie per intero di sentimenti negativi. Non lo capisci, tu, non lo capisci com’è… mi fa desiderare di non aver figli, di non essere sposata. Vorrei che Ronald la smettesse di guardarmi, mi dà fastidio quando mi guarda. Mi dà fastidio quando Hugo mi racconta cosa ha fatto e mi fa vedere i suoi disegni. Mi dà fastidio quando mia figlia mi abbraccia. –

Pansy non la guardava, ma stava a sentire. Non disse nulla perché Hermione non si aspettava che dicesse qualcosa se non “Sì”, quell’assenso sospeso nell’aria tra le loro teste, Mi aiuterai?, Sì, Mi aiuterai?, Sì, Mi aiuterai…?

- Per favore… Pansy, per favore… -

- Vuoi che ti aiuti a morire? – sbottò lei. – Che ti chieda di alzarti in piedi e girarti di spalle, cosicché tu possa chiudere gli occhi e non guardare mentre ti scaglio contro una Maledizione Senza Perdono? –

- No, no… -

- Con i rischi che comporterebbe per me, con il dolore che causerebbe a te, un attimo prima di morire, quando lo rimpiangerai e sarà già troppo tardi? –

- No! – strillò Hermione. Con la manica del mantello cercò di asciugarsi gli occhi, si nascose il viso in entrambe le mani. Passò del tempo.

- Mi sento come se avessi diciott’anni, Pans. –

- Beh, è una buona cosa, no? –

- Voglio sentirmi come se avessi diciott’anni. Quando non c’erano legami, non c’erano vincoli. –

- Divorzia, se è questo che ti crea problemi. Il resto non è una soluzione. –

Hermione scattò in piedi, con tanta violenza che il cuore di Pansy ebbe un balzo.

- Come puoi essere così? – strillò. – Ho fatto una cosa orribile e non riesco a… conviverci. –

Pansy sbuffò, si tirò a sedere, cominciò a rovistare tra scartoffie e schedari. Borbottò qualcosa di confuso.

- Voglio che smetta – spiegò Hermione, seguendola mentre lei faceva avanti e indietro per l’ufficio sistemando ora quel plico di fogli in un cassetto, ora quel registro su uno scaffale.

- Cosa? – sbottò, seccata e intimidita.

- Il ribrezzo. La paura che mi faccio ogni volta che mi sveglio la mattina e mi chiedo quanto tempo mi resta prima di morire. –

- Ascolta un po’, Granger… -

- No, tu stammi a sentire – la interruppe Hermione. – Ho fatto qualcosa di orribile. Essere una strega mi ha portato a fare qualcosa di orribile. –

Pansy sembrava disorientata. – Scusa? –

- Voglio che torni com’era prima – disse Hermione.

Pansy sospirò e radunò alcuni fogli sulla scrivania per infilarli tutto dentro uno schedario. – Prima di cosa? –

- Prima di Ronald, Hugo e Rose. Prima del mio lavoro. Prima della guerra. Prima di te e Malfoy. Prima di… -

Singhiozzò.

- Ai tuoi diciassette anni, insomma – cercò di semplificare Pansy.

- No – uno sfavillo perverso le schiarì gli occhi per un istante. – Prima degli undici anni. Prima di Hogwarts. Prima di quella fottuta lettera. Prima di essere una strega. –

Restò in silenzio ad osservare gli effetti della sua affermazione. Per pochi, misurati istanti l’unico rumore furono e agende e i registri di Pansy, che lei, imperterrita, continuò a sistemare. Tornò a sedersi alla scrivania con l’impressione di aver davanti una folle.

- Non credo di aver capito. –

Sospiro, rinuncia, preghiera. Ti prego, salvami, ti prego salvami salvami per favore salvami.

- Voglio che tu mi cancelli la memoria. –

Ti prego ti prego salvami

- Voglio che ogni ricordo degli ultimi ventitré anni sparisca dalla mia mente. –

Per favore

- Voglio che tu mi innesti nel cervello la convinzione di essere una babbana. Che la magia non esiste. Che tutto questo non è mai accaduto. –

Ti prego

- Affinché io riesca a sopportare la realtà… -

Salvami

- …questo deve essere stato soltanto un sogno. –

A Pansy venne voglia di strapparsi i capelli. Ancora una volta ripeté: - Salazar… -

- Fallo smettere – supplicò Hermione. – Pansy… di’ di sì. –

Mi aiuterai?

Mi aiuterai?

- Granger… -

- Tu lo sai cosa ho fatto. –

Sì.

- Per favore, di’ di sì. Non voglio più… -

Non riuscì a dire più nulla. A dir la verità, fu l’ultima cosa che disse per molto, molto tempo.

Pansy mise mano alla sua bacchetta, soppesandola tra le dita come se non fosse decisa sul da farsi. Hermione non guardava più, non supplicava più. Non ebbe il cuore di alzare il capo mentre la punta della bacchetta di Pansy, diretta contro il suo capo, si illuminava di una luce flebile.

Sì.

 

-

 

 

 

 

N/A

1) Questa è una storia strana, impossibile e contorta. Ci saranno un sacco di sbalzi temporali e flashback, spero di renderli in maniera quanto più chiara possibile.

2) Non penso che avrà molti capitoli, anzi spero pochi, anche perché non sono in grado di portare avanti progetti troppo sostanziosi.

3) E’ una Draco/Hermione. Tra le altre cose. Sempre e comunque. Lo si trova sempre il modo di infilarci dentro questo pairing.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Dejanira