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Autore: masterteo89    01/11/2011    0 recensioni
Crossover tra Silent Hill e Elfen Lied. Lucy X OC Quando sia un ragazzo comune che Lucy finiscono a Silent Hill inizierà il viaggio che porterà il ragazzo alla verità e Lucy al forse perdono dell'umanità da lei tanto odiata.(Storia scritta in modo tale che anche chi non conosce Elfen Lied può leggerla, la trama si sviluppa esaurientemente)
Genere: Drammatico, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Redenzione Dopo tanto tempo torno a scrivere e mi imbarco in un'impresa che temo sia superiore alle mie capacità ma...tentiamo. Questo è un crossover tra Elfen Lied e Silent Hill, figurante LucyXOC. Però alcuni avvisi:
1- A parte l'introduzione la parte riguardante Elfen Lied arriverà più tardi, non subito.
2- Da bravo fan di Silent Hill 1,2,3, Origins e film metterò dentro vari elementi di questi giochi e film senza creare però un pentolone privo di senso. Promesso.
3- Il mostro che ho creato in questo capitolo ha un particolare "preso in prestito" ad un famoso mostro di Silent Hill 2...di che mostro parlo? Felicità e figli maschi al primo che indovina! (C'è già il capitolo serio, fatemi scherzare almeno qui suvvia)

4- Mi piacerebbe ricevere qualche commento per capire se la storia interessa o se necessita di alcune dritte...

CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE

Buio. Il locale asettico e spartano era immerso nella più totale oscurità, nascondendo in una fitta penombra gli orrori e le atrocità che nel corso degli anni avevano sconvolto quella fredda stanza.

A intermittenza baluginavano fioche le luci prodotte da schermi e circuiti elettrici posti contro le pareti metalliche lievemente arrugginite, lievi bagliori irregolari prodotti da scariche di tensioni dovuti a regolazioni di differenze di potenziali elettrici.

Eppure, i banchi di lavoro parevano abbandonati; i raccoglitori erano sparsi alla rinfusa sulle superfici lisce e regolari dei tavolati, i fogli e le cartelle poste alla rinfusa sul pavimento impolverato, sulle sedie decrepite.

Pareva un luogo abbandonato, privo di alcun calore umano e tenuto lontano dal cuore e dagli occhi degli esseri viventi...eppure...le apparecchiature funzionavano in maniera efficiente.

Macchinari oliati e meticolosamente controllati in maniera giornaliera, a stridere con lo stato di incuria generale della sala.

Pareva quasi vi fosse rinchiuso il diavolo in carne ed ossa e  le uniche presenze umane che frequentavano tale loco si affrettavano a svolgere il loro compito per poi ritirarsi celermente verso porti sicuri.

E in effetti non avevano tutti i torti, poichè la stanza puzzava di morte.

Morte e paura, mista a incontenibile rabbia e tristezza impregnavano l'aria, generando un atmosfera pesante ed estremamente inospitale verso chiunque osasse penetrare quel luogo lontano da Dio e dalla sua immensa misericordia.

Ma quale poteva mai esserne la causa?
La risposta a tale quesito stava immobile al centro della sala, confinata in una gabbia circolare di 2 metri di raggio e legata saldamente su un lungo tavolo operatorio macchiato di sangue e chissà quali altre innominabili sostanze.

La figura pareva umana, o per essere precisi era una ragazza molto graziosa, dai lineamenti gentili e delicati che non dimostrava più di vent'anni di vita.
Eppure, c'era qualcosa che strideva nell'immagine plausibilmente inoffensiva ed erotica di quella ragazza bellissima e nuda.

Perchè era legata? Perchè si trovava imprigionata in una gabbia? Perchè i pochi ricercatori che si avventuravano in quel locale che poteva ora delinearsi come un laboratorio evitavano di guardarla, anche solo di sfuggita? Perchè il suo viso era celato allo sguardo, intrappolato in un casco grigio di freddo metallo con solamente alcuni fori per permetterle di osservare la sua triste prigione e respirare l'aria stagnante e viziata?

Poteva solo roteare il capo, ma l'odio presente nei suoi occhi era palpabile e furiere di sventure.
Era una promessa di morte verso chiunque avesse l'ardire di sostenerlo.

Quella sera il laboratorio era deserto e le telecamere di sorveglianza apparentemente spente, poichè il ronzare sommesso che normalmente producevano era cessato da diversi minuti.

Il silenzio tombale, teso come una corda di violino, era rotto solamente dagli occasionali rantoli e ringhi rochi prodotti dalla ragazza, la voce della rabbia e della sofferenza di un animale ferito e impotente.

Tuttavia, quella sera la situazione era diversa, qualcosa era cambiato...poteva avvertirlo, poteva presagirlo.
C'era qualcosa nell'aria, odore intenso di cenere e zolfo, misto all'aroma metallico del sangue umano. Di conseguenza la ragazza si concesse un sorriso crudele, privo di alcuna allegria e simile quasi ad un ghigno bestiale.

La puzza di sangue implicava uno spargimento di esso e dunque qualche umano aveva sofferto e non sarebbe riuscito a vivere per vedere l'alba dal domani, e tale pensiero era dolce alla sua povera mente abusata.

Non aveva dimenticato gli esperimenti atroci che era stata costretta a sopportare, l'umiliazione costante di crescere nel disprezzo senza neppure ricevere il lusso dei vestiti o di un nome; era trattata come un animale, nuda come la natura l'aveva creata e spogliata della sua identità.

Le avevano dato un nome, ma non era il suo, era un nome imposto come ogni singolo aspetto della sua esistenza.

E per tale ragione lei gli odiava, tutti...dal primo all'ultimo.

Tale era la rabbia e l'umiliazione che li avrebbe dilaniati a morsi, e anche così il suo cuore non si sarebbe placato.
Ma era risaputo che gli umani disprezzavano l'ignoto; e invece di tentare di comprenderlo essi prima lo studiavano poi lo distruggevano, senza pietà alcuna.

E oramai lei non aveva più lacrime da versare, poichè il cuore si era adombrato e indurito, preda del suo stesso dolore e bramoso della vendetta che la sua gente reclamava, che lei a gran voce nell'intimo reclamava.     
Trascorsero lentamente i minuti, un attesa lunga e snervante ma alla quale oramai vi era abituata, poichè tale era la sua vita.

Un'eterna attesa tra un doloroso esperimento e l'altro, finchè non venisse sopressa o finchè non perisse di morte naturale.

Senza la possibilità di vedere il mondo esterno...cosa non avrebbe dato per vedere ancora una volta il colore del cielo.

 All'improvviso il silenzio venne rotto da due semplici parole, proferite con una tale pacatezza da sembrare quasi irreale.

-Ciao Lucy.-

La ragazza, sentendo pronunciare il suo nome da quell'intruso, roteò lentamente il capo in direzione della voce, scorgendo la figura di una bambina spasmodicamente aggrappata con entrambe le mani alla rete metallica della gabbia che le impediva di fuggire da quelle odiose quattro mura.

Ora, fosse stata un'altra persona avrebbe notato con sconcerto che qualcosa non andava. Cosa ci faceva in quel posto una bambina?

Ma soprattutto, come vi era arrivata?
Tuttavia non le interessava la risposta, poichè era un'umana e di conseguenza una creatura odiosa votata solamente a farla soffrire.

Uomini o donne erano tutti uguali, poichè tutti sorridevano o ridevano apertamente mentre lei gemeva, schernendola.

-Chi sei piccola? Non riesco a vederti bene, avvicinati. Non voglio farti del male, lo prometto.- Domandò con falsa dolcezza, approfittando del fatto che il casco impediva a chiunque di scorgere il suo volto e le emozioni che lo plasmavano.

Si rendeva conto però che avrebbe avuto più fortuna se l'interlocutore fosse stato un uomo.

Era evidentemente cresciuta e, anche se non era mai riuscita ad osservare il suo corpo a causa dei lacci che la tenevano salda al letto operatorio, si rendeva conto dalle reazioni dei ricercatori che doveva essere ciò che un maschio definirebbe attraente. Non che lei potesse giudicarlo, era stata rinchiusa in quel luogo da quando aveva circa sei anni.

Però i maschi erano irrazionali a volte e lei aveva smembrato con discreto entusiasmo alcune di quelle...bestie che momentaneamente si erano dimenticate della sua pericolosità.
I lati positivi di un corpo attraente...le menti deboli facilmente si piegano.

-So chi sei Lucy- Continuò la bambina imperturbata; indossava un vestito viola e pressapoco dimostrava otto anni ma l'espressione del viso era matura, sembrava recare con sè anni di esperienze e vicissitudini. Non che si riuscisse bene a scorgere il volto, giacchè era coperto da una lunga chioma di capelli corvini scomposti.

Ma c'era pure dell'altro, un qualcosa che strideva.
L'istinto le diceva di fuggire da quella bambina ma la ragione scartava tale ipotesi irrazionale...era solo una piccola, insignificante umana giusto?

 -Lucy, ti senti sola vero? Vorresti punire gli umani che ti hanno rinchiusa in questa umiliante gabbia? Vorresti...vendicarti forse?-

Suadenti le sue parole, discorsi non adatti ad una bambina di quell'età che accentuavano ulteriormente il disagio di Lucy.

La ragazza ascoltò in perfetto silenzio e ponderò dentro di sè la situazione. Pensava di essere lei la predatrice, di aver trovato un nuovo giocattolo con cui lenire la sua ira...invece ora non capive bene cosa avesse di fronte a sè.

 -E come potrei? Non posso muovermi, non posso liberarmi. Sono in balia di quelle bestie sanguinarie e crudeli. Non c'è speranza per me, solo sofferenza.- Replicò aspra la ragazza, distogliendo lo sguardo verso il soffitto.

-Io posso aiutarti. Vuoi vendicarti di queste persone vero? Posso sciogliere le odiose catene che ti relegano in questo luogo, posso soddisfare la tua sete di sangue. Ma c'è un prezzo da pagare.-

Scandì bene le ultime parole, sorridendo enigmatica.
Esitando, Lucy chiese

-Chi sei veramente?-

-Ho molti nomi, ma considerami un angelo vendicatore, sceso sulla Terra per punire i malvagi. Il sangue laverà il sangue, e scorrendo a fiumi corromperà gli animi dei deboli e di coloro i quali sono facilmente manipolabili.-

-Non sono mai stata religiosa. Dio è per gli uomini, non per i diclonius.-

-Forse, ma il demonio invece ascolta tutti, umani e...diclonius? Tale è il nome dato alla vostra razza?- Affermò la bambina con un ghigno sinistro, attendendo pazientemente la risposta della ragazza.

Lucy tornò ad osservare la bambina, ma stavolta lo sguardo era un misto di brama e diffidenza. Gli occhi le brillavano in maniera selvaggia, lo sguardo di un predatore.

-Qual'è il prezzo da pagare?-

-L'eternità a Silent Hill, la città eterna della divina giustizia. Il limbo dove i peccatori scontano per sempre i loro peccati. Finiresti lì ugualmente, poichè sei stata molto molto cattiva. L'unica attenuante è che il tuo cuore è puro, è il mondo ad averti resa malvagia. Ti offro solo la possibilità di sfogare un'ultima volta la tua rabbia verso coloro i quali ti hanno reso la vita un inferno.-

-Mi stai dicendo che morirò?- Chiese mesta.

-No, ma sarai mia ospite forzata per l'eterntà poichè a prescindere dai motivi una vita recisa è una vita recisa. E tu ne hai recise molte, temo.-

Trascorsero diversi minuti durante i quali regnò il silenzio più assoluto, poi Lucy senza esitazione disse -Vendetta senza timore di morte...accetto.- E la sua risata echeggiò a lungo nella stanza, risata crudele che preannunciava sofferenze ma soprattutto agognata vendetta.

E quella notte fu ricordata a lungo, poichè molte persone perirono in circostanze tanto incredibili quanto sconcertanti.

Il giorno successivo i muri dell'istituto erano lordi di sangue e resti umani, ma di Lucy e della bambina nessuna traccia.

Diversi mesi dopo...

-Ma cosa...?- Mormorò perplesso David Livingstone socchiudendo gli occhi a fatica, si sentiva estremamente debole e gli girava la testa.

Supino, tastò con una mano la superficie su cui era adagiato, riconoscendo il tessuto semplice e soffice delle coperte di un letto.

Voltò debolmente il capo a destra e a sinistra, osservando la stanza immersa nella penombra con sguardo critico.

La luce entrava in quella stanza accogliente da una semplice finestra, ma era difficile scorgere il paesaggio perchè una nebbiolina aleggiava all'esterno, rendendo i contorni degli oggetti estremamente lattiginosi. Quella che cadeva...era neve? Strano, perchè pareva più cinerea di colore rispetto al classico candore dei fiocchi...ma non era quello il principale problema al momento.

Lentamente, si alzò dal letto sorreggendosi su gambe intorpidite e malferme. Era un ragazzo di ventidue anni, alto 1 e 90 per un fisico asciutto e discretamente muscoloso. Capelli castano scuri si abbinavano ad occhi intelligenti e riflessivi verde smeraldo, con una punta di bruno sui bordi dell'iride. I lineamenti del volto erano vagamente affilati, conferendogli un aria seria e severa nonostante di carattere fosse si riflessivo ma gioviale e affabile.
David si guardò lentamente intorno, prendendo nota del luogo in cui si trovava: il suo sguardo colse un semplice televisore impolverato, un tavolino posto di fronte alla finestra ed un ampio armadio a muro.

-Dove mi trovo?-

Domandò a bassa voce, quasi i muri potessero ascoltarlo e fornirgli risposta ai suoi interrogativi. Ricordava che stava tornando a casa dall'università, poi...buio totale.

Era stato forse rapito? Il timore lo colse, ma il dubbio svanì all'istante poichè nessun rapitore sarebbe stato tanto stupido da lasciarlo slegato in una stanza.

Inoltre, poteva notare un telefono sul tavolo nei pressi della finestra.

Un rapitore ovviamente non lascerebbe un telefono a disposizione della sua vittima, nevvero?

Prese in mano la cornetta e la portò all'orecchio, ma dal suono dovette constatare con una smorfia che la linea era assente.

Fu in quel momento che, osservando fuori dalla finestra, gli parve di scorgere una figura trascinarsi lungo il vialetto esterno alla camera per scomparire in breve inghiottito dalla nebbia.

-Ma chi può essere...? Non ci capisco più nulla...chi era quello?-

La curiosità ebbe la meglio sul buonsenso e deciso si diresse verso la porta, aprendola senza degnare di uno sguardo le carte appese ad essa.

L'aria gelida dell'esterno lo colse impreparato e David si ritrovò a battere i denti dal freddo, ma facendosi forza avanzò deciso nella direzione in cui l'ombra si era allontanata, passando di fianco nel suo passaggio ad altre porte recanti ognuno un numerino in ottone. Nel complesso, doveva trovarsi in un motel o qualcosa di simile.

Il vialetto era ricoperto di mattonelle di un rosso vivo, graffiate in alcuni punti ma nel complesso parevano essere state installate di recente; a destra si trovavano le altre stanze mentre a sinistra le mattonelle terminavano in un giardino ghiaioso i cui limiti si perdevano tra le spire interminabili di quella fitta nebbia.

-Inquietante- Pensò con un certo timore dentro di sè -Non riuscire a scorgere i limiti di un luogo...mi pare di essere nudo, in balia di chiunque in un mare infinito. E questa sensazione spiacevole...qualcuno mi osserva?- Si voltò repentino alle sue spalle ma non scorse nulla, solo nebbia.
Si rilassò, esalando un respiro di sollievo.
Thump. Thump.
Tonfi attutiti persi nella nebbia dinanzi a sè, probabilmente prodotti dalla figura che stava cercando di raggiungere.

Fu allora che commise l'imperdonabile errore: dimentico di essere solo in un luogo sconosciuto e possibilmente ostile rese nota la sua posizione prima ancora di accertarsi se il potenziale interlocutore fosse un amico o un potenziale malvivente.

Con voce chiara disse -C'è nessuno?-

Thump. Thump.
La sua voce lentamente si perse tra la nebbia e l'unico suono presente fu il tonfo tranquillo dei passi in lontananza...
Thump.
David notò con un certo sollievo che i passi si erano arrestati, forse finalmente era stato udito.
Thu-thump. Thu-thump.
Il senso di sollievo lasciò improvvisamente il posto ad un groppo in gola.

Quei passi...quel suono...non erano normali!

-Sembra lo strascicare degli ubriachi...ma molto più rapido, quasi...smanioso di raggiungerlo?-

Thu-thump. Thu-thump.
David si ritrovò ad arretrare lentamente, un brivido freddo lungo la schiena tremante.
Thu-thump. Thu-thump.
I passi, aquisivano sempre più forza e vigore...quasi tentassero di tramutarsi in corsa ma senza riuscirci.
E finalmente la vide: dapprima una sagoma lattignosa che dondolava da un lato all'altro del vialetto, poi i contorni si fecero sempre più nitidi.

Non dondolava, erano le gambe che piegate alle ginocchia in un angolazione innaturale gli impedivano di procedere con sicurezza secondo una traiettoria rettilinea, e di conseguenza sbandava leggermente di lato.

Poi udi il rumore, un basso gorgoglio che a tratti si trasformava in un ringhio ferale...

Infine la sagoma divenne distinta...e David si accorse in quel preciso momento il motivo per cui non bisogna inseguire le ombre.

Di fronte a lui avanzava quella che era solo una caricatura crudele e distorta di un essere umano: il corpo era pieno di tagli e cicatrici e in alcuni punti la pelle mancava totalmente, mettendo in mostra muscoli sfilacciati e ossa ingiallite e malate. Il braccio sinistro era muscoloso e terminava in una mano provvista di unghie che parevan quasi artigli: lunghi e robustri stridevano contro la parete esterna delle camere mentre la creatura avanzava; l'arto destro invece terminava in un lungo tentacolo irto di spine rigirato tutto intorno al braccio, quasi fosse una serpe. Ma ciò che più lo scosse fu il capo: non aveva occhi quella creatura ed il naso sembrava essere stato tranciato di netto, il sangue colava lento ma costante sulla bocca irta di zanne che rabbiosamente si apriva e si chiudeva quasi stesse pregustandosi già il banchetto.

Avanzava in maniera convulsa, irregolare, sembrava spinto da un istinto bestiale e da pura forza di volonta!

 David riuscì a riscuotersi dal terrore giusto il tempo necessario per evitare che il lungo tentacolo gli si  avviluppasse intorno alla gamba, ghermendolo e trascinandolo verso morte certa.

Colpì il pavimento invece e scheggie di mattonelle volarono in ogni direzione, graffiando in maniera superficiale la gamba del ragazzo che però non parve rendersene conto.

In preda al panico corse nella direzione in cui era venuto, accompagnato dal ringhio lamentoso della creatura alle sue spalle che aveva incominciato ad inseguirlo con rinnovato vigore.

David non potè fare altro che barricarsi nella camera in cui si era destato in precedenza, sperando in cuor suo di aver depistato il mostro che, seppur micidiale, era innegabilmente lento.

L'attesa parve protrarsi all'infinito poichè nei momenti di panico il tempo sembra sempre scorrere più lentamente del normale.

Solo, accucciato dietro alla porta, tirò un respiro di sollievo non appena udì i passi della creatura superare la sua posizione e perdersi in lontananza.

Era salvo per il momento, ma per quanto ancora poteva dirsi al sicuro?

Si sentiva male, voleva piangere per la frustrazione ma non poteva...aveva capito che in ogni istante rischiava la propria vita.

Quante creature simili vagavano tra la nebbia?
Rialzandosi, ancora scosso, prestò maggiore attenzione ai fogli appesi alla porta d'ingresso.

-Riverside Motel...ecco dove mi trovo. In una cittadina chiamata Silent Hill. Questa mappa potrà tornarmi utile.-

Sussurrò strappandola dalla porta, poi voltandosi verso l'interno della stanza mormorò -Devo andarmene da qui...ma prima, vediamo se posso trovare qualcosa di utile in questa stanza.-
  
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